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La notte del cacciatore: La leggenda di Drizzt 28
La notte del cacciatore: La leggenda di Drizzt 28
La notte del cacciatore: La leggenda di Drizzt 28
E-book603 pagine11 ore

La notte del cacciatore: La leggenda di Drizzt 28

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Info su questo ebook

Con i Compagni di Mithral Hall riuniti ancora una volta, Drizzt Do’Urden pensava di aver dissolto le tenebre intorno a sé. Ma l’oscurità non perdona facilmente.
Nel profondo delle Fosse Demoniache, la Signora della Menzogna e delle Ombre, la dea Lolth, gli urla tutto il suo disprezzo.
Ascoltando l’appello della dea, la Matrona Madre Quenthel Baenre elabora un piano ingegnoso per spezzare il cuore e la mente di Drizzt, un disegno che farà tremare il Consiglio degli Otto di Menzoberranzan.
Ritiratosi nel mondo dei drow contro la sua volontà, l’assassino Artemis Entreri maledice il nome di Drizzt, ma scopre di non poter dimenticare i favori del suo ex nemico.
Drizzt, volto alla ricerca di un vecchio amico per salvarlo da un destino peggiore della morte, non ha altra scelta se non guidare i Compagni di Mithral Hall nell’oscurità più profonda, nelle viscere di Gauntlgrym, oltre i non-morti che infestano le sue sale, attraversando un nuovo insediamento drow.
LinguaItaliano
EditoreArmenia
Data di uscita27 mar 2020
ISBN9788834436110
La notte del cacciatore: La leggenda di Drizzt 28

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    Anteprima del libro

    La notte del cacciatore - R.A. Salvatore

    Prologo

    Tanto sangue.

    Dappertutto.

    Il sangue seguiva Doum’wielle ovunque andasse. Lo vedeva sulla sua pelle argentea, una pelle che parlava della sua natura mista di elfa e di drow. Il sangue la seguiva anche nei suoi sogni, ogni notte, tutte le notti. Lo vedeva nelle impronte che lasciava sulla neve. Lo vedeva sulla spada affilata… sì, soprattutto sulla spada.

    Era sempre là, riflesso nella lama dell’arma senziente, Khazid’hea.

    Aveva conficcato un migliaio di volte quella lama nel cuore del fratello. Le grida di lui echeggiavano in ogni suo pensiero quando era sveglia e riempivano i suoi sogni, la più dolce delle musiche per la sensibilità di Khazid’hea.

    Un giorno mentre dormiva, suo fratello Teirflin aveva tentato di colpirla proprio con quella spada, con la sua spada. Ma lei era stata più veloce.

    Era stata più brava.

    Era stata più abile.

    Aveva sentito la lama penetrare nel petto di lui, trapassandogli la pelle, i muscoli e le ossa, e raggiungergli il cuore così che il sangue potesse sgorgare copioso liberamente.

    Non avrebbe mai potuto lavarsi tutto quel sangue dalle mani, ma in quel momento, alla mercé dell’arma, con le confortanti parole del padre che le sussurravano all’orecchio, non voleva farlo.

    Forse le grida strazianti di Teirflin erano musica, dopo tutto.

    Due, indicarono le dita del drow, e il gesto proseguì nel complesso e silenzioso linguaggio dei segni dell’astuta razza. Muovendosi furtivamente.

    Tsabrak Xorlarrin, nobile mago del Terzo Casato di Menzoberranzan, rifletté accuratamente sulla mossa successiva. Non si sentiva a proprio agio là fuori, a una tale distanza da Menzoberranzan e da Q’Xorlarrin, la nuova città drow che la sua famiglia stava creando nelle miniere dell’antica terra natia dei nani di Gauntlgrym. Era quasi sicuro di sapere perché la Matrona Zeerith aveva mandato lui, proprio lui, in ricognizione: Zeerith voleva tenerlo lontano da Ravel, suo figlio, che era un acerrimo rivale di Tsabrak.

    E un acerrimo rivale che di certo aveva avuto il sopravvento, dovette ammettere Tsabrak. Grazie alla sua riuscita entrata clandestina nell’antica terra natia dei nani, Ravel era diventato l’intensa luminescenza che accentuava la gloria del Casato Xorlarrin… e l’aveva fatto insieme a un Baenre, nientemeno, e con la benedizione di quel potente clan. La città di Q’Xorlarrin stava decisamente per diventare realtà, e Ravel aveva svolto un ruolo fondamentale in quell’impresa.

    Il mago mosse rapidamente le dita, andando dritto al punto e chiedendo più informazioni ai ricognitori. Li mandò avanti e si diresse dalla parte opposta, dove la cugina Berellip, la sorella maggiore di Ravel, stava aspettando. La scorse insieme agli altri del seguito, ancora in una piccola cavità naturale posta sul lato del fiume sotterraneo che li aveva condotti fin là. Raramente era difficile trovare Berellip Xorlarrin, dopo tutto. Spavalda e chiassosa, teneva lontani i maschi di ceto inferiore e consentiva soltanto alle sue due giovani inservienti di rivolgersi a lei.

    Tsabrak attraversò la piccola grotta e fece segno alle due inservienti di allontanarsi.

    «Li hai trovati?».

    Tsabrak annuì. «Due, almeno. Che avanzavano lungo le gallerie inferiori».

    «Orchi?».

    Il mago scrollò le spalle. «Ancora non lo sappiamo. Più circospetti degli orchi, sembrerebbe. Degli astuti goblin, forse».

    «Posso sentire la puzza degli orchi tutt’intorno a noi», disse Berellip con evidente disgusto.

    Ancora una volta Tsabrak poté solo rispondere con una scrollata di spalle. Erano arrivati là, in quelle gallerie al di sotto della parte settentrionale delle Marche d’Argento, decisamente convinti di incontrare parecchi orchi. In fin dei conti, sopra di loro c’era la terra di Re Obould, il Regno dei Many-Arrows.

    «Vedo il tuo sorriso compiaciuto come un invito a giocare», lo mise in guardia Berellip, portando la mano vicino all’impugnatura della frusta a forma di testa di serpente.

    «Le mie scuse, Sacerdotessa», disse Tsabrak, inchinandosi con deferenza. A lei piaceva moltissimo servirsi di quella frusta per accanirsi sulla carne dei maschi drow. «Mi stavo semplicemente chiedendo se prendere prigioniera una tribù di goblin sarà sufficiente per il nostro ritorno a Q’Xorlarrin».

    «Sei ancora convinto che siamo stati mandati qui per procurarci degli schiavi?».

    «In parte», rispose il mago in tutta sincerità. «Conosco altri motivi per i quali potrei essere stato allontanato. Tuttavia, non sono certo di sapere perché abbiano fatto la stessa cosa con te in questo momento di grandi sconvolgimenti e di gloria per il Casato».

    «Perché la Matrona Zeerith lo ha deciso», rispose la sacerdotessa a labbra strette.

    Tsabrak s’inchinò di nuovo, confermando che quella risposta era, ovviamente, tutto ciò di cui aveva bisogno o che meritava. Lei aveva cura di controllare i propri pensieri, com’era spesso solita fare, e Tsabrak poteva solo accettarlo. Lui e Berellip avevano parlato molte volte dello scopo della loro missione, in conversazioni in cui lei si era mostrata molto più aperta, e persino critica nei confronti della Matrona Zeerith. Ma era tipico di Berellip Xorlarrin fingere semplicemente, e cocciutamente, che quelle precedenti discussioni non avessero mai avuto luogo.

    «Non è stata solo la Matrona Zeerith a decidere il percorso che avremmo dovuto seguire e chi avrebbe dovuto far parte della nostra squadra», osservò lui arditamente.

    «Questo non lo sai».

    «Conosco l’Arcimago Gromph Baenre da due secoli. C’è la sua mano in questo».

    Il viso di Berellip si irrigidì mentre mormorava: «La sua mano è in ogni cosa», un chiaro riferimento a Tiago Baenre, la scorta ufficiale del Primo Casato alla missione di Ravel per la conquista di Gauntlgrym. Berellip non aveva nascosto a Tsabrak la propria antipatia per l’arrogante, nobile guerriero durante i primi giorni del loro viaggio a est.

    Il disprezzo di Berellip nei confronti di Tiago non aveva sorpreso Tsabrak. Lui conosceva abbastanza bene la propensione del giovane guerriero a rinunciare allo status offerto ai maschi, e la sua predisposizione a far valere il peso del Casato Baenre dietro la sua posa imperiale era ben nota tra i Casati minori di Menzoberranzan. Inoltre, correva voce che Tiago avrebbe presto sposato Saribel Xorlarrin, la sorella minore di Berellip, e a detta di tutti la meno importante, scegliendola al posto di Berellip. Tsabrak si rese conto che Berellip, di certo, doveva avere di Saribel la stessa opinione che aveva di Ravel.

    «Che cosa può aver spinto l’arcimago a mandarci qui?» chiese Berellip, malgrado la sua ostentata aria di superiorità. «Possibile che abbia chiesto alla Matrona Zeerith di mandare in missione una somma sacerdotessa e un maestro della Sorcere in cerca di semplici schiavi?».

    «C’è dell’altro», dichiarò Tsabrak con certezza. Poi proseguì, inducendola a ricordare una loro precedente conversazione, e aggiunse: «La Regina Ragno è contenta del nostro viaggio, così tu mi hai assicurato».

    Mentre finiva di parlare trattenne il fiato, aspettandosi che Berellip lo colpisse, ma rimase piacevolmente sorpreso nel vedere che lei si limitava ad annuire e a dire: «È in ballo qualcosa di più grande. Lo sapremo quando la Matrona Zeerith deciderà di farcelo sapere».

    «O quando lo deciderà l’Arcimago Gromph», si azzardò a dire Tsabrak, attirandosi un’occhiata adirata da Berellip.

    Si sentì decisamente sollevato nel vedere che, proprio in quel momento, i suoi ricognitori stavano tornando, precipitandosi nella grotta laterale.

    «Non sono goblin», riferì uno di loro, alquanto eccitato.

    «Drow», disse l’altro.

    «Drow?» chiese Berellip. Lei e Tsabrak si scambiarono un’occhiata. Per quanto ne sapevano, non c’erano città drow nei dintorni.

    Forse troveremo presto la nostra risposta, comunicarono silenziosamente le dita di Tsabrak alla cugina, mentre il mago stava attento a non mostrare il segnale ai ricognitori e agli altri occupanti della grotta.

    Le due figure dal fisico snello sedevano su una sporgenza situata a metà della parete di una rupe sotterranea. L’acqua sgorgava dalla galleria che si apriva sopra di loro, riversandosi in un lago che si trovava più in basso. Malgrado lo stretto e apparentemente precario piano d’appoggio illuminato dalla debole luce di pochi licheni sparsi intorno, nessuno dei due cercava di spostarsi o di aggrapparsi alla roccia, mostrando di sentirsi a disagio.

    «Perché dobbiamo arrampicarci su questa rupe?» chiese la femmina, Doum’wielle, la più giovane dei due elfi, tirando su la fune dal basso. Doveva parlare ad alta voce per riuscire a farsi sentire al di sopra dello scrosciare dell’acqua che precipitava, il che portò la figura più anziana, il padre, a desiderare di averle adeguatamente insegnato il linguaggio dei segni dei drow. «Credevo che il nostro progetto fosse di scendere attraverso il Buio Profondo», aggiunse Doum’wielle in tono sarcastico.

    Il drow dalla carnagione più scura accanto a lei diede un morso a un fungo del Buio Profondo, poi lo guardò con disgusto. «Questo è il percorso che ho seguito quando ho lasciato la mia casa», rispose.

    La giovane elfa, metà drow e metà elfo della mezzaluna, si sporse leggermente dalla cengia e fece roteare l’estremità della fune munita di uncino, preparandosi a lanciarla. Si bloccò a metà e fissò il padre con aria incredula.

    «Questo è stato un centinaio di anni fa», gli fece notare. «Come puoi ricordarti il percorso che hai seguito?».

    Il padre buttò via il resto del fungo, si alzò con cautela, con una gamba che mostrava ferite evidenti, e si pulì le mani sui calzoni. «Ho sempre saputo che un giorno sarei tornato».

    L’elfa fece roteare di nuovo la fune e la lanciò, facendo sparire l’uncino nell’imboccatura buia della galleria sopra di loro.

    «Perciò mi sono sforzato di non dimenticare il percorso», disse lui mentre controllava la tenuta dell’uncino. «Anche se l’ultima volta non c’era la cascata».

    «Bene, questo è promettente», commentò lei in tono scherzoso, cominciando ad arrampicarsi.

    Il padre la guardò con orgoglio. Osservò la spada che portava nel fodero, assicurata al fianco, la spada di lui, Khazid’hea, il Coltello, una lama senziente dotata di grande potere, nota per indurre alla pazzia furiosa i suoi possessori più deboli. La figlia stava acquisendo il controllo di quell’arma assetata di sangue. Non un’impresa da poco, come sapeva dalla propria personale, dolorosa esperienza.

    Doum’wielle non era ancora salita a metà dalla galleria, quando anche il padre si aggrappò con le braccia muscolose alla robusta fune elfica e cominciò ad arrampicarsi rapidamente. Aveva quasi raggiunto la sporgenza quando lei vi si lasciò cadere sopra e si girò porgendogli una mano, che lui afferrò, aiutandosi a issarsi a sua volta.

    L’elfa disse qualcosa, ma lui non la sentì. Non in quel momento. Non mentre guardava una fila di nemici che si stavano avvicinando, a braccia tese, impugnando le balestre puntate verso di lui.

    In piedi all’imboccatura della galleria di fronte alla cascata, lo stesso percorso seguito dalla sua preda, Tsabrak Xorlarrin stava osservando i due risalire lungo la rupe che si affacciava sul lago sotterraneo. Li aveva trovati abbastanza facilmente, e grazie alle sue notevoli capacità magiche, li aveva seguiti da vicino, e con le labbra atteggiate a un ampio sorriso (sebbene non lo si potesse vedere, dato che era protetto dall’incantesimo dell’invisibilità), poiché era abbastanza sicuro di conoscere quell’ostinato drow.

    Si chiese cosa avrebbe fatto Berellip Xorlarrin quando avesse scoperto che il drow era stato un tempo il figlio preferito del Secondo Casato di Menzoberranzan, la più importante famiglia rivale del Casato Xorlarrin.

    «Procedi cautamente, strega», mormorò, le parole soffocate dal frastuono della cascata. Avrebbe potuto servirsi di uno dei suoi incantesimi per inviare un avvertimento al gruppo di Berellip che era in agguato, e in effetti, quasi si apprestò a farlo.

    Poi cambiò idea, e il sorriso si fece ancora più evidente quando sentì la donna che gridava, e vide un lampo appena dentro l’imboccatura della galleria.

    Per precauzione, Tsabrak si spostò sulla base del dirupo, notando due solidi punti di ancoraggio, delle stalagmiti, mentre cominciava a lanciare un incantesimo.

    Scoppi e crepitii si udirono al di sopra dello scroscio dell’acqua mentre la cortina di fulmini di Doum’wielle intercettava i dardi delle balestre, che furono bloccati per poi finire a terra senza procurare alcun danno.

    «Al mio fianco!» gridò al padre, sebbene non fosse necessario, dato che il guerriero veterano si stava già muovendo, portandosi accanto a lei a ridosso della parete della galleria. Proprio come la figlia, chiaramente, non aveva alcun desiderio di combattere contro quei guerrieri, dando le spalle alla parete di un dirupo.

    Il padre estrasse le sue due spade e Doum’wielle la sua.

    Lei ne possedeva solo una, poiché Khazid’hea non avrebbe accettato un’arma gemella con cui condividere la gloria dell’uccisione.

    Tre maschi drow si stavano dirigendo rapidamente verso la coppia. Davano le spalle al fiume che scorreva, muovendosi con esperta coordinazione, uno procedendo con cautela, l’altro a rapidi balzi, e il terzo affrettandosi a tener dietro ai compagni per difenderli; tutti e tre avevano due spade in pugno. Il drow che si muoveva con cautela si fermò proprio davanti al padre di Doum’wielle, facendogli alzare le spade con un montante incrociato delle sue due lame.

    Il drow che si muoveva a balzi atterrò accanto a lui e, prima ancora di toccare terra, tese una lama verso Doum’wielle e l’altra verso il padre di lei. Con il terzo drow che si stava avventando su di lei, costringendola a una doppia parata, Doum’wielle riuscì a malapena a evitare di essere colpita in pieno volto.

    «Non uccidere!» gridò il padre, ma non era chiaro se si stesse rivolgendo a lei o stesse implorando uno dei tre nemici. E in ogni caso, Doum’wielle non avrebbe potuto fare come lui chiedeva, visto che la sua spada era assetata di sangue… del sangue di chiunque. Sferrò un potente rovescio con Khazid’hea, deviando di lato le lame dell’attaccante. Quest’ultimo fece ruotare una delle due mentre lei lo imitava con Khazid’hea, preparandosi a colpire di nuovo.

    Doum’wielle non poteva arretrare, visto che si trovava con la schiena contro la parete rocciosa. Ma il suo colpo spinse indietro l’avversario così che la spada dell’avversario non potesse colpirla. Se si fosse dovuta misurare solo con lui, e con Khazid’hea in pugno, avrebbe di certo avuto la meglio sul formidabile guerriero.

    Ma non stava combattendo contro un solo avversario, così come non lo stava facendo il padre. Il drow al centro del terzetto faceva lavorare le sue lame in modo indipendente, a sinistra e a destra, colpendo entrambi tra un contrattacco e una parata.

    No! Gridò Khazid’hea nella sua testa, dal momento che ne percepì le intenzioni.

    Ma la richiesta della spada aveva poca importanza poiché i movimenti di Doum’wielle erano dettati da un bisogno disperato, non da una semplice scelta. La giovane maga guerriera colpì dritto davanti a sé, portò rapidamente la spada in fuori per deviare un colpo del nemico al centro, poi sferrò un altro colpo davanti a sé, facendo arretrare il suo diretto avversario.

    Organizzò la cosa alla perfezione grazie all’intervento della magia, con un incantesimo che mandò l’altro a scivolare sul letto pietroso del fiume. Quello si dibatté e urlò, ma fu risucchiato dalla corrente che lo trascinò oltre la sporgenza.

    «No!» le gridò il padre, ma per motivi decisamente diversi da quelli della spada che la figlia maneggiava. Il grido di Khazid’hea le negava l’uso della magia, lei lo capiva, poiché la spada voleva per sé tutta la gloria e tutto il sangue. Il padre, invece, credeva ancora che potessero gestire la situazione… un’idea che Doum’wielle trovò persino più ridicola a causa della beffarda risposta di Khazid’hea nella sua mente.

    Notando che altri avversari si stavano avvicinando, Doum’wielle si girò immediatamente verso il secondo drow con l’intenzione di spingerlo verso quello che stava affrontando il padre.

    Stavolta l’avversario si dimostrò più veloce, e mentre lei si faceva avanti, lui arretrò immediatamente e spiccò un balzo, portando una mano alla spilla fissata al laccio del mantello, lo stemma del suo Casato. La magia della spilla creò un incantesimo di levitazione, e il drow fluttuò nell’aria attraverso il fiume sotterraneo.

    Doum’wielle pensò di inseguirlo, ma Khazid’hea la spinse avanti, percependo la vulnerabilità del terzo avversario, già occupato a combattere contro il padre. Questi si girò per contrastare l’attacco, e riuscì parzialmente a deviare il colpo.

    In parte, perché la demoniaca Khazid’hea riuscì a eludere le sue difese e a penetrare facilmente attraverso la sottile cotta di maglia, andandoglisi a conficcare nella carne. Il volto atteggiato a un’espressione di deliziato orrore, il drow si gettò indietro e precipitò dalla sporgenza, finendo nel vuoto della vasta caverna sottostante.

    Doum’wielle, di nuovo al fianco del padre, si girò verso la galleria, dove quattro guerrieri drow, compreso quello che aveva attraversato il fiume fluttuando, se ne stavano là ben allineati, impugnando di nuovo le loro balestre.

    «E ora moriremo», disse il padre rassegnato.

    «Basta così», gridò da dietro lo schieramento nemico una voce, chiaramente amplificata dalla magia. Era un grido che sicuramente aveva la forza di un ordine da chiunque fosse cresciuto a Menzoberranzan, poiché era stato pronunciato da una voce femminile.

    I drow si spostarono e lasciarono passare una donna che indossava un elegante abito nero, ornato da amuleti a forma di tela di ragno e da elaborati motivi ornamentali. Persino Doum’wielle che non aveva alcuna esperienza in fatto di cultura drow se non quella acquisita attraverso gli insegnamenti del padre, non poté non accorgersi dell’importanza di quell’apparizione. Quella era una sacerdotessa della dea Lolth, sicuramente molto potente.

    La sacerdotessa impugnava la terribile arma del suo rango elevato, una frusta dalla testa di serpente con quattro serpenti vivi che si agitavano impazienti nell’aria al suo fianco, pronti a colpire dietro suo ordine.

    «Chi siete e perché siete qui?» chiese Doum’wielle nel linguaggio dei drow che le era stato insegnato dal padre.

    «Ah, sì, le presentazioni...», disse il padre. «L’avrei fatto prima, ma i vostri guerrieri erano troppo occupati a cercare di uccidermi».

    I serpenti della frusta sibilarono, rispecchiando la rabbia della sacerdotessa.

    «Come osate parlare a una somma sacerdotessa con una tale insolenza?».

    Doum’wielle fu stupita di vedere il padre arretrare di un passo, chiaramente intimorito. Aveva sottovalutato la condizione sociale dell’altra e, adesso che gli era stata rivelata, non sembrava più così sicuro di sé.

    «Perdonatemi», disse con un inchino aggraziato. «Io sono…».

    «Tos’un Armgo, del Casato Barrison Del’Armgo», concluse per lui Doum’wielle. «E io sono Doum’wielle Armgo, dello stesso Casato». Si fece avanti, tenendosi pronta a colpire, con la lama rossa di Khazid’hea che scintillava rabbiosa e affamata.

    «Ci scorterete a Menzoberranzan», ordinò lei, «dove ci ricongiungeremo al nostro Casato».

    Non riuscì a capire se l’imponente sacerdotessa di fronte a lei fosse colpita o divertita.

    «Figli del Casato Barrison Del’Armgo, Menzoberranzan non governa qui», disse l’altra in tono pacato.

    Era divertita, si rese conto Doum’wielle, il che non lasciava presagire nulla di buono.

    «Ma la città di Q’Xorlarrin vi darà il benvenuto», disse la sacerdotessa, al che Tos’un emise un sospiro, e Doum’wielle si augurò che fosse un’espressione di grande sollievo.

    «Q’Xorlarrin?» chiese lui. «Il Casato Xorlarrin ha costruito una città?». Si girò a metà verso Doum’wielle e mormorò: «Mia piccola Doe, la nostra nuova vita potrebbe dimostrarsi più interessante di quanto avessi programmato».

    «Sì, il Casato Xorlarrin», rispose la sacerdotessa. «Un tempo il Terzo Casato di Menzoberranzan, e adesso il più importante. Più importante del Secondo Casato, a quanto pare».

    Il modo in cui lei lo disse parve far sparire la speranza dal volto del padre, notò Doum’wielle.

    «Tos’un Armgo», disse una voce maschile alle loro spalle. Doum’wielle e Tos’un si voltarono contemporaneamente e videro un drow che fluttuava nell’aria appena oltre la sporgenza. Doum’wielle si mosse come se volesse colpirlo con la magia, ma il padre l’afferrò per un braccio e la trattenne. Quando lei lo guardò, comprese che considerava entrambi chiaramente sconfitti.

    «Tsabrak?» chiese lui.

    Il mago fluttuante rise e si inchinò, il che parve quasi ridicolo mentre era là sospeso a mezz’aria.

    «Un amico?» bisbigliò Doum’wielle speranzosa.

    «I drow non hanno amici», rispose Tos’un sempre bisbigliando.

    «Proprio così», concordò Tsabrak Xorlarrin. «E tuttavia, vi ho reso un grande servizio, e probabilmente vi ho salvati da un’esecuzione sommaria». Indicò verso il basso, sotto di sé, e Doum’wielle e Tos’un ardirono avvicinarsi un po’ per guardare oltre la sporgenza, e videro che i due guerrieri drow che avevano scaraventato giù erano rimasti bloccati, salvati, da una magica ragnatela tesa vicino al fondo pieno d’acqua della caverna.

    «Mia cugina, la figlia maggiore della Matrona Zeerith, è stata solo di recente dotata, per volere della dea, di un quarto serpente, ed è ansiosa di servirsene, immagino. Berellip non è famosa per mostrare misericordia nei confronti di coloro che uccidono gli Xorlarrin».

    «Forse, in tal caso, non dovrebbe mandare gli Xorlarrin ad attaccare i figli del Casato Barrison Del’Armgo!» replicò Doum’wielle in tono perentorio. Tos’un ansimò e fece per fermarla, e in effetti, lei evitò di proseguire.

    Ma solo perché i quattro serpenti della potente frusta di Berellip la morsero sulla schiena a causa della sua impudenza.

    Khazid’hea gridò a Doum’wielle di vendicarsi, ma il veleno e il dolore glielo impedirono, facendola cadere sulle ginocchia.

    E così aveva avuto inizio la sua lezione.

    Parte 1

    Insieme nell’oscurità

    La gente cambia davvero?

    Ho riflettuto su questa domanda così tante volte nel corso degli ultimi decenni, e la cosa mi è sembrata alquanto toccante quando mi sono imbattuto di nuovo in Artemis Entreri, sorprendentemente vivo, visto che era trascorso un secolo.

    Ero arrivato al punto di viaggiare con lui, di fidarmi di lui, addirittura; il che significa che ero giunto a credere che lui fosse cambiato?

    In verità, no. E adesso che le nostre strade si sono di nuovo divise, non credo che ci fosse in lui una differenza fondamentale, paragonandolo all’Entreri al fianco del quale avevo combattuto nella Città Sotterranea di Mithral Hall quando ero ancora nelle mani dei duergar, o all’Entreri che avevo inseguito a Calimport quando aveva rapito Regis. Fondamentalmente, lui è lo stesso uomo, come io, fondamentalmente, io sono lo stesso drow.

    Una persona può imparare e crescere, e in tal modo reagire diversamente a una situazione che si ripete… questa è la speranza che nutro per tutti, per me stesso, e persino per le varie comunità. L’unica ragione per cui dobbiamo acquisire esperienza non è forse quella di fare delle scelte più sagge, di placare gli istinti distruttivi, di trovare soluzioni migliori? In questo senso, sono convinto che Artemis Entreri sia un uomo diverso, più restio a servirsi del pugnale per risolvere alcune questioni, sebbene non sia meno micidiale quando si trova nella necessità di farlo. Ma fondamentalmente, per quanto riguarda ciò che ha nel cuore, lui è lo stesso.

    So che questo vale anche per me, sebbene, ripensandoci, io abbia seguito un percorso molto diverso durante questi ultimi anni, rispetto a quello che avevo volutamente seguito per la maggior parte della mia vita. L’oscurità si era impossessata del mio cuore, lo devo ammettere. Con la perdita di tanti cari amici era giunta anche la perdita della speranza e perciò mi ero arreso al percorso più facile… sebbene mi ripromettessi quasi ogni giorno di evitare che un viaggio così cinico diventasse la strada di Drizzt Do’Urden.

    Fondamentalmente, però, non sono cambiato, e perciò quando mi sono confrontato con la realtà di quella strada buia, quando è giunto il momento di riconoscere il percorso che stavo seguendo di fronte a me stesso, mi è diventato impossibile proseguire.

    Non posso dire che mi mancano Dahlia, Entreri e gli altri. Di certo il cuore non mi grida di andare a cercarli, ma non sono così sicuro di poter sostenere di avere deciso per caso di separarmi, non fosse stato per il ritorno di quegli amici che mi sono così cari! Come posso rimpiangere di essermi separato da Dahlia quando il bivio sulla nostra strada mi portava direttamente tra le braccia di Catti-brie?

    E così mi trovo qui, nuovamente accanto ai Compagni di Mithral Hall, riunito agli amici più cari e sinceri che abbia mai avuto, e possa mai sperare di avere. Sono cambiati? I loro rispettivi viaggi attraverso il regno della morte hanno portato a questi quattro amici una nuova serie di principi guida che mi lasceranno profondamente deluso quando mi troverò ancora una volta insieme a loro?

    Questo è un timore che nutro, ma dal quale cerco di non farmi condizionare.

    Poiché le persone fondamentalmente non cambiano, o così almeno credo. Il calore dell’abbraccio di Catti-brie mi fa credere di avere ragione. Il sorrisetto malizioso di Regis (persino con i baffi e la barbetta a punta) è qualcosa che ho visto in precedenza. E il grido di Bruenor quella notte sotto le stelle sulla cima del Monte Kelvin, e il modo in cui aveva reagito a Wulfgar… già, quello era Bruenor, fedele alle sue ossa massicce e alla sua testa dura!

    Ciò detto, in questi primi giorni insieme, ho notato un cambiamento nel modo di comportarsi di Wulfgar, lo devo ammettere. C’è in lui una leggerezza che non avevo notato in precedenza, e – stranamente, devo dire, dato che mi avevano parlato della sua riluttanza a lasciare Iruladoon per tornare di nuovo nel mondo dei mortali – un sorriso che non sembra mai abbandonargli il viso.

    Ma lui è Wulfgar, questo è certo, l’orgoglioso figlio di Beornegar. Ha avuto una qualche illuminazione, sebbene io non sappia dire in quale modo. Illuminato e alleggerito. Non vedo alcun fardello gravare su di lui. Vedo divertimento e gioia, come se lui considerasse tutto questo una splendida avventura da vivere in un tempo preso a prestito, e io non posso negare la bontà di questo modo di vedere!

    Sono tornati. Siamo tornati. I Compagni di Mithral Hall. Non siamo com’eravamo un tempo, ma i nostri cuori rimangono gli stessi, il nostro intento condiviso; la nostra fiducia reciproca è intatta e perciò illimitata.

    Sono molto felice di questo!

    E stranamente (e anche in modo sorprendente), non provo alcun rimpianto per gli ultimi anni del mio viaggio attraverso una vita confusa, spaventosa e al tempo stesso magnifica. Il tempo trascorso con Dahlia, e soprattutto con Entreri, è stato un periodo di apprendimento, devo credere. Vedere il mondo attraverso una cinica prospettiva non mi ha riportato indietro ai giorni della mia gioventù a Menzoberranzan, e pertanto imprigionato nell’oscurità, ma mi ha piuttosto offerto una comprensione più profonda delle conseguenze di una scelta, poiché mi sono liberato dal cinismo prima ancora di sapere quale destino mi attendeva in cima al Picco di Bruenor.

    Non sono così egocentrico da credere che il mondo che mi circonda sia stato creato per me! Tutti noi, a volte, facciamo questi giochetti, immagino, ma in questo caso concederò a me stesso un momento di presunzione, e vedrò la riunione dei Compagni di Mithral Hall come una sorta di ricompensa. Dare qualunque nome si voglia agli dei e alle dee, al destino, alle coincidenze e ai cambiamenti che fanno procedere il mondo lungo il suo percorso non ha importanza. In questo caso specifico, ho scelto di credere in un tipo speciale di giustizia.

    In effetti, si tratta di un’affermazione sciocca ed egoistica, lo so.

    Ma mi fa sentire bene.

    Drizzt Do’Urden

    Capitolo 1

    L’attempata

    Matrona Baenre

    Alla Matrona Madre Quenthel Baenre quello sembrava soltanto un giorno come un altro, mentre si apprestava alle preghiere della sera. Il suo stupendo abito nero, dai merletti simili a fluenti ragnatele, le volteggiava intorno mentre procedeva con andatura regale attraverso la navata centrale, superando le sacerdotesse di rango inferiore, ferme ai numerosi altari laterali della Cappella del Casato Baenre. Il minimo alito di vento faceva svolazzare le estremità merlettate di quell’abito, conferendole un aspetto etereo e ultraterreno.

    L’unica sorella ancora viva di Quenthel, Sos’Umptu, la prima sacerdotessa del Casato e custode della cappella, quella sera l’aveva preceduta e se ne stava là inginocchiata e prostrata a faccia in giù sul pavimento di pietra. Mentre si avvicinava, Quenthel meditò su quell’immagine, notando che Sos’Umptu teneva gli avambracci e le mani distesi sul pavimento, sopra la testa, rivolti verso l’altare, come in una posizione di supplica quasi per chiedere perdono, e non nella postura per le preghiere quotidiane tipica delle principali sacerdotesse del suo rango. Una sacerdotessa del grado di Sos’Umptu raramente assumeva un atteggiamento così umile e supplichevole.

    Quenthel si avvicinò quel tanto che bastava per sentire la preghiera salmodiata dalla sorella, e si rese conto che, in effetti, si trattava di una richiesta di perdono, e anche alquanto disperata. La matrona madre continuò ad ascoltare nella speranza di cogliere qualche indizio riguardo al motivo per cui Sos’Umptu stava chiedendo scusa, ma non colse nulla di particolare.

    «Sorella cara», disse, quando finalmente l’altra interruppe quel suo febbrile salmodiare.

    La prima sacerdotessa alzò la testa e si voltò a guardarla.

    «Supplica», le bisbigliò in tono pressante. «Subito!».

    Il primo impulso di Quenthel fu di tentare di colpire Sos’Umptu per il suo tono irrispettoso e per avere osato ordinarle di fare qualcosa. Portò persino la mano alla sua frusta dalla testa di serpente, dove i cinque rettili senzienti continuavano a dimenarsi nella loro eterna danza. Ma quando impugnò l’arma, rimase stupita perché persino K’Sothra, il più assetato di sangue dei serpenti, la dissuase dal compiere quell’atto… e accadeva davvero di rado che K’Sothra consigliasse di fare qualcosa che non fosse colpire!

    Ascoltala, mormorò Hsiv, il serpente che era solito dare consigli.

    Sos’Umptu è devota, concordò Yngot.

    Nell’udire i consigli dei serpenti, la matrona madre si rese conto che solo una questione di estrema importanza poteva indurre la sorella a comportarsi in modo così irriverente. Dopo tutto, Sos’Umptu assomigliava molto a Triel, la loro defunta sorella maggiore, una persona riservata e avveduta.

    La matrona madre si tirò indietro l’abito e si inginocchiò accanto alla prima sacerdotessa, faccia a terra e con le braccia tese in totale abbandono.

    Udì immediatamente le grida – gli strilli in effetti –, il clamore dissonante dei demoni e della stessa Lady Lolth, pieni di oltraggio e di veleno.

    C’era qualcosa che non andava, chiaramente.

    Quenthel tentò di riflettere sulle varie possibilità. Menzoberranzan rimaneva in una situazione precaria, così come la maggior parte del Toril, mentre il mondo proseguiva nella sua fase di riallineamento, dopo la fine della Devastazione della Magia, circa cinque anni prima. Ma Quenthel era convinta che la città dei drow se la fosse cavata bene durante quel periodo. Il Casato Xorlarrin, il terzo Casato di Menzoberranzan, insieme a quello dei Baenre, aveva creato una solida base nel complesso dei nani che in precedenza era conosciuto come Gauntlgrym, e che ben presto avrebbe assunto il nome di Q’Xorlarrin. La grande e antica Fucina, alimentata nientemeno che dal fuoco di un primordiale, era tornata in attività, e armi dalle lame affilate e sature di una potente magia avevano iniziato a ricomparire a Menzoberranzan. La nuova città gemella era parsa così solida che la stessa Matrona Zeerith Xorlarrin aveva cominciato a fare preparativi per il viaggio e aveva chiesto al consiglio esecutivo che approvasse il nome Q’Xorlarrin per il nuovo insediamento che sarebbe diventato la sede permanente del suo potente Casato.

    Sostituire quel Casato nel Consiglio degli Otto si sarebbe di certo dimostrato complicato, come succedeva sempre quando i Casati di rango inferiore ai primi otto vedevano una possibilità di salire di grado, ma Quenthel era convinta di poter controllare la situazione.

    Anche la Bregan D’aerthe stava prosperando, grazie all’espansione dei rapporti commerciali dentro e fuori Menzoberranzan. Sotto la guida di Kimmuriel e Jarlaxle, i mercenari erano giunti a dominare in modo discreto la città di superficie di Luskan, in maniera tale da non destare la curiosità o la rabbia dei signori dei regni circostanti, in particolare della potente città di Waterdeep.

    La matrona madre scosse impercettibilmente il capo. Le cose a Menzoberranzan funzionavano abbastanza bene sotto il suo comando. Forse quelle grida erano causate da qualcos’altro. Tentò di estendere la sua attenzione oltre la portata dei tentacoli di Menzoberranzan.

    Ma l’improvviso strillo nella sua testa non lasciava dubbi circa il fatto che quella sera la rabbia di Lolth era focalizzata… e concentrata direttamente sul Casato Baenre, o perlomeno su Menzoberranzan. Dopo aver accettato per un bel po’ quel rimprovero telepatico, Quenthel drizzò il busto, rimanendo però in ginocchio e indicando a Sos’Umptu di fare altrettanto.

    La sorella si rialzò, scuotendo il capo e mostrandosi altrettanto confusa di Quenthel.

    Il motivo della rabbia della Regina Lolth? chiesero le dita di Quenthel nel complicato linguaggio dei segni usato dai drow.

    Sos’Umptu scosse il capo con aria impotente.

    La Matrona Madre Quenthel fissò l’imponente altare, la cui pala rappresentava una gigantesca figura simile a quella di un drider. Le otto zampe da ragno erano piegate sotto il corpo come se fosse accovacciato, e sostenevano la testa e il busto di una femmina drow, la bella immagine della dea Lolth in persona. Quenthel chiuse gli occhi e ascoltò di nuovo, poi si lasciò ricadere a faccia in giù sul pavimento in un gesto di supplica.

    Ma le grida sembravano non avere un epicentro.

    Quenthel si rimise lentamente in ginocchio non meno confusa o preoccupata. Incrociò le braccia sul petto e si dondolò lentamente, in cerca di una spiegazione. Posò la mano sull’arma senziente, ma stranamente, i serpenti rimasero in silenzio.

    Alla fine alzò le mani e, sempre col linguaggio dei segni, disse alla sorella: Recati alla Arach-Tinilith e recupera Myrineyl!

    «Sorella?» ardì chiedere apertamente Sos’Umptu. Arach-Tinilith, la scuola di formazione delle sacerdotesse drow, era la più importante delle accademie drow situate nella caverna di Tier Breche. Le altre due erano la Melee-Magthere, la scuola per guerrieri, e la Sorcere, quella per giovani maghi talentuosi.

    Quenthel rivolse a Sos’Umptu un’occhiata minacciosa.

    Dovrei ritirarmi nel Tempio di Quarvelsharess, dissero le dita di Sos’Umptu, muovendosi rapidamente e riferendosi alla grande cattedrale pubblica di Menzoberranzan, nella creazione della quale lei aveva svolto un ruolo importante e dove prestava servizio come somma sacerdotessa. Ho visitato solo la Cappella Baenre, così da non essere in ritardo per le preghiere della sera.

    La sua osservazione fece capire alla matrona madre che Sos’Umptu riteneva che la questione non riguardasse solo il Casato Baenre, ma tutta quanta Menzoberranzan, il che probabilmente era vero. Ma Quenthel non aveva intenzione di consentire che il suo Casato diventasse in qualche modo vulnerabile.

    No! Replicarono semplicemente le dita di Quenthel. Lei vide la delusione comparire sul viso di Sos’Umptu, e capì che si trattava più del fatto di dover fare una deviazione per recarsi alla Arach-Tinilith che del dover posticipare il suo ritorno all’amato Tempio di Quarvelsharess. Sos’Umptu non era amica di Myrineyl, la figlia maggiore di Quenthel, dopo tutto! Ora che la giovane era in procinto di conseguire il diploma presso la Arach-Tinilith, correva già voce di una prevista battaglia tra lei e Sos’Umptu per aggiudicarsi il titolo di Prima Sacerdotessa del Casato Baenre, una tra le posizioni più ambite nella città dei drow.

    Lavorerai con Myrineyl, spiegò Quenthel muovendo le mani, per poi aggiungere a voce alta: «Convoca una yochlol, in quel tempio. Sentiremo il richiamo di Lady Lolth e risponderemo alle sue richieste».

    Le parole della matrona madre suscitarono un notevole interesse tra le occupanti della cappella, e molte sacerdotesse la guardarono, o addirittura si alzarono in piedi. Convocare una yochlol non era cosa da poco, in fin dei conti, e la maggior parte delle persone presenti non aveva mai visto una delle Ancelle di Lolth.

    La matrona madre osservò le occhiate che si scambiavano le sacerdotesse di rango inferiore, il viso atteggiato a un’espressione piena di timore e di eccitazione.

    «Scegli metà delle sacerdotesse del Casato Baenre per assistere all’evento», disse la matrona madre mentre si alzava. «Fa’ in modo che si guadagnino quel posto». Spinse indietro lo strascico dell’abito ornato di merletti a forma di ragnatela e si allontanò con incedere regale, quasi fosse una roccia di forza e sicurezza.

    Dentro di sé, tuttavia, la matrona madre provava una certa agitazione, e le grida di Lolth le echeggiavano nella mente. In qualche modo, qualcuno aveva sbagliato, e anche parecchio, e le punizioni di Lolth non erano mai da sottovalutare.

    Forse avrebbe dovuto prendere parte alla convocazione, pensò, per poi scartare rapidamente l’idea. Lei era la Matrona Madre del Casato Baenre, dopo tutto, l’indiscussa governante della città di Menzoberranzan. Non avrebbe richiesto l’incontro con una yochlol, e si sarebbe limitata ad accettare l’invito di una di esse, se si fosse giunti a quel punto. Tra l’altro, le somme sacerdotesse potevano fare appello a una delle ancelle di Lolth solo in caso di emergenza, e Quenthel non era del tutto sicura che la situazione fosse così grave. Perché, se non lo era, la convocazione avrebbe suscitato il disappunto di Lolth, ragion per cui era meglio che lei non facesse parte del gruppo!

    Per il momento, decise, si sarebbe incontrata con quello che credeva essere l’unico altro suo parente sopravvissuto, l’Arcimago di Menzoberranzan, suo fratello Gromph, per scoprire cosa sapesse.

    Gromph Baenre, il figlio maggiore della grande Yvonnel del Casato Baenre, figurava come il più anziano drow vivente di Menzoberranzan, e da parecchio tempo si era conquistato la fama di arcimago al servizio della città da più tempo. La sua carica risaliva non solo al periodo antecedente alla Devastazione della Magia, ma anche al Periodo dei Disordini, e di secoli! Si diceva che riuscisse a tirare avanti semplicemente tirando a campare, ben sapendo qual era il suo posto, poiché sebbene la sua posizione gli consentisse una notevole libertà all’interno di Menzoberranzan, indiscutibilmente come il drow maschio più potente della città, lui restava, dopo tutto, semplicemente un drow maschio.

    Perciò, in teoria, ogni matrona madre e ogni somma sacerdotessa lo superavano di grado. Erano più vicine a Lolth, e la Regina Ragno regnava su tutti loro.

    Molte sacerdotesse di grado inferiore avevano testato la validità di quella teoria mettendosi contro Gromph nel corso dei secoli.

    Ed erano morte tutte quante.

    Persino la stessa Matrona Madre Quenthel era solita bussare con delicatezza e gentilezza alla porta della stanza privata dell’arcimago a Casa Baenre. Lei avrebbe potuto comportarsi in modo più energico e appariscente se Gromph si fosse trovato nella sua residenza alla Sorcere, ma lì a Casa Baenre, non poteva permetterselo. Quenthel e Gromph, fratelli, si comprendevano a vicenda, non si amavano molto, ma di certo avevano bisogno l’una dell’altro.

    Il vecchio mago si alzò rapidamente e si produsse in un rispettoso inchino quando Quenthel entrò nella stanza.

    «Non ti aspettavo», disse, poiché in effetti i due trascorrevano ben poco tempo insieme, e di solito questo accadeva solo quando lei lo convocava ufficialmente.

    Quenthel chiuse la porta e fece segno al fratello di sedersi. Lui notò il suo nervosismo e la guardò con aria maliziosa. «Ci sono novità?».

    Quenthel prese posto di fronte all’arcimago, dall’altra parte della grande scrivania, tutta cosparsa di pergamene, sia arrotolate sia aperte, con intorno un centinaio di bottigliette di inchiostri di diverso colore.

    «Parlami della Devastazione della Magia», ingiunse Quenthel.

    «È finita, per fortuna», rispose lui con una scrollata di spalle. «La magia è tornata ad essere com’era, la Trama è rinata, e anche gloriosamente».

    Quenthel lo fissò incuriosita. «Gloriosamente?» chiese, riflettendo su quella strana scelta di parole, una scelta che sembrava persino più strana, considerato il tipico comportamento di Gromph.

    Lui scrollò di nuovo le spalle come se la cosa non avesse importanza, in modo da scoraggiare la sorella ficcanaso. Per una volta, considerando ciò che aveva fatto Lady Lolth, quella situazione non la riguardava. Per una volta, i maghi maschi di Menzoberranzan erano stati preferiti dalla Regina Ragno a scapito delle prepotenti discepole di Arach-Tinilith. Gromph sapeva che agli occhi di Lolth quel suo momento di superiorità a scapito di Quenthel sarebbe stato breve, ma intendeva aggrapparvisi il più a lungo possibile.

    Quenthel socchiuse gli occhi, e Gromph soffocò un sorriso, consapevole che la sua apparente indifferenza riguardo a quei giochi divini di certo irritava la sorella.

    «La Regina Ragno è adirata», disse Quenthel.

    «Lei è sempre adirata», replicò Gromph, «altrimenti ben difficilmente potrebbe essere considerata una regina demoniaca!».

    «Le tue facezie non sono passate inosservate, e verranno riferite», lo mise in guardia Quenthel.

    Gromph si produsse in un’altra scrollata di spalle. Poteva a malapena impedirsi di ridere. Uno di loro due avrebbe presto rivelato non poche verità riguardo alla Regina Ragno, lui lo sapeva, ma con grande stupore di Quenthel, non sarebbe stata lei a farlo.

    «Tu credi che la sua rabbia attuale riguardi la Trama? La fine della Devastazione della Magia?» chiese lui, dato che non riusciva a resistere. Si immaginò l’espressione che avrebbe assunto Quenthel quando le fosse stata rivelata la verità, e dovette mettercela tutta per non scoppiare in una sonora e beffarda risata. «Cinque anni, è durata… un tempo non così lungo agli occhi di una dea, ma comunque…».

    «Non farti beffe di lei», lo ammonì Quenthel.

    «Certo che no. Sto solo cercando di capire…».

    «Lei è adirata», lo interruppe Quenthel. «Sembrava un grido senza una precisa motivazione, dissonante, un grido di frustrazione».

    «Lei ha perso», disse Gromph in tono pratico, mettendosi a ridere davanti all’occhiata minacciosa di Quenthel.

    «Non è per quello», replicò sicura la matrona madre.

    «Sorella cara…».

    «Matrona madre», lo corresse seccamente lei.

    «Temi che la Regina Ragno sia adirata con te?» proseguì Gromph.

    Quenthel si appoggiò allo schienale della sedia e lasciò vagare lo sguardo nel vuoto, riflettendo sulla domanda molto più a lungo di quanto Gromph si aspettasse… così a lungo, in effetti, che l’arcimago tornò a concentrarsi sul proprio lavoro, cominciando a scrivere su una nuova pergamena.

    «Con noi», decise Quenthel qualche tempo dopo, e Gromph la guardò incuriosito.

    «Con noi? Con il Casato Baenre?».

    «Menzoberranzan, forse». Quenthel agitò la mano con aria altezzosa, chiaramente agitata. «Ho affidato a Sos’Umptu e a mia figlia il compito di chiamare un’ancella, in modo da poter avere delle risposte più chiare».

    «Quindi ti prego di dirmi, cara sorella» – Gromph incrociò le mani sulla scrivania davanti a sé, fissando Quenthel e rivolgendosi volutamente a lei in quel modo poco formale – «perché hai deciso di disturbarmi mentre lavoro?».

    «La Devastazione della Magia, la Trama», replicò la matrona madre, agitando di nuovo la mano.

    «No, non è questa la ragione», disse il vecchio arcimago. «Il fatto è, Quenthel, che credo tu sia spaventata».

    «Osi parlarmi in questo modo?».

    «Perché non dovrei, cara sorella?».

    Quenthel balzò su dalla sedia, spingendola indietro. I suoi occhi lampeggiavano indignati mentre lo correggeva di nuovo, pronunciando con rabbia ogni sillaba: «Matrona madre».

    «Sì», disse Gromph. «Matrona Madre di Menzoberranzan». Si alzò

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