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Maestro: Il ritorno
Maestro: Il ritorno
Maestro: Il ritorno
E-book517 pagine9 ore

Maestro: Il ritorno

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Info su questo ebook

Drizzt sta tornando a casa, ma non a Mithral Hall o nella Valle del Vento Gelido. Sta andando a Menzoberranzan, lo stesso luogo che ha lasciato da giovane drow emarginato. Qualcosa di terribile, immenso, indicibile, è arrivato nella Città dei Ragni, lasciando dietro di sé morte e distruzione.
Mentre la devastazione dell’Oscuramento, della guerra e di un Buio Profondo flagellato dai demoni si diffonde nel Nord, causando danni irreparabili, Drizzt e i suoi compagni si ritrovano ancora in pericolo.
Quando il primordiale di Gauntlgrym si risveglia, Catti-brie e Gromph si avventurano fino alle rovine della Torre dell’Arcano a Luskan, alla ricerca dell’unico potere in grado di tenere sotto controllo la bestia.
Nel frattempo, Jarlaxle tesse i suoi intrighi, orchestrando un capolavoro di manipolazione che riunisce i vecchi nemici e fa a pezzi i vecchi amici. Ma anche l’astuto e intraprendente Jarlaxle potrebbe non rendersi conto di quanto sia stretto il sentiero che percorre. La Città dei Ragni potrebbe essere già caduta in mano ai demoni e al loro malvagio principe. I demoni si fermeranno qui?
LinguaItaliano
EditoreArmenia
Data di uscita27 mag 2022
ISBN9788834436486
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    Anteprima del libro

    Maestro - R.A. Salvatore

    Preludio

    «P er le gambe pelose di Lolth!» esclamò Braelin Janquay, incredulo, scuotendo il capo di fronte all’autentico massacro che stava avvenendo davanti a lui.

    Centinaia di migliaia di demoni si erano accalcati in una caverna circolare appena fuori dalla città, nelle Strade del Maestro, l’insieme di vaste gallerie che costituiva l’ingresso principale di Menzoberranzan.

    Maghi e sacerdotesse drow erano allineati lungo le pareti della caverna. Il bombardamento di magia che si stava abbattendo sulle forze Abissali superava qualunque cosa Braelin avesse mai immaginato, e tanto meno visto. Un centinaio di saette fendette l’aria con un analogo torrente di sfere di fuoco. Magiche tempeste bombardarono i demoni invasori – mane simili a zombi e balgura dall’aspetto di oranghi – colpendoli, facendoli inciampare sul pavimento ghiacciato dove vennero eliminati in una nuvola di vapore mentre sfere di fuoco esplodevano sopra di loro.

    La trappola dei drow aveva prodotto un effetto devastante, ma i demoni continuavano ad arrivare.

    «Possono ucciderli tutti quanti?» chiese lo sbalordito Braelin.

    «Tieniti pronto», gli disse bruscamente Tiago. «Qualcuno riuscirà a sopravvivere, e se tu abbandoni il mio fianco, sappi che non sarò indulgente».

    Braelin fissò per qualche attimo quel parvenu di un nobile Baenre, riuscendo a nascondere il proprio estremo disprezzo. Jarlaxle e Beniago lo avevano messo in guardia riguardo al temperamento volubile e all’atteggiamento altezzoso di Tiago. Il capo dei mercenari conosceva le dinamiche interiori dei nobili Baenre meglio di chiunque altro fuori dalla più stretta cerchia familiare, e Beniago era cugino di Tiago. Tuttavia, Braelin aveva trascorso gli ultimi decenni prestando servizio nella Bregan D’aerthe: aveva vissuto più della metà dei suoi novantacinque anni con la banda di Jarlaxle, e la maggior parte fuori dalla città. Adesso, che era tornato all’ovile di Menzoberranzan, l’arroganza di Tiago, il veleno che colava dalle sue parole – e da quelle di molti altri drow, in particolare di quei nobili del Casato Do’Urden, dove Braelin adesso serviva – lo lasciavano inorridito.

    Nulla era cambiato a parte la fuga di Braelin dall’artificiosa realtà che era Menzoberranzan, e dalla percezione che ne aveva. Da giovane era così abituato a quel contesto da non farci caso, ma adesso ogni parola lo infastidiva, e gli ci voleva tutto il proprio autocontrollo per nascondere il sincero disgusto che provava di fronte all’abominevole modo di fare della sua gente.

    Le pareti della caverna continuavano a tremare a causa del bombardamento magico che si riversava sulle orde di demoni all’attacco nella cavità più grande a ovest. Un lampo accecante lasciò confusi Tiago e Braelin.

    «Ravel e la sua rete di fulmini», osservò Tiago, riuscendo a fare un cenno di approvazione malgrado l’espressione ostile sul suo volto. Ravel, in precedenza mago del Casato Xorlarrin e ora del Casato Do’Urden, si stava decisamente facendo un nome con quell’aggiunta rituale alle consuete saette. Avendo assistito personalmente alla cosa in parecchie occasioni, i due drow alla testa del fronte difensivo potevano immaginare la gran quantità di demoni che si stavano dissolvendo sotto i suoi effetti devastanti.

    Non appena Tiago ebbe finito di parlare, calò un frastuono incredibile di suoni assordanti, con il terreno che tremava ed esplosioni che echeggiavano lungo le pareti della galleria, probabilmente fino a Menzoberranzan. Persino là fuori, a un centinaio di passi dalla battaglia, Braelin poté avvertire il calore dell’esplosione magica. Egli allentò appena un poco la presa sulle spade, stentando a immaginare che qualche demone potesse uscirsene indenne da quella carneficina e dirigersi dalla sua parte.

    «A quanto sembra lo scontro magico sta giungendo al termine», aggiunse Tiago, quando quel tremore alla fine cessò. Come nelle esibizioni in tempo di festeggiamenti, i lanciatori di incantesimi amavano sempre concludere con qualche grandiosa dimostrazione.

    Braelin annuì. Ravel aveva avvertito tutti loro che la rete di fulmini avrebbe colpito quando il massacro nella caverna si fosse ridotto, e il crescendo che ne era seguito era una conferma delle sue parole. Quasi certamente, quindi, i rinforzi demoniaci si erano ridotti al minimo, e così i maghi e le sacerdotesse si erano prodotti nella loro ultima, notevole prova di forza.

    «Il massacro nella caverna sta per giungere al termine!» urlò Tiago.

    Il suo grido raggiunse ogni parte della schiera di combattenti con il peso di un ordine che non si può mettere in discussione. In quanto maestro d’armi assegnato al gruppo armato di quel giorno, Tiago deteneva il pieno comando delle forze intorno a lui, che comprendevano quasi un centinaio di soldati di fanteria e un numero dieci volte maggiore di orchi, goblin, bugbear e schiavi coboldi.

    Braelin ascoltò con attenzione mentre Tiago abbaiava ordini, facendo schierare gruppi, organizzando squadre per farle avanzare e coprire la ritirata di qualunque mago o sacerdotessa non fosse in grado di lasciare magicamente la caverna. Di certo c’erano porte dimensionali create per consentire di tornarsene all’interno della città, ma potevano essere usate solo dai lanciatori di incantesimi supplementari che erano usciti per l’imboscata. Molti degli altri, compresi gli appartenenti al Casato Do’Urden, erano stati assegnati al gruppo armato, perciò sarebbero presto tornati tra le fila sotto il comando di Tiago.

    Ciò che colpiva soprattutto Braelin riguardo al flusso di ordini di Tiago era il tono di voce del maestro d’armi, un tono dal quale si capiva che decisamente non era compiaciuto di quanto stava succedendo. Braelin aveva notato quell’insieme di imperiosità e frustrazione fin dall’inizio. Il suo compagno, Valas Hune, forse il più importante tra i ricognitori della Bregan D’aerthe, era giunto da loro alcune ore prima con la notizia dell’enorme forza demoniaca che si stava avvicinando. Quell’informazione aveva posto i fatti del giorno al di sopra delle possibilità di Tiago e richiesto una comunicazione magica con i governanti della città. La Sorcere si era svuotata di maghi, Arach-Tinilith aveva mandato tutte le sue allieve sacerdotesse, e molti tra i Casati maggiori, compreso quello dei Baenre e dei Barrison Del’Armgo, avevano mandato un gruppo dei loro migliori lanciatori di incantesimi.

    E questo costringeva Tiago a starsene là seduto nella galleria tranquilla, a stringere la spada non insanguinata, mentre nella caverna di fronte a lui veniva riportata un’importante vittoria. Braelin si stupì moltissimo vedendo con quanta disperazione quel maestro d’armi bramava combattere. E con dei demoni, per di più!

    La sua rabbia era inesorabile, e Braelin sapeva che derivava dal fatto di non essere riuscito a ottenere la testa di Drizzt Do’Urden.

    Del movimento nella galleria segnalò il ritorno dei lanciatori di incantesimi. Le sacerdotesse giunsero per prime, senza affrettarsi, confermando che il massacro nella caverna era stato quasi totale, cosa che non faceva altro che rendere più accentuato il cipiglio sul viso di Tiago. Le drow, compresa Saribel Do’Urden, moglie di Tiago, passarono oltre Tiago e Braelin e gli altri comandanti per occupare la propria posizione nella terza fila… vicine a sufficienza per offrire cure risanatrici a chiunque potesse essere ferito.

    Poi giunsero i maghi, muovendosi più rapidi, con gli ultimi intenti a lanciarsi occhiate nervose alle spalle. In testa al gruppo c’era Ravel, assieme a Jaemas Xorlarrin, che si diceva fosse il membro più recente della Corte del Casato Do’Urden. Quando raggiunsero Tiago, entrambi si fermarono, con Jaemas che indicava agli altri di posizionarsi tra i guerrieri della seconda fila.

    «Non ho mai visto un’orda del genere», disse Ravel a Tiago. «Ne abbiamo eliminati a centinaia, eppure continuavano ad arrivarne».

    «Continuavano ad arrivarne come se niente fosse!» esclamò Jaemas, dando l’impressione di essere ugualmente perplesso. «Hanno marciato senza esitare sui corpi dei loro compagni dell’Abisso, e perciò anch’essi sono stati eliminati. L’intera caverna è piena di un ammasso di gusci vuoti di demoni spediti a casa».

    Ravel fece per aggiungere qualcosa, ma poté solo scuotere il capo.

    «Ma ne sono rimasti altri?» chiese Tiago, e parve evidente a Braelin e a tutti quelli che lo stavano ascoltando che lui si augurava che la risposta fosse affermativa.

    «Dei balgura erano stati visti nelle Strade del Maestro al di là della caverna», confermò Ravel, «e stavano correndo a raggiungere i loro compagni nell’oblio».

    Braelin sospirò, tentando di mascherare la cosa con un colpo di tosse, ma comprese di non esserci riuscito quando Tiago gli lanciò un’occhiata. Aveva già combattuto contro i demoni, ovviamente, come succedeva a ogni drow cresciuto a Menzoberranzan, ma lui annoverava i balgura tra i nemici che meno gli piacevano: parevano il prodotto di uno scherzo degli dei, con quell’aspetto di grandi scimmie dai capelli color arancio e dalle membra massicce. Ogni balgura che Braelin aveva visto raggiungeva un’altezza pari alla punta delle sue dita se lui teneva le braccia tese sopra la testa, ed era quattro volte il suo peso. Tuttavia, malgrado la mole imponente e la forza bruta che la accompagnava, i balgura erano sorprendentemente agili e veloci, e sebbene anche uno solo potesse dimostrarsi un pericoloso avversario, quelle bestie urlanti che si muovevano carponi erano solite cacciare in branco e combattere con frenetica coordinazione.

    Frenetico… Braelin pensò che fosse l’aggettivo adatto per quel tipo di demoni.

    Il drow venne distolto dai propri pensieri da alcuni suoni stridenti che echeggiavano lungo le pareti della galleria.

    «Hanno visto la carneficina nella caverna», osservò Ravel. «È incredibile che non trovino alcun deterrente nell’arrampicarsi sopra mucchi di compagni morti».

    «Soldati perfetti», replicò Tiago. «È un peccato che tra le nostre file non alberghi più ferocia come la loro».

    «Non avevi altri brutti scherzi da giocare a questo gruppo?» osò chiedere Braelin. «I balgura vengono eliminati meglio con la magia che con le lame».

    Tiago lo fissò di nuovo.

    «Qualunque cosa viene smaltita meglio con la magia», replicò Ravel in tono impertinente, per poi emettere un sospiro drammatico e andarsene.

    Tiago si voltò a guardarlo mentre si allontanava, seguendo il mago con sguardo truce. «Tu sei al mio fianco solo per le garanzie date da Jarlaxle», disse Tiago a Braelin. «Si tratta forse di garanzie prive di valore? Sarebbe meglio per entrambi che io ti assegnassi un posto di secondo di qualche altro guerriero?».

    Braelin fissò a lungo il nobile figlio del Casato Baenre. Buona parte di lui avrebbe voluto accettare l’offerta, pur sapendo che non si trattava di una domanda sincera ma piuttosto di una minaccia, poiché allontanarsi da Tiago gli avrebbe portato sollievo sotto un’infinità di punti di vista.

    Ma il guerriero della Bregan D’aerthe non poteva ignorare la verità: all’interno del Casato Do’Urden non esisteva un guerriero più esperto di Tiago e, a dire il vero, ben pochi in tutta Menzoberranzan erano in grado di eguagliarne l’abilità in battaglia. Malagdorl, forse, e Jarlaxle quand’era in città, cosa che non succedeva spesso. Oltre a loro, c’erano guerrieri, maestri d’armi persino, che avrebbero servito meglio in battaglia rispetto a quel giovane villano rifatto di un nobile che gli stava accanto?

    «Certo che no», rispose, per poi prodursi in un educato inchino. «Ti mostrerò quanto valgo quando il sangue macchierà le pietre».

    Lo pensava davvero, e sapeva di doverlo pensare. Per quanto poteva dire Braelin, Tiago non lo stava tenendo vicino a sé per rendere un favore a Jarlaxle, dato che non aveva per niente una buona opinione del mercenario: Tiago lo aveva accettato come secondo perché Jarlaxle gli aveva detto che non avrebbe trovato un compagno di battaglia migliore. Adesso spettava a lui mostrarsi all’altezza di quelle aspettative.

    O forse, Braelin ricordò a se stesso, Tiago lo voleva come secondo per tenere gli occhi e le orecchie di Jarlaxle nel Casato Do’Urden, molto, molto vicino.

    Con quella inquietante possibilità in mente, Braelin ricordò esplicitamente a se stesso che, se non si comportava bene in battaglia, Tiago avrebbe trovato il modo di farlo uccidere. Forse se ne sarebbe addirittura occupato di persona, se non l’avesse fatto un balgura.

    Braelin lo comprese con chiarezza dopo avere osservato di nuovo l’espressione del viso di Tiago.

    Le grida delle bestie che si avvicinavano si fecero più forti, e lui cancellò dalla mente quel preoccupante pensiero. Non aveva spazio per dubbi del genere ora che la battaglia incombeva su di loro, e la sua vita dipendeva dalla capacità di coordinarsi che avevano lui e Tiago.

    «Moglie!» chiamò Tiago, voltandosi e facendo segno a Saribel di portarsi avanti. Si girò appena in tempo per proteggersi dietro lo scudo e bloccare con esso un balgura che gli si era lanciato contro. L’impatto del colpo lo fece barcollare all’indietro, con il demone che barcollava anch’esso e scivolava oltre il fianco di Braelin.

    Braelin sferrò un colpo con la spada che impugnava nella mano destra, mentre quella che stringeva nella sinistra avanzava per respingere l’attacco di un altro selvaggio demone dalla pelliccia color arancio.

    Il balgura alla sua destra sibilò e sputò per protesta, e la spada penetrò a fondo. Ma quel colpo apparentemente mortale non abbatté la creatura, la quale non parve nemmeno essersene accorta mentre girava intorno a Braelin.

    Ma poi giunse Tiago, uscendo da dietro il suo insolito scudo, con la magnifica spada che sferrava un colpo dall’alto per tranciare a metà la testa del demone.

    Braelin in qualche modo riuscì a respingere le mani ad artiglio del demone che aveva di fronte e a estrarre la spada dal torace del balgura che stava cadendo. Con entrambe le armi in pugno, l’esperto guerriero drow riportò rapidamente il flusso della battaglia contro la feroce bestia.

    Tiago lo raggiunse, gridando: «Avanti!».

    Braelin fu sul punto di argomentare – non aveva effettivamente alcun posto dove andare – ma la micidiale spada di Tiago uscì lampeggiando da sotto lo scudo, colpendo al fianco l’avversario di Braelin. Quella lama, che si chiamava Vidrinath, era così affilata che bastò un semplice colpo per fendere il torace del robusto demone, tranciandolo quasi a metà.

    Braelin tentò senza riuscirci di non ansimare, e poi di stare al passo mentre Tiago si lanciava verso lo sciame di demoni in arrivo persino mentre quelli si avventavano contro di lui.

    Respinse con un calcio i colpi d’artiglio della bestia morente e si appoggiò su un ginocchio, sferrando un doppio attacco con la spada per raggiungere il balgura che si era gettato su di lui con un balzo. Il demone atterrò e barcollò, scivolando sui piedi lacerati, diventando una facile preda per i guerrieri drow della fila successiva.

    Decisamente compiaciuto per l’astuta manovra, Braelin ricominciò ad avanzare. Ma poi, nel notare i movimenti di Tiago Baenre Do’Urden, non si sentì così compiaciuto di se stesso, e quasi dimenticò che la battaglia incombeva su di lui. Il nobile drow stava facendo ben più che eguagliare semplicemente la ferocia dei selvaggi avversari. Lui balzava in ogni direzione, colpendo con il favoloso scudo mani che tentavano di artigliarlo e fauci che tentavano di azzannarlo, togliendo la vita a un demone dopo l’altro con la magnifica spada.

    Occupato a contrastare ancora una volta l’attacco di un demone, Braelin perse di vista i combattimenti di Tiago. Dopo che il suo balgura fu finalmente morto, gli ci volle un po’ per individuare e osservare la macchia confusa intenta a balzare qua e là e a combattere che era Tiago. Scosse il capo incredulo rendendosi conto che per ogni attaccante bloccato da Tiago, subito uno o più altri riuscivano a farsi strada.

    Uno squarcio si aprì sul braccio di Tiago, che rischiò di perdere la presa su Vidrinath, ma la ferita si rimarginò quasi nel momento stesso in cui comparve.

    Braelin si voltò a guardare la moglie di Tiago, la Somma Sacerdotessa Saribel, e la vide occupata a lanciare un flusso continuo di incantesimi. Ondate di magia guaritrice trasmesse da Lolth fluivano verso il nobile figlio del Casato Baenre, suo unico obiettivo.

    Ed era evidente che Tiago confidasse in lei, dato che si era lasciato dietro il compagno per lanciarsi temerariamente in mezzo ai feroci nemici. Se Saribel l’avesse lasciato morire, la Matrona Madre Quenthel Baenre non sarebbe stata clemente.

    Quella constatazione, e la comprensione che Tiago aveva programmato quel momento molto tempo prima, portò un pensiero inquietante nella mente di Braelin. Tiago non aveva certo bisogno di averlo al fianco come protezione, ma lui poteva dire lo stesso? Lui non poteva contare su una somma sacerdotessa che lo seguiva per dispensargli cure illimitate.

    E sebbene adesso lui appartenesse al Casato Do’Urden, ne faceva davvero parte? Braelin Janquay era un esponente della Bregan D’aerthe, era un servitore di Jarlaxle, fedele a Jarlaxle.

    Tiago doveva esserne a conoscenza.

    A Tiago non sarebbe importato se lui fosse morto in quella galleria fuori da Menzoberranzan.

    Avrebbe persino potuto esserne contento. Avrebbe potuto, in effetti, aver compiuto quell’attacco nella speranza di eliminare Braelin.

    Qualunque idea di eguagliare il Baenre si dissolse, e Braelin si mise sulla difensiva, lasciando che i mostri andassero da lui.

    

    Tiago rotolò di lato, finendo sopra un demone scimmiesco ingobbito, e avvertì l’esplosione di dolore quando il balgura lo morse all’anca con violenza. L’eccellente armatura antiproiettile impedì ai denti di penetrare troppo in profondità, ma il drow avvertì comunque il dolore.

    Una sofferenza acuta seguita dal piacere del calore curativo, l’abbraccio della dea.

    Si lanciò in una rollata sopra della testa del balgura, girandosi intanto che atterrava così che mentre il demone scimmiesco si voltava per aggredirlo di nuovo, la sua spada sguainata gli produsse un taglio dalla pancia alla gola. Un colpo alto di Vidrinath tranciò la testa del demone successivo.

    A quel punto, Tiago si ritrovò a ridere mentre un terzetto di quelle bestie balzava su di lui per seppellirlo sotto la propria mole, poiché, girandosi, aveva notato Braelin Janquay.

    In quel momento Braelin comprese che Tiago lo considerava sacrificabile, e si trattava di un messaggio che il giovane e impaziente maestro d’armi voleva arrivasse a Jarlaxle.

    «Bregan D’aerthe», disse con stizza, bloccato sotto il mucchio di demoni scimmieschi che artigliavano e mordevano, mentre il suo scudo – che adesso si era magicamente ingrandito fino a raggiungere il massimo del diametro – lo proteggeva dal loro attacco, e il braccio che reggeva la spada trovava dei varchi per colpire e tranciare la carne ai demoni.

    E il dolore continuò, con le mani ad artiglio e le fauci dentate che facevano presa, e il piacere della magia risanatrice di Saribel lo sommerse, e il giovane drow conobbe una vera estasi.

    

    Saribel poteva soltanto sperare che i propri instancabili e frenetici sforzi bastassero a proteggere Tiago dal profondo dolore, o persino dalla morte. Se lui fosse morto là, la sacerdotessa si sarebbe tolta la vita piuttosto che affrontare l’ira della matrona madre.

    Tiago lo stava facendo di proposito, per sottometterla. Più tardi, non avrebbe mostrato gratitudine per quegli sforzi, non ci sarebbero state parole di lode, nessun tenero apprezzamento. Lei avrebbe conosciuto solo il suo disprezzo, per sempre il suo disprezzo.

    «Fino a quando non sarò io la Matrona Madre del Casato Do’Urden», riuscì a dirsi risoluta tra un incantesimo e l’altro, per poi ringhiare quello successivo mentre annuiva con determinazione. Con pazienza e forza d’animo, lei avrebbe avuto il sopravvento.

    O forse avrebbe dovuto semplicemente lasciarlo morire, pensò per un attimo. Con quanta facilità avrebbe potuto interrompere gli incantesimi di guarigione e consentire che i demoni lo facessero a pezzi!

    Ma si trattò di un pensiero fugace, e non solo perché la sua vita sarebbe stata in pericolo se lui fosse morto. Il matrimonio con Tiago la rendeva una Baenre oltre che una Do’Urden, ed era una cosa che non avrebbe mai messo a repentaglio.

    Quel pensiero venne bloccato un attimo dopo, mentre si spargeva la voce che la matrona madre in persona era giunta sul posto.

    Saribel raddoppiò i propri sforzi, lanciando un incantesimo a ogni respiro, colmando Tiago con le benedizioni di Llolth.

    «Che cosa sta facendo quel pazzo?» sentì dire alle sue spalle, e riconobbe la voce della terribile Quenthel Baenre.

    Sfere infuocate comparvero nell’aria. Fiamme sfavillanti, più calde del fuoco dell’inferno, precipitarono in file micidiali, riducendo in cenere i demoni intorno al giovane maestro d’armi che li stava combattendo.

    Un rapido colpo di Vidrinath ne fece cadere un altro, l’ultimo che si trovava vicino a Tiago. Lui si girò d’un balzo, il viso una maschera di rabbia a causa dell’insulto subito. Ma quell’espressione mutò non appena si accorse della Matrona Madre Quenthel, che fece cenno a Braelin, ordinandogli di portarsi avanti.

    «È spericolato», mormorò la matrona madre a Saribel mentre si voltava per andarsene. «E ambizioso». Si fermò e colse lo sguardo di Saribel.

    «È geniale», aggiunse Quenthel. «E più tardi tu me lo riporterai illeso».

    Saggiamente Saribel non interruppe il lancio di incantesimi nemmeno per fare un cenno di assenso alla matrona madre.

    

    Quenthel Baenre non se ne andò magicamente da quel luogo, come ci si sarebbe aspettati da un personaggio così importante e potente, ma si limitò a scendere per le gallerie delle Strade del Maestro e tornò a Menzoberranzan, con la Faglia Uncinata alla sua sinistra e la grande caverna laterale di Tier Breche lungo la parete alla sua destra. La notizia della grandiosa vittoria si era ovviamente diffusa nelle gallerie, perciò lei voleva che la sua gente la vedesse tornare dal campo della gloria, umile e magnifica al tempo stesso.

    La sorella, la Somma Sacerdotessa Sos’Umptu Baenre, la stava aspettando nella caverna principale, come le era stato ordinato, insieme a un notevole contingente della guarnigione del Casato Baenre… grande abbastanza da scoraggiare qualunque speranza omicida potesse intrattenere qualche matrona madre intenta a complottare.

    Le Baenre vennero acclamate lungo tutto il percorso della struttura. La Matrona Madre Quenthel si crogiolò in quella gloria, ben sapendo che si trattava di festeggiamenti niente affatto superflui ma necessari sia per la reputazione del Casato che per la sua in quanto matrona madre. Per l’intero tragitto rivide i danni subiti dalla propria amata città.

    Una distruzione dovuta alla stupidità del fratello scomparso.

    Quenthel sapeva che era stato Gromph a convocare il Principe dei Demoni a Menzoberranzan, in modo del tutto inatteso.

    Adesso il mostruoso colosso se n’era andato, ma si era lasciato dietro una scia di totale distruzione. I colpi di coda di Demogorgon avevano scavato fosse nelle mura della Sorcere, facendo quasi cadere parti importanti della struttura. La bestia aveva distrutto le porte e le mura di diversi edifici, incluse quelle di due dei Casati principali, le cui matrone madri occupavano un posto nel Consiglio Direttivo.

    E Demogorgon aveva scavato una fossa, per nessun altro apparente motivo se non quello di poterlo fare, che attraversava mezza città, fino all’uscita che dava sulle terre selvagge del Buio Profondo.

    Molti drow erano stati uccisi durante gli spostamenti di quella bestia, con i massicci tentacoli di Demogorgon che si allungavano ad afferrare sventurati elfi scuri, per poi divorarli o scagliarli in aria, mandandoli a sbattere contro una stalattite o una stalagmite. Molti altri si erano cavati gli occhi, resi pazzi dallo sguardo del demone simile a un dio.

    Tutto a causa di Gromph.

    Quenthel riuscì a malapena a trattenere un grugnito.

    «C’erano demoni più grandi dei mane e dei balgura fuori nelle caverne», la informò Sos’Umptu, cosa che Quenthel aveva già sospettato.

    «Le tue sacerdotesse li hanno spiati?».

    «Nascoste al di là della caverna circolare, sì».

    «Ne hanno detto il nome?».

    Sos’Umptu annuì. «Bestie riconosciute, sì».

    «E?».

    «Gli incantesimi per cacciarle hanno fallito», ammise Sos’Umptu.

    Quenthel si fermò e fissò duramente la sacerdotessa. Sos’Umptu poté solo scrollare le spalle.

    «Avresti dovuto trovarti là tra le sacerdotesse», disse Quenthel, lasciando trasparire dalla voce una grande preoccupazione.

    «C’erano molte somme sacerdotesse in quella caverna», replicò Sos’Umptu con la sua tipica mancanza di emozioni evidenti. «I loro incantesimi sono altrettanto potenti dei miei. Sebbene conoscessero i nomi dei demoni, non hanno potuto cacciare quelle bestie».

    «Si sono sbagliate nell’identificare…».

    «No», osò interromperla Sos’Umptu. «È come temevamo, Matrona Madre. La barriera del Faerzress stesso è stata danneggiata. I demoni non possono essere cacciati».

    Quenthel si voltò verso l’imponente complesso del Palazzo Baenre, mostrando con l’espressione del viso che stava cercando di elaborare l’allarmante e pericolosa notizia.

    «Ma noi possiamo ucciderli», propose Sos’Umptu. «Quando torneremo nei tuoi alloggi, realizzerò una divinazione della caverna circolare dove ha avuto luogo gran parte della battaglia. Vedrai, Matrona Madre. Quelle bestie sono là ammucchiate con i loro gusci vuoti e distrutti».

    Quenthel la fissò incredula.

    «Abbiamo vinto!» disse Sos’Umptu, riuscendo a dare l’impressione che la cosa per lei avesse importanza. «Una gloriosa vittoria! Pochi dei nostri figli di Menzoberranzan sono stati feriti, ancora meno uccisi, e quell’orda di demoni è là ammucchiata e senza vita».

    L’espressione di Quenthel si fece ancor più incredula.

    «Un migliaio di creature dell’Abisso morte, a tuo parere?» chiese Quenthel.

    «Forse due volte quel numero», rispose Sos’Umptu.

    «Cara la mia Sos’Umptu, quelli sono demoni. Credi che nell’Abisso non ce ne siano altri?».

    

    Un’esausta Minolin Fey entrò nella stanza dei bambini nei suoi alloggi privati a Palazzo Baenre. Nel vedere una giovane donna in piedi accanto al lettino di Yvonnel barcollò e quasi cadde.

    «Chi…?» cominciò a chiedere, ma poi si bloccò, spalancando gli occhi, mentre la donna – che probabilmente non aveva ancora vent’anni – si voltò e le rivolse un sorriso compiaciuto e malvagio.

    «Non approvi, Madre?» chiese la ragazza, che in realtà era Yvonnel.

    «Come?».

    «Si tratta di un incantesimo semplice, sebbene antico», spiegò Yvonnel. «La versione di un dweomer usato dai maghi nei giorni precedenti la Devastazione della Magia, persino prima del Periodo dei Disordini. Un incantesimo stupendo, che accelera i movimenti e gli attacchi di colui che lo riceve, ma che è accompagnato da uno sconveniente – o in questo caso, conveniente – effetto collaterale che fa invecchiare colui che lo riceve come se fosse passato un anno».

    Minolin Fey stava ascoltando solo in parte la spiegazione, tutta presa com’era dall’assoluta bellezza della creatura che le stava davanti. Assoluta bellezza che andava al di là di ogni immaginazione. E una bellezza dolorosa: guardare Yvonnel significava disperarsi perché non era possibile essere bella come lei. La sua pelle brillava tanto era levigata, come se fosse fatta di raso di seta e acciaio tessuti insieme, delicata e tuttavia incredibilmente forte. Il suo tocco delicato poteva infiammare ogni nervo in chiunque lei decidesse di sedurre, stuzzicando con dolcezza persino mentre le sue dita si stringevano attorno alla gola della vittima gemente.

    «Presto», disse Yvonnel all’improvviso, e con maggiore enfasi, strappando Minolin Fey dal proprio stupore.

    «Tu… tu conosci le arti arcane?» balbettò Minolin Fey.

    La giovane donna scoppiò a ridere. «Io sono tutt’uno con la Regina Ragno, che ha tentato di fare sua la Trama. O te ne sei dimenticata?».

    «N-no», balbettò Minolin Fey, piuttosto scioccamente, e tentando di comprendere quella dichiarazione. Yvonnel sosteneva di essere tutt’uno con la Regina Ragno? Quanto erano grandi le sue ambizioni?

    «Ti senti spesso confusa», disse Yvonnel con una risatina cattiva. «Non importa, i tuoi doveri fondamentali sono ormai alle tue spalle».

    Sul suo volto si dipinse un’espressione incuriosita.

    «Sono nata, e chiaramente svezzata», spiegò Yvonnel. «Non ho bisogno di succhiare latte dal tuo seno, e nemmeno ne provo il desiderio. Non per nutrirmi, almeno».

    Il modo in cui concluse la frase fece tremare le ginocchia della somma sacerdotessa. Malgrado la nefandezza di quel pensiero, sapeva di non poter negare a Yvonnel qualunque cosa lei volesse. Minolin Fey dovette fare appello a tutta la propria forza di volontà per non prostrarsi a terra, scongiurando Yvonnel di prenderla, o di ucciderla, o di fare qualunque cosa desiderasse.

    In quel momento di terrore, non solo nei confronti di Yvonnel ma anche della propria debolezza di fronte a quella potente creatura, Minolin Fey comprese appieno l’affermazione della ragazza di essere tutt’uno con la Regina Ragno.

    Quella che aveva di fronte non era una bambina, nemmeno una pervasa dai ricordi di Yvonnel l’Eterna. No, era molto di più.

    Con una risatina ingannevolmente infantile, Yvonnel si produsse in una serie di movimenti e un dolce canto. Un lieve bagliore comparve su di lei, e i suoi capelli, che erano già folti e le arrivavano a metà schiena, divennero un po’ più lunghi e si arricciarono in fondo.

    «Ho vent’anni adesso», disse lei. «Credi che qualche giovane guerriero possa trovarmi attraente?».

    Minolin Fey avrebbe voluto rispondere che qualunque creatura vivente le sarebbe caduta ai piedi, che qualunque drow di Menzoberranzan – di tutto il mondo – non avrebbe potuto resisterle per più di un attimo.

    «Venticinque, credo», osservò Yvonnel, e Minolin Fey la guardò disorientata.

    «Venticinque anni», chiarì la ragazza. «Cerco un’età che mi fornisca il rispetto di cui ho bisogno, ma anche un’età di perfetta bellezza e sensualità».

    «Esiste forse un’età in cui tu non saresti entrambe le cose?» si udì dire Minolin Fey.

    Il sorriso di Yvonnel fece chiaramente capire alla somma sacerdotessa di essere rimasta intrappolata in quella magica rete.

    «Starai bene quando sarò una matrona madre», disse Yvonnel.

    «Io sono…» Minolin Fey provò come un grande sollievo. «Io sono tua madre», balbettò, annuendo entusiasta. «Il mio orgoglio…»

    La ragazza agitò la mano, e sebbene si trovasse dall’altra parte della stanza, lo schiaffo magico colpì Minolin Fey con una violenza tale da farla barcollare.

    «Non più», disse Yvonnel. «Quel compito è alle tue spalle e dimenticato. Tu sopravvivrai e prospererai, oppure fallirai, a seconda della tua fedeltà e utilità in futuro. Non ci penserei un attimo a distruggerti».

    Minolin Fey abbassò lo sguardo, fissando il pavimento mentre cercava un modo per uscire da quella situazione.

    E poi sentì un tocco delicato sul mento… e che tocco! Mille fuochi di piacere esplosero dentro di lei mentre Yvonnel le sollevava il viso per guardarla negli occhi. Minolin Fey temette di rimanere accecata, trovandosi così vicina a una tale bellezza.

    «Ma hai un vantaggio, Sacerdotessa», riprese la ragazza. «So di potermi fidare di te. Mostrami che posso rispettare anche i tuoi servigi, e avrai una vita stupenda a Palazzo Baenre. Una vita di lusso e di piacere».

    Minolin Fey si preparò, aspettandosi un altro schiaffo, un altro brutale monito a ricordarle che tutto quello poteva esserle rapidamente tolto.

    Ma non accadde. Anzi, Yvonnel fece correre dolcemente la punta delle dita lungo il lato del viso di Minolin Fey, e quel tocco, così incredibilmente morbido, che sollecitava meravigliosamente ogni nervo a risvegliarsi e lo ravvivava con sensazioni di puro piacere, lasciò dietro di sé una scia di estasi assoluta.

    «Vieni», disse Yvonnel. «Credo che per Quenthel sia giunto il momento di conoscere la verità riguardo a sua nipote».

    «Vorresti un incontro con la matrona madre?».

    «Tu mi procurerai quell’incontro immediatamente», rispose la ragazza. «Ti affido questo compito. Non deludermi».

    A quel punto, Minolin Fey trattenne il fiato, sentendosi in trappola. Il modo in cui Yvonnel aveva parlato chiariva benissimo che a quel compito da assolvere subito sarebbe seguita una serie infinita di altri compiti. E l’aver messo così sul personale l’ultima osservazione, in cui pregava Minolin Fey di non deluderla anziché semplicemente di portare a termine l’incarico, indicava alla somma sacerdotessa che quella pericolosa ragazza non avrebbe accettato un insuccesso.

    Quella strana figlia che aveva generato era promessa di grandi ricompense e grandi dolori, allettanti e terrificanti al tempo stesso.

    Era abbastanza brutto per Minolin Fey che in assenza di Gromph lei sopravvivesse solo per concessione della Matrona Madre Quenthel. Ma ancora peggiore era il pensiero che la sua unica possibilità di prosperare potesse essere quella figlia pericolosa, che fosse o meno la reincarnazione di Yvonnel l’Eterna o l’avatar della Dea Lolth stessa… o qualche strano miscuglio delle due.

    Pericoloso. Decisamente pericoloso.

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    «Chi stai portando nei miei alloggi privati?» chiese Quenthel quando Minolin Fey entrò nelle sue stanze a Palazzo Baenre senza essere annunciata.

    «Guarda attentamente», disse la giovane drow, alzando la mano per zittire la somma sacerdotessa, e quel gesto, persino più della sua pura bellezza, fece capire a Quenthel la verità.

    «Come… Com’è possibile?» balbettò la matrona madre.

    «Eri stata uccisa in battaglia da uno scellerato drow che è ancora vivo, e anche tu sei ancora viva», replicò la giovane donna. «Eppure mi chiedi come sia possibile avere improvvisamente qualche anno in più? Lo ritieni irrealizzabile, Zia?».

    Gli occhi di Quenthel scintillarono di rabbia di fronte all’impertinenza di essere chiamata zia di qualcuno. Lei era la Matrona Madre di Menzoberranzan!

    «Sei così scarsa nella tua comprensione della magia, sia divina sia arcana, che un fatto di così poca importanza ti sembra impossibile?» la pungolò Yvonnel, che non poté reprimere un sorrisetto malizioso nel vedere Minolin Fey restare senza fiato davanti a quell’insulto.

    «Lasciaci», disse Yvonnel alla somma sacerdotessa.

    «Rimani!» ruggì la Matrona Madre Quenthel, per nessun altro motivo se non quello di contrastare la richiesta della giovane donna spuntata dal nulla.

    Yvonnel si voltò e vide che Minolin Fey tremava per l’incertezza e l’evidente paura.

    «Vai», disse piano. «Avrò la meglio qui, e te l’assicuro, se rimani, ricorderò la tua esitazione».

    «Tu rimarrai qui», sentenziò Quenthel «oppure sentirai il flagello della matrona madre!».

    Minolin Fey si mise a piangere e a tremare davanti a quelle richieste contrastanti, e parve sul punto di andare letteralmente in pezzi.

    «Ah sì, il flagello a cinque teste di Quenthel Baenre», commentò Yvonnel. «Un’arma eccellente per una somma sacerdotessa, ma una misera bacchetta per una matrona madre. Sono certa che farò di meglio».

    Gli occhi e le narici di Quenthel si dilatarono mentre impugnava il flagello; le cinque teste di serpente della frusta, ciascuna imbevuta dell’essenza vitale di uno spiritello, oscillarono bramose e affamate.

    Yvonnel rise di lei e disse a Minolin Fey di andare.

    Ancora a una decina di passi di distanza, Quenthel prese dalla cintura l’altra sua arma – un martello magico – e con un grugnito la agitò intorno a sé.

    Un’immagine di quel martello comparve nell’aria dietro a Minolin Fey mentre si voltava; il martello la colpì alla spalla, facendola cadere. Là a terra, appoggiandosi sulle mani e sulle ginocchia, lei non poté fare a meno di guardare Quenthel, cosa che fece anche Yvonnel.

    «Non ti avevo dato il permesso di colpirla», disse la ragazza in tono pacato.

    Con un grugnito, Quenthel si apprestò a colpire di nuovo, con più forza. Yvonnel incrociò le braccia di fronte a sé e le tese poi in fuori agitandole. Di nuovo il martello comparve, questa volta puntando verso la faccia di Yvonnel. Ma nello scendere, l’immagine spettrale andò a colpire una sfera scintillante che la ragazza aveva creato, e dopo averla attraversata, ne uscì di fronte a Quenthel, che gridò quando il proprio colpo violento la raggiunse in pieno viso facendola barcollare e cadere all’indietro.

    Senza nemmeno preoccuparsi di rialzarsi, Minolin Fey procedette carponi, emettendo strani suoni simili a dei miagolii lungo tutto il percorso fino alla porta. Dopo essere uscita, sbatté la porta dietro di sé.

    «Come osi!» gridò Quenthel, tentando a fatica di rialzarsi, con il sangue che le colava da una narice e da un lato della faccia.

    «Come oso? Pensi che si tratti di un semplice trucco?».

    «Una qualche distorsione dimensionale dello spazio», dichiarò Quenthel, con il sangue che le colava a ogni parola.

    «Contro un martello spettrale?» ribatté incredula la ragazza. «Tu non capisci chi sono?».

    Quenthel trovò un appoggio solido e alzò il flagello con le teste di serpente, rimettendosi il martello nella cintura, quindi avanzò, grugnendo a ogni passo.

    Yvonnel si portò le mani sui fianchi, con aria stizzita, poi scosse il capo e sospirò.

    «Si deve davvero giungere a questo?».

    «Sei un abominio!» replicò Quenthel.

    «Hai dimenticato così in fretta la Festa della Fondazione nel Palazzo di Byrtyn Fey?».

    Questo fermò l’avanzata della matrona madre, la quale rimase là, improvvisamente incerta, guardandosi intorno.

    Adesso entrambe conoscevano la verità.

    «Non hai forse detto a tuo fratello di sposare Minolin Fey così che io nascessi nel Casato Baenre e ne facessi parte?» chiese Yvonnel. «Mi hai persino dato il nome, vero? Oh sì, tranne che tu eri stata istruita in tal senso. Yvonnel l’Eterna, nata un’altra volta per essere colei che ti sarebbe succeduta, vero?».

    Adesso era Quenthel a cercare una via di fuga.

    «Ed eccomi qui».

    «Tu sei una bambina».

    «Lo sono, nel corpo».

    «No!» insistette Quenthel. «Non adesso, non ancora! Non sei abbastanza anziana… persino con la tua magica crescita fisica, tu hai soltanto la metà degli anni necessari a iniziare l’addestramento nell’Arach-Tinilith».

    «L’addestramento?» saltò su Yvonnel con una risata incredula. «Cara Quenthel, chi in questa città mi addestrerà?».

    «Che tracotanza!» sbottò Quenthel, sebbene non ci fosse molta convinzione in quel ruggito.

    «Yngoth è il più saggio tra i serpenti del tuo flagello», disse Yvonnel. «Coraggio, Somma Sacerdotessa, chiediglielo».

    «Somma Sacerdotessa?» gridò Quenthel per protesta. Si fece avanti, accorciando le distanze, alzando il flagello per colpire.

    «Somma Sacerdotessa Quenthel», fu la risposta, ma non data da Yvonnel: proveniva da una delle teste del flagello, da Yngoth.

    Quenthel guardò il serpente con aria attonita.

    «Lei si crede matrona madre», spiegò Yvonnel al serpente. «Dille la verità».

    Yngoth morse Quenthel al viso.

    Lei arretrò barcollando, tentando di capire cosa stesse succedendo, ma non fu abbastanza rapida da rendersi conto del terribile rischio che stava correndo. Yngoth la morse di nuovo, e nel frattempo, anche gli altri quattro serpenti del flagello affondarono le

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