Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Trappola in fondo al mare
Trappola in fondo al mare
Trappola in fondo al mare
E-book251 pagine3 ore

Trappola in fondo al mare

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un’avventura nelle profondità degli abissi 
Una lotta contro il tempo per la sopravvivenza

Un’incredibile storia di coraggio e resistenza

3 settembre 1945. 
La guerra è finita e l’USS Resilience, un incrociatore della Marina degli Stati Uniti d’America, sta rientrando alla base militare di Newport con un equipaggio di circa mille marinai, tra cui i giovani Billy D’Acquisto e Charlie Owen. Progettato per scongiurarne l’affondamento, l’USS Resilience è un gioiello tecnologico corazzato e autosufficiente, dotato di una serra interna e di inesauribili derrate alimentari. Ma quel giorno, mentre è in rotta per Gibilterra, raggiunge Capo Bon in Tunisia e un’ora dopo viene colpito da una mina che urta la poppa provocando un’esplosione. Vengono subito attivate le procedure d’emergenza e l’equipaggio è messo in salvo, mentre la nave “inaffondabile” cola a picco. Solo due marinai risultano dispersi: Billy e Charlie. L’impatto sul fondo del mare sbalza dalle brande i due ragazzi, che si accorgono con orrore che la nave si è inabissata e non c’è nessun altro a bordo. Inizia così la loro avventura nelle profondità degli abissi, una lotta contro il tempo per la sopravvivenza…

Quanto si può sopravvivere nelle oscure profondità del mare? 
Quanto coraggio occorre per non perdere la speranza di farcela? 
Un romanzo mozzafiato in cui avventura e suspense si intrecciano al meglio.
Nicola Riolo
(all’anagrafe Nicolò Riolo; Nicola o Nick per gli amici) è nato a Palermo nel 1963, da una famiglia di grandi sportivi. La sua passione per il mare diventa presto desiderio di scoprirne i limiti. Dopo aver vinto più titoli nazionali di tutti nella storia della pesca in apnea – oltre a tre Mondiali a squadre, altrettanti Europei e ben sei Coppe Euroafricane individuali – non ha smesso di gareggiare. Desidera continuare a farlo, almeno finché si sentirà animato da un sano spirito competitivo. Sogna di scoprire ancora altri luoghi sommersi e inesplorati come i tanti relitti dove si immerge o che, come in questo romanzo, racconta.
 
LinguaItaliano
Data di uscita26 mag 2021
ISBN9788822752819
Trappola in fondo al mare

Correlato a Trappola in fondo al mare

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa di azione e avventura per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Trappola in fondo al mare

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Trappola in fondo al mare - Nicola Riolo

    Mar Mediterraneo Centrale

    3 settembre 1945 – 6.00 a.m.

    50 miglia nautiche a est dell’isola di Pantelleria

    Per un giorno intero le radio di tutto il mondo avevano annunciato che la guerra era finita.

    Dopo anni di sangue versato sulla terraferma e in mare, le forze dell’Asse si erano dovute arrendere alle forze alleate.

    L’uss Resilience, un incrociatore pesante in forza alla Marina degli Stati Uniti d’America, scampato a decine di attacchi nemici nei tre anni di missioni, pattugliamenti e rifornimenti alle navi alleate presenti nel Mediterraneo, stava facendo finalmente ritorno a casa.

    Quella parte di guerra combattuta nei mari compresi tra l’Africa e l’Italia tra le forze alleate e l’asse italo-tedesco aveva fatto da impietosa cornice a molte devastanti battaglie, tra le quali alcune sono da ricordare.

    Isole Kerkennah, Tunisia orientale, 16 aprile 1941.

    In quello scontro la Regia Marina perse sette delle otto navi impiegate e quasi duemila uomini, mentre il Regno Unito, sotto il comando del capitano di corvetta Philip Mack, perse soltanto uno dei suoi cacciatorpediniere.

    Nello stesso quadrante dell’Africa nord-orientale, alla fine di quell’anno, si era combattuta la sanguinosa battaglia di Capo Bon, di fronte all’omonimo promontorio.

    Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre, la Regia Marina subì ancora una disfatta pressoché totale e i racconti di quella notte non chiariscono del tutto, ancora oggi, alcune delle dinamiche strategiche di quegli attacchi e delle relative contromosse in difesa delle navi affondate.

    Mentre le forze alleate non perdevano alcuno dei loro cacciatorpediniere impiegati in quell’attacco, l’Italia subiva l’affondamento di due incrociatori leggeri e il sacrificio di più di ottocento uomini.

    Sei mesi dopo, nei giorni compresi tra il 12 e il 16 giugno del 1942, anche i pesanti scontri aeronavali intorno all’isola di Pantelleria registrarono ingenti perdite di uomini e mezzi.

    Circa mille soldati deceduti, una settantina di aerei abbattuti e una quindicina di navi affondate tra i due schieramenti.

    Il Mediterraneo centrale, in quel preciso periodo storico, fece da cornice a un’altra sanguinosa battaglia, quella di mezzo agosto, che tra l’11 e il 13 agosto del 1942 registrò paradossalmente la vittoria tattica delle forze dell’asse italo-tedesco, ma il successo strategico delle forze alleate.

    In quella battaglia persero la vita più di seicentocinquanta soldati, vennero abbattuti quasi cento aerei degli oltre mille impiegati e furono affondati due sommergibili, una portaerei, due incrociatori, un cacciatorpediniere e ben nove navi mercantili.

    Presto la superiorità aeronavale degli Stati Uniti, inizialmente restii a entrare in guerra, nel Mediterraneo diede un ulteriore impulso all’esito del conflitto in quel quadrante europeo.

    Il 9 luglio del 1943 gli americani diedero infatti inizio alla Campagna d’Italia, mettendo in atto la più grande azione anfibia mai condotta fino ad allora e già il 17 agosto gli Alleati controllavano interamente la Sicilia.

    In seguito a ciò, il 3 settembre 1943, a Cassibile (Siracusa) il generale americano Eisenhower e il generale italiano Castellano siglarono il relativo armistizio.

    Allo stesso modo, il 29 settembre di quello stesso anno, in acque maltesi, Eisenhower e il maresciallo Badoglio firmarono l’armistizio nel quale vennero specificate le condizioni di resa imposte dagli Alleati al Regno d’Italia.

    Se in quella parte del mondo le cose erano sotto controllo, su molti altri quadranti doveva ancora essere versato parecchio sangue prima della fine del conflitto.

    Quasi un anno dopo, il 6 giugno del 1944, con un’operazione anfibia considerata ancora oggi la più massiccia della storia, gli americani sbarcarono anche in Normandia, nel nord della Francia.

    Stava iniziando in Europa l’ultima parte di quella guerra che, cominciata il primo settembre del 1939 con l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista, avrebbe visto la definitiva resa di Hitler l’8 maggio 1945.

    Anche all’altro capo del mondo, dopo gli attacchi alle Midway e a Pearl Harbor e i bombardamenti nucleari su Hiroshima e Nagasaki, l’impero giapponese aveva firmato la resa il 2 settembre del 1945, mettendo fine di fatto a un conflitto che aveva sepolto sotto le macerie e sotto i mari di tutto il mondo quasi sessanta milioni di uomini tra militari e civili.

    Quella calma mattina del 3 settembre 1945, in un’alba che si preannunciava già limpida e soleggiata, il comandante John Mc Donovan, pluridecorato eroe di guerra e figlio di un influente generale americano del primo conflitto mondiale, aveva rinunciato per lo più ai festeggiamenti e agli eccessi della sera per fare prontamente rotta verso l’ancora lontanissima base militare americana di Newport (Rhode Island), sulla costa est degli Stati Uniti.

    L’equipaggio, millecinquanta marinai scelti, aveva quasi completamente esaurito le scorte di scotch e brandy che l’eclettico primo cambusiere di bordo, Zack Zelinski, era riuscito a far caricare segretamente sulla nave tre anni prima, sicuro che un giorno avrebbero dato fondo a quegli alcolici, dirigendosi certamente vittoriosi verso casa.

    Gli appena ventunenni Billy D’Acquisto, figlio di immigrati italiani, e Charlie Owen, amici di infanzia che per uno strano scherzo del destino si trovarono imbarcati sullo stesso incrociatore, quella sera avevano alzato il gomito più di tutti, e avevano cominciato a raccontare le bravate della loro fanciullezza.

    D’Acquisto, un ragazzone di un metro e ottantacinque per novanta chili, non aveva perso la sua indole da sbruffone e attaccabrighe, mentre Owen, un giovanotto di fattoria vissuto per lo più in campagna, era sempre stato un tipo tranquillo e riservato, limitandosi a spalleggiare in ogni occasione il suo amico così impavido, prestante e sicuro di sé.

    Inoltre, li accomunava il fatto di essere fidanzati con le due bellissime sorelle Mc Killin, Nora e Bridget, anche loro di Detroit, nel Michigan.

    La voglia ormai irrefrenabile di tornare a casa per poterle frantumare di baci e di amore, come Billy amava definire il proprio desiderio di rivedere la sua Nora, era ormai arrivata comprensibilmente all’apice.

    Quel desiderio era cresciuto così tanto nei due giovani che, sin dalle primissime ore di un così atteso, bramato e talvolta insperato dopoguerra, avevano trangugiato ogni fondo di bottiglia gli fosse capitato a tiro, dalle sei del pomeriggio fino all’alba di quel famoso giorno.

    Tenevano sempre, nelle tasche delle loro divise, le foto con Nora e Bridget scattate poco prima della loro partenza dalla base di Newport, esibendole in ogni occasione in cui qualcuno dei marinai chiedesse di vederle, talvolta addirittura per confrontarle con le proprie fidanzate.

    Billy D’Acquisto e Charlie Owen ricordavano quando, tre anni prima, poco più che diciottenni, Nora e Bridget erano andate insieme ai loro genitori a salutarli, il giorno della partenza per la guerra.

    Il distacco era stato ben più intenso e doloroso di quanto non avessero provato a immaginare fino a quel momento.

    Quel giorno erano vestite con eleganti tailleur color albicocca, appena sotto le ginocchia, molto simili tra loro, e cappelli larghi e fascinosi, appena pendenti da un lato.

    Mentre Boogie Woogie Bugle Boy, l’allegro brano di Don Raye e Hughie Prince, faceva da chiassosa cornice a quella dolorosa partenza, la nave si allontanava sempre più verso il mare aperto.

    Nora e Bridget quel giorno erano più belle del solito e fin quando riuscirono a scorgerne all’orizzonte le sagome eleganti, Billy e Charlie non smisero di sbandierare i propri cappelli al vento.

    Erano così belle, le ragazze, che le battute dei marinai più vicini a D’Acquisto e Owen diventarono talmente pesanti da far sfiorare la rissa prima ancora che iniziasse la navigazione vera e propria verso il Mediterraneo. Questo fino a quando Billy non decise di togliere il gomito dalla ringhiera dalla quale stava ancora salutando e di girarsi verso gli altri marinai mettendo in evidenza la propria prestanza fisica e i muscoli stupefacenti. Tanto bastò per far capire a tutti che non era il caso di continuare.

    Non sapevano ancora che di lì a poco la loro vita sarebbe cambiata per sempre.

    La rotta del rientro, circa 900 miglia verso ovest per raggiungere lo Stretto di Gibilterra e altre 3000 miglia per la base della Marina Militare Statunitense di Newport, fu col sole in poppa, da est verso ovest, che illuminava nitidamente il mare di prua, quasi a indicarne la direzione esatta senza l’utilizzo della bussola. Si poteva finalmente navigare a vista!

    Dopo un paio d’ore di navigazione dall’alba, l’uss Resilience solcava possente, fiero e sicuro le acque a nord dell’isola italiana di Pantelleria.

    L’isola sembrava galleggiare sul filo dell’acqua, immobile per l’anticiclone delle Azzorre che già da qualche giorno spadroneggiava incontrastato su quella parte del Mediterraneo, quasi a sancire anch’esso la tanto attesa fine delle ostilità.

    Il comandante Mc Donovan, esausto per le troppe notti insonni, che aveva accumulato come le sue mostrine di guerra, a quella vista non resistette all’idea di richiamare in plancia di comando i primi due marinai di vedetta che scorse sul ponte inferiore.

    «Smith, Neshville, immediatamente in plancia di comando!», ordinò loro perentorio ma con un filo di voce, per non svegliare il resto dell’equipaggio, che si era finalmente appisolato qualche ora dopo le tollerate sbornie della notte.

    Dalla sommità dell’incrociatore l’isola apparve ancora più grande, più prosperosa e più bella di quanto non fosse possibile apprezzare dai ponti sottostanti.

    Vince Neshville, il cuoco della nave, costretto da un tempo ormai troppo lungo a preparare per l’intero equipaggio più o meno sempre le stesse pietanze, avvistando gli immensi vigneti sparsi in ogni parte di quella fertile terra vulcanica, restò letteralmente folgorato.

    Non aveva mai visto tanta bellezza concentrata in uno scoglio.

    Quella mattina, in rotta per lo Stretto di Gibilterra, l’incrociatore passò così vicino a Pantelleria che fu possibile scorgere il faro di Punta Spadillo in tutta la sua imponenza.

    Navigando verso ovest i presenti in plancia di comando poterono ammirare panorami diametralmente opposti agli orrori della guerra tanto da apparire loro come miraggi di un tempo che sembrava ormai perduto.

    Il Lago di Venere, subito dopo il faro, circondato da una cornice di palme secolari, sembrava incastonato in uno scenario di splendore surreale: lì la natura era riuscita a preservare intatto ogni angolo che l’uomo aveva provato a distruggere.

    Non c’era scorcio di quelle fertili terre del quale la vegetazione spontanea e le coltivazioni dei contadini non si fossero riappropriate dopo la devastazione dei bombardamenti.

    Si potevano scorgere a occhio nudo immense distese di capperi selvatici e generosi vigneti fin dove l’occhio umano riusciva ad avvistarne.

    Il profumo della risacca, frammisto agli aromi delicati e corposi della terraferma, giungeva con la leggera brezza d’ostro di quel mattino fino a bordo della nave, quasi come ambasciatore di pace e di prosperità.

    Quelli che trascorsero furono minuti di sacro e rispettoso silenzio, di contemplazione e di un pizzico di sana invidia per chi abitava quel sasso vulcanico così lussureggiante, sebbene sperduto in mezzo al mare.

    Neshville si fece coraggio e sussurrò: «Signor comandante, mi dica che stiamo accostando per fare scorta di vino per i giorni del rientro. Mi confermi che è così, signore».

    Questo annota il marinaio scelto Vince Neshville nel suo diario di bordo:

    In un fazzoletto di mare così piccolo come quello compreso tra la Sicilia e la Tunisia, dove abbiamo assistito più o meno impotenti a ogni tipo di orrore, non speravo più che un giorno al posto dei cacciabombardieri, delle motosiluranti, dei sommergibili, dei cacciatorpediniere nemici e di ogni altro strumento di sofferenza e di morte, avremmo avuto il tempo di scrutare l’orizzonte in cerca dell’immensa bellezza che ci circonda e che è rimasta nascosta fino a oggi.

    I suoni e gli odori che in quest’istante raggiungono la nostra nave da uno scoglio sperduto in mezzo a questo mare di dolore, come l’isola di Pantelleria, riescono a rallegrare i pensieri di un’umanità che sembrava non riuscire più a trovare l’uscita.

    La gioia dei nostri ragazzi ormai allo stremo, ma finalmente certi di essere sopravvissuti, ci accompagna per la strada di casa e verso quel tempo che, soltanto lui, saprà farci dimenticare ogni orrore.

    Se mai dovessi rinascere, è esattamente in un posto come questo che vorrei vivere e morire.

    Il comandante Mc Donovan accennò dapprima un sorriso di comprensione, poi provò a imitare l’aria seria e preoccupata dei giorni di guerra e infine ordinò a entrambi i ragazzi di tornare ai propri posti e alle proprie mansioni e, sorridendo fieramente, riprese ad ammirare quel panorama e a navigare verso ovest.

    Il progetto di Thompson

    L’incrociatore pesante uss Resilience era stato progettato dal giovane ingegnere angloamericano Harry Thompson che, in barba alla sua età, appena trentatré anni, aveva convinto le più alte cariche militari statunitensi dell’eccellenza della sua idea innovativa e assolutamente visionaria.

    La rivoluzione stava nel fatto che gli studi di Thompson si erano rivolti principalmente alla reale inaffondabilità di quella nave e ai suoi accorgimenti strategici per supportare altre unità navali durante lo svolgimento di un conflitto, con particolare attenzione a consistenti rifornimenti di generi necessari a lunghe permanenze nelle zone di guerra.

    Secondo i suoi studi, infatti, il progetto di una nave corazzata da 14.000 tonnellate di stazza, lunga oltre 220 metri, motorizzata con 10 propulsori diesel che erogavano una potenza pari a 80.000 cavalli, una velocità di crociera di oltre 32 nodi, una potenza di fuoco come soltanto poche altre sue omologhe di quel periodo e la capacità di appena 1050 membri di equipaggio per governarla in tutta sicurezza doveva necessariamente prevedere un valore aggiunto di ingegneria navale, militare e mercantile futuristico, fino a quel momento poco considerato tra gli ammiragliati di tutte le forze alleate e nemiche.

    Giovane e geniale, nonché profondo sostenitore della teoria secondo la quale un giorno non troppo lontano l’uomo sarebbe arrivato sulla luna, Thompson aveva intuito che, oltre a tutte le caratteristiche che facevano già dell’uss Resilience un gioiello tecnologico di quel periodo, bisognava includere nel progetto alcuni elementi innovativi di fondamentale rilevanza militare e strategica:

    1) Era necessario concepire un sistema di autonomia in mare sia per la nave stessa, che per altre unità da supportare in battaglia, tale da poter garantire a tutto l’equipaggio e agli equipaggi di navi alleate che ne avessero fatto richiesta l’approvvigionamento con rifornimenti di energia e alimentari praticamente inesauribili anche nel caso in cui la guerra fosse durata ben più a lungo dei piani strategici ipotizzati. Oltre a ciò furono realizzate e rese operative a bordo una serie di sale operatorie all’avanguardia e accumulate scorte di materiale essenziale per emergenze di vario genere, meglio descritte in un ampio manuale di bordo.

    Il progetto era tanto incomprensibile per quei tempi, quanto fondamentale per le esigenze di alcune tipologie di conflitti e compatibile, secondo Thompson, con gli spazi e gli impieghi previsti per quella nave.

    In quell’ottica l’ingegnere aveva ideato una sorta di serra, in un ampio spazio interno alla nave, che grazie a un gigantesco oblò dal vetro blindato – normalmente ricoperto, durante le battaglie, da una fitta rete mimetica – consentiva la fotosintesi clorofilliana perché, quando quell’oblò così insolitamente ampio veniva scoperto, lasciava entrare i raggi solari.

    Inoltre, un sistema di umidificazione garantiva la piantumazione e la coltivazione di una gran quantità di semi di fave, pomodori, piselli, patate, melanzane e altri ortaggi, nonché di alcuni alberi da frutto che potevano fornire raccolti ciclici per periodi definiti dallo stesso Thompson come inesauribili, da destinare principalmente alle mense degli ufficiali.

    Il giovane ingegnere riuscì inoltre a far approvare al Congresso, che valutò le peculiarità essenziali del progetto, anche la realizzazione di una zona di vitale importanza, che era un suo chiodo fisso sin da bambino. Ossia una blue factory con alcune specie animali destinate soprattutto al sostentamento degli alti ufficiali di bordo. Galline e conigli furono pertanto una richiesta esplicita di Thompson, il quale sosteneva che quegli stessi animali avrebbero svolto anche un’importantissima funzione di sostegno psicologico per i soggetti che in battaglia avrebbero subìto traumi emotivi, molto spesso di grave entità.

    Thompson, nato in una famiglia aristocratica molto religiosa, aveva letto e riletto con attenzione, sin da bambino, i passi della Bibbia che trattavano del diluvio universale e dell’arca e infatti argomentò in modo così esaustivo e convincente il suo progetto che quello spazio gli fu accordato.

    2) Per tutelare il proprio equipaggio e altri da sostenere in battaglia, con particolare attenzione a navi ospedale e a unità di incursori, la nave doveva essere necessariamente corazzata affinché potesse trasportare con la massima sicurezza anche le grandi scorte di ossigeno e calce sodata, utili a riprodurre il ciclo essenziale dei processi metabolici cellulari, come ampiamente esposto nel manuale di bordo e spiegato durante le esercitazioni pre-belliche a tutto l’equipaggio, in modo che chiunque fosse in grado di attivarli.

    Sull’esperienza della tecnologia aro (auto respiratori a ossigeno), la Marina degli Stati Uniti, in sintonia con le vedute di Thompson, aveva dotato l’incrociatore di grandi scorte di ossigeno e calce sodata, non solo per l’utilizzo da parte di una squadra di trentacinque incursori ben addestrati che faceva parte di quell’equipaggio, ma anche perché circolavano indiscrezioni su eventuali attacchi batteriologici.

    A riprova della sua intuizione, durante quel conflitto, ad esempio, la Marina Militare Italiana era riuscita a eludere la sorveglianza inglese, a difesa delle proprie navi, inviando nottetempo alcuni incursori subacquei super addestrati, coraggiosi e fisicamente capaci, chiamati uomini rana che, in assoluta segretezza – perché non visti né sentiti proprio per la mancanza di emissione di bolle di quelle apparecchiature aro – riuscivano a posizionare cariche esplosive sotto le chiglie delle navi nemiche.

    Il Manuale sulle dotazioni e la sicurezza delle apparecchiature di bordo così descrive il concetto di aro.

    Durante la normale respirazione un essere umano respira aria in queste proporzioni: 79% di azoto e 21% di ossigeno.

    Il consumo metabolico dell’uomo avviene in misura del 4% circa. Dunque, per far funzionare il nostro organismo ad ogni atto respiratorio consumiamo solo il 4% dell’ossigeno contenuto nell’aria mentre all’atto dell’espirazione espelliamo co2 (anidride carbonica), che altro non è che il relativo prodotto di scarto dei processi metabolici cellulari, nella medesima misura del 4%.

    Chiaramente se respirassimo in ambiente iperbarico, per la pressione stessa dell’aria, una miscela contenente il 4% di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1