Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Come nebbia sul lago
Come nebbia sul lago
Come nebbia sul lago
E-book202 pagine2 ore

Come nebbia sul lago

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Dopo essere stato lasciato a un giorno dalla vigilia di Natale, Alberto, pittore poco più che quarantenne, decide di riprendere in mano la sua vita e passare le feste lontano da quella Roma deserta che urla il nome di Marina da ogni vicolo.
Un giro di mappamondo lo porta sugli altopiani dei Tatra, in una località esclusiva della Slovacchia dove potrà schiarirsi le idee immortalando panorami mozzafiato nei suoi inseparabili album. Si rende presto conto però che quel sentiero avvolto nella nebbia che l’ha guidato a destinazione, non cela paesaggi di montagna in festa, ma un lago ghiacciato intorno al quale una donna inglese scompare la sera del ventiquattro dicembre. La notizia fa presto il giro del mondo.
I sorrisi bagnati dal perlage dei bar sofisticati, gli sguardi indiscreti dello staff, tutti nascondono qualcosa che non sfugge ad Alberto. I lineamenti della tragedia sembrano evidenti, eppure a lui qualcosa non torna. Cos’è successo quella notte?
LinguaItaliano
Data di uscita5 ott 2022
ISBN9791255400097
Come nebbia sul lago

Correlato a Come nebbia sul lago

Ebook correlati

Gialli per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Come nebbia sul lago

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Come nebbia sul lago - Angelo Bandiziol

    24 dicembre

    Roma, ore 17:00

    Un flebile fascio di luce bussava a un appartamento di Via del Corso prima di nascondersi dietro gli alti palazzi romani. Dalla strada provenivano mormorii di persone che procedevano con gli acquisti dell’ultimo minuto. Un odore di castagne arrosto saliva in alto inebriando le case.

    Alberto, un metro e ottantacinque per centoventicinque chili, quarantasei anni, era disteso nella vasca di ceramica e piedi a zampa di leone davanti al camino; l’aria umida sapeva di sali d’eucalipto e discorsi confusi. Poco distante, un orologio a cucù accompagnava lo scoppiettio irregolare della legna.

    Alberto teneva le gambe a penzoloni fuori dall’acqua, lasciando al fuoco il compito di tenergli caldi i piedi. In quel bagno d’inizio Novecento, lo sguardo esaminava i quadri appesi disegnati dal suo estro. Gli piaceva andare alla ricerca di piccole imperfezioni nascoste tra le pennellate multicolore che aveva collezionato negli anni.

    Era un pittore, un appassionato di paesaggi e un fine osservatore della realtà. Si manteneva grazie al suo talento, ma a lui la fama non interessava. Poteva permettersi di viaggiare, lasciarsi andare a qualche tentazione, e ciò bastava a renderlo felice.

    Quell’appartamento lo aveva ereditato dai genitori e per un po’ lo divise con Marina, una giovane donna e sua potenziale compagna di vita. Ma non durò molto, giusto il tempo di capire che, al di là della casa nel centro storico, Alberto non possedeva altro. Lui sognava di portarla in giro per il mondo, disegnare panorami mozzafiato, valli e montagne, fiumi e laghi, mari, porti e genti, mentre Marina gli leggeva un noir, magari indossando un paio di occhiali da diva hollywoodiana degli anni Sessanta.

    Il sogno svanì veloce, come un sussulto in piena notte.

    Del raggio di sole era rimasto solo un torpore lontano. Nel focolare del bagno, invece, ardeva vigoroso il ricordo di Marina.

    «Cosa darei per rivivere le emozioni meravigliose di quando l’ho incontrata per la prima volta nel bar del centro! Stavo disegnando le silhouette di una coppia di amiche intente a bere un caffè, anzi no, era una cioccolata calda. Una di loro aveva dei baffi di cacao posati su un rossetto rubino. Ha veramente un tratto magnifico, signore. Una voce così sensuale le mie orecchie non l’avevano mai sentita! I tuoi occhi emanavano pura magia; non saprei come spiegarla altrimenti, ma forse il bello è proprio fermarsi a un passo dal baratro del raziocinio.»

    Il pittore si abbandonò a un sorriso malinconico. «Abbiamo passato dei bei momenti, Marina», disse a bassa voce, «però quando hai visto che non c’avevo ’na lira, sei sparita. Che stronza!»

    Si grattò la barba incolta – un tic che si manifestava durante un dubbio. «Sarà stata ’sta panza che me porto appresso?»

    La domanda era retorica, perciò chiuse le palpebre, fece un respiro profondo e immerse la testa sott’acqua. Il vociferare in strada cessò portandosi dietro il ticchettio dell’orologio; al suo posto, gocce solitarie si staccavano dal rubinetto, inaspettate, come mele cadenti nei pomeriggi d’agosto.

    Nella nuova dimensione, la mente di Alberto faceva meno male: i pensieri dedicati a chi gli spezzò il cuore avevano lasciato spazio a una stanza bianca, una tela immacolata di quelle che era solito dipingere. Lì, Alberto, incontrò la serenità.

    Non puoi lasciarti andare così. Forza, Albe’, reagisci! Tocca dare un taglio a ciò che è stato… per non parlare dei carboidrati.

    Il pendolo scoccò la mezza e lo riportò alla realtà. Con le braccia poggiate sul bordo della vasca, si tirò su per riprendere fiato; il camino riprese a scaldargli il volto, il cucù a ritmare la solitudine. Il piccolo balcone aperto sul Corso, che prima fungeva da abat-jour, era ormai dipinto dello scuro della sera.

    Erano le diciassette e trenta quando l’acqua quasi fredda gli suggerì di uscire e cercare l’accappatoio. Alberto si muoveva a piccoli passi tra le mattonelle di terracotta, scegliendo con cura le più calde come faceva da bambino.

    Si avvicinò allo specchio in cerca di qualche nuova ruga, contò i capelli grigi, che per sua fortuna si notavano appena nella capigliatura chiara; poi toccò al mento: «C’ho la pappagorgia d’un pellicano» disse schiaffeggiandosi il collo col dorso della mano. «Finite le feste ci mettiamo a dieta, hai capito, Bruno?»

    Si rivolgeva al suo fedele amico, un bassotto maculato che riposava nel salotto adiacente. Era sdraiato a zampe divaricate, le lunghe orecchie spalmate a terra parevano cotolette di carne pronte per la padella.

    Bruno gli rispose ululando a mezza bocca, quasi a dire: «Te la puoi scordare la dieta!».

    Richiamati i capelli all’ordine con un colpo di pettine, Alberto si diresse verso il salone lentamente, trascinando le ciabatte. Lì aprì le due grandi finestre che davano sul Corso, si appoggiò alla ringhiera in ferro battuto del balcone e si mise a osservare i passanti. Le strade si erano trasformate in un flipper pieno di biglie impazzite che uscivano cariche di regali da feritoie luccicanti. Il rimandare gli acquisti all’ultimo minuto era una cosa che Alberto non riusciva a capire; il solo pensiero di sgomitare per comprare cose sovrapprezzo lo innervosiva.

    «Dico sul serio, Bruno, poi non lamentiamoci che ci lasciano. Ti voglio bene, ma non è che posso passare la vita a parlare con un cane.»

    Un borbottio uscì dalla bocca del bassotto. L’insoddisfazione non era nuova alle orecchie di Bruno, che ormai non ci faceva neanche caso. Se fosse stato in grado di parlare, gli avrebbe consigliato di levare gli specchi da casa.

    «Domani è Natale. Speravo di passarlo con qualcuno almeno quest’anno e invece… Guarda tutte ’ste coppie felici, mano nella mano, che comprano regali. Lo so a cosa stai pensando, a me lo shopping forzato mi ha sempre fatto schifo, però le festività natalizie hanno quel non so che. Saranno le città vestite di colori e di luci, le bancarelle piene di dolci agli angoli delle strade, la musica ovunque, le famiglie che si risparmiano le coltellate almeno fino al trentuno; mettici anche che Natale viene una volta l’anno – così da non stufare. Ma che ne sai tu! Stai diventando parte del mobilio per quanto poco ti muovi!»

    Bruno era un cane flemmatico e dopo che Marina se n’era andata, aveva smesso pure di abbaiare. Perché sprecare energie? Ogni volta che quella donna entrava in casa, si rintanava sotto il letto. Sembrava annusasse la negatività che si portava dietro. Ora, invece, riposava beatamente davanti alla fiamma viva con il suo amico pittore. Il mondo era tornato a sorridergli.

    Alberto era solito cercare i soggetti per il suo album seduto al bar o su una panchina. Bruno stava al suo fianco senza muoversi. Alzava lo sguardo solo per il profumo intrigante di un passante, ma giusto per pochi secondi, poi si rimetteva comodo col muso sul piede dell’artista. Quando Alberto lo sentiva appoggiarsi, tirava fuori dalla tasca un pensiero croccante, a cui seguiva una grattatina amorevole sulla nuca.

    Alberto disegnava borbottando i classici della canzone italiana; si vergognava a canticchiare, perciò usava le guance paffute come cassa di risonanza.

    Linee filanti lasciate dal carboncino scorrevano sulla tela, sfumature di volti e luci esaltate dal tocco delicato del pollice; la sua mano ondeggiava come quella di un direttore d’orchestra, fermata solo dal brontolio puntuale di un Bruno affamato che gli ricordava il momento di mettere da parte album e treppiede e d’incamminarsi verso casa.

    La sera portò la calma: non c’erano più biglie, in Via del Corso. Alberto teneva alle tradizioni e aveva decorato a festa il tavolo del salone: tovaglia rossa, candele in tinta e centrotavola di rose e pigne di Caterina, la fioraia di fiducia sotto casa.

    Alla televisione il compito di intrattenere, mentre Alberto si destreggiava tra i fornelli a colpi di canto e falsetti. Era stonato, ma non importava; le mura domestiche non si sarebbero lamentate.

    «Allora, amico mio, ascolta bene… per questa sera chef Albert ha preparato un menu classico: tortellini in brodo e filetto di tonno in crosta di patate, leggero, così non ci abbuffiamo; un’insalatina per pulirci la bocca e poi… daje cor panettone. Grappa finale, e via col tango.»

    Bruno seguiva il padrone con lo sguardo; lo vedeva fare avanti e indietro dalla cucina avvolto in un pittoresco grembiule che lo rendeva Babbo Natale.

    «Non preoccuparti, Ciccio, ho preparato un menu anche per te: polpettine di fegato e fiocchi d’avena. A seguire, biscottini di tacchino macinato e farina di mandorle… sfiziosissimi. Niente cioccolata perché dopo ti si intorcina lo stomaco e ti prende il coccolone. Che ne dici?»

    Bruno si passò la lingua sul naso.

    I sapori inebriavano la casa mettendo entrambi di buon umore. Tra una scodinzolata e degli acuti da appassionato tenore, il banchetto prese forma.

    La serata procedeva condita dai commenti di Alberto ai servizi del telegiornale: «Ormai il Natale vecchio stile non lo festeggia più nessuno… Hai notato, Brune’? Tutti a sciare chissà dove. Una volta i Natali si facevano in famiglia. Oggi vanno in giro per il mondo e gli auguri sui social… Io, che sono single e potrei viaggiare, rimango a casa. Che fesso! Invece di passare la serata a capire chi è l’assassino del solito film giallo, non sarebbe stato poi così male avere una vera conversazione» disse fissando il bassotto occupato a spazzolarsi la scodella. «Ma sì… Chi ci ammazza a noi! E vai piano che sennò ti strozzi. Non vorrai finire all’ospedale la sera di Natale. Eh, Bruno! Parlo con te!»

    Il bassotto si fermò e alzò il muso verso il padrone, solo qualche secondo prima di immergersi nuovamente nelle polpette; sembrava dire: «Pensa alla tua di ciotola».

    C’erano piatti vuoti, briciole di pane e scorze di mandarini ovunque; pozze di cera circondavano fiochi mozziconi di candele. La tavola era diventata un villaggio saccheggiato. Anche la televisione aveva smesso di parlare. Alberto sedeva sulla poltrona color vinaccia accanto al balcone; fu allora che la solitudine bussò inaspettata: le fiamme odor rovere presero le sembianze di Marina.

    Portò Bruno sulle ginocchia, si allentò la cravatta rossa e aprì i primi due bottoni della camicia. La sua attenzione venne rapita dal ticchettio dell’orologio. Lento, inesorabile, il tempo lo faceva sentire ancora più colpevole per l’inerzia nei confronti della vita.

    Dai, Albe’, mica puoi stare qua come uno scemo a ricordare una persona che non ti meritava. C’è un mondo che ti aspetta, lì fuori. È ora di fare una cosa folle, una di quelle che Marina ti ha sempre accusato di non essere in grado di fare.

    Con Bruno sottobraccio, Alberto si alzò in piedi e si diresse verso il balcone.

    «Devo darmi una svegliata, voglio resettare la mia vita. Basta pensieri tristi dal passato. Voglio vivere!»

    In fondo al Corso anche Piazza del Popolo era deserta; se ci si concentrava, si riusciva persino a sentire il getto d’acqua proveniente dalla bocca dei quattro leoni attorno all’obelisco.

    «Bruno, ma non mi dici niente? Ci siamo dimenticati della grappa! E che finiamo la cena senza digestivo?»

    Alberto rientrò nel salone puntando il suo porta liquori a forma di globo; aprì l’emisfero boreale che nascondeva bottiglie e calici di varia misura e si versò due dita di grappa.

    Fece subito il bis. Non era un accanito bevitore e l’alcol non ci mise molto a fare il suo lavoro.

    «Vedi, Bruno, è un peccato che tu non possa a-a-accompagnarmi in questa bevuta; sono sss-sicuro che ti piacerebbe, sai?» biascicava il pittore, ora affacciato al terrazzo del salone con i gomiti sulla ringhiera.

    Il fedele segugio rispose con un borbottio di timore per l’altezza e la precarietà della sua posizione più che di assenso.

    «Mi sembra quasi di capire ciò che dici… Cosa farei senza di te!»

    Un’altra grappa e poi un’altra ancora sciolsero la lingua del pittore, che si abbandonò a sogni d’amori impossibili in lidi lontani dai quali si sforzava di escludere Marina; meglio donne ignote delle quali fantasticare i lineamenti.

    «Ho deciso… me ne vado in vacanza. Mi farà bene cambiare aria. Ma voglio andarci ora, caro Brunello. Perché aspettare? Solo i perdenti aspettano. Carpe diem!»

    Si diresse verso il mappamondo ancora aperto per un altro goccio di distillato. Lo preparò e chiuse il porta liquori.

    «Bruno, sai che ti dico? Lasciamo che sia il fato a decidere la destinazione.»

    Appoggiò il bicchiere sul bordo in legno e diede una girata alla sfera, come si faceva con i mappamondi di scuola. Dall’interno provenne un tintinnio di vetri, mentre l’ultimo cicchetto ondeggiava preoccupantemente all’altezza del Brasile.

    «Vediamo un po’ dove mi porta il destino…»

    Alberto barcollava, gli oggetti in casa cominciavano a duplicarsi e il peso del cane lo destabilizzava peggio di un funambolo che cerca di ammaestrare la sua asta. Con un occhio chiuso posò l’indice della mano destra sulla sfera che si fermò di colpo. I bicchieri dentro tremarono, poi il silenzio, come quello che si respira durante l’estrazione della tombola natalizia a un passo dal colpaccio.

    «Questa è la mia meta!»

    La cartina proponeva una geografia di inizio Novecento.

    «Ecco! Me ne vado in… che c’è qua?»

    Alberto si avvicinò per mettere a fuoco la scritta.

    «Cecoslovacchia? Ma non li aggiornano ’sti porta grappe? Se proprio vogliamo essere precisi», disse scrutando il punto esatto sotto l’indice, «qui, mio caro Bruno, si parla di Slovacchia più che di Cechia. Bene, Slovacchia sia!»

    Il padrone di casa, eccitato per la prima decisione di stomaco della sua vita, posò il cane a terra, mandò giù la grappa in segno di vittoria e si diresse verso il computer che teneva chiuso sul tavolino davanti al divano, intonando le battute finali di Nessun dorma.

    «Ssscusa Bruno ma devo studiare dove andare. Voglio montagne, voglio neve e laghi così che io possa camminare e perdermi nella natura.»

    Alberto passò un’oretta a navigare tra siti d’informazione per cercare possibili mete in quel paese sconosciuto. Scoprì che c’erano laghi da visitare, castelli medievali che avrebbe potuto immortalare, paesaggi immersi in alberi secolari, fino a che: «Ladies and gentlemen… Destinazione trovata!».

    «Senti qua: gli Alti Tatra, catena montuosa al confine tra Slovacchia e Polonia», leggeva su Internet, «rappresentano la meta ideale per gli amanti della natura. Vedi? Sono io l’amante della natura, Imperdibile è Š-Š-che è qua? Štrbské Pleso, pittoresco villaggio immerso nella natura dove si trova l’omonimo lago di origine glaciale. Hai sentito, Bruno? Pittoresco! Io sono un pittore… ci cado a fagiolo!»

    Il resto della serata passò all’insegna di letture sulla destinazione lontana e qualche altro sorso di alcol. Dal canto suo, Bruno ascoltava, o almeno pareva. Se avesse avuto il dono

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1