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Maccus. Suggestioni da un paesaggio nel mosaico dei Sette Savi
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E-book394 pagine5 ore

Maccus. Suggestioni da un paesaggio nel mosaico dei Sette Savi

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Info su questo ebook

L'opera si presenta come una ricostruzione storica molto dettagliata della vita e dell'opera del commediografo romano che fu anche attore e poeta, Tito Maccio Plauto, nato a Sarsina tra il 259/251 a.C. e morto a Roma nel 185 a.C., esponente del genere teatrale della palliata. Risulta principalmente diviso in due parti: nella prima si può notare una propensione dell'autore alla ricostruzione storica degli avvenimenti, nella seconda la narrazione lascia meno spazio alla cronologia ponendo l'accento sugli accadimenti personali e famigliari del protagonista che "visse interamente della sua arte praticata con instancabile creatività". Ampio spazio hanno le vicende prettamente personali: il rapporto particolare con Sabinio che ben presto diverrà suo cognato, le disavventure amorose, le vicende legate agli incontri durante il vagabondaggio e tutta la parte finale che lo vede ormai protagonista indiscusso del teatro latino, quando da semplice attore diventa il commediografo maggiormente conosciuto nell'impero romano e non solo.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2019
ISBN9788855082761
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    Anteprima del libro

    Maccus. Suggestioni da un paesaggio nel mosaico dei Sette Savi - Franco Ruscelli

    ømina

    Il nome come presagio

    Inammissibile la leggenda che Plauto sia stato in gioventù condannato a tirare una macina (ruolo tipicamente schiavile) confutata dal fatto che nel 326 a.C. era stata promulgata la Lex Poetelia Papiria che aboliva, a ogni uomo libero, la schiavitù per debiti e il servizio militare. Verosimile che Plauto, dopo aver perso le sue fortune in investimenti sbagliati, sia andato di sua volontà a lavorare in un mulino in cui era incluso di sicuro anche il faticoso onere della macina. Oppure, come nel caso del suo nome, abbia lasciato credere presunte disgrazie solo per rendere più verosimili e patetici i suoi personaggi.

    È altresì verosimile e intrigante l’ipotesi che il poeta umbro Titii Actii Plotius, (poi trasformato nel ridicolo Plautus, cane dalle orecchie lunghe), si fosse dotato a Roma di un nome di battaglia con allusione al mondo beffardo della scena comica e quindi conservasse nei tre nomi canonici tipici della nobiltà (che non vedeva di buon occhio) quel tipo di teatro. Forse durante il lavoro di attore (sicuramente un mestiere che non offriva un gran benessere) cominciò a comporre commedie, il Saturio (L’uomo satollo) e l’Addictus (Lo schiavo per debiti) che già dai titoli richiamano infelici situazioni ambientali soprattutto in concomitanza al suo arrivo a Roma. Plauto o Plautio non aveva ancora superato i venti anni e le opere rappresentate con successo furono l’inizio di una fortunata attività teatrale durata oltre un quarantennio. La scelta dei ruoli e del desiderio di riscatto da parte di ceti più poveri e diseredati non fa apparire Plauto estraneo alla politica anche se, nel tempo, non è mai stato attribuito alla sua opera un ruolo di rivendicazione sociale (seppure il carattere delle commedie non fosse ignaro agli avvenimenti del suo tempo). Infatti, la sua produzione si svolse in concreto durante la II guerra punica: mise spesso in ridicolo nelle sue opere i Greci che a volte divennero oggetto del disprezzo e del vivere in maniera dissoluta, tanto che venne coniato il verbo, pergraecari per indicare l’attitudine al vizio.

    Visse interamente della sua arte praticata con instancabile creatività.

    La tria nomina Marcio, (Macco o Accio), Tito o Marco, Accio, (prenomen, nomen, cognomen), riportati dai codici, sembrano essere autentici falsati poi dai grammatici antichi; oppure si pensa che Plauto si sia attribuito la tria nomina per prendere in giro la nobiltà romana (solo i nobili avevano i tre nomi) o ancora, come sembra da recenti indagini sulle sue origini, pare che Plauto appartenesse alle gens Marcia ¹ e aggiungesse dunque al suo nomen e cognome anche i tre nomignoli buffi come Maccus poi trasformato in Macco o Accio (Maccio), e Platus in perfetto stile col suo mestiere di attore e commediografo.

    In alcune commedie (Asinaria, Mercator) si trova sia Plautus, sia Maccus, sia Maccus Titus: si è dunque supposto che il poeta abbia utilizzato pseudonimi variandoli spesso durante gli anni della sua produzione letteraria. L’ipotesi che sia stato un attore in base all’analisi dei nomi non è certa ma opinabile. Il suo nome completo - Tito Maccio Plauto - potrebbe essere rivisto.

    Un incunabolo dell’archivio diocesano di Sarsina del 29,11,1500 ha il frontespizio sostituito con uno posticcio su cui appare la scritta: Marci Actii Plauti commedie venti. L’incunabolo è donato alla Libraria Vescovile di Sarsina dal Signor Francesco Filippo Mami di Mercato Saraceno, nipote dell’allora Vescovo di Sarsina nel 1773 contiene venti commedie di Plauto.

    I cognomina avevano origine dalle caratteristiche fisiche o somatiche di una persona: Maccio e Plauto sembrano appartenere a questa tipologia. C’è da rilevare che un certo M. Plautio Silvano appare nelle cronache delle Antichità sarsinati di Filippo Antonini originario di Sarsina. Titi è un prenomen ancora presente nella città di Sarsina da cui si potrebbe dedurre: nomen Marc(i) o Accio, prenomen: Titii cognomen delle gens Marcia*; oppure la forma contratta di Marcius e Accio deriverebbe dall’omonima maschera del teatro dell’atellana ² .

    Per questo il nome vero più probabile potrebbe essere Marcius Actii Titii.

    1    La gens Marcia è una popolazione (clan familiare) romana di antichissima origine sabina e dovrebbe essere annoverata tra le cento gens originarie ricordate dallo storico Tito Livio. Questi clan familiari prendevano il nome dalla divinità sabina Mavors o Mamers, il cui nome fu in seguito latinizzato in quello del dio romano Marte (in latino Mars). Il nomen Marcius in età storica si riferisce a una gens di condizione plebea, anche se la sua origine fu certamente patrizia; infatti, vi sarebbe un rapporto di parentela tra Anco Marzio, quarto re di Roma e Numa Pompilio poiché entrambi furono di nobile stirpe sabina. L'illustre gens Marcia, unitamente alla figura di Tito Tazio, re assieme a Romolo, Numa Pompilio e Anco Marzio, come pure il nome dei Tities proprio di una delle tribù originarie del popolo romano, appartenevano alle antiche famiglie sabine di Roma divise in diversi rami: i Re (latino /Rex, probabilmente legato alla discendenza del re Anco Marzio), i Coriolani, i Filippi, i Rutili, i Tremuli e i Figuli. La gens Marcia fu, indubbiamente, di primaria importanza nella storia di Roma: i suoi membri ricoprirono spesso le varie magistrature durante tutta l’età repubblicana. La lingua che parlavano era apparentata col gruppo Osco che a sua volta era affine alla lingua degli Umbri. Qualora queste tesi dovessero prendere consistenza si potrebbe definire Plauto o la sua gens di origine osco/sabina. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

    2    Atellana deriva dalla città di Atella le cui rovine si trovano presso la moderna Aversa, tra Capua e Napoli. In origine recitata in lingua osca metteva in scena trame molto semplici (tricae) che erano improvvisate da attori con maschere fisse: Pappus (il vecchio), Manducus (il mangione, a quanto pare), Dossennus (il gobbo), Bucco e forse Maccus (lo sciocco). Degna di nota l’informazione di Tito Livio nel celebre passo sulle origini del teatro a Roma sull’appropriazione, da parte dei giovani cittadini romani, delle funzioni attoriali di questi spettacoli e la conseguente esclusione da essi degli attori professionisti: da qui, prosegue Livio, la legge per cui gli attori d’atellane non cessano di essere membri della propria tribù e prestano il servizio militare, poiché non attori di mestiere.

    Plauto e la sua grandezza

    Plauto potrebbe avere recitato in età giovanile nel ruolo di una o più maschere dell’atellana; lo stesso termine Plautus può significare o piedi piatti (un epiteto col quale erano apostrofati tutti quelli che provenivano dalle regioni più a Sud dell’Umbria) oppure dalle orecchie pendenti come i cani. Con i due epiteti erano indicati di solito anche gli attori di commedie. In Casina si parla scherzosamente di Plauto come colui dal nome che abbaia (Plautus cum latranti nomine). Perciò è da ritenere che si tratti di nomignoli che lo stesso aveva usato durante l’attività di attore o che gli servissero a caratterizzare personaggi coerenti alle sue opere e ai gusti teatrali del suo tempo.

    Alla sua morte entrò in circolazione tutta una serie di commedie di genere a suo nome di cui molte si rivelarono dei falsi. Nel I sec. a.C. circolavano addirittura 130 titoli: evidentemente il nome di Plauto era una garanzia di successo che spingeva commediografi e capocomici a false attribuzioni.

    Marco Terenzio Varrone le studiò (De comoedis Plautinis) e le suddivise in tre gruppi:

    - 21 certamente plautine (dette appunto Fabulae Varronianae);

    - 19 di attribuzione incerta;

    - tutte le altre considerate spurie.

    Tuttavia, da varie testimonianze degli antichi si è indotti a pensare che esistessero altre commedie sicuramente plautine oggi perdute: quali Commorientes, Colax, Gemini lenones, Condalium, Anus, Agroecus, Faerenatrix, Acharistio, Parasitus piger, Artemo, Frivolaria, Sitellitergus, Astraba.

    Attraverso appunti trovati nei copioni del capocomico intorno alla prima rappresentazione, alla sua esecuzione e al suo esito, sappiamo la data di composizione solo dello Stichus (200 a.C.) e dello Pseudulus (191 a.C.).

    La cronologia delle altre è definibile solo in base a elementi interni quali citazioni di personaggi, battaglie o eventi databili entro l’esistenza di Plauto.

    In ordine cronologico queste potrebbero essere ³ :

    1) Asinaria: del 212°a.C.

    dall’Onagros di Demofilo.

    2) Mercator: del 212-10 a.C.

    dall’Emporos di Filemone.

    3) Rudens: del 211-205 a.C.

    da una commedia di Difilo.

    4) Amphitruo: del 206 a.C.

    l’unica a soggetto mitologico.

    5) Menaechmi: del 206 a.C.

    non si conosce l’originale greco da cui essa deriva; si sa solo che alcuni commediografi greci tra i più noti (Menandro, Antifane, Posidippo) s’ispirarono a questo motivo all’identità di due persone.

    6) Miles Gloriosus: del 206-5 a.C.

    Gran parte della trama proviene dalla commedia greca Alazon (Il vanaglorioso, lo spaccone), ma è probabile che Plauto abbia contaminato assumendo da un altro dramma il motivo del foro nel muro e della sorella gemella.

    7) Cistellaria: del 204 a.C.

    L’originale greco sembra le Synaristôsai di Menandro.

    8) Stichus del 200 a.C.

    Deriverebbe dall’Adelphoe di Menandro.

    9) Persa: dopo il 196 a.C.

    Per definizione la commedia degli schiavi dei quali Plauto ha saputo ritrarre linguaggio, licenziosità e malizie.

    10) Epidicus: del 195-4°.C.

    intreccio più complicato del solito: l’interesse sta soprattutto nella figura d’Epidico, il più abile, astuto e diabolicamente scaltro dei servi che il teatro abbia mai dato.

    11) Aulularia: del 194 a.C.

    L’originale greco è ignoto ma è probabile che fosse una commedia di Menandro in cui l’avaro aveva nome Smicrine.

    12) Mostellaria: (incompiuta).

    Si pensa che la Mostellaria derivi dal Phasma di Filemone o di un autore minore, Teogneto.

    13) Curculio del 200-191 a.C.

    La commedia prende il titolo dal parassita protagonista Gorgoglione il cui nome è sinonimo d’insaziabile voracità: il curculio infatti è il verme roditore del frumento. Nel Curculio è contenuta la famosa serenata dei chiavistelli (atto I, scena III) che il giovane Fedromo rivolge alla porta dell’amata perché dischiuda i suoi battenti.

    14) Pseudolus: del 191 a.C.

    Una delle predilette dall’autore stesso: è ben strutturata e rivela la grande arte di Plauto e l’abilità dell’autore (ignoto) dello stesso originale greco.

    15) Captivi: del 191-90 a.C.

    una commedia anomala rispetto alle altre, priva di vicende amorose e fondata sul tema dell’amicizia e della lealtà: non compare alcuna donna particolare che in Plauto si ritrova solo nel Trinummus.

    16) Bacchides del189 a.C.

    deriva dalle Evantides di Filemone o da Il doppio inganno di Menandro.

    17) Truculentus: del 189 a.C.

    Largamente lacunosa.

    18) Poenulus: del 189-8 a.C.

    Modello della commedia sono stati il Carchedonios di Menandro. Una prima redazione del Poenulus doveva aver titolo Patruos (Lo zio). Interessante l’uso della lingua punica da parte del giovane protagonista.

    19) Trinummus del 188 a.C.

    L’originale di Filemone prendeva titolo dal Thesaurus nascosto in casa.

    20) Casina: del 186-5 a.C.

    Casina è certo tra le commedie più comiche e più riuscite di Plauto. Deriva da una commedia di Difilo Clerumenoe cioè I sorteggianti.

    21) Vidularia:

    120 versi superstiti che lasciano intravedere un intreccio simile al Rudens.

    3    Contaminatio da: http//www.comune.sarsina.fo.it/storia/plauto.htm

    La lingua Osca

    L’osco, la lingua degli Osci e dei Sanniti, fa parte delle lingue osco-umbre che possono essere definite come un ramo delle lingue indoeuropee. L’osco aveva molto in comune con il latino benché fossero presenti anche grandi differenze, e molti gruppi di parole comuni in latino erano assenti e rappresentati da forme nuove.

    Definire esattamente cosa sia linguisticamente l’osco determina problemi connessi: in primo luogo la definizione di italico. Ne consegue, dunque, che per definire in modo preciso cosa si intenda per osco sia indispensabile comprendere prima cosa sia l’italico e che tipo di rapporti intercorrano tra esso e la lingua osca.

    Concetto d’italico

    Un minimo riferimento storico ci sembra opportuno: tale termine nasce a fine ‘800 all’interno della scuola tedesca in una prospettiva genealogica che induce i suoi seguaci a considerarlo come un ramo dell’indoeuropeo.

    A tale identificazione si oppone la scuola italiana rappresentata da Devoto e da Pisani che preferisce intendere per italico ciò che si è formato all’interno della penisola e che per i due studiosi coincide con il sabellico. Siamo dinanzi a una concezione di italico stricto sensu da cui consegue che eventuali affinità con altre lingue della penisola, quali ad esempio il latino, non risalgono a un’ipotetica parentela originaria ma sono piuttosto il frutto di contatti successivi. Sulla stessa linea ma con altre precisazioni si colloca anche D. Silvestri che afferma che il termine italico è un concetto più politico (guerra sociale) che linguistico.

    L’osco, l’umbro, il sudpiceno (quest’ultimo più affine all’umbro) e alcune tradizioni minori impropriamente definite dialetti nella prassi manualistica e inquadrabili nei territori dei Peligni, dei Vestini, dei Marrucini, dei Marsi, dei Volsci e, forse, degli Equi, si potrebbero complessivamente annoverare nell’area linguistica medio-italica.

    Italico comune

    D. Silvestri specifica che, di là da questo italico stricto sensu è sicuramente esistito un italico comune che potrebbe intendersi non come una lingua preistorica in larga misura ricostruibile bensì come un insieme di fatti linguistici predocumentari caratterizzati da un indubbio livello di coesione, frutto di convergenze preistoriche e protostoriche di cui è testimone il fatto che in esso si trovano alcune leggi fonetiche non esclusive dell’italico stricto sensu ma che coinvolgono anche la tradizione latino falisca secondo una cronologia indubbiamente alta.

    Definizione di Osco

    In conformità a quanto appena detto e soprattutto sulla base della definizione di italico stricto sensu possiamo certamente dire che l’osco, sebbene sia nella dicitura comune spesso legato all’umbro (si pensi alla ormai datata dicitura di osco-umbro) quale sinonimo d’italico diverso dal latino si connota per essere una variante dell’italico sviluppatasi a seguito di fenomeni aggregativi originatisi tra il V e il IV secolo a. C. (anche se tutto ciò presenta delle differenze, seppur lievi, rispetto all’umbro). Tale processo aggregativo - che le testimonianze epigrafiche fanno risalire almeno alla prima metà del IV secolo a. C. - dovette in realtà essere un fenomeno originatosi a seguito della concorrenza di diversi fattori quali, ad esempio, la volontà di auto rappresentazione etnica generatosi all’interno di un contesto multietnico. L’osco è, dunque, una lingua frutto di un fenomeno di koiné che nasce da una progressiva omologazione linguistica di varie tradizioni autonome dell’Italia centro meridionale.

    La testimonianza più forte di tale fenomeno aggregativo è rappresentata a livello grafico dal fatto che nelle diverse aree geografiche dell’Italia centro-meridionale coinvolte da questo processo di raggruppamento sono usati principalmente due diversi sistemi grafici: uno a base etrusca e uno a influenza greca. Questi riprendono e continuano, dopo averle riadattate alla lingua osca, tradizioni scrittorie precedenti per cui nell’area in cui prevaleva la cultura etrusca (per lo più la Campania e zone limitrofe) si sviluppa l’alfabeto osco a base etrusca, mentre in quella in cui prevaleva la cultura greca (Calabria, Basilicata, parte meridionale della provincia di Salerno e parte di quella messinese) si sviluppa l’alfabeto osco a base greca ⁴ .

    4    Da Wikipedia – La lingua Osca

    Plauto e l’amicizia

    Più precisamente, in Plauto si legge il riferimento coerente alle tradizioni romane inerenti lo stupro riservato agli schiavi, soprattutto giovani. Nell’Asinaria (III 753) Profumino dice a Grancavallo di mettersi a pecora come ha sempre fatto da bambino "Asta igitur, ut consules puer olim". In Captivi (IV 868-869) Faccendiere risponde a Egione con sarcasmo di essere disposto a cedere al digiuno visto che a cedere è abituato sin da bambino (Tuo arbitratu: facile patior, Credo consuetu’s puer), vale a dire che era abitudine del padrone ricordare allo schiavo di compiere il suo dovere e in caso di disobbedienza mettersi a quattro zampe.

    La vasta letteratura inerente i rapporti amichevoli e non tra maschi all’epoca di Plauto conferma concetti fin troppo codificati che attribuiscono all’amicizia maschile (anche di tipo omosessuale) una moda d’influenza greca a tal punto da definirli doni di Venere. In base agli innumerevoli ritrovamenti archeologici nelle tombe etrusche conosciamo la documentazione figurata di rapporti amichevoli che vanno oltre l’amicizia maschile e quindi possiamo stabilire con certezza che l’amore omosessuale per i romani avesse una derivazione diretta dagli etruschi o anche più semplicemente fosse un’attitudine naturale. Solo se volessimo, con pignoleria, sostenere gli etruschi provenire dall’area greca, potremmo affermare che l’omosessualità romana derivi dall’assimilazione della cultura greca dirompente dopo le recenti colonizzazioni romane. Sappiamo invece che gli Etruschi erano una popolazione costituita da etnie autoctone cui si aggiunsero nel tempo, considerata la posizione felice delle loro terre, gruppi di migratori orientali e nordici ma non esclusivamente greci. Dobbiamo altresì tenere presente la convivenza forzata dei soldati efebia durante le campagne militari: negli accampamenti e nelle tendopoli la promiscuità di anziani e giovani era impedita ma erano ammessi i servi. La classificazione delle classi di età sodalis e il necessario accesso a quelle più alte richiedevano rituali d’iniziazione in maniera che chi vi rientrava erano sempre i più giovani. Non esiste nell’opera plautina alcuna sottolineatura di un eventuale rapporto amichevole tra un ragazzo e una ragazza mentre troviamo amicizie tra giovani e vecchi, tra padre e figlio, tra servo e padrone. Vero è che l’influenza dei commerci iniziati con Roma dopo le innumerevoli conquiste aprì l’interesse verso la Grecia con conseguente adattamento alle attitudini di vita e ai loro modelli culturali.

    Le navi romane tornavano cariche di schiavi di tutte le estrazioni fra cui non mancavano letterati, filosofi, astronomi ecc. Tutta questa gente aveva molto da insegnare ai romani di allora. Fra questi qualcuno divenne famoso come lo storico Polibio e Appiano; altri si legarono ai circoli nobiliari dei potenti; altri ancora predicarono nuove religioni e costumi mentre i più modesti divennero maestri di scuola.

    La difficoltà di accettare l’amicizia omosessuale, alla greca, era determinata dalla tipica tradizione romana dello stupro. La sodomia era praticata sul vinto, sullo schiavo, e la pratica di tale umiliante sottomissione non sarà mai accettata dal potere romano su se stesso perché i romani si sono sempre distinti come conquistatori (anche se nella realtà molti generali, poeti, filosofi e senatori la praticavano anche con giovani liberi col rischio reale di essere denunciati e penalmente perseguiti).

    C’è da ritenere che l’ostilità verso l’omosessuale da parte dei cristiani derivi proprio dal fatto che la religione cristiana è una commistione di miti e tradizioni derivate cronologicamente dalla cultura e dalla mitologia del mondo romano.

    Perciò, se la sodomia era riservata al vinto il messaggio era chiaro: se sei omosessuale sei un perdente a patto che chi la pratica non sia un prete, un vescovo, un cardinale o un papa benestante, potente e lussurioso.

    La chiesa, come ben sappiamo, ha spesso riadattato simboli e divinità romani, egiziani e mesopotamici a uso e vantaggio proprio.

    A tale proposito furono promulgate leggi che codificavano i comportamenti ma soprattutto le pene verso chi avesse praticato la sodomia o l’amore tra uomini liberi. Ufficialmente, la pratica omosessuale sarà sempre, o quasi, riservata agli schiavi. Addirittura, per evitare che a un bambino nato libero giocando nudo corresse il rischio di essere molestato da qualche sprovveduto, veniva legata al suo collo una medaglia d’oro (bulla) che il ragazzo si premurava di mostrare come un arbitro dei nostri tempi mostrerebbe il cartellino di rigore a ogni fallo compiuto. Nel caso in cui il malintenzionato non si fosse accorto della bulla o che il giovane non l’avesse esibita la legge riservava ritorsioni severissime (non ultima la pena di morte) salvo che al giovane la cosa non fosse dispiaciuta e avesse minacciato lui di denunciare il sodomita per non aver compiuto l’atto.

    La Lex Scatinia contemplava l’etica comportamentale verso le donne e in genere verso il sesso, e siccome i rapporti tra maschi erano praticati regolarmente si deve ritenere che in nuce contenesse anche le regole per il comportamento riguardante le amicizie maschili.

    In un suo saggio Fraenkel elenca una lista di tipologie amichevoli contemplate nell’opera di Plauto ma non riesce a individuare tracce di amicizie particolari nei suoi personaggi tali da poter attribuire allo stesso autore alcuna predisposizione al sesso con maschi. In Plauto l’omosessualità (come per tutta la popolazione maschile romana) riflette il concetto di sottomissione riprovevole per un uomo libero mentre pone l’amicizia tra ragazzi al livello più alto, addirittura più elettivo dell’amore tra uomo e donna. Se pure il rapporto marito e moglie fosse rispettoso nell’educazione dei figli quando si trattava della vita pubblica la donna, all’epoca di Plauto, era tenuta in disparte. Il sentimento di amicizia ha l’orientamento dell’unicità e si può riscontrare molto spesso con formulazioni esplicite: pauci ex multis sunt amici, homini qui certi sient ed esclude gli adulatori, i parassiti, i simulatori che agiscono per il loro interesse personale. Sovente l’amicizia in Plauto può spingersi in un’intimità così intensa da essere confusa per héteros egò o alter idem o quella di due anime in unico corpo aequales.

    Ci è dato sapere che le donne romane erano ben inserite e affermate nella società: potevano partecipare alle assemblee pubbliche e persino al Senato ma erano comunque relegate ai loro ginecei e alla fin fine, per gli intellettuali, restavano sempre soggetti d’interesse secondario.

    Si può con certezza affermare che persisteva, come nella cultura greca, il concetto che se per il sesso fosse necessaria la donna giacché doveva procreare, l’amore era più orientato verso un ragazzo (anche se nessuno avrebbe potuto istituzionalizzarlo come modus vivendi). Resta un fatto di non poco conto l’adozione degli usi e della cultura greca: la civilizzazione della grossolanità culturale e comportamentale tipica del popolo romano ai tempi di Plauto. L’amore che sarebbe più corretto definire bisessuale (i termini bisessuale, omosessuale ed eterosessuale non erano usati dai romani) erano invece concessi in letteratura, ma questo non lo troveremo descritto in Plauto se non in senso dispregiativo. Troviamo invece molte riflessioni, anche amare, sul significato dell’amicizia e i vari livelli in cui essa si manifesta.

    Il tradimento degli amici

    La falsità di un rapporto d’amicizia è presa in considerazione nella Bacchides.

    Gli amici, un certus amicus, potranno compiere tradimenti e saranno protagonisti di equivoci chiariti i quali il rapporto di amicizia ne trarrà giovamento e si confermerà ancora più consolidato di prima. Gli amici dell’opera plautina sono spesso dei vicinates, vicini che rasentano l’amicizia solo se necessaria. Per esempio in Miles Gloriosus il vicino aiuta la ragazza a mettere in scena il suo doppio per ingannare il Miles ma una volta messo in pratica l’inganno l’amicizia provvisoria viene meno. Ci sono molti altri esempi e combinazioni ma per Plauto l’amicizia ⁵ vera è quella di tipo fraterno. Le sue commedie si rivelano perciò un palcoscenico privilegiato poiché costituiscono un corpus compatto e coerente all’interno del quale è possibile rilevare con esattezza gli stereotipi, le varianti e le sfumature nella resa delle situazioni drammatiche oltre che nel delineamento dei personaggi dell’epoca.

    5    L’amicizia nelle commedie di Plauto: un’indagine antropologica. Renata Raccanelli Edipuglia editori 1998- Contaminatio da: Secondo natura - la bisessualità nel mondo antico di Eva Cantarella

    Sarsina durante la repubblica

    Di seguito una breve descrizione storica della cittadina di Sarsina durante la repubblica.

    500 a.C. - epoca della fondazione, da parte degli Osci, della città di Pompei.

    343-290 a.C. - guerre sannitiche e conseguente inglobamento delle popolazioni sannite e Osce sotto l’amministrazione romana.

    269 a.C. - nasce il conio delle monete: la popolazione romana era di 3 milioni d’individui liberi e 2 milioni di schiavi.

    266 a.C. - il console Decimo Giunio Pera e Numerio Fabio Pittore vincono i sarsinati il 26 settembre e il 5 ottobre trasformando Sarsina in una città federata e quindi municipio di Roma.

    264-241 a.C. - prima guerra punica.

    264-261 a.C. - Roma in Sicilia provoca lo scoppio della guerra; i Romani prendono la Sicilia orientale fino ad Agrigento.

    256 a.C. - vittoria della flotta romana al promontorio di Ecnomo.

    255 a.C. - in Africa Attilio Regolo è sconfitto; la flotta romana vince a Capo Ermeo ma è distrutta da una tempesta.

    251-59 a.C. - data presunta della nascita di Plauto.

    250-249 a.C. - vittoria romana nella battaglia navale di Panormo; vittoria cartaginese nella battaglia navale di Drepano (249).

    241-238 a.C. - lotta dei contadini e degli schiavi a Cartagine che con la complicità di Roma e Siracusa fu soffocata nel sangue.

    238-237 a.C. - Roma conquista Sardegna e Corsica.

    237 a.C. - spedizione di Amilcare Barca in Spagna; ripresa economica di Cartagine.

    234 a.C. - nasce a Tuscolo (cittadina vicina a Roma) Marco Porcio Catone poi soprannominato il Vecchio o Censore.

    227 a.C. - creazione delle prime due province, Sicilia e Sardegna-Corsica

    226 a.C.- trattato tra Roma e Cartagine e riconoscimento delle autonomie reciproche.

    225-222 a.C. - sottomissione di Galli Boi; conquista di Mediolanum; fondazione delle colonie di Cremona e Piacenza.

    219 a.C.- Cartagine con l’intervento di Annibale espugna Sagunto; i Romani dichiarano guerra ai Cartaginesi.

    218-201 a.C. - seconda guerra punica.

    218 a.C. - Annibale varca le Alpi sorprendendo i Romani e vince al Ticino e alla Trebbia.

    217 a.C.- battaglia presso il Trasimeno: Annibale vince il console C. Flaminio; in Spagna gli Scipioni vincono la flotta cartaginese alle foci dell’Ebro.

    216 a.C. - battaglia di Canne: i Romani subiscono una terribile sconfitta in battaglia, cadono il console Emilio Paolo e il generale Lucio Pisone di Sarsina; i Sanniti e i Lucani si alleano con Annibale.

    215 a.C. - in Spagna gli Scipioni prendono Sagunto.

    213-211 a.C. - Annibale conquista Taranto e marcia verso Roma prendendo la decisione incomprensibile di non conquistarla; Roma prende Capua e Siracusa, alleata di Cartagine; in Spagna Asdrubale sconfigge e uccide i due Scipioni.

    212-205 a.C. - prima guerra macedonica: i Romani si alleano con Etoli, Spartani e Messeni, impegnando Filippo in Grecia.

    210-206 a.C. - successi di P. Cornelio Scipione (l’Africano) in Spagna contro Asdrubale.

    204 a.C. - Scipione porta la guerra in Africa e si allea con Massinissa, re di Numidia, spodestato dai Cartaginesi.

    203 a.C. - Scipione vince ai Campi Magni; Annibale è richiamato in Africa.

    202 a.C. - battaglia di Zama: Scipione sconfigge Annibale.

    201 a.C. - pace tra Roma e Cartagine, sottoposta a durissime condizioni.

    200 a.C. - Plauto scrive lo Stichus (Stico).

    196 a.C. - T. Quinzio Flaminino ai giochi Istmici di Corinto proclama la libertà della Grecia.

    192-189 a.C. - guerra contro Antioco III di Siria che alleato con gli Etoli sbarca in Grecia; la Grecia è sconfitta dai Romani alle Termopili (191) e a Magnesia (189).

    191 a.C. - Plauto scrive Pseudulus (Pseudolo).

    188 a.C. - pace di Apamea: Roma impone ad Antioco di lasciare i possessi in Asia Minore.

    186 a.C. - il senato decreta la repressione dei Baccanali.

    184 a.C. - data di attribuzione della morte di Plauto, tra i sessantasette e i settantacinque anni.

    D.JUNIUS.D.F.D.N.PERA.COS.AN.CD.XXCVII.

    DE SASSINATIBUS.V.K.OCTOBRIS.N.FABIUS C.F.M.N.PICTOR COS.AN.CDXXCVII.

    DE SASSINATIBUS.III.NONAS OCT.E

    Scritta sui Trionfi romani - Fori Imperiali - Roma

    I culti misterici

    Gli ebrei non erano l’unica popolazione oppressa sotto l’impero: la dominazione che subivano aveva un carattere particolarmente brutale e la loro storia millenaria di sottomissione li aiutava, anche nella diaspora, a restare più legati e omogenei di altri popoli. Inoltre, la consistenza numerica e la loro diffusione era notevole. Tutto questo spiega perché la radice del cristianesimo sia ebraica. Non solo il dominio romano aveva unificato le condizioni sociali e politiche del Mediterraneo ma aveva facilitato enormemente gli scambi culturali tra i popoli. Così, se la crisi della civiltà schiavile spiega il diffondersi di culti misterici, il fatto che l’oriente in genere fosse più sviluppato spiega perché il flusso delle idee soteriologiche andasse da est a ovest, dalla civiltà ellenica (ma anche persiana e indiana) fino a Roma. Già prima che la presa di Gerusalemme ponesse le basi per una rivisitazione del messianismo ebraico, i culti di salvezza avevano conosciuto una diffusione notevole tra i popoli soggetti a Roma, tanto che verso il 50 a.C. il senato romano aveva deciso una loro decisa repressione.

    Particolarmente brutale fu la soppressione dei culti dionisiaci. Liberato dai membri guerrieri e isolazionisti, il messaggio messianico era pronto per fondersi con le religioni ormai diffuse a sfondo salvifico. Spesso si trattava di culti sincretici, vale a dire religioni che univano culti orientali a elementi giudaici e di popoli anche

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