Memorie di guerra aerea
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Anteprima del libro
Memorie di guerra aerea - Francesco Baracca
Francesco Baracca
Memorie di guerra aerea
Francesco Baracca
Memorie di guerra aerea
© Idrovolante Edizioni
All rights reserved
Editor-in-chief: Daniele Dell’Orco
1A edizione – settembre 2023
www.idrovolanteedizioni.com
idrovolante.edizioni@gmail.com
introduzione
di Sergio Barlocchetti
Non c’è giovane pilota che non sia intimorito dal forte vento e non c’è madre che non sia preoccupata per le sorti del proprio figlio. Poco più che ventenne il giovane Francesco Baracca è inviato in Francia per valutare i nuovi tipi di aeroplani che le Forze armate italiane devono acquisire. Baracca è colto, sensibile e per tutta la sua vita mostrerà sempre, anche con la scelta delle parole, una grande nobiltà d’animo Scrive alla madre Paolina de Biancoli ciò che osserva quotidianamente e ciò che prova, dalla grande differenza numerica e tecnologica che già passa tra l’aviazione transalpina e quella italiana, fino alle sue esperienze di volo, cercando sempre di rassicurarla sul fatto che stia bene. Ne scaturisce l’immagine di un giovane rapito dall’incalzare della tecnologia aeronautica, convinto del futuro che avrà questa incredibile invenzione della macchina volante, ma soprattutto di un ragazzo sensibile ed educato, attento a ogni aspetto di ciò che sta accadendo attorno a lui. Lo fa descrivendo la vita civile delle cittadine francesi e anche dando un’immagine dettagliata di ciò che avviene nel campo di aviazione che lo ospita. Ne sono esempi i racconti delle attività di addestramento dei nuovi piloti, che esattamente come accade per gli aviatori di oggi quando sono alle prime armi, vengono fatti volare la mattina presto e la sera, quando il vento e le turbolenze atmosferiche calano.
È un ragazzo stupito dalla rapida evoluzione tecnologica dell’aviazione a pochi anni dalla sua nascita ufficiale, avvenuta poco più di un decennio prima, e soprattutto Francesco è rapito dalla velocità degli aerei, che permettono di arrivare da Parigi in un’ora e dodici minuti volando a 150 km l’
ora".
A incantarlo sono le vedute inaspettate che osserva dall’alto, le prospettive privilegiate che in quegli anni avevano soltanto gli aeroplanisti. Ma i suoi tempi sono anche quelli dell’ormai vicina entrata in guerra dell’Italia, e in un rapido passaggio da una Milano patriottica, Baracca porta alla madre l’immagine delle dame con il tricolore appuntato al vestito, quella del fermento della popolazione che pare più orgogliosa che preoccupata. Ma seppure sempre più esperto come pilota e via via più inquadrato come militare, rimane un ragazzo che scrive alla mamma rimasta a Lugo con le sue preoccupazioni. Le esperienze presso la Cascina Malpensa, i voli più impegnativi, la prospettiva ormai concreta di dover presto affrontare il suo primo duello, non paiono cambiarlo, e il suo stile di scrittura semplice, talvolta contaminato da termini dannunziani, rimane sempre quello del ragazzo mandato in Francia anni prima. Poi qualcosa cambia poiché a cambiare è innanzi tutto l’uomo. Dopo l’entusiasmo delle prime vittorie Francesco scrive da combattente esausto, addolorato per la perdita dei compagni, usa parole asciutte e in numero sempre minore, e trova sempre meno frasi per commentare la vita di Lugo, ammette che non potrà tornare presto, rivelando il carattere e la durezza della vita militare. Lentamente, dopo ogni abbattimento, attorno a lui si costruisce il mito dell’asso che lo solleva quasi più dell’aeroplano e contemporaneamente lo travolge portandolo a contatto con i vertici del Regio Esercito e con i reali di mezza Europa.
Attraverso le sue lettere il lettore potrà apprezzare come gli scampoli di vita civile e di non combattimento corrispondano con una ritrovata sensibilità per la vita che fa riapparire il ragazzo appena arrivato in Francia.
Il colto giovane Francesco riemerge anche dopo che da combattente vede le scene più strazianti, come gli aviatori colpiti da lui e dalle pallottole luminescenti ardere e gettarsi nel vuoto dalla disperazione. Rimane colpito al punto di scrivere che quei proiettili non vorrebbe più usarli perché è già il terzo al quale faccio fare questa fine, ma quelle pallottole sono di grande utilità per correggere la mira perché si vede dove si colpisce, ed essi pure, gli austriaci, le adoperano
.
Così ciò che stupisce nei suoi scritti è l’assoluta mancanza di qualsiasi odio per l’avversario da abbattere, così come la grande lealtà che il pilota italiano dimostrava per i piloti della croce uncinata.
La storia della Prima guerra mondiale con gli effetti della disfatta di Caporetto e la successiva offensiva viene vissuta dal cielo in modo limpido, consentendo al lettore di comprendere dalle vive parole di un Baracca esausto per i sempre più frequenti combattimenti aerei, quale fosse la situazione nella quale operavano soldati e piloti di entrambi gli schieramenti.
Ma nel frattempo, raggiunte le trenta vittorie, è un grande asso conosciuto e tenuto, lo stupore per la notorietà ruba presto lo spazio alla sua umanità e le frasi che si compongono nelle lettere si fanno progressivamente più dure benché continui a trasparire il grande amore per la madre, che lentamente comincia a credere, come tutti gli italiani, che abbattere Baracca sia impossibile e che il figlio pilota sia protetto dalla sua immensa bravura. Lo stesso re d’Italia, nel dare notizia dell’abbattimento alla madre, scrisse che non aveva fatto ritorno
.
Sulla fine di Francesco Baracca, su chi e come lo avrebbe abbattuto, sia dalla parte italiana sia da quella austriaca, sono stati usati fiumi di inchiostro. E seppure ogni storico e appassionato di storia militare e di aviazione possa darne una versione più o meno dettagliata, questo libro propone il Francesco pilota di aeroplano, il ragazzo che nonostante sia diventato un ufficiale e asso tenuto osserva i combattimenti dall’alto e descrive lo spettacolo che da ieri all’alba vediamo è dei più terribili che si possa immaginare
.
Lontano dal mito e dal cavaliere del cavallino rampante, questo prezioso libro rappresenta il miglior ritratto che un uomo possa fare di sé stesso senza rendersene conto.
memorie di guerra aerea
il primo volo
L’Asso degli Assi
Francesco Baracca nacque a Lugo il 9 maggio del 1888 da una famiglia di proprietari terrieri, abbracciando la vita militare dopo gli studi, uscendo SottoTenente dell’Arma di Cavalleria del Regio Esercito dall’Accademia Militare di Modena e frequentando il corso di specializzazione presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo. Assegnato al 2º Reggimento Cavalleria Piemonte Reale
di stanza a Roma, rimase affascinato da un’esercitazione aerea presso l’aeroporto di Roma-Centocelle e decise di passare all’aviazione: la sua domanda fu accolta il 24 aprile del 1912, mentre il 9 luglio dello stesso anno conseguì il brevetto di pilota numero 1037.
In quelle ore, ripercorse dalle missive inviate alla madre, iniziò una storia destinata a diventare leggenda:
Reims, 5 maggio 1912
Da quando partii da Torino non ho avuto un momento di tregua: ora ritorno dall’aver fatto coi miei amici una gita in automobile ad Epernay, il centro dello champagne e vi torneremo presto a visitare le cantine che si estendono per 20 chilometri di lunghezza. Il viaggio fino a Reims è stato meraviglioso: partimmo la sera da Milano per Chiasso ed arrivammo al mattino a Basilea e ci fermammo a visitare la città; non mi dilungo a descriverti le cose che mi hanno fatto più impressione perché mi manca îl tempo: lo farò al mio ritorno a Lugo.
Uno de’ miei colleghi fa ogni giorno belle fotografie che conserverò tutte: così riguardandole mi ricorderò dei luoghi che ho veduto e te ne riparlerò a Lugo.
Ci fermammo poi a Chaumont, una graziosa cittadina francese non molto lontana dalla frontiera prussiana. Ora ci troviamo a Reims dove certo resteremo diverse settimane. Reims è una bella città, assai grande, con molto movimento; abbiamo avuto dal console un’accoglienza simpaticissima e lo stesso da quegli ufficiali francesi ai quali siamo stati presentati e coi quali ci troviamo la sera al Kursaal.
Reims è un centro militare importantissimo perché non molto lontano dalla frontiera. Vi sono due reggimenti di cavalleria: dragoni e ussari. Mi trovo benissimo qua, e m’auguro d’andarmene il più tardi possibile.
Alloggio al Grande Hotel: la mia camera è in faccia all’antica cattedrale del 1200, un gioiello d’architettura e di scultura.
Non cesso di compiacermi con me stesso di essere riuscito a togliermi, almeno per qualche tempo, dalla vita monotona del reggimento per darmi a una vita più sportiva e più varia.
Sono arrivato all’aviazione per modo di dire, senza nemmeno saperlo e senza neppure farmi molto raccomandare, ed ora m’accorgo d’aver avuto un’idea meravigliosa perché l’aviazione ha progredito immensamente ed avrà un avvenire strepitoso.
In Italia siamo ancora indietro alla Francia, di molto, ma presto ci porteremo avanti perché si stanno già formando a Milano e a Genova e in molte altre città società fortissime per costruzioni di aeroplani e per trovare il tipo di apparecchio costruito in Italia che risponda ai requisiti richiesti dal Ministero della Guerra.
La Francia ha già più di 400 ufficiali piloti aviatori; noi ne abbiamo appena 40, ma in compenso molti si preparano nelle scuole d’Italia a prendere il brevetto e molti altri in Inghilterra, in Francia e in Germania.
Reims è un centro sportivo dei primi della Francia: continuamente vedi passare motociclette e automobili per terra, velivoli per aria: è uno dei primi centri di aviazione.
Vi è un campo bellissimo a 6 chilometri dalla città e due scuole: una militare e una borghese.
Alla scuola militare vi sono più di 50 ufficiali francesi, e molti anche a quella borghese. Nel campo immenso vi sono più di 60 hangars con apparecchi di tipi diversi.
A Mourmelon, a pochi chilometri da Reims, v’è un altro campo di aviazione: a Chélons un altro ancora.
Si vola al mattino e alla sera quando non c’è vento: questo naturalmente per gli allievi perché i piloti volano con qualunque vento e con qualunque tempo.
È una cosa sorprendente volare e veder volare, ogni sera non vi sono mai per aria meno di dieci o dodici apparecchi che fanno ogni sorta di movimenti e rapide evoluzioni.
Qui a Reims volare è la cosa più naturale del mondo ed ho avuto per quesito un senso di sollievo perché in Italia si considerano gli aviatori ancora come dei pazzi o almeno dei temerari. Certo però non bisogna arrischiare e fare cose troppo difficili, o volare quando vi è burrasca, perché allora si vanno a cercare le disgrazie, come un cavaliere che avendo un cavallo giovane che non sa saltare lo butta contro un muro d’un metro.
E le disgrazie che si leggono sui giornali francesi non devono affatto impressionare perché costà vi è un numero stragrande di aviatori militari e borghesi che volano tutto il giorno, con qualunque tempo: si vedono dei piloti che montano su apparecchi di 70 cavalli, dalle ali cortissime, partono, dopo dieci minuti sono già a 1000 metri poi discendono e quando sono a 500 metri fanno il volo plané a motore spento, dopo aver chiusa l’entrata della benzina: è sorprendente.
Partono aviatori, vanno a fare una passeggiata a Mourmelon e ritornano; altri vanno