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Il mio volo Roma-Tokyo
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E-book196 pagine1 ora

Il mio volo Roma-Tokyo

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Info su questo ebook

Il 14 febbraio del 1920, con il decollo alle ore 11 dall’aeroporto di Centocelle su due biplani S.V.A. ai comandi dei piloti italiani Arturo Ferrarin e Guido Masiero, ebbe inizio quello che sarà ricordato negli anni come il “Raid Roma-Tokyo”, concluso dopo oltre tre mesi con l’arrivo nella capitale giapponese il 30 maggio 1920.
All’impresa presero parte quattro Caproni e sette S.V.A. che partirono alla spicciolata a iniziare dal gennaio 1920. I Caproni furono costretti ad interrompere il raid nell’Asia Minore. 
I piloti Ferrarin e Masiero, su due S.V.A., partirono il 14 febbraio, gli altri S.V.A. il 14 marzo ma dopo le prime tappe furono costretti ad abbandonare la partita. 
Due piloti persero la vita in un incidente. 
Solo Ferrarin riuscì a compiere regolarmente e con lo stesso velivolo l’intero percorso, poiché Masiero, che aveva subito un grave incidente a Canton, uscendone per fortuna illeso, dovette supe-rare in piroscafo il tratto Canton-Shanghai e proseguire poi per Tokyo con un aereo di ricambio. 
La sua impresa, raccontata in questo diario dalla penna del “Moro di Thiene”, fu di eccezionale valore, considerati i tempi e il notevole contributo dato da un pilota italiano della Prima guerra mondiale al progresso dell’industria 
aeronautica italiana. 
Il velivolo di Ferrarin venne donato al Giappone che lo collocò nel museo imperiale di guerra di Tokyo, andato completamente distrutto durante la Seconda guerra mondiale. 
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2019
ISBN9788834148877
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    Il mio volo Roma-Tokyo - Arturo Ferrarin

    Arturo Ferrarin

    Il mio volo Roma-Tokyo

    Prefazione di Fabio Massimo Frattale Mascioli

    Il mio volo Roma-Tokyo

    Arturo Ferrarin

    © 2019 Idrovolante Edizioni

    Ala tricolore

    1 edizione – luglio 2019

    prefazione

    di Fabio Massimo Frattale Mascioli

    Maggiore? Sei stato promosso Ferrarin!. Marco Pagot sta vedendo un film di guerra, che non gradisce affatto. Si intravede sullo schermo del cinematografo la scena in bianco e nero di uno scontro aereo. L’ufficiale della Regia Aeronautica, con la divisa azzurra piena di decorazioni, si siede di fianco a lui. Siamo in Porco Rosso, capolavoro d’animazione del maestro Miyazaki. Il grande autore giapponese è tra i pochissimi a saper cogliere in modo profondo e poetico lo spirito degli italiani di quell’epoca, con tutta la loro passione e le loro contraddizioni, a partire dai piloti, dai loro aeroplani, dalle loro donne. Ferrarin tenterà di convincere il vecchio amico a rientrare nell’Aeronautica. Gli dirà che l’epoca di fare gli aviatori di ventura è finita, e aggiungerà: Anche volando, un maiale resta un maiale. Ma l’amico non recede. Ferrarin se ne andrà prendendosi una piccola soddisfazione finale: Invece è proprio un bel film!, sentenzierà salutandolo.

    Marco Pagot è un pilota di idrovolanti, trasformato non sappiamo per quale sortilegio in un Porco Rosso a seguito di uno scontro con gli aerei nemici durante la Grande Guerra, in cui perdono la vita tutti tranne lui (per i giapponesi, questo è motivo di grande vergogna!). Ma Porco continua a volare e a combattere i pirati dell’aria sull’Adriatico a bordo del suo idrocaccia Macchi M.33, color rosso vivo e con il Tricolore dipinto sul timone. Dopotutto un maiale che non vola è solo un maiale, dirà nel film; per poi aggiungere: Non è mica che noi altri facciamo la guerra

    Ferrarin e Porco Rosso si incontrano ancora nel seguito del film. Sarà quel furfante di Ferrarin!, dice il pilota incrociando in volo l’amico; e Ferrarin, vedendo che a bordo insieme a Porco c’è la giovane e bella Fio, ribatte ghignando: Una perla a un porco!. Ma poi aiuterà l’amico Marco avvertendolo in anticipo del pericolo: L’Aeronautica vi ha fiutato, dirà a Gina tramite la radio per mettere l’amico in guardia e non farlo cadere in un’imboscata.

    L’uomo Arturo Ferrarin ispira certamente il personaggio di Marco Pagot, il Porco Rosso di Miyazaki. Il Maestro ha voluto anche dedicargli qualche scena del film facendolo comparire col suo vero nome, una sorta di alter ego in sembianze ufficiali. Nonostante la trama del film sia di fantasia, ritroviamo nel protagonista molte affinità con il Ferrarin reale. Aviatore istintivo, valente e temerario, più volte aiutato dalla sorte. Ma io ho un’incognita in mio favore: la mia fortuna, dirà egli stesso nella parte iniziale del diario, dopo aver dedicato un pensiero alle romantiche nuvole che di lì a poco avrebbe affrontato col suo biplano. Per Ferrarin, volare è quasi un’esigenza esistenziale, è l’energia che rigenera il suo corpo e il suo spirito. Scrive infatti: Io volo. Bisogna ripetere questa parola fino a che non se ne ha affermato il significato meraviglioso, fino a che non la si è sentita, se si desidera partecipare intimamente alla mia gioia in quel momento.

    Nella sua vita è sempre presente un aeroplano: da pilotare in guerra, da pilotare durante storiche imprese, da pilotare per effettuarne il collaudo o per trasportare passeggeri ansiosi di poter volare con lui, da pilotare persino per il suo viaggio di nozze. Morirà proprio pilotando un velivolo sperimentale, vent’anni dopo il raid Roma-Tokyo, a Guidonia. Arturo Ferrarin sembra quindi ritrovarsi in pieno nel Marco Pagot di Miyazaki. Aperto ai rapporti con gli altri, affettuoso a modo suo, patriota a modo suo, ma mai veramente allineato. Si lascia coinvolgere in grandi imprese più che altro per il gusto di volare e per superare sempre nuovi traguardi personali. Nonostante, durante il raid, gli saranno tributati onori incredibili e verrà insignito di altissime onorificenze, questi accadimenti trovano ben poco spazio nelle pagine del suo diario. Molto di più le impressioni del volo, le descrizioni dei paesaggi inusuali, i comportamenti del suo biplano di legno e di tela, gli umori del motore e del motorista, il fido Cappannini.

    Mai veramente allineato, si è detto, ma sempre disponibile quando si tratta di volare e di compiere un’impresa. Il 28 Marzo 1923 Italo Balbo fonda la Regia Aeronautica, portando a compimento il pensiero di Giulio Douhet, teorico della guerra aerea, e i voleri del Duce. Ferrarin è subito chiamato a farne parte. Entra ed esce più volte dall’Arma Azzurra. Balbo stesso lo congeda per incompatibilità, per poi richiamarlo per la Giornata dell’Ala. Tra i due i rapporti sono altalenanti e circospetti, troppo dissimili i caratteri. Balbo riconosce il valore del Ferrarin pilota, ma non è lui la figura che ha in mente come riferimento per la giovane arma: l’epoca di fare gli aviatori di ventura è finita. Si cerca l’organizzazione, il gioco di squadra, l’aviazione di massa, non più le imprese di solitari eroi. È la fine degli Assi. Eppure Balbo sarà testimone alle sue nozze con Adelaide Castiglioni, a Milano. Sotto sotto, l’ammirazione per il pilota bello e temerario prevale sui disegni politici e programmatici.

    Il raid Roma-Tokyo è un’impresa leggendaria nata dal sogno di due poeti. Un sogno che prende corpo piano piano e poi si fa strada, avanzando su percorsi spesso imprevedibili, fino a rendersi reale. Sono Gabriele D’Annunzio e Harukichi Inoue Shimoi, che si conoscono sullo scenario drammatico della Grande Guerra. Lo scrittore giapponese è un sincero ammiratore dell’Italia e della sua cultura, tanto da arruolarsi nel 1917 negli Arditi, dove insegna l’arte del karate ai commilitoni italiani. Un Samurai al servizio del Regio Esercito! I due si intendono subito e concepiscono un viaggio coraggioso, tale da costituire contemporaneamente un sacro suggello di amicizia tra i due popoli e un ardito cimento per mettere alla prova le grandi potenzialità intraviste nell’uso del mezzo aereo anche per i grandi percorsi. L’intenzione si concretizza subito dopo la fine vittoriosa della guerra e diventa progetto. C’è probabilmente anche una motivazione politica che spinge il governo italiano a sostenere l’idea, pensando in tal modo di distrarre D’Annunzio dall’impresa fiumana, non ben vista dai vertici. In ogni caso, il raid richiede immediatamente una poderosa organizzazione tecnica e logistica, con conseguente impiego vasto e non semplice di uomini e di mezzi. Il lunghissimo percorso è diviso in varie tappe, spesso localizzate in luoghi remoti, privi di strade, di ferrovie, di mezzi di comunicazione e situate in territori difficili, non di rado teatro di scorribande di predoni e di ribelli. Visti i successi dei piloti italiani, e soprattutto di Ferrarin, le tappe da un certo punto in poi addirittura aumenteranno, per le richieste continue di ospitalità e di festeggiamenti.

    È uno strano viaggio quello descritto dal diario, che alterna la descrizione di momenti drammatici, in cui si rischia la pelle, a quelle di paesaggi incredibili, di incontri improbabili, di festeggiamenti grandiosi. Il tutto permeato di passione, di stupore e di un fresco lirismo. Un po’ ardito, un po’ futurista, un po’ poetico, sempre pervaso di grande umanità. A volte sembra di leggere la sceneggiatura di un grande film d’avventura: Noi aviatori, che siamo tutti un po’ pazzi, siamo gli operatori cinematografici dell’Universo, dice lo stesso Ferrarin. Sempre a proposito della descrizione del viaggio, scrive l’editore Caramello, nella seconda lettera che precede il diario vero e proprio: Che importa... se tu non ricordi gli uomini che hai visti perché li hai trovati inferiori alle cose, quando un soffio di passione, la tragedia di un’anima, tragedia meravigliosa e nuova perché si svolge da sola, da un volo all’altro, da un deserto all’altro, anima e lega tutti questi piccoli fogli che ho qui sparsi sul tavolo?.

    Ma Ferrarin non sarà un’anima sola durante il viaggio. Insieme a lui volerà il motorista Gino Cappannini (nel diario viene chiamato Capannini), originario di Città della Pieve. Lo troviamo fin dall’inizio insieme a Ferrarin all’aeroporto di Centocelle, a riparare e a mettere a punto l’aereo di fortuna rimediato all’ultimo momento per partecipare al raid. Cappannini è il degno scudiero di un grande cavaliere in una saga epica. Incredibile pensare che i due, inizialmente considerati come staffette di supporto, saranno i veri protagonisti del raid. Solo Masiero con il motorista Maretto, infatti, raggiungerà Tokyo insieme a loro. Ma Masiero avrà percorso due tratte del percorso in treno (tra Delhi e Calcutta) e in nave (tra Canton e Shanghai). Gli unici a raggiungere Tokyo avendo effettuato tutto il viaggio in biplano saranno proprio Ferrarin e Cappannini.

    Anche Gino Cappannini troverà la morte a bordo di un aereo, un anno prima dell’amico Arturo. In un sorprendente incrocio di destini, lo troviamo infatti venti anni dopo, il 28 Giugno 1940, a bordo del trimotore Savoia Marchetti S.79 di Italo Balbo, abbattuto dal fuoco amico nei cieli di Tobruk. Su quell’aereo, viaggiava tra gli altri anche Nello Quilici, il padre di Folco, che ha dedicato un libro al tragico evento. Ferrarin chiama il suo compagno Picinin e gli dedica parole di profonda stima e di grande affetto: Quel piccolo uomo rannicchiato tra me e il motore, è il mio motorista Capannini... m’era subito piaciuto, perché gli erano luccicati meravigliosamente gli occhi alla mia proposta di accompagnarmi nel viaggio. In nessuno vidi mai tanto amore per il motore. Essi vivevano insieme. Durante il viaggio, il biplano e Cappannini sembrano seguire lo stesso destino, e quando l’uno soffre degli acciacchi dovuti ai continui sforzi e sollecitazioni, anche l’altro deperisce. Ma il motorista c’è sempre, per il suo motore, per il suo cavaliere dell’aria.

    Nell’organizzare il raid Roma-Tokyio, vengono messi in campo sette biplani Ansaldo S.V.A. 9 e quattro grandi bombardieri Caproni, coinvolgendo alcuni tra i migliori piloti della Grande Guerra, tra cui i tenenti Locatelli e Ancillotto. Viene inoltre disposto un impiego non indifferente di uomini e di mezzi per le operazioni logistiche richieste dal lunghissimo percorso a tappe. Ferrarin si trova coinvolto quasi per caso. Apprende del progetto mentre è convalescente a Parigi e subito il sogno dei due poeti diventa anche il suo. Ha tempo una settimana per prepararsi, ma chiede di volare insieme a un altro pilota, l’inseparabile amico Guido Masiero. Come spesso accade in questi casi, fin da subito iniziano gli inconvenienti. L’aereo previsto per il suo volo si danneggia irreparabilmente. Ferrarin non si scoraggia (non lo farà mai!) e si affida a un aereo di fortuna, un apparecchio malconcio che il cugino Francesco gli mette a disposizione, lasciato quasi abbandonato all’aeroporto di Centocelle. Aereo oltretutto sfortunato, perché reduce da un passaggio in volo sulle Alpi, effettuato proprio da Francesco, che era costato la vita al Capitano Natale Valli, l’aquila che aveva

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