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Lost Tales: Sword&Sorcery n°4 - 4 Febbraio 2022
Lost Tales: Sword&Sorcery n°4 - 4 Febbraio 2022
Lost Tales: Sword&Sorcery n°4 - 4 Febbraio 2022
E-book297 pagine4 ore

Lost Tales: Sword&Sorcery n°4 - 4 Febbraio 2022

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Info su questo ebook

Saggi e interviste

  • Le Eroine dai mille volti, sul ruolo delle scrittrici femminili e dei personaggi femminili nel fantastico, a cura di Cristiano Saccoccia
  • Il vestito dell’avventura, brillante retrospettiva sull’origine del termine “Cappa e Spada”, a cura di Marco Ferrari, istruttore di scherma barocca presso la Sala d’Armi Guardia di Croce.
  • Una nuova traduzione di Vittorio Cirino della poesia di Robert E. Howard “Cimmeria” con testo a fronte;
  • Un saggio musicale di Andy Cale e Zarina Maldraghi, che ci introdurrà alla musica tematica consigliata da ascoltare durante la lettura di questo numero

Racconti

  • Mind Lords of Lemuria, di Lin Carter
  • Massimale e la Misura Naturale, racconto “Squat&Sorcery” ambientato nel Regno di Taglia, di Jack Sensolini-Luca Mazza
  • La Giostra del Saracino, di Emanuele Corsi
  • Il colore dell’immortalità, di Federica Soprani
  • La Follia di Cormac – parte 1, di Maikel Maryn
  • Moloch, di Andrea Berneschi
  • Ombre d’Oltremare, Giorgio Smojver

Vincenzo Pratticò è l’autore della splendida cover realizzata appositamente per Lost Tales Sword and Sorcery 4, mentre le illustrazioni interne sono opera di Sabrina Normani e David Genchi.
LinguaItaliano
Data di uscita6 apr 2022
ISBN9788894967500
Lost Tales: Sword&Sorcery n°4 - 4 Febbraio 2022

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    Anteprima del libro

    Lost Tales - Federica Soprani

    CREDITS

    Lost Tales: Sword&Sorcery

    Magazine periodico

    anno IV, numero 4 Febbraio 2022

    ISBN: 9788894967500

    Formato: .PDF, .epub, .mobi (Kindle), cartaceo

    Copertina: Vincenzo Pratticò

    Immagini: Sabrina Normani, David Genchi

    Logo e cornici: Francesco Gianelli

    Editore: Vittorio Cirino

    Ideatore del progetto e redattore: Ivan Bard

    https://www.letterelettriche.it/

    https://www.facebook.com/letterelettriche/

    info@letterelettriche.it

    letterelettriche.png

    Caporedattrice: Federica Soprani

    Responsabile Web e Marketing: Monia Zanetti

    Decori: Designed by Freepik

    Editing: Daisy Franchetto, F.T.Hoffmann

    Racconti

    I Signori della Mente di Lemuria - Lin Carter

    THE LIN CARTER COLLECTION

    Copyright 1975 (as in Proprietor’s edition) - All rights reserved. Italian translation rights arranged with Virginia Kidd Agency, Inc. through Christine Cohen, Agent. Traduzione a cura di Annarita Guarnieri per il magazine periodico Lost Tales: Sword&Sorcery. Letterelettriche, 2021

    Massimale di Ghisa e la Misura Naturale - Luca Mazza, Jack Sensolini

    INEDITO. Scritto per il magazine periodico Lost Tales: Sword & Sorcery. Letterelettriche, Febbraio 2022.

    Ombre d’Oltremare - Giorgio Smojver

    INEDITO. Scritto per il magazine periodico Lost Tales: Sword & Sorcery. Letterelettriche, Febbraio 2022.

    Il Colore dell’Immortalità - Federica Soprani

    INEDITO. Scritto per il magazine periodico Lost Tales: Sword & Sorcery. Letterelettriche, Febbraio 2022.

    La Giostra del Saracino - Emanuele Corsi

    INEDITO. Scritto per il magazine periodico Lost Tales: Sword & Sorcery. Letterelettriche, Febbraio 2022.

    Moloch! - Andrea Berneschi

    INEDITO. Episodio della serie Cartagine in fiamme Scritto per il magazine periodico Lost Tales: Sword & Sorcery. Letterelettriche, Febbraio 2022.

    La Folla di Cormac - Maikel Maryn

    Racconto liberamente ispirato alla poesia The Madness Of Cormac di Robert E. Howard scritto per il magazine periodico Lost Tales: Sword & Sorcery. Letterelettriche, Febbraio 2022

    Cimmeria - Robert Ervin Howard

    Traduzione a cura di Vittorio Cirino.

    PREFAZIONE

    Di Zeitgeist, Malefici e Senilità Precoce

    Benvenuti, Voi che aprite un Lost Tales per la prima volta. Bentornati, Voi che invece siete di casa.

    Quest’oggi cercherò di essere breve, contravvenendo alla mia tradizionale loquacità.

    Come molti sanno e come spesso ripeto, la prefazione è l’ultima cosa di cui mi occupo prima di mandare in stampa una nostra rivista. Si tratta ormai di una questione scaramantica, alla quale non credo nemmeno. Per altro non ha mai funzionato, visto che ad ogni numero compaiono problemi e rallentamenti che funestano il processo di produzione e rischiano di mandare nel Valhalla il comparto creativo e la redazione. Forse dovrei cambiare gesto apotropaico e scrivere la prefazione come prima cosa. Però, pensandoci a mente lucida, non posso fare a meno di constatare che questo sia il quarto numero di Lost Tales: Sword&Sorcery e il dodicesimo magazine che produciamo.

    Il nostro primo figlio (Lost Tales: Digipulp Magazine) uscì in digitale il 31 Gennaio del 2018, quattro anni or sono. Se penso alla mia vita al di fuori di tutto questo (esiste vita fuori dalla propria passione?), posso dire che quattro anni mi abbiano concesso molto sul piano umano, ma non sembra un lasso di tempo troppo lungo. Se invece mi concentro sullo svolgersi degli eventi sul piano editoriale, questi 4 anni andrebbero valutati come si fa con gli anni dei cani. Mi sembra di vedermi, giovane di belle speranze con ambizioni e sogni, che imbocco la strada tortuosa dell’editoria con la prospettiva di cambiare il mondo. Ecco, se potessi veramente vedermi mi darei un buffetto sul mento. Più simile ad un pugno che a un buffetto, in verità. Mi suggerirei di bere un po’ di umiltà col limone al mattino a ogni risveglio, per abituarmi.

    Mi direi che quattro anni mi segneranno tanto a fondo da rendermi irriconoscibile allo specchio (lo specchio interiore, s’intende). Soprattutto, mi direi che quel lavoro partito come una scommessa, sarà ancora una scommessa, ma che mi sono dimostrato un incallito giocatore d’azzardo. Sono nato incendiario ed è ancora distante il momento nel quale diverrò pompiere.

    Voglio pubblicamente ringraziare gli artisti che in tutto questo tempo ci hanno affidato le loro opere e promettere loro che farò sempre del mio meglio affinché il mondo le conosca.

    Ringrazio immensamente chi collabora con me in Letterelettriche (ci sono almeno un paio di persone che sono più rilevanti del sottoscritto, per ogni nostro progetto).

    Non peccherò di piaggeria ringraziando Voi lettori, ma mi limiterò a dirvi che vorrei potessimo essere al pub e bere qualcosa e parlare di Storie. Vorrei mi diceste cosa ne pensate di quelle che avete letto, mi confidaste quelle che vorreste leggere. Ok, forse lo dico anche perché in realtà, dopo quattro anni, avrei bisogno di bere...

    Vi saluto, adesso, che se non mando il materiale in stampa questo resterà un soliloquio.

    Ripensandoci, forse la scaramanzia ha funzionato, fino ad ora. Credo che continuerò a scrivere la prefazione come ultima cosa.

    Come dite? Ho parlato solo di me e non del numero che avete per le mani?

    Avete ragione da vendere, amici. Ma la risposta alle vostre esigenze è a una pagina di distanza. Cosa state aspettando, combattenti? Non siamo in pausa caffè!

    Vi aspetto al pub, non fatemi attendere troppo.

    Vittorio Cirino

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    La Creatura nella Cripta

    di Lin Carter

    di Lin Carter

    Introduzione a "I Signori della mente di Lemuria"

    Raggiunte infine le terre delle giungle meridionali, Thongor incontra un nuovo mondo dove una mente rapida e agile, e una spada ancora più rapida, lo mantengono sia pur precariamente in vita. Ben presto si crea una reputazione come combattente e si arruola nelle legioni di Arzang Pome, l’ambizioso Sark di Shembis, una delle più grandi fra le città stato.

    1 - L’argento della giungla

    La manciata di soldati in sella a kroter irruppe nella radura, con la luce intensa del sole dell’antica Lemuria che filtrava fra il fogliame a chiazzare gli aspri volti dei cavalieri. Quei superstiti ammontavano ad appena la metà del loro numero originale e non erano né più forti né più astuti dei loro defunti compagni, solo più fortunati... tranne forse per una singola eccezione. Il comando dell’unità era ricaduto sulle spalle di un giovane barbaro proveniente dai picchi ghiacciati di Valkarth, che per quanto del tutto estraneo al clima di quelle zone pareva indifferente al bruciore dei viticci appiccicosi e ai morsi di zanzare grosse come uccelli. Si chiamava Thongor, e alcuni mesi prima era entrato al servizio del grasso Sars di Shembis, il tiranno Arzang Pome.

    Le usanze degli uomini civili apparivano una forma di follia al vigoroso valkarthiano, abituato com’era al più basilare codice di sopravvivenza in un mondo ostile, ma la follia del decadente Pome era tangibile perfino per gli standard della civiltà, e si manifestava in un’avidità di argento. Voci sussurrate sostenevano che aveva bisogno di quel prezioso metallo per riti alchemici immenzionabili che miravano a garantire la giovinezza eterna. Per quanto credibili, quelle voci potevano essere soltanto un modo per mascherare un’insaziabile avidità di quel metallo, per il quale il grasso monarca nutriva forse una passione.

    Quale che ne fossero le ragioni, era comunque stata la bramosia di argento che aveva mandato un gruppo misto di guardie di palazzo e di mercenari a intraprendere quella che finora era stata una vana caccia in una giungla di cui non c’erano mappe. Un qualche mago girovago aveva venduto al Sars una vecchia diceria che riguardava una città perduta sepolta nelle profondità della foresta di lotifer, una città ricca e orgogliosa annientata dai Diciannove Dei a causa del suo smodato orgoglio. Di certo una città tanto orgogliosa doveva aver condiviso l’imprudente avidità del noncurante sovrano per quel prezioso metallo, motivo per cui lui aveva deciso di emulare il loro crimine e di rischiare il loro stesso destino... sempre che fosse mai esistito un luogo del genere, una città quasi leggendaria di cui neppure il narratore di storie itinerante riusciva a ricordare il nome.

    L’avidità però non permetteva di lasciare intentata qualsiasi possibilità, e così adesso loro erano lì, e la maggior parte degli uomini era nauseata e disgustata. Il loro originale comandante, che era stato un membro di alto rango della guardia di élite, era già perito a causa del morso di un serpente e parecchi altri erano stati uccisi da frutti di una velenosità letale. Fino a quel momento le bestie selvatiche si erano tenute a distanza, ma questo stato di cose sarebbe di certo cambiato a mano a mano che il gruppo calava di numero.

    Thongor aveva assunto il comando perché nessuno di quanti avrebbero potuto obiettare aveva ancora la forza di sfidarlo e avrebbe fatto del suo meglio per proteggere quegli uomini. Non gli piaceva l’accordo che il Sars aveva stipulato: quanti uomini potevano essere sacrificati nella ricerca di un bottino superfluo che probabilmente neppure esisteva? Decise che si sarebbe addentrato ancora di poco in quella maleodorante vegetazione ... giusto quanto bastava a giustificare un rapporto secondo cui le ricerche non erano approdate a nulla... poi sarebbe tornato indietro e avrebbe corso i suoi rischi come latore di cattive notizie. Espose le proprie intenzioni agli uomini e nessuno trovò da ridire perché erano tutti ansiosi di tornare alle taverne e ai bordelli di Shembis, sempre che fossero vissuti abbastanza a lungo.

    Quelli erano i pensieri che occupavano la mente di Thongor mentre guidava con cautela i primi cavalieri lungo quello strano terreno. La vegetazione tornò di colpo a infittirsi, rallentandoli fino a costringerli a un esasperante passo da lumaca, e Thongor si congratulò con sé stesso per aver evitato un tratto di sentiero alla cui estremità c’erano fitti viticci spinosi. Quando però svoltò a sinistra, seguito in ordine sparso dalla compagnia…

    Il disastro si chiuse su di loro come una morsa! Di colpo sotto di loro non ci fu più niente. Per un momento pensò che si trattasse di una trappola di cacciatori, mentre lo stomaco gli sobbalzava per l’inaspettata caduta che però si protrasse troppo a lungo. Fu soltanto appena prima di abbattersi sul terreno solido sottostante che si rese conto di aver trovato quello che cercavano: i viticci e i cespugli cresciuti in un migliaio di anni avevano nascosto la bocca di un tunnel che portava a un grande complesso sotterraneo.

    2 - Le caverne della follia

    Riprese conoscenza dopo non molto tempo, e grazie ai suoi istinti affinati in terre selvagge la consapevolezza riaffiorò in lui con la prontezza di un vandar delle nevi lanciato all’attacco. La testa gli doleva, ma la folta massa di capelli neri, che gli circondavano la fronte con un taglio squadrato, aveva attutito in parte l’impatto anche se l’elmo placcato in argento non si vedeva più da nessuna parte. Si sollevò su un gomito e scrutò in tutte le direzioni nel tentativo di trapassare l’oscurità con i suoi strani occhi dorati e di vedere come se la fossero cavata i suoi uomini, che avevano commesso l’errore di seguirlo.

    Imprecò contro sé stesso nell’aggirarsi per quella che sembrava una vasta camera, soffermandosi vicino a un corpo dopo l’altro solo per riscontrare un collo spezzato oppure una letale frattura alla testa. Tutti quelli che riuscì a trovare erano morti, ma ne mancavano ancora alcuni all’appello. D’un tratto vide una traccia di luce tremolante di uno strano colore che risplendeva oltre un angolo della caverna. Possibile che i superstiti – che calcolava non essere più di quattro – si fossero ridestati prima di lui e avessero continuato per conto loro, addentrandosi più in profondità nel cunicolo? Sembrava improbabile.

    Strinse la cintura che reggeva la spada e prelevò una daga da una delle forme inerti, poi si diresse verso la luce. Prima però che potesse svoltare l’angolo, accoccolato su sé stesso in una posa che prevedeva un possibile attacco, venne sorpreso da una forma che veniva avanti e che parve gettarsi su di lui come una vasta coperta. Arida come un serpente e tuttavia vischiosamente instabile come una medusa, quella cosa cercò di soffocarlo, ma lui estrasse con un gesto fulmineo la spada a due mani dal fodero e prese a colpire disperatamente ciò che lo tratteneva. La cosa non versò sangue né emise alcun suono.

    Un vago ronzio di cui lui era stato consapevole a livello subliminale, prese però a salire in tono e insistenza. Continuò a fendere e lacerare, strappando con una mano mentre tagliava con l’altra, ma quell’onda vivente di carne aliena cominciò ad avere la meglio su di lui, aderendogli alla faccia e togliendogli il respiro. Per la seconda volta in meno di un’ora perse conoscenza.

    Questa volta si svegliò immerso nel ronzio, che si era fatto tanto stentoreo da non poter più essere ignorato. Cercò di muoversi, e quando non ci riuscì si sforzò almeno di orientarsi, di mettere a fuoco lo sguardo. Questo risultò difficile perché pareva non riuscire a vedere altro che una caligine rosata, anche se da qualche parte al suo interno sembrava esserci del movimento. Si rese conto che quel colore non aveva niente di naturale ma era lo stesso che in precedenza aveva visto riflesso sulla parete della caverna: non emanava da una singola fonte e tuttavia riempiva l’aria stessa intorno a lui, e la sua forza non si estendeva per più di pochi centimetri al di là del grande tubo circolare che conteneva il suo corpo immobile.

    A mano a mano che i suoi occhi si abituarono a quella strana caligine, la sua visione periferica rivelò la presenza di altri quattro contenitori, presumibilmente uguali al suo, disposti in un approssimativo semicerchio lungo la parete irregolare della caverna. A un certo punto, in un lontano passato, qualcuno o qualcosa si era preso il disturbo di levigare la superficie rocciosa, senza però pensare a raddrizzare la curva naturale delle pareti. Il mondo da cui proveniva conosceva una rozza versione del vetro, anche se gli specchi erano di solito fatti di lucido argento, e lui non aveva mai visto qualcosa di simile a ciò che ora lo teneva prigioniero, un cilindro perfettamente liscio e apparentemente spesso fatto di un materiale trasparente.

    Gli altri erano nella stessa situazione. A quanto pareva, quindi. la storia narrata dal mago itinerante non era stata infondata, anche se l’eventuale tesoro che poteva annidarsi laggiù sembrava esigere un prezzo troppo alto perché valesse la pena di recuperarlo. Pensò con cupa ironia che sarebbe stato un uomo ricco se fosse riuscito a fuggire dal quel posto conservando la vita.

    Gli parve di riuscire a intravedere le sagome indistinte dei compagni superstiti all’interno degli altri tubi. Non aveva conosciuto bene tre di loro, ma il quarto – e quello più facile da riconoscere a causa della sua bassa statura – era Tam Tavis, un ragazzo troppo giovane per i pericoli di questa sfortunata missione, ma abbastanza cocciuto da non voler essere lasciato indietro. Aveva visto in quel giovane vigoroso un riflesso di sé stesso negli anni passati, un ragazzo passato in fretta all’età adulta, dotato di istinti, riflessi e una forza precoce che un giorno gli sarebbero stati di grande aiuto sul campo di battaglia. Per un avventuroso non c’era scuola migliore dell’avventura stessa, come lui stesso aveva abbondantemente imparato, quindi non si era opposto con particolare vigore quando il ragazzo lo aveva implorato di portarlo con sé, e adesso rimpiangeva quella decisione. Aveva perso da tempo il conto del numero di nemici a cui aveva tolto la vita, ma per lui era una cosa nuova e sgradevole dover contare le vite sprecate dei suoi amici.

    Lo sguardo dei suoi occhi dorati si spostò in reazione all’apparizione improvvisa dell’entità aliena contro cui aveva combattuto e che non era riuscito a sconfiggere, e la rabbia gli arroventò il volto come una febbre mentre seguiva i pesanti movimenti della sagoma informe che aveva davanti, un’ira alimentata e accresciuta dall’umiliazione della sconfitta. Nonostante questo, la spina dorsale prese di colpo a formicolargli mentre sentiva i filamenti striscianti di una consapevolezza aliena che lo penetravano e si mescolavano con la sua. Il suo panico crescente scomparve però all’improvviso quando con l’occhio della mente cominciò a vedere vaste scene che emergevano cristallizzate da quella che pareva una nebbia di oblio, come se si stesse risvegliando da un lungo sonno per tornare a essere un sé stesso che aveva dimenticato di conoscere.

    Non si accorse che la sua mascella squadrata si era rilassata fino a far colare un filo di bava mentre i suoi occhi vuoti spingevano lo sguardo lungo i secoli nel ripercorrere i ricordi del suo ospite inumano. Insieme, quella coppia improbabile contemplò un grande panorama di cui parlavano leggende screditate: l’infinitamente antica migrazione attraverso l’etere cosmico di una legione di comete senzienti. Giunti da una sfera vicina, erano i Figli della Nebbia di Fuoco, così chiamati nel testo proibito del Testamento di Xanthu, apparentemente recuperato dai templi crollati dell’antica Mu.

    Erano arrivati sulla terra appena creata e avevano cercato fra le miriadi di forme di vita una qualche scintilla di intelligenza che potessero alimentare fino a farne una fiamma, forse per pura benevolenza o forse per loro ragioni personali. Incorporei com’erano, Signori della Nebbia di Fuoco possedevano la capacità soprannaturale di trasferire il loro intelletto in qualsiasi forma fisica avessero scelto, a patto che possedesse un minimo di materia cerebrale malleabile. In questo modo avevano cercato di potenziare le facoltà di quei rozzi esseri e di accelerare la loro evoluzione verso la piena consapevolezza.

    Il primo oggetto della loro attenzione erano state creature pseudpodiche scarsamente senzienti simili a quella contro cui lui aveva combattuto di recente, e alla fine avevano riportato un grande successo, in quanto la loro forma gommosa fra il blu e il verde si era infine evoluta nei possenti guerrieri Rmoahal dalla pelle azzurra delle pianure meridionali. Essi si erano però dimostrati troppo forti perché i Signori della Mente li potessero dominare... avevano svolto troppo bene il loro lavoro. Dopo lunghi anni avevano tentato un altro esperimento, di un genere che Thongor avrebbe classificato come la più nera stregoneria.

    I Figli della Nebbia di Fuoco avevano selezionato una specie di piccoli mammiferi dotati di coda, con occhi sporgenti e dita bulbose, che vivevano sugli alberi e si nutrivano di insetti. La visione di Thongor, che falsamente sembrava un ricordo, seguì i progressi di quelle creature lungo la scala che dall’essere scimmiesche le aveva portate ad avere una forma e dei tratti più nobili, e si era reso conto di essere stato testimone delle origini della sua stessa tribù di appartenenza: gli Uomini.

    Adesso sapeva, e dava addirittura per scontato, che la forma disgustosa contro cui aveva combattuto e che ora condivideva la sua stessa anima era un esemplare di quel precedente esperimento di tanto tempo prima, quando i pelosi abitanti degli alberi non avevano ancora mosso il primo passo involontario verso il diventare l’umanità. Questo era uno dei primi esseri intelligenti che risalivano all’alba della terra. Per quanto tempo aveva atteso attraverso i secoli? Percepiva una grande rabbia, e una avidità ancora più grande. Questo arcaico Signore della Mente di Lemuria voleva ciò che – contrariamente ai suoi antichi colleghi – a lui era stato negato: una forma completamente umana in cui dimorare.

    L’antica missione aveva avuto successo. La saggezza era stata infusa nel petto delle creature della terra. Il resto dei Figli della Nebbia di Fuoco aveva forse abbandonato di nuovo il pianeta per far ritorno nella sfera vicina? E se era così, perché questo era stato lasciato indietro? Thongor scoprì che a questo punto non riusciva più a condividere nessun ricordo della creatura: il solitario Signore della Mente si era fatto guardingo... possibile che dipendesse da antiche abitudini, risalenti a quando aveva magari dovuto nascondere certi pensieri eretici o traditori ai sui compagni più illuminati?

    3 - Carne aliena

    Il Valkarthiano perse di nuovo conoscenza, all’istante, quasi fosse stato spento come una candela di un tempio, e quando si risvegliò non percepì nessuna sensazione del passaggio del tempo che rivelasse per quanto era rimasto incosciente. Comprese immediatamente che la paralisi lo aveva abbandonato e cercò di flettere gli arti. Il suo pensiero iniziale fu di sorpresa per l’assenza di qualsiasi dolore... finché non contemplò con orrore arti che rispondevano ai suoi comandi – sia pure goffamente – ma che non erano i suoi!

    Cosa ancora peggiore, non erano neppure remotamente umani. Naturalmente, comprese di essere prigioniero del suo rugoso e mostruoso ospite, in un modo più effettivo e dannato di quando era stato paralizzato. Era di nuovo nel tubo trasparente e i suoi goffi tentacoli si dibattevano impotenti contro quella liscia superficie concava. Scoprì di poter vedere quello che succedeva all’esterno, ma anche che la sua vista era in qualche modo diversa. Niente pareva puntare in una particolare direzione, altezza e larghezza relative fluttuavano e i colori tremolavano nell’entrare e uscire dalla gamma dello spettro a lui familiare.

    La sua forma umana era libera... e occupata! Vide l’immagine

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