Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Ma! In che mondo viviamo
Ma! In che mondo viviamo
Ma! In che mondo viviamo
E-book285 pagine4 ore

Ma! In che mondo viviamo

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Trattasi di un libro di attualità che prende in esame i fatti accaduti dal 2000al 2016. Gli anni trascorsi sono densi di temi nefasti e avvincenti. Il libro ci accompagna in un mondo globalizzato e complesso, nel quale i giovani e meno giovani devono usare tutto il loro coraggio e la loro cultura per emergere.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2019
ISBN9788831602495
Ma! In che mondo viviamo

Correlato a Ma! In che mondo viviamo

Ebook correlati

Scienze sociali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Ma! In che mondo viviamo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Ma! In che mondo viviamo - Antonio Tassone

    Tolstoj

    Prefazione

    Non avendo termini di paragone con altri mondi del nostro sistema solare non sono in grado di giudicare se il modo in cui viviamo sia quello corretto, confacente con le nostre abitudini, al modo di confrontarci e relazionare con gli altri, di sfruttare le risorse naturali con la consapevolezza di lasciare ai posteri una Terra perfettamente vivibile per millenni ancora, in pace e tranquillità. Sì! Ci possiamo comparare con gli altri continenti come l’Asia, l’Africa, l’America, ma sono sempre popoli che abitano lo stesso pianeta! Naturalmente esistono divergenze culturali, storiche e geografiche che fanno la differenza. Ma l’uomo è sempre uomo con i suoi vizi e le sue virtù. Non sono più convinto di mettere l’uomo al centro dell’universo, come ci hanno spiegato fino a oggi, visto i risultati ottenuti. Proporrei di invertire i termini e mettere la natura al centro per salvaguardarla dallo sfruttamento radicale, come ci hanno insegnato gli antichi greci.

    Quello di cui sono certo è di raccontare gli avvenimenti che sono accaduti sul nostro pianeta e di lasciare ai posteri il giudizio, positivo o negativo, di come stiamo utilizzando le risorse naturali. La Terra, unico pianeta nel Sistema solare in cui l’uomo domina incontrastato, ha subìto una grande evoluzione negli ultimi secoli, in campo tecnologico, scientifico e sociale. Nel Medioevo i continenti divisi dagli oceani erano isolati. Nessuno conosceva la Cina nella sua complessità se non qualche esploratore assetato di avventura. Dell’America si aveva notizia delle ricchezze e del potenziale sfruttamento. In seguito ci furono scoperte geografiche significative e le comunicazioni veloci e sicure permisero di viaggiare, e in parte scoprire queste terre così lontane. Oggi possiamo dire che la globalizzazione ha permesso di integrarci sempre di più fino ad adottare gli stessi prodotti, migliorare lo stato sociale, mantenendo separati usi e costumi e di lasciare spazio alla politica per risolvere le questioni internazionali, ripudiando le guerre e cercando il modo di conservare l’armonia tra i popoli.

    Politica e democrazia sono due concetti fondamentali che dovrebbero essere sufficienti per governare i Paesi. Il più delle volte i concetti vengono distorti e allora assistiamo a guerre, disastri finanziari, corruzione, egoismi personali che sfociano nella mancanza di solidarietà, espansione del crimine, degrado sociale.

    La storia di Roberto e Alessia è una storia tratta da episodi veramente accaduti con personaggi immaginari e riadattata per renderla più gradevole e attraente, inserendo temi specifici per focalizzare meglio i periodi del nostro tempo. Lo scopo è quello di indicare ai giovani la strada giusta da seguire e dimostrare che le rinunce e le privazioni tollerate per studiare, per avere una cultura, alla fine danno soddisfazioni anche durante la recessione, come quella attuale. Non disperarsi per non avere ancora un mestiere, una donna con la quale coabitare e trascorrere insieme le fasi piacevoli e non della vita; non abbandonarsi a pessimismi che provocano depressione e voglia di farla finita, ma insistere nella ricerca della propria sistemazione, di afferrare a volo le occasioni che capitano all’improvviso per entrare al più presto nell’attività lavorativa e poi ambire a migliorare la posizione. Sono concetti semplici che tutti conoscono e pochi mettono in pratica. Altre storie di altri giovani che hanno avuto successo vengono descritte dai quotidiani e dai libri appositamente pubblicati per dimostrare che vivere non è facile, bisogna sempre confrontarsi con gli altri e vincere la concorrenza per poter realizzare le nostre aspettative.

    Antonio Tassone

    Ma! In che mondo viviamo?

    In che mondo viviamo? L’espressione ricorre sovente nei discorsi popolari. L’ascoltiamo nei bar quando entriamo per bere il solito caffè mattutino e leggiamo sulla stampa, a caratteri cubitali: uomo trovato decapitato nei boschi, era andato a raccogliere funghi, o nei supermercati ogni volta che si incontrano due amiche e discutono del più e del meno, ritenendo ripugnante sapere che la signora Gina è morta nella sua abitazione e solo dopo dieci giorni i suoi parenti si accorgono della sua assenza. O notiamo dei cambiamenti con degli avvenimenti negativi che modificano o alterano il nostro modo di vivere come, per esempio, la Terra dei fuochi che coinvolge la Campania dove le mamme-coraggio scendono in piazza per denunciare l’inquinamento che produce tumori nei loro figli, o in Calabria con migliaia di tonnellate di rifiuti tossici e di scorie nucleari sotterrati nei terreni coltivabili dalla malavita organizzata, liberando le aziende che le hanno prodotte dall’ingombro e incassando milioni. L’inquinamento ecologico è forse avvenuto col consenso dei proprietari, come asseriscono alcuni pentiti ben retribuiti per il loro silenzio? Non ci sono prove sufficienti per scoprire la verità. Sappiamo con certezza che spetta alle istituzioni pubbliche rimediare, risanare la zona facendo sì che non subisca altre calamità irreparabili e impedire che vengano inquinate le acque del sottosuolo. Oppure quando ci confrontiamo con gli altri su argomenti di carattere tecnico, come la Volkswagen, industria di fama mondiale che assieme ad altre manometteva i sensori della centralina su alcuni modelli delle proprie automobili per dimostrare nei controlli la regolarità dell’emissioni di gas inquinanti e di conseguenza avvantaggiarsi nella vendita a scapito della concorrenza; o di tipo politico conflittuale come le guerre in atto nell’Africa del nord che provocano dolore, morte e distruzione. La Siria, antica culla della nostra civiltà, è ridotta a un cumulo di macerie dopo secoli di storia per dissapori interni e mancanza di lungimiranza politica e con milioni di sfollati in giro per l’Europa con la speranza che possano essere accolti e integrati con l’aiuto di qualche Onlus preposta a tale scopo. Le perdite materiali arrecate alla Regione sono immense. Infine quando assistiamo a scene aberranti che non corrispondono alla nostra morale, come la violenza sulle donne, la vecchietta derubata e malmenata da delinquenti abituali, la donna sfigurata dal proprio compagno con una bottiglia piena di acido, il pirata della strada che sotto l’effetto di droga e alcol fa strage di individui che attraversano le strisce pedonali e poi scappa senza prestare loro soccorso per timore di ritorsioni o per vigliaccheria. Infine, quando le cronache riportano che alcuni studenti si trasformano in bulli e minacciano i professori per sentirsi forti e rispettati dal branco. Atteggiamenti ribelli e prepotenti che si devono stroncare alla radice. Di fronte a questi episodi esclamiamo disgustati e inferociti: È questa la società che abbiamo costruito? Nella quale aspiriamo ad abitare col progresso conseguito in tanti secoli di storia? Un mondo pieno di contraddizioni: individui fortunati che abitano nella parte del pianeta più ricca e altri che vivono nelle guerre infinite e quel poco che avevano costruito è saltato in aria con i loro averi, costretti ad allontanarsi dal luogo natio per sopravvivere. È vero! Si dice. Si sono fatti passi avanti: la vita media si è allungata. Alcune malattie sono state debellate e la mortalità infantile si è abbassata rispetto al passato. Tutto vero! Ma ci si dimentica di dire che una buona parte dei degenti è costretta a trascorrere la vecchiaia in un ospedale super affollato o aspettare ore nei corridoi prima che un professionista li possa visitare, o che vengono maltrattati dalle infermiere nelle case per anziani al fine di indurli al silenzio e all’obbedienza contro ogni regola, che la soglia della povertà è cresciuta e i ricchi tendono a incrementare sempre di più i loro profitti, il più delle volte a scapito della collettività. Ma poi queste malattie chi le ha causate? Ricordiamoci che gli Indiani d’America, prima, e le tribù di oggi vivono nelle foreste, isolati per paura di venire contagiati dall’uomo bianco e sono felici di abitare nei loro territori circoscritti, senza distruggere le risorse naturali. Adesso sono spaventati dalla modernizzazione e dallo sfruttamento esagerato delle materie prime e costretti, a malavoglia, a cambiare usi e costumi per avvicinarsi alla società cosiddetta civile rischiando l’estinzione. Il progresso moderno basato solo sui consumi sfrenati è puramente illusorio perché prosegue a distruggere l’ecosistema e a dimenticarsi delle generazioni future.

    Siamo consapevoli che il progresso non si può fermare, ma l’uomo deve correggere il suo egoismo e guidarlo per renderlo compatibile con le risorse disponibili. Non fa danno richiamare alla mente che l’umanità fu creata sul pianeta per abitarlo servendosi delle proprie forze, dei beni offerti dalla terra; utilizzarli con parsimonia e senso di responsabilità guardando al domani e moltiplicarsi senza eccedere.

    Ho cercato di analizzare gli avvenimenti maggiormente clamorosi avvenuti negli ultimi sedici anni, dal 2000 al 2016, per capire in che cosa si è sbagliato ed evitare che gli errori abbiano la possibilità di ripetersi in futuro, e parallelamente migliorare noi stessi per rendere compatibili le azioni che compiamo quotidianamente con lo sfruttamento del nostro pianeta. Nel mezzo ho inserito il racconto di un neo laureato, di buona famiglia, costretto a barcamenarsi nel sistema globalizzato di oggi.

    In questo intervallo di tempo ce ne sono stati parecchi di eventi. Si inizia con l’entrata in vigore del nuovo mezzo di scambio chiamato Euro che ha rivoluzionato il nostro apparato commerciale e sociale. Ha unificato i popoli, ma manca un’unione politica. Esistono tante nazioni unite apparentemente, ma ognuna agisce seguendo le proprie esigenze, perciò viene meno la solidarietà indispensabile per sentirsi europei.

    Buona lettura

    L’Euro

    La nuova moneta fu introdotta con lo scopo di unire i popoli consentendo la libera circolazione degli individui, per evitare le guerre che in tempi passati insanguinarono e distrussero il Continente, per il libero mercato dei beni e dei servizi, agevolando lo scambio e sottraendosi alle battaglie commerciali con l’imposizione dei tributi. Il significato deriva dalle prime quattro lettere della parola Europa. Esprime semplicità ed evidenzia l’Unità europea.

    Il denaro regola gli scambi e i rapporti internazionali di circa 500 milioni di esseri umani. All’introduzione del nuovo mezzo di pagamento, il primo gennaio 1999, parteciparono 11 Paesi membri, poi il primo gennaio 2001 si aggiunse la Grecia in quanto era riuscita a rispettare i parametri stabiliti, e per la prima volta, tutti d’accordo, vennero messi in circolazione le banconote e le monete conformi, con la sola distinzione dei vari Stati di emissione. Entusiasti e convinti dei vantaggi che sarebbero derivati ai partecipanti. In effetti, inizialmente il nuovo mezzo di pagamento si è dimostrato di grande utilità.

    L’Italia ne fece subito parte imponendo ai cittadini sacrifici con grandi restrizioni e con l’innalzamento delle tasse. Chi non ricorda quel prelievo forzoso eseguito dall’amministrazione in carica sui conti correnti per adempiere ai principi stabiliti dal trattato di Maastricht in vigore dal primo novembre 1993 e far parte, orgogliosamente, dell’Unione ritenendo di compiere una giusta scelta? Vista l’affermazione della nuova moneta, nei primi tempi vollero unirsi alla famiglia altre nazioni per formare un’Europa di 28 Stati. La popolazione dava l’impressione di accontentarsi di abitare in questa nuova realtà accomunata dal medesimo destino. Gli Europei possono viaggiare liberamente e con molta facilità senza incorrere in cavilli burocratici e venire fermarti per riscontri ai caselli di frontiera. I giovani si spostano da una parte all’altra per svariati motivi: per approfondire i propri studi e apprendere una lingua o per cercare una mansione. Londra è la meta preferita dagli studenti e dai disoccupati in cerca di occasioni favorevoli per le opportunità che offre e per l’accoglienza che concede. Con l’uscita dall’Unione le cose potrebbero cambiare.

    Gli uomini politici dell’epoca andavano orgogliosi di aver avvicinato gli europei, tuttavia, alle prime complessità accentuate dalla lunga congiuntura vennero fuori le prime insoddisfazioni. La Grecia non riuscì, nonostante la buona volontà, a ottemperare alle direttive troppo onerose emanate dall’Europa e rischiò il default. La Spagna dovette combattere la crisi immobiliare con il cambio dell’amministrazione in carica e la diminuzione del reddito pro capite. L’Italia, malgrado l’imposizione di balzelli per risollevare le casse vuote affossate da un debito rilevante, non riesce tuttora a uscire dalla recessione e non è in grado di frenare la fuga dei maggiorenni dalla terra in cui sono nati, educati e istruiti.

    I primi dieci anni del nuovo mezzo di pagamento furono di stabilità e incremento. I fondi assegnati a ciascun Paese permisero la ristrutturazione di parti fatiscenti di alcune città rendendole più accoglienti. Noi subimmo un forte impulso favoriti dai tassi d’interesse bassi e stabili che permisero significativi risparmi nel pagare le obbligazioni pubbliche. Soldi utilizzati in parte per alzare il livello sociale della collettività e, parallelamente, ottenere mutui con rate più basse e con un ammortamento adeguato. I governi dell’epoca credevano di aver risolto i loro problemi finanziari per il modo in cui reperivano sul mercato liquidità a tassi convenienti, la speculazione sparì come d’incanto e si affidarono all’Europa per risolvere le loro problematicità senza ragionare sulle riforme da far approvare per rispondere alle nuove esigenze.

    Poco lungimiranti non pensarono di ridurre le passività né di adeguarle per renderle compatibili con le risorse disponibili. Cambiamenti difficili da proporre per il motivo che andavano a colpire l’elettorato. Si abbassò la guardia riducendo le tasse, non mettendo un freno al peculato e non ponendo un argine all’evasione fiscale. Questi fattori accentuarono le incertezze facendo vedere il Re nudo nel 2008, con la crisi economica dell’America che travolse prima le sue banche e i suoi Istituti assicurativi e poi quelli degli altri continenti.

    Il petrolio salì a 146 dollari al barile mettendo a dura prova il sistema produttivo, i tassi salirono al 3,25% spingendo l’euro a livelli insostenibili nei confronti del dollaro. La BCE si mostrò inadeguata a limitare le conseguenze provocate dalla depressione. Invece di abbassare i tassi d’interesse per calmare la speculazione e infondere un po’ di fiducia, li alzò allo scopo di abbassare l’inflazione che, in quel momento, costituiva il pericolo minore. Lo spread (differenza dei tassi tra i Bund tedeschi e i BTP decennali) salì ai massimi livelli e quindi il governo per finanziarsi fu costretto a pagare il denaro più caro, togliendo risorse ai servizi sociali. Con un debito accumulato in misura eccessiva fu a un passo dal fallimento. Il Presidente Monti, con cure eccezionali, tentò di correggere gli errori con scarso risultato.

    La dimostrazione evidente che l’unità monetaria, da sola, non è idonea a eliminare gli squilibri attuali.

    Tuttavia i vantaggi sono indiscutibili, anche se ci sono degli Euroscettici o nostalgici della Lira che pensano il contrario per tre motivi principali:

    1) L’euro, unico mezzo di pagamento, ha facilitato gli scambi commerciali eliminando le oscillazioni dei cambi e favorendo la possibilità di scelta attraverso il paragone dei prezzi;

    2) È un mezzo di pagamento accettato e garantito dagli Stati che ne fanno parte. Diventato stabile venne riconosciuto come moneta di riserva dalle altre banche centrali;

    3) Se dobbiamo fare dei paragoni notiamo che il nuovo mezzo di pagamento mantiene prevalentemente costante il suo valore mentre la lira perdeva, di continuo, potere d’acquisto, provocando un rialzo dei prezzi dei beni e costringendo il Tesoro a moltiplicare la quantità di moneta in circolazione per soddisfare le esigenze commerciali facendo aumentare, di conseguenza, l’inflazione.

    Per questi motivi descritti i vantaggi della nuova moneta sono evidenti.

    Il danno maggiore che ha causato, oltre al cambio fissato a 1936,27 che si accettò con rammarico, è aver favorito la speculazione nei rapporti economici: per comodità i venditori hanno arrotondato la moneta a lire 2000 facendo alzare così il prezzo dei beni e inducendo i consumatori a spendere una somma maggiore. Questo è dipeso dalla mancata vigilanza dei prezzi da parte dell’organo amministrativo responsabile. Quando alcuni politici, a corto di argomenti, inveiscono contro l’Unione definendola, esageratamente, il male del secolo per aver affossato il nostro apparato industriale e anche quello di altre nazioni, bisogna ricordare loro che la colpa delle disfunzioni create non è colpa dell’euro, ma della scarsa solidarietà, delle mancate ristrutturazioni e delle politiche restrittive emesse dal Consiglio europeo. Per far sì che tutto funzioni dobbiamo mettere in pratica le parole pronunciate da Massimo D’Azeglio a proposito dell’Unita d’Italia: Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani!.

    Allo stesso modo possiamo affermare: abbiamo realizzato l’Europa, ora dobbiamo lavorare per unire e modellare gli europei.

    La Commissione europea si dimostra inflessibile con i Paesi che presentano un bilancio passivo superiore al 60% del PIL costringendole a enormi restrizioni con l’approvazione di regole rigide, per ridurre il deficit. Questo non basta se, oltre alla moneta unica, non si costruisce un esecutivo politico centrale che sappia prendere decisioni tempestive in caso di emergenza emanando leggi valide e rispettate da tutti gli Stati partecipanti e parallelamente aiutare quei popoli deboli con provvedimenti solidali, per raggiungere gli stessi livelli di quelli avanzati.

    L’euro è una realtà irreversibile e chi propende per la sostituzione con un’altra moneta creerebbe solo disastri: primo, ci sarebbe una svalutazione, minimo del 30%, dei beni mobiliari e immobiliari; secondo, i nostri sudati risparmi subirebbero la stessa sorte; terzo, avremmo uno spostamento di denaro verso luoghi sicuri, come la Svizzera e i paradisi fiscali, con conseguente impoverimento degli Istituti di credito che vedrebbero ridurre i loro depositi.

    In conclusione, risuscitando la lira o altro strumento simile, subiremmo una vigorosa decurtazione del suo valore costringendo il governo a sostenere costi altissimi per far fronte agli obblighi internazionali. Le tensioni sociali si diffonderebbero tra gli abitanti, costretti ad accettare un tenore di vita basso con risparmi insufficienti per tirare avanti, creando reazioni a catena e atti terroristici di difficile controllo.

    Per questi motivi abbiamo esigenza di governi stabili e competenti che sappiano proporre riforme che vadano a beneficio della collettività e rafforzino maggiormente l’Unione.

    I Tedeschi, divenuti maggiormente influenti con l’unificazione dell’altra parte della Germania, dettano le regole, anche se gli altri governi partecipano a formularle, e tutti devono ubbidire. Vero! Ci sono alcuni che non hanno i conti in ordine e sono costretti a risparmiare per risanare i bilanci, è pur vero che se non vengono assistiti a risollevarsi ed eliminare o ridurre la congiuntura non potranno togliersi da soli i debiti accumulati. Accomunati dalle stesse preoccupazioni si trovano l’Italia, la Francia, la Spagna, la Grecia, con un numero di residenti complessivo di un certo rilievo e con un debito abbastanza significativo.

    Con l’avvento del nuovo mezzo di pagamento altri fenomeni si sono avvicendati. Nel 2001 abbiamo assistito alla distruzione delle Torri Gemelle, azione disumana che causò la morte di quasi tremila Americani. Opera di un nucleo sovversivo aderente ad Al Qaeda guidato da Osama bin Laden con lo scopo di creare un Califfato, occupare il Medio Oriente e parte dell’Asia. Combatte l’America poiché la considera il nemico numero uno che si oppone ai suoi progetti e che per la prima volta ebbe paura: non si aspettava un attacco di tale atrocità. Reagì prontamente dichiarando guerra all’Afghanistan dove si sospettava si annidasse la base. Ancora si combatte e ne paghiamo le conseguenze con costanti attacchi dinamitardi. L’11 settembre 2001 rimarrà indelebile nei ricordi degli Americani e non solo, per avere percepito di aver perso la pace e la sicurezza di vivere. Dopo numerosi conflitti, il due maggio del 2011 il presidente Barack Obama comunicava al mondo intero che corpi speciali dell’esercito americano avevano ucciso in uno scontro a fuoco in Pakistan il leader di Al Qaeda, Osama Bin Laden.

    Un altro episodio da ricordare nel 2008 è il deterioramento della nostra economia e oggi paghiamo i frutti di scelte sbagliate, con il disagio giovanile in espansione e la ricorrente chiusura delle fabbriche.

    Commento alla crisi economica del 2008

    Il declino dell’Italia, iniziato nel marzo 2008, ha avuto origine in passato. Precisamente quando sono apparsi prodotti atipici: Derivati, Credit Default swap e obbligazioni strutturate.

    Nel 2006 l’indebitamento, apparso su un articolo del Sole 24 Ore, raggiungeva la cifra astronomica di circa duemila miliardi di dollari, con una leva finanziaria di 16 a uno. Ossia con 100 mila dollari si potevano chiedere prestiti per un milione e seicentomila.

    L’enorme massa di liquidità permetteva di investire in materie prime, beni immobili e azioni, facendo salire il prezzo oltre ogni limite. Nessuno aveva la possibilità di controllare e gestire l’importo dei debiti in circolazione, nemmeno il Tesoro americano, in quanto non conosceva i dati sull’esposizione degli Istituti di credito. La deregulation invocata dai cosiddetti poteri forti assieme a un liberismo sfrenato hanno causato i disastri attuali. Interi patrimoni furono distrutti: per esempio, Unicredit Banca assieme ad altri Istituti di credito dimezzarono la loro capitalizzazione. Si riteneva che fosse sufficiente inventare titoli inusuali per creare ricchezza all’infinito. All’esordio la vendita dei Derivati¹ ha reso qualche vantaggio, successivamente i risparmiatori si sono accorti delle perdite subite. Solo i manager hanno incassato stipendi d’oro. Passata l’euforia momentanea, i mercati, che secondo la teoria del liberalismo economico avrebbero dovuto porre dei correttivi e autoregolamentarsi, non hanno avuto l’efficienza e la capacità di digerire quell’immensa massa di cartolarizzazioni e hanno provocato una congiuntura senza precedenti negli ultimi settanta anni, con la chiusura di migliaia di aziende. I ricchi hanno scavalcato lo tsunami senza traumi particolari, i poveri cosiddetti Zombi sono sprofondati nella depressione con la perdita dello stipendio, dell’abitazione e in alcuni casi della famiglia.

    Artefici responsabili i Banchieri americani che abbandonarono uno dei principi fondamentali del sistema: ogni investimento doveva trovare la sua copertura per adeguarsi meglio alla deregolamentazione, facile da rispettare per conseguire profitti senza incorrere in cavilli burocratici.

    Gli Istituti di credito, messa da parte questa regola essenziale, hanno riversato sulle borse finanziarie prodotti con un leverage² altissimo. Provocando la crisi che stiamo subendo.

    Appartengono alla stessa categoria i Credit Default Swap, contratti assicurativi fondamentali per coprirsi dal rischio d’insolvenza, strumenti altamente speculativi. Furono impacchettati dalle società emittenti, trasformati in obbligazioni e venduti in tutti i mercati avanzati. Spalmando il rischio su più clienti credevano,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1