Tre racconti baresi per l'estate
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Anteprima del libro
Tre racconti baresi per l'estate - Michele Scacovelli
info@youcanprint.it
Una dentiera fa miracoli
Renato aveva cinquantatre anni.
Era poco più alto di un nano, ma non se ne doleva affatto. Dalla sua altezza le persone erano dei giganti, i cui volti e occhi, guardandolo, si contraevano in una smorfia e si colmavano di compassione.
Candido come un bambinello, era eccessivamente semplicione, beato, come una persona a cui il mondo sorridesse di continuo senza un motivo, anche se per gli altri era poco meno che un idiota.
Che dire, poi, delle sue fattezze: la natura era stata davvero tanto avara con lui!
Aveva il volto rotondo come un pallone, occhietti insignificanti, con un solo ciuffetto di capelli bianchi che si ergeva solitario sul resto del cranio completamente calvo.
Seppure sdentato, non fosse altro che per due denti superstiti che gli erano rimasti in bella vista di una bocca incorniciata da labbra sottili, non perdeva mai occasione di elargire sorrisi a chiunque gli avesse rivolto la parola.
«Renato, mettiti una dentiera!» lo sbertucciavano ogni volta, incrociandolo per la strada.
E lui, in risposta, emetteva un risolino stridulo e prolungato: «Ih, ih, ih», voltandosi e svelto allontanandosi, con quel suo corpo tozzo e le braccia corte che oscillavano nervose.
Che tipo strambo.
Era felice di essere come era, però.
Lavorava nel mercato rionale di Carrassi di Bari, come manovale di una bancarella di frutta e verdura.
Era zitello.
(E chi se lo prendeva uno così, meglio un debito di 100mila euro con l’Agenzia delle Entrate!)
Vizi non ne aveva, la casa in cui abitava era di sua proprietà, gli era stata lasciata in eredità dai genitori.
Con quei pochi soldi che guadagnava, arrivava giusto giusto fino alla fine del mese, lesinando per non farsi mancare mai nulla, dalla vita non avrebbe voluto di certo di più.
Finito di lavorare, a casa si dava una sciacquata sotto le ascelle, si rifocillava con quello che c’era in frigo, andava di là nell’altra stanza, e senza svestirsi, gettatosi sul letto, si addormentava all’istante dalla stanchezza, russando in un gorgoglìo che culminava con un lungo fischio.
La domenica mattina, per non restare tutto il giorno chiuso in casa a fissare i quadri, dopo aver fatto una doccia e messi i vestiti della domenica, gaio e spensierato si recava ai giardinetti pubblici del rione, dove si intrattenevano i vecchi a giocare alla briscola a cinque centesimi a partita.
Renato, sia ben chiaro, andava lì esclusivamente per guardare e non per sedersi a quella tavola da gioco improvvisata sulle panchine.
Non si poteva permettere di rischiare, perciò non portava con sé neanche un soldo bucato.
«Oh! Renato, ti stavamo aspettando», lo aveva accolto una domenica un vecchio, giunto che fu.
Sorridendo al solito prima da deficiente, aveva all’improvviso vociato: «Ih, ih, ih, come faccio a stare senza venire qui!»
Quando si esprimeva, ne venivano fuori anche delle automatiche rime ridicole.
A quella frase, tutti i vecchi presenti si erano girati contemporaneamente: «Renatooo!» avevano spolmonato in coro, alcuni per lo sforzo tossendo, alzandosi di scatto dalle sedie e avventandosi su di lui, che era diventato all’istante paonazzo.
«Piano, piano, per favore…» aveva farfugliato, frattanto che, chi lo smuoveva energicamente dalle spalle, chi gli gridava frasi incomprensibili, chi gli dava dei vigorosi pizzicotti sul faccione, esternandogli