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Il romanzo di Diotima
Il romanzo di Diotima
Il romanzo di Diotima
E-book379 pagine5 ore

Il romanzo di Diotima

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Nelle pieghe della storia antica esiste un esiguo numero di figure tanto suggestive da essere idealmente ascritte non a una dimensione del tutto umana, ma a un contorno sfuggente che sta sul limite che separa dei e mortali, cronaca storica e letteratura filosofica. Diotima, la splendida sacerdotessa di Afrodite evocata da Platone nel suo Simposio, fa parte di queste.
Dalla natia polis di Mantinea, la giovane Diotima parte nel suo viaggio di iniziazione ai misteri della mantica. Intraprende un cammino tanto terreno quanto simbolico, di psicologia e di metafisica.
Diotima, giunta nell’Atene periclea, desidera soprattutto trasmettere la propria concezione filosofica, fondata sulla supremazia di Eros, demone inesauribile della ricerca del piacere, della bellezza e della conoscenza, filosofo ineguagliabile: attraverso i suoi insegnamenti l’individuo può trovare la via per annullare la distanza tra uomo e divinità, giungendo alla piena coscienza di sé e quindi alla libertà.
Fragile di voluttà e ardente di umanità, Diotima è una magnifica icona femminile di indipendenza e di insopprimibile aspirazione al vero. La sublime Saffo, poetessa di grandezza immortale, le fa spiritualmente da guida mentre ella partecipa, con il suo punto di vista rivoluzionario, a grandi eventi decisivi di tutta la cultura occidentale.
Romanzo affascinante, basato sulle fonti storiche e intrecciato nell’invenzione letteraria, dallo stile articolato, che si sviluppa su più piani di lettura e conquista il lettore con la dolcezza del lirismo poetico e la lucidità dell’indagine umanistica.
LinguaItaliano
Data di uscita1 giu 2019
ISBN9788832924787
Il romanzo di Diotima

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    Anteprima del libro

    Il romanzo di Diotima - Gaetano Cinque

    1998

    1

    Esilio volontario a Lesbo

    Sul mio nome, Diotima, si sono consolidate varie narrazioni nel tempo.

    C’è chi mi vuole un personaggio letterario e fantastico, un espediente narrativo usato da Platone nel suo Simposio per dare maggiore rilevanza al discorso filosofico di Socrate sull’eros; c’è chi invece mi vuole realmente esistita nel V secolo a.C., a Mantinea, in Grecia, sacerdotessa in possesso di poteri speciali da essere definita veggente.

    Mi viene anche attribuito un intervento a favore di Atene, perché avrei rinviato un evento catastrofico, la terribile peste che si diffuse in città solo dopo anni dalla mia intercessione presso gli dei.

    Qualcuno addirittura mi identifica con Aspasia, la bellissima etera di Pericle che ho avuto modo di apprezzare e amare. Il mio è stato un amore dall’eros speciale, perché ricco di intelletto e di pensiero divino. Con Aspasia ho potuto penetrare i segreti della vita e della passione.

    Io vivo nell’immaginario letterario. Scriverò della mia vita ora che per me il tempo ha rallentato la sua corsa.

    Posseggo, in questo mio ritiro sull’isola di Lesbo, tra le acque azzurre del mare Egeo, un’ampia raccolta di pelli di pecora essiccate per la scrittura, sulle quali potrò annotare i pensieri e più ancora i ricordi di un’esistenza strabiliante, fatta di emozioni dei sensi e dell’intelletto, come dovrebbe sempre essere la vita di ogni essere umano.

    Ho troppo visto e troppo ho amato. Per me la vita è letteratura: non sarò del tutto fedele a come realmente ho vissuto, darò spazio ai miei sogni del passato e a quelli presenti. Anzi, sarà il filtro della mia fantasia a segnare le tappe di un’esistenza straordinaria, ora che ho voluto, da vecchia, raggiungere l’isola della poetessa Saffo.

    Proprio Saffo sarà la mia guida per questo viaggio fantastico e immaginativo.

    Sarò donna e poetessa, sacerdotessa e filosofa, amante e sognatrice. Chi mi leggerà potrà solo immergersi nelle mie più eclatanti ispirazioni e ripercorrerà epoche di grande arte e cultura. Sarà, però, difficile ricercare in me i segni della realtà.

    La mia narrazione sarà un canto d’amore, farà breccia nel piano architettonico di Fidia e in quello politico di Pericle. Sarò accanto ai sublimi filosofi Anassagora e Socrate, nonché del giovane Platone e sarò testimone della tragica morte dello stesso Socrate, mio allievo prediletto.

    La parola scritta vince il tempo: il mio manoscritto tra millenni verrà recuperato, e forse si diffonderà tra nuovi popoli e nuove civiltà.

    Il progresso porterà felicità, ma anche sofferenza; la mia vita e il racconto delle mie vicende andranno oltre ogni contingenza e io sarò una maschera, e dietro di me si celeranno i profili più arcani dei misteri della vita.

    Partiamo dal mio nome. In greco è Διoτίμα, con l’accento sul secondo iota. L’etimologia del nome è tutto un programma: la parola diòs richiama la divinità, il sommo dio, il cielo divino; il termine timè ha una vasta gamma di significati: quelli che più mi si addicono sono onore, gloria e stima. Quindi nel nome Diotima sono presenti la considerazione umana e la stima divina. In sostanza sarei stata una prescelta dalla suprema divinità.

    Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con i poteri di veggente. Io non sono stata un personaggio straordinario, ma umano, che ha ricercato la verità e si è posto nell’ambito della ricerca filosofica e non solo.

    Sono l’ultima di sette fratelli, l’unica femmina. Quando nacqui, feci la gioia di mio padre. Mia madre avrebbe volentieri accettato tutti figli maschi, ma mio padre no. Lui aveva una predilezione per lo spirito femminile. Diceva che ciò che possono le donne, gli uomini non riescono neppure a immaginarselo.

    A ogni nascita, mentre i vicini si erano congratulati con lui, perché nella nostra cultura procreare maschi era segno di buona fortuna, nel suo cuore aveva maledetto il cielo e la sorte. In particolare quando era nato il primo figlio: aveva tanto sperato che il primogenito fosse una primogenita. Era convinto che la figlia femmina avrebbe ribaltato ogni pregiudizio e arrecato lustro alla famiglia.

    Quando aveva confidato quella aspirazione a mia madre, si era reso però conto che il suo discorso era inutile. Non gli era restato altro che soffrire in silenzio. E ogni volta che aveva esposto sulla porta di casa il simbolo della nascita di un figlio maschio, aveva assunto un atteggiamento mesto, come quello che gli altri padri mostravano se nasceva una figlia femmina.

    Quando i suoi fratelli vennero a rendergli omaggio per la nascita del terzo figlio, si accorsero del suo volto triste. Il fratello maggiore, mio zio Alceo, uomo di cultura molto sensibile, gli chiese: Ma come, Anteo? Noi eravamo convinti di trovarti in visibilio per la nascita del terzo maschio, eravamo convinti che ci avresti invitati a dei festeggiamenti, e invece niente. Non un brindisi, non un vino viene spillato dalla tua botte. Ma perché? C’è qualcosa che non va? Non è forse un bimbo sano quello che è nato? Tu dovresti impazzire dalla gioia!

    In un primo momento mio padre tacque, ma poi dette una risposta che non venne capita dai fratelli: Vedete miei cari, potrà sembrare strano, ma io fin dalla prima nascita avrei voluto una femmina. L’ho tanto sperato! Mi sono rivolto alla dea Hera, e anche, non sembri un sacrilegio, a Artemide. In una figlia femmina avrei investito il mio futuro, il senso della vita. Torbidi pensieri albergano nei maschi, storture di immagini lascive, iraconde decisioni per dominio e sopraffazione, povertà di spirito, scarsa intelligenza, sete di potere, guerre inspiegabili. Finora cosa abbiamo appreso? I maschi hanno la forza per pascolare capre e bestiame, per arare campi desolati, e portano ricchezza! E perché non lo possono fare anche le donne?

    Alceo fu frastornato da queste parole. Ebbe il dubbio che il fratello fosse uscito di senno.

    Forse lavori troppo nei campi, forse sei stanco della vita in Arcadia. Si sentono già gli echi di una guerra contro Sparta, il nostro futuro è incerto, ma le donne devono fare le donne e sai cosa vuol dire: accudire la casa e procreare. Alle donne il destino di far proseguire la specie umana, a noi maschi dare il seme della vita e il destino del futuro. A noi Zeus ha assegnato il gravoso compito del comando!

    Ma non ci fu nulla da fare: i fratelli non riuscirono a far cambiare parere a mio padre. Alle nascite degli altri figli non vennero neppure più a congratularsi con lui.

    Il tempo passava, mio padre invecchiava, ma non cedeva mai nella ricerca di una genitura femminile. Preso da quella idea fissa, non appena mia madre si metteva di nuovo nelle condizioni di avere un figlio, nel silenzio delle tenebre o tra il pianto degli ultimi nati, passava all’assalto della moglie.

    Non escogitava maniere docili per prendere mia madre, non svolgeva azioni preliminari per convincerla a un coito improvvisato. Erano antipatiche irruzioni, consumate tra le misere lenzuola di un letto diventato per la sua donna infernale, oppure in un angolo poco illuminato della nostra squallida casa. Mio padre la afferrava alle spalle, la rigirava su di sé e subito, strappatele le vesti, col membro fattosi turgido solo al pensiero di poter forse abbracciare una figlia femmina, abusava di quella povera donna che, succube, subiva tra lacrime e soffocate grida di dolore. Era una vera e propria violenza, la stessa che lui condannava nei maschi, ma che in quella circostanza giustificava descrivendola come necessaria per raggiungere un fine a suo giudizio nobile.

    Tutto accadeva senza più eros. Il piacere era assente. C’era solo la pressante esigenza di dare un seme a un campo che lui riteneva improduttivo solo perché generava sempre figli maschi.

    Un pomeriggio, in casa c’era il putiferio: i miei fratellini si rincorrevano per picchiarsi, il fattore bussava alla porta per protestare per dei mancati pagamenti, e fuori alcune amiche aspettavano mia madre per un giro nel centro di Mantinea alla ricerca di pelli invernali. Mio padre, ancora sotto l’influsso di un Bacco vaporoso e acido del pranzo giornaliero, afferrò mia madre alle spalle, la spinse sul letto matrimoniale, sistemato alla meno peggio, e dopo un’affannosa ricerca del piacere carnale, finalmente diede quel seme che avrebbe procreato una creatura di sesso femminile. Lo sentì, mio padre, che quella sarebbe stata la volta buona!

    Aveva provato una sensazione sublime, gli era sembrato di essere un dio, se non addirittura lo stesso Zeus, venuto sulla terra a rubare un amore improvviso da una fanciulla.

    Cloe, mia madre, gli apparve veramente una fanciulla, e anche lui si sentì proiettato in un’età adolescenziale, nonostante avesse toccato i sessant’anni. Ma fu una passione erotica diversa, forse scaturita improvvisamente dalla saturazione di quei pensieri di seduzione che in tutti quegli anni aveva accumulato senza mai soddisfare.

    Sapeva che il tempo non gli avrebbe lasciato molte altre possibilità. È legge biologica, necessità di natura: o ti sbrighi, o non hai più alternative. E lui non voleva mollare il suo progetto. Mio padre credeva nella vita e voleva una figlia femmina, votata a cose sublimi della mente e dello spirito.

    È l’animo femminile che può concepire l’inconcepibile. E la sua Diotima, perché così mi avrebbe chiamata, in quanto prediletta da dio e onorata dagli uomini, avrebbe compiuto grandi imprese del pensiero e si sarebbe misurata con gli aristocratici della filosofia.

    Mio padre voleva che fossero ribaltate le convenzioni della vita: gli uomini producono e le donne procreano. No! Con sua figlia, la donna avrebbe superato i limiti del pensiero degli uomini e sarebbe stata riconosciuta da tutti come superba interprete dei misteri della vita.

    Quel seme spinto con tanta virulenza, senza che mia madre si abbandonasse alla deriva nostalgica di un orgasmo comunque prima mai provato, era destinato a essere la scintilla divina per la nascita della tanto agognata figlia femmina.

    Mia madre ebbe il settimo parto, l’ultimo, perché dopo di quello mio padre perse ogni concupiscenza e si astenne fino alla morte dal prendere sessualmente mia madre. Ogni sua attenzione fu rivolta esclusivamente alla figlia e alla cura del suo benessere quotidiano.

    Questo racconto sulla mia venuta al mondo l’ho ascoltato proprio da mio padre. Non avevo ancora compiuto i dodici anni, e già era comparso il segno purpureo del mio avvio sulla strada della maturazione sessuale: mio padre, sempre premuroso e attento, mi aveva già introdotto nei misteri del corpo di donna.

    Nel freddo notturno della nostra abitazione mi rigiravo in un giaciglio ispido e poco accogliente. Spesso si infilava sotto le mie lenzuola Attis, il maggiore dei miei fratelli; ma mio padre sorvegliava attentamente, per cui la sua permanenza, che mi recava calore e conforto, era breve: veniva materialmente sollevato dalle braccia vigorose di mio padre e riportato nel suo giaciglio. Questa sorveglianza speciale da parte del mio genitore mi creava imbarazzo: sentivo quasi il suo alito addosso in ogni istante della mia giornata, e ancor di più la notte.

    Io amavo mio padre, più di mia madre e dei miei fratelli: pur con la sua invadenza soffocante per me era come un dio. Anzi, era un dio, il mio Zeus. A volte avevo quasi la tentazione di dargli segno di venerazione, di inginocchiarmi davanti a lui e di offrirgli alcuni sacrifici. Poi pensavo che già la mia breve vita era stata un sacrificio destinato a lui: avevo sempre acconsentito a ogni cosa mi avesse chiesto.

    Sebbene fosse pastore e contadino, mi aveva condotta fin da piccola nelle case di filosofi, di matematici e di esperti di musica e danza, verso i quali mostrava ammirazione tanto inaspettata quanto devota. Ma aveva voluto anche che frequentassi la palestra e che fossi all’altezza di competere fisicamente con i miei coetanei maschi, a cominciare dai miei fratelli.

    Posso dire che non ho mai vissuto un’infanzia libera e spensierata. Ho avuto spesso giornate senza respiro. E se non fosse stato per Attis, che mi ha permesso di vivere momenti di evasione e di gioco, soprattutto quando mi invitava con lui nei campi a pascolare il bestiame che mio padre gli affidava per giornate intere, avrei ora solo un ricordo cupo e triste di quell’età. Per me è stato importante seguirlo, perché in quelle circostanze ho imparato moltissimo: Attis mi ha spinto verso gli arcani della vita attraverso percorsi iniziatici. Mi invitava spesso a osservare la natura e il comportamento degli animali. Con una certa eccitazione mi spingeva a guardare l’accoppiamento dei montoni, che assaltavano con foga travolgente le misere pecore, che subivano una sofferenza che era solo l’anticipazione di quella ben maggiore che avrebbero provato in occasione dei cruenti sacrifici agli dei.

    Dentro di me si combattevano due emozioni che mi avrebbero accompagnato ogni volta che mi sarei cimentata con l’eros umano: da una parte un piacere che sollecitava ogni mia particella più intima, dall’altra una vertigine abissale di violenza e di sofferenza.

    Un pomeriggio mio fratello mi condusse in una grotta a qualche chilometro dal nostro podere, alla periferia di Mantinea, e mentre fuori il gregge brucava con lentezza e quasi con noia, mi invitò a svestirmi e a mostrare ai suoi occhi le mie nudità, annunciandomi che le avrebbe riprodotte su una parete liscia che si prestava bene per un affresco misterico.

    In un primo momento ebbi una grande paura: mi sentii debole ed esposta a chissà quale ignota violenza. Poi piano piano assecondai la richiesta di Attis, liberando il mio corpo alla sua vista.

    Mi mostrò i colori che aveva da tempo nascosto in un angolo della grotta, il rosso purpureo e l’azzurro indaco, e mi disse con voce suadente: La vita nostra, mia piccola Diotima, è nelle mani di forze misteriose. Noi dobbiamo snidarle. Tu sei bellissima. Il tuo corpo, le tue linee morbide riprodotte sulla dura roccia, ti renderanno potente e sarai in grado di capire più di quanto gli altri, soprattutto i maschi, dimostreranno di sapere.

    Le tracce colorate cominciarono a comparire sulla parete liscia e le sensuali forme di una vergine presero visibilità. Sentii agitarsi dentro di me un sentimento di nostalgico abbandono: una deriva seducente, come l’acme di un godimento amoroso. Fu il mio primo orgasmo, in anticipo sulla mia consapevolezza sessuale.

    In quel momento ebbi anche il disvelamento del corpo umano nella sua unità di maschile e femminile. Provai il bisogno di osservare la fisicità di mio fratello, che mai prima mi aveva incuriosita, neanche quando era venuto a scaldarmi nel mio letto. E capii che la bellezza fisica viene espressa dalla giovinezza e dal profumo selvatico di un corpo perfetto, sia esso di uomo o di donna. Non ci sarebbe dovuta essere alcuna distinzione tra maschio e femmina: il corpo perfetto è anzi quello in cui i due sessi coesistono. È l’ermafrodito il modello divino, quello a cui gli umani dovrebbero aspirare.

    Chiesi a mio fratello se potevo toccare il suo corpo, percorrere le linee muscolose delle sue membra. Mi bastò una carezza per rendermi conto di quale mistero si nasconda dietro la sensibilità corporea.

    Non ebbi più dubbi. In quel contatto con mio fratello, in quello svelamento delle nostre nudità, in quel desiderio di un caldo abbraccio, gli arcani mi chiamavano, e io mi accorsi che ero pronta e disponibile. Quell’affresco sulla parete rocciosa, che sempre più prendeva consistenza e forma, poteva rappresentare il sigillo di un segreto che mi sarei portata per sempre nella mia vita futura. Di fronte a esso, io mi vidi come sdoppiata: ebbi sì la sensazione di essere dentro il mio corpo, ma mi percepii anche fuori, su quella parete, legata per sempre al mistero della vita, attraverso l’immobilità di una fredda roccia.

    Mio fratello, terminato il mio ritratto misterico, mi chiese se ero disposta a stendermi accanto a lui e a restare per un po’ in silenzio per godere di quella solitudine e per ammirare la sua opera.

    Quella rappresentazione sulla parete rocciosa del mio corpo a sua volta mi eccitava: sapere che io ero lì per l’immaginazione di chi volesse vedermi mi procurava piacere.

    Dopo l’episodio della grotta, il pensiero del corpo fremente di mio fratello prese a tormentarmi ogni notte. Non riuscivo più a dormire. Desideravo stringermi a lui. Amavo il corpo di mio fratello e il mio con uguale intensità.

    Provai a rifare sul mio corpo quello che avevo fatto su quello di Attis. Con le mie dita sottili presi ad accarezzarmi con delicatezze impercettibili. Il tatto diventava intensità dei sensi. In quegli istanti avevo anche bisogno della vista, e allora mi figuravo in testa il mio corpo raffigurato sulla parete della grotta, quelle linee rappresentate nei densi colori con una maestria degna dei più grandi pittori greci, di un vero e proprio Apollodoro.

    Una volta mio padre mi fermò nel momento in cui stavo per saltare nel letto di mio fratello, mi prese il volto tra le sue mani e, guardandomi negli occhi, mi bisbigliò: Tu sei destinata a ben altri giacigli e a ben altri assalti. Torna nel tuo letto e lasciati prendere dalle ali di Morfeo.

    Non sapevo ancora a cosa si riferisse.

    Lo capii una sera, quando, dopo aver allontanato i miei fratelli, invitandoli a correre nei campi per un gioco infantile a cui raramente mi invitavano, perché femmina, mio padre iniziò a parlarmi con una delicatezza indescrivibile.

    C’era una luna chiara. Appoggiai la testa sul petto di mio padre, e subito la sua calda mano la sostenne dolcemente.

    Vedi, Diotima, non crucciarti se per il tuo essere femmina ti è impedito dai tuoi fratelli di correre con loro. È un gioco di poco conto. In verità presto tu ti distinguerai non solo da loro e da tutti i maschi, ma da tutti gli umani. Perché tu sei chiamata a grandi imprese. Da qualche tempo hai cominciato a essere donna. Sai cosa vuol dire? Che fra poco, se vorrai, col seme maschile potrai generare, dare nuova vita. La donna è il campo che gli uomini sono chiamati ad arare.

    Mio padre si fermò, restando in silenzio. Aveva sentito che un tremore aveva attraversato tutto il mio corpo. Effettivamente io fui presa da forte ansia. Capii che mio padre stava per delineare il mio futuro, ed ebbi paura.

    Non so perché, ma dentro di me avvertii una percezione di instabilità. In quei momenti, riuscii a cogliere una differenza abissale non solo tra me e i miei fratelli, ma anche tra me e le altre bambine della mia stessa età. Ebbi una sensazione di isolamento, di solitudine, di un vuoto che neppure mia madre o mio padre potevano più riempire.

    è proprio in questa solitudine che spesso nel corso del tempo mi sono lasciata andare a sogni di evasione e di fuga in mondi che mi portavano a vivere esperienze eccitanti, ricche di forti emozioni. Ho cominciato molto presto a domandarmi il perché della vita; ho guardato il sole e poi la luna, che mi hanno sempre affascinato come divinità impenetrabili.

    Mio padre riprese a parlarmi con un tono ancora più dolce, quasi a sfiorare con la voce la mia anima, che sembrò vibrare.

    La donna, col seme che le affida l’uomo, è chiamata a procreare e a continuare la specie umana. È l’istinto della vita, è la dolce Afrodite che scalda cuori e membra. C’è un’attrazione implacabile, un richiamo ineludibile, un’eco primordiale. Si rinnova di continuo ed è un eros imponente. Come in primavera, quando fiori e greggi si aprono a Zefiro dolcissimo. La passione d’amore è invadente e la prospettiva è il futuro delle nuove generazioni.

    Ancora una volta mio padre si interruppe, ma fu lui questa volta a esser preso da forte ansia. Perché stava per introdurre la grande informazione che deve orientarmi. Io ascoltai.

    Quando, dopo un lungo e inquietante silenzio, riprese a parlarmi, non disse esplicitamente del mio futuro. Quando c’è da indicare un tempo che deve venire, si parte da molto lontano, da un passato remoto.

    "Diotima, io avrei voluto studiare. Avrei voluto sviluppare i pensieri dei filosofi, imparare a scrivere per raccontare i miei sentimenti, e invece mio padre, tuo nonno Erissimaco, me l’ha impedito. Cosa vuoi fare? Diventare un perditempo, non li vedi oggi i filosofi che fanno? No, no, mio caro Anteo, tu devi guidare questo nostro podere, pascolare il bestiame e coltivare un po’ di terra. Mantinea non è Atene, Mantinea non è Mileto o altre città dell’Asia Minore. Anch’io sarei dovuto andarmene lontano. Hai visto però come ci hanno provato i Persiani a distruggerci? Allora ho deciso di difendere la nostra arida terra. Noi siamo una famiglia povera, non siamo aristocratici, non siamo ricchi, sebbene abbiamo un gregge e un po’ di terra da coltivare. Noi resteremo qui e porteremo avanti le nostre generazioni. Tu non frequenterai nessuna scuola. Non farai studi vuoti e inutili. Ecco, capisci, mi ha violentato nel mio più profondo desiderio. Ho sofferto tanto nella mia giovinezza, e poi ho dovuto percorrere il sentiero segnato della tradizione: unirmi a una donna per darle il mio seme e mettere al mondo le braccia necessarie per la terra e per la pastorizia. Ma io desideravo leggere, scrivere. Sono diventato un uomo rude e burbero, a volte anche violento con la tua mamma. Ma almeno in parte, senza che nessuno mi aiutasse, ce l’ho fatta. Ho comprato dei libri e mi sono innamorato di una grande poetessa, divina creatrice di parole e di immagini: Saffo. Ho letto le sue liriche e ne sono rimasto affascinato. Ecco la donna che fa per me, mi sono detto. Ho apprezzato la sua femminilità, ma più ancora, in Saffo mi sono riconosciuto. Mi sono detto: perché non sono nato anch’io donna? Forse la mia vita sarebbe stata diversa. Il genere nella storia fa la differenza. Saffo si è distinta e ha mostrato tutta la sua personalità, ha lottato contro la tirannia, e si è avvalsa in maniera intelligente della sua condizione aristocratica. Si è circondata di donne, ha potuto dedicarsi alla riflessione e all’invenzione poetica. Ha amato, ha scritto splendidi versi, ha dato una svolta alla nostra cultura. La vita è stata per lei quella rappresentazione letteraria che avrei voluto per me. È stata sublime. La sua dea ispiratrice è stata Afrodite. Dall’epos all’eros: l’eros è qualcosa di molto più della potenza procreatrice, è l’esaltazione della scintilla divina che è in noi. E Saffo, sono sicuro, si è consegnata all’immortalità con la sua creazione poetica. Non solo è arrivata fino a noi dopo un secolo, ma continuerà ad affascinare nei secoli e nei millenni futuri. Se avesse seguito la sua strada di donna, segnata dalla tradizione e dalla cultura dei maschi, sarebbe stata la mamma di cinque, sei, o forse più figli, ma di lei nessuno parlerebbe. Si sarebbe persa nell’oblio del tempo e nessuna discendenza si sarebbe ricordata di lei! No, è nell’arte, è nel pensiero che si costruisce la propria immortalità!"

    Mio padre si fermò ancora. Ansimante, mi scostò da sé, poi mi prese il viso tra le sue mani, come già fece quando mi sorprese mentre tentavo io di infilarmi nel giaciglio di mio fratello. Con quello stesso gesto, ora mi avrebbe aperto lo squarcio di verità che inconsapevolmente stavo aspettando da tempo.

    Mia adorata Diotima, io ti ho voluta intensamente. Sarei morto dannato se tu non fossi stata generata, sangue del mio sangue. Ora che stai per entrare nel mondo adulto, ti svelo il mistero che ti avvolge e sempre ti avvolgerà. Tu sarai la nuova Saffo, la Saffo di Mantinea. Sarai sacerdotessa di Afrodite, ma più ancora: salirai sul suo carro luminoso della saggezza e indicherai i percorsi che conducono alla felicità. Tu sarai donna e dea, luce e speranza. Vivrai per sempre come Saffo e più di Saffo. Sarai profetessa, e conoscerai nel profondo quello che io avrei voluto anche solo intuire appena: il fine ultimo di tutte le cose. Apparterrai alla filosofia e alla letteratura, e realizzerai quel sogno che a me è stato proibito, perché il destino mi ha fatto nascere maschio, mentre la verità appartiene alla donna, al suo istinto procreativo, alla sua profonda aspirazione alla maternità. Ma come per Saffo, esiste un’altra maternità più importante di quella derivante dalla procreazione: quella della creazione artistica, dello sviluppo del pensiero filosofico, dell’identificazione della verità. Sarai tu a dare luce ai filosofi del tuo tempo. Sarai chiamata ad affiancare il potere politico per le tue profezie e, sebbene di famiglia modesta, sarai accanto a uomini e donne di potere. Io ti seguirò nella prima fase della tua ascesa, ti accompagnerò nei primi viaggi che farai da discepola nelle città dell’Asia Minore e della Magna Grecia. Andrai anche nella nostra colonia di Cuma, là dove è già grande la fama di riti che aprono squarci impensabili sugli arcani della vita e della natura. Come Saffo, sarai protagonista di comunità religiose al femminile e darai testimonianza della potenza indistruttibile dell’eterno femminino. Fonderai una comunità di donne devote a Afrodite e dedite allo sviluppo del pensiero filosofico, e approfondirai la natura essenziale che anima la vita di tutte le creature. Dopo il tuo tirocinio in giro per il mondo conosciuto, arriverai finalmente a Atene e lì svolgerai la tua funzione sacerdotale. E finalmente io potrò morire soddisfatto, perché la mia unica figlia femmina avrà portato a termine il mio sogno alimentato dalla lettura delle superbe poesie di Saffo. Di tutto dovremo essere grati a Saffo per ciò che è riuscita a realizzare in un’epoca controversa: con i suoi versi ha abbattuto la superbia della prepotenza maschile che l’epica ha cantato prima di lei, e ha fatto emergere un ideale di vita fondato su amore e dolcezza.

    Chi un esercito di cavalieri, chi una schiera di fanti,

    chi una flotta di navi dirà che sia la cosa più bella

    sopra la terra nera, io dico

    ciò che uno ama.

    Non la virtù eroica, non l’eco della battaglia, ma l’abbraccio di corpi nel perenne sogno di un eros senza fine sta nei suoi versi. Mi pento della violenza che ho usato nei confronti di tua madre: io per primo ho fatto quello che odio nel maschio. Ma ora ci sei tu a riscattarmi. Ti ho tanto cercata. Se io non sono nato donna, tu lo sarai in modo totale, senza tentennamenti. Tu darai la vera svolta all’umanità sofferente, debellerai la supremazia maschile e farai trionfare la bellezza femminile. Perché questa è la verità: la bellezza è nella donna, nel suo animo e nel suo corpo. Anzi, guarda bene i tuoi fratelli: non puoi restare avvinta dalle loro forme. Non capisco come solo nel corpo maschile si voglia vedere la perfezione estetica, e perché scultori greci affermati si dedichino tanto all’esaltazione delle volgari muscolature di eroi e di atleti. Metti a confronto il tuo corpo con quello di un tuo fratello: c’è un abisso. Il corpo della donna è sacro, è divino. Il regno della vita appartiene al mondo femminile: è stata Gaia, la terra, l’origine di tutto, e non ha avuto necessità del seme maschile all’avvio della procreazione celeste.

    Restai sconvolta. Non poteva essere mio padre colui che vaticinava con tanti dettagli il mio futuro. Sicuramente un dio si era presentato a me sotto le vesti di mio padre!

    Quale destino mi toccava? Per cosa ero venuta al mondo? Perché proprio a me era riservato un ruolo tanto speciale? La mia vita non poteva essere semplice e lineare, comune e tranquilla, come per tutti gli altri? Mia madre aveva sofferto tanto e continuava a soffrire. I miei fratelli sembravano condannati a un giogo pesante di fatica e disperazione; cercavano un po’ di felicità in distrazioni assurde e in assalti violenti dettati da un eros impietoso: a volte li vedevo abbandonati in piccole vallate alla ricerca di un eros maschile fatto di profanazioni inconsulte. C’era in loro tanta volgarità, e spesso avevo temuto anche assalti nei miei confronti. Forse il futuro mi avrebbe liberato da quella condizione di mediocrità e di bruttura?

    Mio padre perse per qualche istante il registro profetico, parlando in maniera più realisticamente quotidiana: Non ti devi spaventare, quello che ti ho prefigurato avverrà piano piano e naturalmente. Devi solo convincerti che sarà così. Io ti sarò al fianco e ti farò da guida. Sarò il mediatore tra Saffo e te, perché tu ti avvii nella tradizione della supremazia femminile.

    Ma tornò ad assumere presto il tono di profeta: Anzi, ti dico che sarai più grande di Saffo, perché saprai unire alla sensibilità della poesia quella della speculazione filosofica, ma soprattutto saprai indicare la verità dell’esistenza. In te potranno tutti vedere, donne e uomini, il vero tracciato della felicità e del piacere, il senso ultimo per cui la vita vale la pena di essere vissuta!

    Come posso dimenticare queste parole, anche ora che ho tanto vissuto e la deriva nostalgica mi prende, ora che ho voluto ripercorrere i luoghi natii di Saffo, parlare della mia vita, e scrivere per fermare il tempo inesorabile?

    Tutto mi appare più chiaro, più leggibile, più coerente con il destino che un dio stabilì per me, un dio nuovo, che non può essere annoverato tra le divinità dell’Olimpo. Perché questo è un dato di fatto: gli dei sono in un mondo lontano, poco si interessano a noi, e solo il loro spirito, quel centro vitale che è il principio primo della vita, può essere conquistato, può parlarci e forse esserci favorevole.

    Quel dio abita dentro di noi, è sempre con noi; si tratta solo di riconoscerlo e di colloquiare con lui.

    Devo molto a Saffo: ogni cosa ebbe inizio nel suo nome.

    Per questo a un’età così avanzata ho voluto ritirarmi sulla sua isola. Qui, dove tutto parla ancora di lei, voglio riflettere sulla mia vita trascorsa in maniera così sorprendente.

    Ci sono ancora, vicino a Mitilene, in alcune piccole vallate o su morbide collinette, dei luoghi che conservano intatti i sacri recinti di convivenza tra giovani donne, fatta di dolcezze e gioie. In una di queste dimore ho cercato di sistemarmi, forse

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