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Unexpected
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E-book334 pagine4 ore

Unexpected

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Info su questo ebook

A volte bisogna avere coraggio e compiere scelte difficili… E questo è ciò che fa Fanny Reyes quando decide di lasciare Miami e tutte le sue certezze per trasferirsi a Sacramento. Cominciare una nuova vita non è semplice, ma lei ci riesce: vive in un piccolo e vecchio appartamento e lavora in una pasticceria. Tutto sembra perfetto, almeno fino al momento in cui incontra Zach in drammatiche circostanze. Da quel giorno, la vita di Fanny cambia completamente per la seconda volta e l'unica persona che la può aiutare è proprio Zach.
LinguaItaliano
Data di uscita3 giu 2019
ISBN9788834112427
Unexpected

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    Anteprima del libro

    Unexpected - Allyson Taylor

    Allyson Taylor

    Unexpected

    UUID: ab1bf91a-8dc0-11e9-b5bc-bb9721ed696d

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    PROLOGO

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

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    21

    22

    23

    24

    25

    EPILOGO

    RINGRAZIAMENTI

    Questo libro è un'opera di fantasia. Personaggi

    e luoghi citati sono inventati e hanno lo scopo

    di conferire veridicità alla narrazione.

    Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone

    è puramente casuale.

    PROLOGO

    Ogni scelta che si compie nella vita può rivelarsi giusta o sbagliata. L'incredibile occasione che ha dato una svolta alla tua esistenza, o il madornale errore che ha portato a una reazione a catena incontrollabile.

    All'età di ventidue anni dovevo fare la mia scelta: continuare il cammino che la mia famiglia aveva stabilito per me oppure fare un salto nel vuoto e affrontare le mie paure.

    Oggi, sono sicura di aver fatto la scelta giusta.

    1

    Il sole era già alto nel cielo e i suoi raggi riscaldavano la città, risvegliandola dalle basse temperature della notte.

    Una delle cose che più mi piaceva di Sacramento era l'escursione termica: di giorno c'era caldo, mentre di notte era più freddo. Una differenza di più di dieci gradi che mi faceva sentire sempre a casa. Anche se in realtà non lo era.

    «Buongiorno, splendore!» Chelsea, collega e barista al Destiny's, mi salutò mentre appoggiava sul bancone una tazza di caffè appena fatto.

    «Per me?» domandai, avvicinandomi con passo lento.

    Ero sveglia da più di un'ora, ma avevo bisogno di un'altra dose di caffeina. Avere a che fare con i trasporti pubblici di prima mattina non mi aveva messo di buon umore. I marciapiedi erano affollati, ma la metro lo era ancora di più, così ero stata costretta ad affrontare i venti minuti di viaggio che mi separavano dalla pasticceria stando in piedi, vicino ad un uomo alto che puzzava di sudore.

    «Ovvio.» Chelsea mi fece l'occhiolino, scuotendo la testa e muovendo i suoi riccioli biondi che le incorniciavano il viso rotondo.

    «Grazie, sei la migliore.» Afferrai la tazza bianca e mi diressi verso il retro del negozio per lasciare la borsa nell'armadietto e indossare il grembiule.

    «Destiny è di pessimo umore, oggi» disse Chelsea, osservandomi dalla porta.

    Legai i capelli in una coda, poi mi voltai verso di lei. Solo in quel momento mi resi conto della maglietta bianca che indossava e che accentuava il suo abbondante seno. Uno spettacolo che i nostri clienti non si sarebbero persi per nulla al mondo.

    Erano passati nove mesi da quando Destiny aveva assunto Chelsea, e in questo periodo la clientela era aumentata notevolmente, in particolar modo quella maschile. Tutte e tre ne conoscevamo il motivo, siccome nessun uomo guardava mai Chelsea negli occhi, ma questo non disturbava affatto la protagonista di tutte quelle attenzioni.

    «Come mai? Hanno disdetto un'ordinazione?» Finii il caffè in pochi sorsi e portai la tazza nel lavandino.

    «No, peggio.»

    Alzai un sopracciglio e la fissai accigliata.

    «Cosa può esserci di peggio di un ordine che viene disdetto all'ultimo momento?»

    Chelsea corrugò la fronte, poi inarcò le sopracciglia imitando il mio movimento.

    «Oh, no. Quanto tempo abbiamo?»

    C'era solo una cosa peggiore di un ordine disdetto: un ordine fatto con poco preavviso.

    «Una donna ha chiamato un'ora fa e vuole una torta per un matrimonio pronta per domani mattina.»

    Spalancai gli occhi in preda al panico.

    «Mi prendi in giro?»

    Chelsea scosse la testa, mentre io mi precipitavo in cucina. Appena oltrepassai la porta, fui scaraventata in un altro mondo. Un mondo fatto di zucchero, farina e uova sparsi ovunque. Sembrava che una tempesta si fosse abbattuta in quella stanza.

    «Oddio» mormorai sconvolta.

    Mi guardai attorno, notando una figura rotonda appoggiata al tavolo in mezzo alla cucina. Mi dava le spalle, ma da come tremava capii che Destiny era in crisi.

    Per fortuna non era la prima volta che la vedevo in questa situazione, quindi sapevo già come comportarmi.

    «Okay, raccontami tutto.» Mi misi di fronte a lei, guardandola con aria determinata.

    Destiny alzò i suoi occhi verdi su di me, scrutandomi con aria confusa. Sbuffò sonoramente, poi si passò le mani tra i capelli rossi.

    «Una torta per un matrimonio. Duecento invitati. Cioccolato, cocco e vaniglia. Per domani mattina» riassunse con poche parole.

    Non avevo bisogno di altro. Raddrizzai la schiena e perlustrai la cucina, stilando mentalmente una lista di tutti gli ingredienti che mi servivano.

    «Possiamo farcela.» Mi avvicinai all'impastatrice e iniziai a versarvi dentro zucchero e uova seguendo la ricetta che ormai avevo imparato a memoria.

    «Come? Ti ho dato il pomeriggio libero per stare con Marlene» obiettò, prendendo il cioccolato e pesandolo con attenzione.

    «Avanti, sai che non è un problema. Più tardi la chiamerò e le dirò di aspettarmi a casa o di venire qui a prendere un caffè. Non puoi farcela da sola, e hai bisogno di questa ordinazione. Sono un sacco di soldi.»

    «Lo so, Fanny.»

    Le rivolsi il mio miglior sorriso. «Forza, allora. Dobbiamo farcela.»

    Nell'arco di pochi minuti, la cucina divenne una vera e propria zona di guerra. Io e Destiny ci eravamo divise i compiti: io mi occupavo dell'impasto e lavavo gli utensili, mentre lei infornava le torte e si dedicava alla preparazione della glassa. Fortunatamente, la cliente non aveva richiesto decorazioni particolari, così eravamo avvantaggiate e non dovevamo perdere troppo tempo con la pasta di zucchero.

    Lavoravo per Destiny da quasi due anni ed eravamo diventate ottime amiche. Nonostante i suoi quarant'anni, era una donna vivace, giovanile e alla mano. Con lei potevo parlare di qualsiasi cosa, ma ce n'era una in particolare che occupava la maggior parte dei nostri discorsi: gli uomini. Destiny era felicemente single da ormai cinque anni, e si divertiva ad uscire con uomini più giovani e raccontarmi i dettagli più piccanti dei loro appuntamenti. All'inizio era piuttosto strano che il mio capo mi parlasse di cose così personali, ma poi ci feci l'abitudine in fretta. Lei era così: chiacchierona, divertente e molto maliziosa. Non avevo mai capito il motivo per cui il suo matrimonio fosse fallito miseramente, ma di sicuro la colpa doveva essere del suo ex marito, perché lei non lo nominava mai.

    «Allora, hai progetti per questo fine settimana?» mi chiese, mentre infornava la seconda torta.

    Asciugai una ciotola e l'appoggiai sul tavolo.

    «Non ne ho idea. Mar ha detto che ci saremmo divertite e, sinceramente, sono un po' preoccupata.»

    Destiny mi sorrise.

    «Come mai? È una così brava ragazza» disse con voce piena di ironia.

    «Ha passato questi ultimi due giorni a cercare feste a cui partecipare, e ne ha trovate quattro.»

    Scoppiò in una fragorosa risata, poi tentò di tornare seria.

    «Sarà divertente, avanti.»

    «No, non lo sarà. Mar e l'alcol non sono ottimi amici.» Alzai gli occhi al cielo, mentre un brivido mi percorse la schiena.

    L'ultima volta che io e Mar eravamo andate ad una festa, lei aveva bevuto talmente tanto da restare chiusa nel bagno del mio appartamento per ore a vomitare tutto quello che aveva nello stomaco.

    «È successo solo una volta.» Destiny mi pizzicò un braccio.

    «No, è successo l'ultima volta, e sono ancora arrabbiata con lei. Le avevo detto di non esagerare, ma non mi ha ascoltato. Ho dovuto sorbirmi sua madre che mi ha fatto una ramanzina per quasi un'ora.»

    Destiny scoppiò a ridere, smettendo di mescolare l'impasto con la spatola che aveva in mano.

    «L'ha fatto davvero?» domandò, portandosi una mano sulla pancia.

    Annuii abbattuta. «Ha rimproverato me perché Mar era ancora chiusa in bagno. Si era addormentata con la faccia sul gabinetto .»

    Le risate di Destiny aumentarono, tanto che Chelsea fece capolino dalla porta della cucina per controllare che fosse tutto a posto. Mi sorrise, poi tornò alla sua postazione dietro al bancone.

    «Chiama quella ragazza e dille che può venire qui ad aspettarti» disse Destiny.

    Lei era una delle persone più gentili e comprensive che conoscessi. Da quando avevo iniziato a lavorare nel suo negozio, mi aveva sempre aiutato, soprattutto all'inizio, quando dovevo far quadrare i conti tra affitto, bollette e altre spese. Era stato difficile, ma lei c'era sempre stata. Se avevo bisogno di un giorno libero per fare qualche commissione, lei non esitava a darmelo. Grazie a Destiny ero riuscita a superare momenti difficili e pieni di sconforto.

    Andai nel retro del negozio e presi il cellulare dalla borsa, selezionando velocemente il numero di Mar. Lei rispose subito.

    «Sono già all'aeroporto» disse senza salutare. Tipico di Mar.

    «Ciao anche a te.»

    Lei rise, poi abbassò la voce. «Va tutto bene? Non mi chiami mai subito prima di partire.»

    «Ho avuto un contrattempo alla pasticceria e devo lavorare fino a stasera. Destiny dice che puoi venire qui ad aspettarmi» le spiegai brevemente.

    «Posso mangiare tutto quello che voglio?» chiese con voce squillante.

    «Senza esagerare. Non voglio che assumi troppi zuccheri, altrimenti diventi iperattiva.»

    Conoscevo Mar talmente bene, che sapevo che in quel momento aveva alzato gli occhi al cielo.

    «Avanti, Fanny, non sono una bambina.»

    Un sorriso mi spuntò sulle labbra, ma cercai di mantenere un tono di voce serio.

    «Queste sono le condizioni, altrimenti dovrai aspettarmi a casa mia.»

    Mar restò in silenzio per qualche secondo, pensando alle mie parole.

    «Posso mangiare tre fette di torta?»

    Spalancai gli occhi, chiedendomi come mai non le fosse ancora venuto il diabete. Mar era una ragazza molto golosa: amava qualsiasi tipo di dolce e non ne aveva uno preferito. Eppure, con tutti gli zuccheri che assumeva, non aveva mai preso peso.

    «Sono troppe. Te ne concedo una» contrattai, appoggiandomi all'armadietto.

    «Due fette» ribatté Mar determinata.

    Sbuffai in preda alla disperazione. «Una fetta e un pasticcino. È la mia ultima offerta.»

    «Andata. Ci vediamo più tardi.»

    Quando ritornai in cucina, il tavolo era invaso da torte al cioccolato che Destiny stava tagliando. Mi fece cenno di prendere la glassa vicino all'impastatrice, poi iniziai a farcire i pan di Spagna.

    Una delle cose che amavo del mio lavoro era la concentrazione: per me era tutto. Mi distraeva da qualsiasi cosa e ponevo attenzione solo a quello che facevo. Non contava più nulla. Per tanto tempo ero andata alla ricerca di quella pace interiore, e non l'avevo mai trovata. Nemmeno provando a fare yoga quando vivevo a Miami. Dopo essermi trasferita a Sacramento, invece, ero riuscita a raggiungere il mio obiettivo e non ero mai stata così rilassata in vita mia.

    Io e Destiny avevamo già assemblato tutta la torta quando Mar fece il suo ingresso trionfale in cucina con un piattino con sopra una fetta di torta in una mano e una tazza di caffè nell'altra. Credevo che il viaggio l'avrebbe stancata parecchio, ma a quanto pareva mi sbagliavo. La mia migliore amica era in splendida forma: viso luminoso, trucco impeccabile, abbigliamento perfettamente stirato. Sembrava uscita da una rivista.

    «Amo i tuoi dolci!» esclamò, andando ad abbracciare Destiny.

    «Grazie, cara, ma quella l'ha preparata Fanny.» Si voltò verso di me, mostrandomi un sorriso orgoglioso.

    «Davvero?» domandò Mar, portandosi dietro le orecchie una ciocca rossa.

    Annuii.

    «Beh, questa è davvero buona. Complimenti!» Mar venne verso di me, ma prima di salutarmi appoggiò sul tavolo la tazza e il piattino.

    «Mi sei mancata.» Aprii le braccia per accoglierla in un abbraccio caloroso che lei ricambiò subito.

    «Anche tu. Ti trovo in gran forma. Allora, cosa succede di tanto importante qui per evitare di passare un pomeriggio all'insegna del divertimento con la tua migliore amica?»

    Guardò prima me poi Destiny, e alla fine il suo sguardo cadde sulla torta nuziale al centro del tavolo.

    «Oh, cavolo! È quello il problema?» chiese indicandola.

    Destiny annuì, lasciandosi sfuggire una parolaccia, la prima della giornata. Mi domandai quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che ne dicesse un'altra.

    Oltre ad essere una donna formidabile, gentile e alla mano, Destiny era anche impulsiva. A volte, questa sua caratteristica si rivelava positiva, altre, invece, decisamente negativa. Come quando aveva sbattuto il telefono in faccia ad un cliente che aveva chiamato per lamentarsi della torta che gli avevamo consegnato: aveva chiesto delle decorazioni azzurre, ma secondo lui Destiny aveva usato una tonalità troppo chiara. Dopo aver cercato di calmarlo inutilmente per più di dieci minuti, lei aveva perso la pazienza, dando voce a tutto il suo repertorio di parolacce, e poi aveva riattaccato. Ovviamente quel cliente non era più venuto da noi per ordinare altri dolci.

    «La sposa ha telefonato stamattina per ordinare questa torta. La consegna è prevista per domani mattina» spiegai a Mar con un finto sorriso.

    Lei si rabbuiò improvvisamente. «Questo significa che dovrete lavorare tutta la notte?»

    Destiny spalancò gli occhi, guardando la mia amica come se fosse un mostro a tre teste. «Ma sei pazza? Come vedi siamo a buon punto. Fra due ore dovremmo finire.»

    Mar emise una risatina acuta, poi uscì dalla cucina ancheggiando come una modella sulla passerella e ravviandosi i capelli corti e rossi.

    «Perdonala, non sa nemmeno cucinare la pasta. Non ha idea di quanto ci voglia per preparare una torta.» Mi concentrai nuovamente sulla glassa, che iniziai a versare nella tasca da pasticcere .

    Destiny mi sorrise, poi ci rimettemmo al lavoro.

    In realtà, le due ore che aveva previsto Destiny diventarono tre e, quando uscimmo dalla cucina dopo aver messo la torta in frigo, trovammo Mar sdraiata sul divanetto vicino alla vetrina intenta a leggere un libro.

    «Avete finito?» domandò senza alzare gli occhi dalla pagina.

    «Certo, cara. Fanny sarà tua per l'intero fine settimana» disse ridendo.

    Mar scattò in piedi, afferrando una piccola valigia e la sua borsa.

    «Mi prendi in giro?» Fissai il suo bagaglio con aria sorpresa. «Resterai qui solo due giorni e ti sei portata una valigia?»

    Mar liquidò la mia frase con un gesto della mano, mostrando un sorriso perfetto e bianchissimo.

    «Mi conosci, Fanny. Potrei aver bisogno di qualsiasi cosa e, siccome il mio conto in banca si sta prosciugando in fretta, non posso fare shopping. Perciò ho dovuto portare qualche vestito in più in caso di necessità.»

    Alzai gli occhi al cielo ridendo e salutai Destiny con una mano. «Ci vediamo lunedì.»

    «Ciao, ragazze.»

    Appena uscii dalla pasticceria, l'aria fresca della sera mi investì, ricordandomi che non indossavo altro a parte un paio di jeans e una canottiera di cotone.

    «Allora, che progetti abbiamo per stasera?» domandò Mar camminando al mio fianco.

    Era già buio e prendere la metro a quell'ora della sera non mi piaceva per niente, così iniziai a guardarmi intorno alla ricerca di un taxi.

    «Andiamo a casa, mi faccio una doccia, mangiamo, poi andiamo a letto.»

    «Stai scherzando?» Mar si bloccò in mezzo al marciapiede.

    Scossi la testa, scorgendo finalmente un taxi venire verso di noi.

    «Dai, è il nostro week end, dobbiamo divertirci» si lamentò mostrandomi il broncio.

    Alzai la mano per attirare l'attenzione del tassista, che fermò l'auto davanti a noi.

    «Possiamo rimandare a domani sera?» le domandai mentre salivo in macchina. «Sono davvero stanca e ho bisogno di riposarmi.»

    Mar non disse niente, ma sapevo che mi capiva. Nonostante lavorasse come avvocato nello studio di suo padre, anche lei aveva ritmi lavorativi piuttosto impegnativi. Era la figlia del capo, ma non le veniva concesso nessuno tipo di trattamento di favore; per questo spesso si ritrovava a lavorare fino a tarda sera e perfino durante il fine settimana.

    Se fossi rimasta a Miami, mi sarebbe toccata la sua stessa sorte.

    Il viaggio in auto non durò molto e, quando arrivammo al mio appartamento, Mar lasciò cadere la valigia e la borsa sul pavimento appena chiusi la porta d'ingresso.

    «Hai cambiato il colore alle pareti?» domandò, guardandosi intorno.

    Attraversai il piccolo soggiorno e raggiunsi il divano nero, sul quale appoggiai la borsa.

    «No, magari. Ho solo cambiato la lampadina, e la luce che emana fa sembrare le pareti un po' più scure.»

    Mar aprì il frigorifero e prese una lattina di birra, poi ne passò un'altra anche a me.

    «Come te la passi qui?» mi chiese, muovendo una mano per indicare il piccolo appartamento nel quale vivevo da ormai due anni.

    Era molto più piccolo rispetto alla casa dove ero cresciuta a Miami; aveva solo una camera da letto, un bagno microscopico e un soggiorno con angolo cottura che potevo attraversare facendo al massimo quattro passi. All'inizio fu difficile abituarsi, mi sentivo come un animale in gabbia, alla fine, però, mi adattai. Da quando avevo lasciato la Florida, avevo sviluppato un forte spirito di adattamento ed ero fiera di me stessa.

    «Bene. Di sicuro meglio rispetto a come stavo a Miami» replicai dopo aver bevuto un sorso rinfrescante di birra.

    Mar sapeva tutto di me e non mi aveva mai giudicata.

    Eravamo cresciute nello stesso quartiere a Miami, era la mia vicina di casa. Avevamo fatto amicizia subito e non ci eravamo mai separate: andavamo a scuola insieme, prendevamo lo stesso autobus, pranzavamo allo stesso tavolo della mensa tutti i giorni, trascorrevamo ogni pomeriggio giocando o facendo i compiti. Eravamo praticamente inseparabili, e i nostri genitori erano felici per noi. Le cose, però, cambiarono quando finimmo il liceo: io volevo andare via da Miami, mentre lei doveva restare per iniziare il college. I suoi genitori avevano progettato accuratamente la sua vita, che prevedeva di terminare gli studi in legge con il massimo dei voti e iniziare a lavorare nello studio di famiglia. Mio padre aveva fatto lo stesso con la mia, di vita, solo che io mi ero ribellata. Avrei dovuto studiare economia al college e poi lavorare per lui come assistente. Il solo pensiero di trascorrere una giornata intera davanti ad un computer mi aveva fatto andare nel panico, così una sera avevo deciso di andarmene. Avevo raccontato a mio padre cosa avevo intenzione di fare, e lui mi aveva ricattata: o facevo come voleva lui, o mi sarei trovata sola senza un appoggio.

    «Ho visto tuo padre la settimana scorsa» disse Mar con cautela. Sapeva che parlare di lui era un argomento piuttosto delicato.

    Alzai un sopracciglio in attesa che continuasse.

    «Sono andata a pranzo con un cliente e ci siamo incontrati al ristorante. Il suo tavolo era di fianco al mio.»

    «Avete parlato?»

    Mar annuì lentamente. «Solo quattro chiacchiere. Sai, le solite cose. Come stai, come va il lavoro e poco altro.»

    «Okay.» Non sapevo cos'altro dire. Parlare di mio padre non mi era mai piaciuto molto. Lui non mi aveva sostenuto e non aveva rispettato le mie decisioni. Per me, faceva parte di un capitolo della mia vita che avevo chiuso da tempo.

    «Hai mai pensato di tornare a Miami per qualche giorno? Magari potreste risolvere i vostri problemi.»

    Sbuffai alzando gli occhi al cielo. «Cosa c'è da risolvere, Mar? Lui ha messo in chiaro le cose due anni fa e ha preso una posizione. Lo stesso ho fatto io.»

    «Lo so, si è comportato davvero male. Ma è l'unica famiglia che hai.»

    Aveva ragione: mia madre non l'avevo mai conosciuta, i genitori di mio padre erano morti quando lui andava al college e non avevo zii. Mio padre era tutto ciò che avevo, e io ero tutto ciò che lui aveva. Eppure non ci aveva messo neanche un secondo a ripudiarmi .

    «Sto bene così, sono più felice. Riavvicinarmi a lui significherebbe vivere costantemente circondata da drammi e critiche, e io non ne ho bisogno.»

    Mio padre non era il solo a criticarmi; trovava un profondo appoggio da parte della sua compagna, Anne. Si erano conosciuti quando frequentavo il liceo, e tra me e lei era stato odio a prima vista. Quella donna rappresentava tutto ciò che detestavo: era snob, egocentrica, interessata solo ai soldi e cercava di allontanarmi da mio padre perché non ero la figlia perfetta. Nel giro di sei mesi si era trasferita a casa nostra, apportando drastici cambiamenti nella mia vita e nell'arredamento di ogni stanza, compresa la mia camera da letto, che era diventata il regno di Barbie a causa di tutto quel rosa presente in ogni angolo.

    Liquidai la questione con un gesto della mano, poi mi concentrai su cose più importanti.

    «Allora, hai conosciuto qualcuno di interessante a quella festa di compleanno?» chiesi, alzando le sopracciglia con fare malizioso.

    «Quale festa?» Mar si sedette al mio fianco

    «Quella del compleanno del tuo collega. Come si chiama? Stewart?»

    «Ah, sì, ora ricordo.»

    «Come hai fatto a dimenticarti di una festa di due settimane fa?» A volte la sua memoria era simile a quella di un vecchio di ottant'anni.

    Mar alzò le spalle e vuotò la lattina con un unico grande sorso.

    «La settimana scorsa sono stata ad un'altra festa e non sapevo a quale ti riferissi .»

    Lei e le feste erano migliori amiche.

    «Comunque,» proseguì con noncuranza, «ho conosciuto un tipo alla festa di Stewart.»

    «E come si chiama?»

    Mi guardò confusa, poi mi mostrò un ampio sorriso. Quello era il suo modo per alleggerire le brutte notizie.

    «Non mi ricordo. So solo che è molto bello, molto muscoloso e molto bravo a letto.»

    Scoppiai a ridere ascoltando quella perfetta descrizione. «Ti sei ubriacata?»

    Mar alzò le mani in segno di resa. «A mia discolpa posso dire che io e la tequila non andiamo molto d'accordo.»

    «Questo lo sapevo già» ribattei scettica.

    «Volevo migliorare i nostri rapporti, ma non ci sono riuscita.»

    Mi allungai verso il tavolo per appoggiare la mia lattina vuota. «Di sicuro, però, hai migliorato i rapporti con quel ragazzo.»

    Mar annuì con enfasi, strappandomi una risata.

    «Mi sei mancata» mi disse con voce seria.

    «Anche tu.»

    2

    Eravamo sedute al tavolo di un bar vicino a casa mia. L'aria fresca e tiepida accarezzava la mia pelle, contribuendo a rendermi più rilassata. Non avevo passato una notte tranquilla, quello era sicuro. Aver parlato con Mar di mio padre mi aveva un po' scosso, facendomi perdere del tutto il sonno.

    «Dovreste assaggiare la nostra crostata alle fragole. È la migliore della zona» disse la cameriera, mostrando un sorriso raggiante. Chi era così vivace di prima mattina? Di sicuro non io.

    «Io la assaggerò» replicò Mar chiudendo il menu con un unico gesto. «E prenderò anche un cappuccino.»

    La cameriera, dai capelli scuri e gli occhi chiari nascosti dietro un paio di lenti spesse, mi guardò in attesa della mia ordinazione.

    «Io prendo solo un caffè.»

    Se ne andò subito, lasciandomi sola con la mia migliore amica.

    «Non prendi niente da mangiare?» domandò Mar con aria perplessa.

    «Non ho molto appetito.» Mi misi comoda sulla sedia, stendendo le gambe di fronte a me e appoggiando le braccia sul tavolino di ferro.

    Era la prima volta che andavo in quel bar, siccome di solito mangiavo a casa e bevevo un caffè al Destiny's. Aveva uno stile completamente diverso rispetto alla pasticceria dove lavoravo: moderno, colorato e essenziale. Inoltre, aveva una piccola zona esterna coperta da un tendone beige dove i clienti potevano stare all'aperto durante

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