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Il secolo d'oro dell'antica Roma
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E-book484 pagine6 ore

Il secolo d'oro dell'antica Roma

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Info su questo ebook

Da Augusto a Marco Aurelio: quando l’impero raggiunge il massimo splendore

Come si fa a stabilire qual è il secolo d’oro dell’antica Roma? Ci fu davvero un secolo d’oro? Quello che è certo è che si può parlare di un’epoca di oltre un secolo e mezzo piena di eventi che hanno portato Roma all’acme della sua potenza per poi dare inizio a un fisiologico e inesorabile declino. Questo libro si propone di analizzare il periodo che va dal principato di Augusto fi no alla morte di Marco Aurelio per capire come è cambiata Roma in quegli anni e perché. Ogni imperatore ha contribuito a plasmare l’impero romano ma anche a favorirne il crepuscolo, ecco perché non bisogna accontentarsi di un elenco di dati biografi ci ma è necessario procedere con un’analisi dell’operato di ognuno da un punto di vista militare e legislativo. Solo considerando questi aspetti in quell’arco di tempo, infatti, sarà possibile farsi un’idea della grandezza di una civiltà che ha saputo influenzare in modo così incisivo le sorti della storia.

L’antefatto
Una Roma di marmo
Due mostri al comando?
L’impero si consolida: la morte della repubblica
Un imperatore poco aristocratico
Caino e Abele
L’impero raggiunge la massima estensione
Il mezzo secolo d’oro
L’inizio della fine

Sara Prossomariti
è nata nel 1984 e vive e lavora a Mondragone. Laureata in Storia e Archeologia, ha collaborato con la rivista «Civiltà Aurunca». Opera come volontaria presso il Gruppo Archeologico Napoletano da più di dieci anni e ha partecipato a diversi scavi archeologici in Grecia e in Italia. Guida turistica autorizzata della Campania, con la Newton Compton ha pubblicato I personaggi più malvagi dell’antica Roma; I signori di Napoli; Un giorno a Roma con gli imperatori; I grandi personaggi del Rinascimento; Il secolo d’oro dell’antica Grecia; Il secolo d’oro dell’antica Roma; I grandi delitti di Roma antica e, scritto con Andrea Frediani, Le grandi dinastie di Roma antica.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2019
ISBN9788822737236
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    Anteprima del libro

    Il secolo d'oro dell'antica Roma - Sara Prossomariti

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    669

    Prima edizione ebook: settembre 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-3621-5

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Manuela Carrara per Corpotre, Roma

    Sara Prossomariti

    Il secolo d’oro dell’antica Roma

    Da Augusto a Marco Aurelio:

    quando l’Impero raggiunge

    il massimo splendore

    Newton Compton editori

    Alla mia piccola Lucia

    Indice

    Introduzione

    i.L’antefatto

    ii. Una Roma di marmo

    iii. Due mostri al comando?

    iv. L’impero si consolida

    v. Vespasiano, un imperatore poco aristocratico

    vi. Caino e Abele

    vii. L’impero raggiunge la massima espansione

    viii. Il mezzo secolo d’oro

    ix. L’inizio della fine

    Bibliografia essenziale

    Introduzione

    Come si fa a stabilire qual è il secolo d’oro dell’antica Roma? Molti studiosi hanno cercato di individuarlo ma il problema principale da affrontare è: ci fu davvero un secolo d’oro? Un secolo al quale guardare con malinconia, un secolo in cui tutto effettivamente filò liscio, un secolo in cui la gran parte dei sudditi romani poterono dirsi soddisfatti? Ci fu davvero un declino oppure si tratta semplicemente di una sequenza di eventi storici con alti e bassi fisiologici? Per capire bene se effettivamente vi fu un secolo d’oro nell’antica Roma dobbiamo partire dal presupposto che alcuni stereotipi vanno demoliti al fine di comprendere meglio la storia dell’Urbe e giudicare serenamente i suoi protagonisti. In linea di massima, un periodo d’oro è stato identificato ed è quello che va dal principato di Ottaviano Augusto fino a Marco Aurelio: come è evidente si tratta di un secolo e mezzo e non di cento anni. Un periodo abbastanza lungo in cui, Roma raggiunse l’acme in termini politici, militari, artistici, architettonici e militari.

    Ogni capitolo di questo libro è dedicato a uno o due imperatori. Al di là dei dati biografici, utili a comprendere il carattere di ognuno e quindi le loro scelte, intendiamo analizzare principalmente ciò che questi uomini hanno fatto per l’Urbe. Quello che ci interessa davvero dunque è capire come ogni imperatore abbia influito sull’evoluzione di Roma in quanto città e in quanto potenza. Ci soffermeremo dunque sulle riforme, le campagne militari e le scelte politiche che li hanno visti protagonisti, oltre che sui gossip là dove fossero utili.

    Provate a immaginare l’antica Roma come un vaso. L’epoca repubblicana corrisponde alla fase di selezione delle materie prime che da Cesare in poi, e soprattutto grazie ad Augusto, vengono messe insieme per dargli forma. Una volta abbozzato, è passato di mano in mano fino ad arrivare a Marco Aurelio. C’è chi l’ha fatto cadere rompendolo, chi si è preso la briga di ripararlo, chi ha aggiunto dei dettagli e chi invece ha ritenuto opportuno eliminarli.

    Alla fine di questo lungo percorso finiremo per renderci conto che non c’è stato un secolo d’oro ma solo momenti buoni alternati a momenti cattivi. Ci sono stati imperatori più abili di altri, alcuni nati per fare questo mestiere e altri che avrebbero volentieri fatto altro. C’è chi ha rotto il nostro vaso di proposito e chi per goffaggine, ma ognuno di loro ha lasciato la sua impronta su quell’oggetto.

    Il miglior modo che esiste per conoscere davvero la storia è quella di analizzarla senza pregiudizi, mettendo da parte gli stereotipi e cercando di individuare le notizie vere discernendole dai rumors. Certo anche le chiacchiere possono fornirci dei dati importanti, seppure indirettamente, e questo perché ci permettono di capire come veniva visto un determinato personaggio dai più: ma è sempre bene contestualizzare e dare il giusto valore alle cose.

    Se vogliamo conoscere davvero la storia di Roma e del suo cosiddetto secolo d’oro dobbiamo mettere da parte un bel po’ di cliché, a partire dalla supposta caduta dell’Impero romano. Come vedremo nel capitolo dedicato a Marco Aurelio, questa è una storia inventata un millennio dopo dagli umanisti i quali, intenzionati a esaltare l’Età romana rispetto al Medioevo avevano la necessità di creare una cesura netta tra le due epoche. In realtà, nel 476 d.C. non è crollato nessun muro, non sono nate nuove barriere, i romani non sono scomparsi in massa, non è successo niente di così apocalittico come si vorrebbe fare credere. Il 4 settembre di quell’anno, quando Romolo Augustolo − il cosiddetto ultimo imperatore di Roma −, fu deposto da Odoacre, non accadde assolutamente nulla che non fosse un normalissimo cambio della guardia come ve ne erano già stati tanti. Qualcuno ha però voluto puntare il dito contro questo barbaro, che peraltro faceva parte dell’esercito romano già da un po’ e quindi, considerando gli standard dell’epoca era perfettamente romanizzato, per trovare il capro espiatorio di un reato mai commesso. Odoacre era uno dei tanti barbari che riempivano le file dell’esercito romano e dopo aver guidato una rivolta degli Eruli, dei quali poi divenne re, riuscì a deporre Romolo Augustolo. Fatto ciò, tutto rimase come prima. L’impero continuò a essere gestito esattamente come lo era in precedenza, vi era ancora il Senato, che peraltro diede il suo sostegno all’ex comandante, e i romani continuarono con la loro vita di sempre.

    Non vi fu dunque alcuna caduta: l’Impero romano si limitò a cambiare, per l’ennesima volta.

    Questo e tanti altri sono gli stereotipi da scardinare se vogliamo essere obbiettivi. Scordiamoci del Nerone di Quo Vadis, dimentichiamo quel Tito perfetto che le fonti ci hanno tramandato, immaginiamo Marco Aurelio un po’ meno filosofo e più amministratore e tutto ci apparirà chiaro e limpido.

    Questi cliché sono nati come detto tra ’400 e ’500, quando gli studiosi avevano solo fonti letterarie a disposizione e quindi si trovavano di fronte a tutta una serie di racconti che spingevano in una determinata direzione. Oggi per fortuna possiamo fare affidamento su una mole notevole di fonti alternative come monete, epigrafi, materiale archeologico che ci permettono di discernere i racconti particolarmente fantasiosi da quelli realistici. Abbiamo quindi l’obbligo di fare un’analisi attenta.

    Cominciamo quindi questo nostro percorso alla scoperta dell’Impero romano e dei suoi protagonisti con una mente aperta e disposta al cambiamento.

    I

    L’antefatto

    Dove tutto ebbe inizio

    Il nostro saggio ha inizio con il principato di Ottaviano Augusto, il primo imperatore di Roma. Nessuno dei suoi contemporanei si sarebbe mai sognato di definire Augusto un imperatore ma col senno di poi non lo si può che catalogare così.

    Tutto ebbe inizio con lui, l’uomo al quale i romani devono la trasformazione della loro Urbe nella capitale di un impero o meglio, come diceva lo stesso Augusto, da città di mattoni a città di marmo. Ma come siamo arrivati ad Augusto? Come è stato possibile trasformare una potentissima repubblica in un principato? Ma soprattutto, come mai i romani hanno accettato un cambiamento così drastico? Per poter rispondere a tutte queste domande dobbiamo ripercorrere insieme quella fase turbolenta di cui furono protagonisti uomini del calibro di Cesare, Pompeo, Crasso, Catone e tanti altri. Dobbiamo ripercorrere, anche se a grandi passi, gli ultimi anni di vita della repubblica romana.

    Per seguire in maniera chiara l’evolversi degli eventi ci serve però un punto di riferimento che sarà lo stesso Ottaviano. Osserveremo, infatti, le ultime fasi di vita della repubblica attraverso gli occhi del futuro imperatore in modo da seguire anche i suoi primi passi, quelli che gli permisero la scalata al potere.

    Il piccolo Caio Ottavio nacque il 23 settembre del 63 a.C. da Caio Ottavio e Azia. Caio Ottavio senior era originario di Velletri e fu il primo a entrare in Senato della sua famiglia, una famiglia che passò dal patriziato alla plebe e viceversa in più di un’occasione e che faceva parte dell’ordine equestre.

    Il povero Caio era un uomo di solidi principi e dalle tante qualità; fu edile della plebe, pretore e governatore della Macedonia. Avrebbe persino potuto diventare console se non fosse morto proprio poco prima di presentare la sua candidatura.

    Caio assunse il signum Turino che trasmise ai figli e che, stando alle fonti, ottenne per aver portato a termine una questione alquanto spinosa; questo avvenne proprio nei mesi che successero la nascita del suo primo e unico erede maschio. Tra il 63 e il 62 a.C., infatti, nei pressi della città di Turi, da cui deriva appunto il signum in questione, Caio riportò una vittoria contro i seguaci di Spartaco, il famoso gladiatore ribelle ormai morto da sette anni. Riepiloghiamo un attimo gli eventi.

    Nel 73 a.C. era scoppiata in Campania una rivolta organizzata da una settantina di gladiatori. Questi, approfittando delle armi usate durante gli allenamenti e degli arnesi tenuti nelle cucine del ludus di Batiato, il proprietario di una delle tante scuole di gladiatori che si trovavano nell’antica Capua, fuggirono via mettendo a dura prova l’esercito romano. A guidare questo gruppo di gladiatori c’era appunto Spartaco, di cui ahimè non sappiamo molto. Se ci riflettete, le uniche fonti che ci raccontano la storia di questa ribellione sono tutte di parte romana: manca quindi una controparte, la voce di uno o più ribelli che possano raccontarci la loro versione dei fatti.

    Molto spesso quando si parla della rivolta di Spartaco la si definisce rivolta servile ma è bene fare una precisazione. C’erano già state due rivolte servili poco prima e avevano avuto luogo in Sicilia. La Sicilia e la Campania erano le regioni a maggiore concentrazione di ville rustiche, vale a dire le antiche fattorie romane, nelle quali lavoravano moltissimi schiavi. Le due rivolte siciliane ebbero luogo nel 135 e nel 105 a.C. e furono interamente portate avanti da schiavi ribelli che ne avevano abbastanza delle condizioni di vita cui erano sottoposti. La rivolta di Spartaco, invece, fu pianificata da un piccolo gruppo di gladiatori che mirava, molto probabilmente, a tornare nelle proprie terre di origine. Solo in un secondo momento mutò aspetto e i gladiatori cominciarono a essere seguiti da una immensa moltitudine di schiavi ribelli. Questi ultimi, vedendo che i gladiatori riuscivano a tenere testa ai romani, pensarono di avere una concreta possibilità di rivalsa al loro fianco e così decisero di appoggiarli. Questa immensa massa di uomini fu affrontata in un primo momento da giovani reclute: questo perché i veterani erano tutti impegnati, alcuni con Pompeo Magno in Spagna contro Sertorio. Per i gladiatori fu quindi abbastanza semplice avere la meglio su di loro. Fu a questo punto che si decise di ricorrere a Marco Licinio Crasso, uno dei futuri triumviri, il quale però non avendo molta esperienza in ambito bellico, prima di ottenere una vittoria definitiva subì tutta una serie di sonore e cocenti sconfitte.

    Una volta morto Spartaco, molti dei suoi seguaci si diedero alla fuga. Alcuni di questi fuggitivi furono intercettati da Pompeo Magno che rientrava dalla Spagna, il quale provvide subito a punirli severamente. Altri, a quanto pare, riuscirono a cavarsela e si aggirarono per l’Italia fino al 62 a.C., anno in cui furono definitivamente sconfitti da Caio Ottavio. Oltre agli ex seguaci di Spartaco, Caio dovette affrontare anche alcuni ex seguaci di Catilina la cui congiura ebbe luogo proprio nell’anno di nascita del grande Augusto. Quest’ultimo, infatti, come abbiamo già anticipato, venne al mondo nel 63 a.C., sotto il consolato di Marco Tullio Cicerone e Antonio Ibrida¹, come ricorda lo stesso Svetonio.

    Nel 59 a.C. Caio Ottavio morì lasciando il piccolo Ottaviano di soli quattro anni solo con sua madre e le sue sorelle, vale a dire Ottavia Minore e quella che in realtà era una sorellastra, Ottavia Maggiore, avuta da un precedente matrimonio.

    Il nostro futuro princeps all’epoca dei fatti si chiamava Caio Ottavio Turino. Questo nome non ci è molto familiare ma è importante tenerlo a mente perché è il vero nome di Ottaviano, anche se col passare del tempo verrà dimenticato in favore di altri molto più significativi. Ogni fase della vita del nostro Ottaviano Augusto è segnata da un nome diverso. All’inizio il bambino porta quello del padre, poi prenderà il nome dello zio Cesare che lo adotterà per mezzo di un legato testamentario per poi diventare a tutti gli effetti Augusto.

    Abbiamo menzionato poco fa la madre di Ottaviano, Azia, di cui vale la pena approfondire le origini. La donna, infatti, era figlia di una sorella di Caio Giulio Cesare per cui era una nipote diretta del dittatore che altri non era quindi che il prozio del piccolo Ottaviano. Proprio in virtù di questo legame di parentela Cesare cominciò a interessarsi a quel bambino che fece la sua prima apparizione pubblica a dodici anni, nel 51 a.C. quando pronunciò l’elogio funebre di sua nonna Giulia, la sorella di Cesare.

    Mentre il fanciullo cresceva tante cose accadevano a Roma e non solo: eventi che avrebbero segnato anche la sua di vita insieme a quella di molti altri romani. Nei dodici anni intercorsi dalla nascita alla prima apparizione pubblica di Ottaviano tre uomini si erano imposti sulla scena politica: Cesare, Pompeo e Crasso.

    Cesare, Pompeo e Crasso

    Cesare decise di adottare nel suo testamento quel pronipote non solo perché non aveva eredi maschi diretti, come pensa qualcuno, ma anche perché aveva visto in lui qualcosa di speciale. A conferma di ciò riporteremo il testamento dello stesso dittatore ma andiamo per gradi. Cesare ebbe solo una figlia, Giulia, la quale morì di parto togliendo al dittatore ogni speranza di un erede diretto. Quel figlio, essendo il frutto dell’unione tra Giulia e Pompeo Magno, avrebbe forse potuto cambiare il corso della storia ma non avendone la certezza non ci soffermiamo troppo su questo tema. Tecnicamente, Cesare aveva un erede maschio, ovvero il piccolo Cesarione, nato a quanto pare dall’unione con Cleopatra. Quando il padre morì, Cesarione aveva appena tre anni ed essendo nato dall’unione tra un romano e un’egiziana non fu mai considerato un romano vero e proprio e quindi in condizioni di rivendicare l’eredità del dittatore. Peraltro, in molti misero in discussione quella paternità così provvidenziale per Cleopatra, per cui diciamo che il povero Cesarione non fu mai un vero e proprio pericolo per Ottaviano, che però decise ugualmente di ucciderlo dopo aver sconfitto Cleopatra per evitare rivendicazioni di qualsiasi genere.

    Incisione ottocentesca di F. Perrier, raffigurante una statua di Giulio Cesare.

    Ma torniamo al matrimonio di Giulia con Pompeo Magno e scopriamo come si era giunti a esso.

    Cesare aveva avuto una vita abbastanza travagliata per essere l’erede di una delle più importanti famiglie di Roma. Cresciuto con sua madre nella Suburra e rimasto orfano di padre a sedici anni, ebbe il coraggio di sfidare l’allora dittatore Lucio Cornelio Silla, salvo poi doversi nascondere per evitare conseguenze catastrofiche, non essendo lui ancora abbastanza potente da cavarsela da solo. Durante l’adolescenza ricoprì per qualche tempo la carica di Flamen Dialis, una carica sacerdotale che imponeva tante di quelle limitazioni che se Cesare avesse continuato a detenerla avrebbe potuto dire addio alla sua carriera militare. Perse questo incarico proprio quando sfidò Silla. Il dittatore, infatti, voleva che il ragazzo lasciasse sua moglie, la figlia di Lucio Cornelio Cinna, uno dei suoi più acerrimi nemici, ma Cesare rifiutò e così perse la carica di Flamen. Alcuni hanno voluto vedere in questa scelta un gesto di estrema lealtà verso l’unica donna che gli diede un erede, anche se femmina; altri, invece, conoscendo la forma mentis di Cesare, hanno elaborato un’altra ipotesi: e se Cesare si fosse opposto a Silla proprio per liberarsi di una carica così restrittiva come quella di Flamen Dialis? Carica che peraltro gli era stata imposta da suo zio, Caio Mario, grande condottiero romano e avversario di Silla, il quale aveva deliberatamente voluto mettere un freno alla sua carriera militare. Si trattava di un ostacolo notevole che, una volta superato, avrebbe permesso a Cesare di fare ciò che più amava, combattere. Quell’incarico, che ad alcuni poteva sembrare così prestigioso, impediva al detentore di montare a cavallo, allontanarsi da Roma per troppi giorni e combattere, rivelandosi una vera e propria palla al piede per chiunque avesse in mente una carriera militare di alto livello. All’epoca della nascita di Ottaviano, Cesare era già stato questore in Spagna (69 a.C.) ed edile (65 a.C.). Per non parlare del fatto che aveva già combattuto in Bitinia ed era anche stato sequestrato da dei pirati di cui si vendicò non appena pagato il riscatto per il suo rilascio. Nel 63 a.C., anno di nascita del suo pronipote, Cesare assunse la carica di Pontefice Massimo e si candidò alla pretura che ottenne e ricoprì nel 62 a.C. La carriera di Cesare procedeva a gonfie vele ma il giro di boa decisivo ebbe luogo nel 59 a.C. quando fu stretto un accordo privato con Pompeo e Crasso noto come primo triumvirato. Questi tre uomini, così diversi ma ugualmente avidi di potere, decisero di mettere da parte le incomprensioni per sostenersi l’un l’altro nell’ascesa. Tutto questo avveniva proprio nell’anno in cui il piccolo Ottaviano perdeva suo padre e non era ancora in grado di prendere parte ai grandi eventi storici che avvenivano attorno a lui.

    Abbiamo accennato a Cesare, di cui riparleremo a breve per seguire gli eventi che portarono al crollo della repubblica romana: ora concentriamoci sugli altri due personaggi che, come Cesare, contribuirono alla fine di un’epoca, vale a dire Pompeo e Crasso.

    Gneo Pompeo Magno nacque nel 106 a.C. Anche lui come Cesare cominciò a far parlare di sé quando era ancora soltanto un adolescente. A diciassette anni, infatti, fu coinvolto con suo padre, Gneo Pompeo Strabone, nella cosiddetta guerra sociale. Nel 91 a.C. i soci romani, che da molti decenni ormai erano costretti a pagare tributi e a mandare uomini in guerra al fianco dei romani senza alcun tornaconto, si erano ribellati. Volevano più diritti. Strabone e suo figlio intervennero come molti altri al fianco dei romani sperando di distinguersi e riuscirono nell’intento.

    I biografi del futuro triumviro raccontano che Pompeo fece del suo meglio durante la guerra sociale e che successivamente, a diciannove anni, riuscì addirittura a sventare una congiura ai danni del padre, che però morì comunque per altri motivi di lì a poco, per la precisione nell’87 d.C.

    A ventun anni Pompeo era ormai un ricco possidente, avendo ereditato le proprietà del padre nel Piceno, per cui decise di sfruttare le sue ricchezze per farsi un nome in ambito militare. I beni acquisiti, infatti, gli permisero di arruolare un piccolo esercito personale che, all’epoca della guerra civile tra Mario e Silla, il comandante mise a disposizione di quest’ultimo che riteneva essere il cavallo vincente. Pompeo fu un fedele del dittatore e durante la guerra civile diede prova delle sue capacità al punto che gli fu concesso un trionfo e il titolo di Magno.

    Molti attribuiscono a Cesare l’inizio della fine della repubblica romana ma è evidente che questo processo era già in atto ai tempi di Mario e Silla. La scelta di Pompeo di creare un esercito personale è qualcosa di destabilizzante, qualcosa che non ha niente a che vedere con la repubblica romana, qualcosa che ci fa capire che i tempi stanno decisamente cambiando.

    Appare evidente fin da subito che il nostro Pompeo è un uomo avvezzo al comando e molto individualista. Ha investito i suoi averi nella creazione di un esercito privato e questo ci dice già moltissimo sulla sua personalità. Alla fine della guerra civile e dopo il ritiro a vita privata di Silla, gli fu assegnato un compito molto importante: combattere Quinto Sertorio.

    Ma chi era quest’uomo?

    Sertorio, pur essendo stato un fervente mariano, durante gli ultimi anni di vita del suo comandante cominciò a dare segni di insofferenza. Non approvava più i metodi usati da Mario ma allo stesso tempo non se la sentiva di passare dalla parte di Silla, con il quale non aveva alcun ideale in comune. Fu così che si venne a trovare in una posizione assai scomoda, praticamente in mezzo a due fuochi, cosa che lo spinse a prendere una decisione drastica, vale a dire lasciare Roma e l’Italia. La prima tappa di Quinto Sertorio fu l’Africa, dove però non riuscì a mettere in atto il suo progetto, che prese vita solo qualche tempo dopo, una volta raggiunta la Spagna Ulteriore. La sua idea era quella di ricreare un mondo romano fuori da Roma. Fu così che diede vita a una nuova repubblica romana in Spagna con tanto di senato, formato da trecento uomini misti tra romani e spagnoli, ed esercito. Per volontà di Mario, Sertorio aveva prestato servizio in Spagna nel 97 e nell’83 a.C. per cui aveva avuto modo di farsi delle amicizie in quella zona, amicizie che gli tornarono utili in questa fase così delicata della sua vita.

    Quando Pompeo giunse in Spagna, Sertorio non era più benvoluto come un tempo. Le fonti raccontano che, sdegnato per il comportamento tenuto da alcuni dei suoi, prese a trattare i romani che erano con lui in malo modo e a preferire loro gli spagnoli. Arrivò persino a dotarsi di una scorta composta da soli Celtiberi, ritenendoli più fedeli dei romani e rompendo così definitivamente con i suoi concittadini.

    Si narra che questi celtiberi, in seguito a una sconfitta subita sul campo dal loro comandante, non curanti della propria incolumità avessero preso Sertorio e, portandolo sulle spalle a turno, lo avessero condotto fin sopra le mura del loro accampamento, dandosi alla fuga solo dopo essersi assicurati che fosse al sicuro.

    Sertorio confidava talmente nella propria scorta da non separarsene mai. Pompeo Magno sapeva bene che l’unico modo per sconfiggere gli uomini di Sertorio era fare fuori il comandante e così ordinò il suo omicidio. A incaricarsi della missione fu Perpenna, uno degli uomini di Sertorio, il quale fu costretto a escogitare un piano che prevedesse anche l’eliminazione, seppur temporanea, dei celtiberi. È bene specificare che Perpenna fu solo il braccio ma la mente della congiura era ben altra.

    Disegno tratto dal busto marmoreo di Pompeo, conservato nel Museo di Copenaghen.

    Questa comunque andò a buon fine e si svolse più o meno in questo modo: Perpenna invitò a un banchetto Sertorio, il quale ovviamente si portò dietro una parte della scorta. Ubriacati per bene i Celtiberi e lo stesso Sertorio non fu difficile assassinare quest’ultimo e chiudere così la questione spagnola. La vittoria in Spagna valse a Pompeo un altro trionfo che però fu celebrato solo al termine della rivolta di Spartaco, alla cui repressione prese parte anche Pompeo. In realtà il suo ruolo, come abbiamo visto, fu marginale perché si limitò a rastrellare i fuggitivi che si recarono verso nord e se lo ritrovarono inaspettatamente di fronte mentre rientrava dalla Spagna. Eppure questo suo intervento fu sufficiente a indispettire Marco Licinio Crasso che provava per lui un odio viscerale. Crasso, di cui parleremo a breve, si era occupato di Spartaco e i suoi e non aveva visto di buon occhio l’intervento di Pompeo nella questione. I due, grazie a Cesare che li convinse a mettere da parte le ostilità, si allearono e nel 70 a.C. divennero consoli insieme per la prima volta.

    Nel 67 a.C. la fama di Pompeo Magno aveva raggiunto l’apice tanto che i consoli di quell’anno decisero di assegnargli un comando speciale per combattere i pirati cilici che a quei tempi creavano moltissimi problemi alle navi romane: in soli tre mesi riuscì a metterli fuori combattimento. Nel 66 a.C. poi riportò una clamorosa vittoria contro Mitridate, re del Ponto, che da lungo tempo teneva in scacco i romani. Insomma, considerando che aveva solo sei anni più di Cesare poteva vantare una carriera militare ben più spettacolare. Dei tre questo tribuno era sicuramente quello più titolato in ambito militare al momento della nascita di Ottaviano.

    Nel 63 a.C. Cesare era dunque agli albori della sua carriera, pur potendo vantare un buon curriculum; Pompeo era all’apice; e Crasso?

    Marco Licinio Crasso era il più anziano dei triumviri. Nato nel 115 a.C. aveva nove anni più di Pompeo e quasi quindici più di Cesare. Anche lui, come Pompeo, combatté al fianco di Silla e non poteva essere altrimenti del resto. Il padre e il fratello di Crasso, infatti, erano stati uccisi dagli uomini di Mario che lo costrinsero anche a lasciare l’Italia per cercare rifugio in Spagna. Qui Crasso visse per diverso tempo in attesa del momento propizio per tornare in patria, momento che venne solo alla morte di Cinna. Fu allora che mise insieme un esercito privato e raggiunse Silla per sostenerlo durante la guerra civile contro Mario.

    Crasso, a differenza di Cesare e Pompeo che erano dei condottieri, era un abilissimo imprenditore. Si occupava di affari di vario genere, non sempre legali, e tutti sono concordi nel dire che era molto competente. C’era addirittura chi lo paragonava a re Mida per la sua capacità di trasformare ogni affare in una fonte di reddito. Crasso riuscì ad accrescere in maniera esponenziale il patrimonio lasciatogli dal padre; ma, come si dice, i soldi non danno la felicità. Crasso, infatti, non era particolarmente abile in ambito militare e il suo vasto patrimonio non poteva in alcun modo ovviare a questo problema. L’astio che il nostro Mida provava nei confronti di Pompeo Magno era dovuto a un forte senso di invidia per la gloria ottenuta da Pompeo grazie alle vittorie da lui riportate in ambito bellico.

    Crasso fu il primo alleato di Cesare. Quest’ultimo lo scelse non solo per il suo patrimonio ma anche e soprattutto perché caratterialmente più piacevole di Pompeo. Questi, come abbiamo già detto, era un uomo molto pieno di sé; Crasso invece era più gioviale e accomodante. Nel 73 a.C., Crasso fu coinvolto per la prima volta in un processo con Catilina. I due furono accusati di aver avuto rapporti sessuali con delle vestali e rischiarono addirittura di essere condannati alla pena capitale se il loro avvocato non li avesse tratti d’impaccio. Li ritroviamo insieme ancora una volta proprio nel 63 a.C., anno della nascita di Ottaviano, quando Catilina ordì una congiura ai danni di Cicerone, allora console, e Crasso fu sospettato di essere un suo sostenitore.

    Nel 70 a.C., come già ricordato, Crasso e Pompeo, messe da parte le ostilità anche grazie a Cesare, erano diventati consoli insieme accrescendo il loro potere per cui nel 63 a.C., all’epoca dei fatti appena menzionati, il possibile coinvolgimento di Crasso nella congiura di Catilina ebbe molta risonanza.

    Bisognerà attendere il 60 a.C. però perché questi tre uomini decidano di sottoscrivere un accordo privato vincolante che passerà alla storia come primo triumvirato. Questo accordo portò Cesare in Gallia e Pompeo e Crasso nuovamente al consolato nel 55 a.C.

    A questo punto Ottaviano ha otto anni e il suo prozio, insieme ai suoi due alleati, è il padrone di Roma. Tutto sembra filare liscio fino al 54 a.C. quando accadde il primo dei due avvenimenti che portarono alla rottura tra Cesare e Pompeo.

    Cesare, per consolidare l’alleanza con Pompeo, aveva concesso in moglie al suo alleato la sua unica figlia, Giulia, peraltro ancora adolescente. Pompeo si innamorò follemente della ragazza e il periodo più propizio per Cesare fu proprio quello in cui Giulia e Pompeo furono sposati. Pompeo era bendisposto nei suoi confronti e disponibile ad accondiscendere a tutte le sue richieste. Nel 54 a.C., però, mentre Cesare era ancora in Gallia, Giulia, che era incinta, morì di parto e con lei l’unico tramite che avrebbe potuto tenere uniti Cesare e Pompeo. Da allora i rapporti tra i due cominciarono a diventare sempre più tesi fino alla totale rottura avvenuta nel 53 a.C.

    Intanto, dopo il consolato del 55 a.C., a Crasso, era toccato il governatorato in Siria dove il nostro imprenditore decise di mettere alla prova per l’ennesima volta le sue (pessime) capacità militari. Il problema di Crasso fu che non scelse un nemico abbordabile bensì i Parti. Questi ultimi erano stati gli unici a tenere testa ai romani e gli unici in grado di dare vita a un impero vasto quanto quello romano. Insomma, Crasso aveva fatto il passo più lungo della gamba e così nel 53 a.C., dopo aver subito una sonora sconfitta a Carre, fu assassinato dai nemici che lo avevano attirato in una trappola. Venuta meno Giulia che faceva da collante tra Cesare e Pompeo e venuto meno uno dei triumviri capirete bene che il triumvirato poteva dirsi definitivamente sciolto.

    Pompeo divenne piano piano il leader di un partito anticesariano e così uno scontro tra lui e il suo ex suocero divenne inevitabile. Dalla parte di Pompeo c’erano personaggi del calibro di Catone l’Uticense, Cicerone e tanti altri mentre dalla parte di Cesare c’erano personaggi come Marco Antonio, di cui riparleremo a breve.

    I pompeiani fecero di tutto per costringere Cesare a rientrare a Roma in veste di privato cittadino, per sottoporlo a processo per alcuni suoi comportamenti ritenuti, non a torto, irregolari; ma non ci riuscirono. Cesare, infatti, alla richiesta di rinunciare alla propria magistratura, per presentarsi a Roma da civile qualunque, rispose che lo avrebbe fatto ma solo se lo stesso trattamento fosse stato riservato anche a Pompeo. Cesare sapeva bene che a questa proposta sarebbe stato opposto un netto rifiuto ma almeno aveva salvato le apparenze.

    La morte di Cesare

    Il 10 gennaio del 49 a.C. ebbe inizio la guerra civile. Cesare varcò in armi il Rubicone, piccolo fiume che divideva l’Italia romana dalla Gallia Cisalpina, dichiarando così implicitamente guerra a Roma. La discesa dell’esercito di Cesare fu rapida e costellata da numerose vittorie. La sorte sembrava tutta dalla sua parte tanto che Pompeo e i suoi sostenitori, fatta eccezione per Cicerone, lasciarono l’Italia imbarcandosi a Brindisi alla volta della Grecia. Cesare aveva provato a fermarli ma non era riuscito nell’intento. Fu così che decise di rientrare temporaneamente a Roma per poi dirigersi alla volta della Spagna dove alcuni pompeiani avevano occupato la provincia. Dopo aver riportato una clamorosa vittoria in Spagna, Cesare si mise all’inseguimento di Pompeo e nonostante qualche difficoltà, che gli valse quasi una sconfitta, a Farsalo riportò la prima vittoria sui suoi avversari.

    Pompeo fu allora costretto alla fuga in Egitto dove fu assassinato da alcuni sicari del primo ministro del faraone. Cesare rimase molto contrariato per la morte di Pompeo, soprattutto per il modo meschino in cui avvenne, e provvide a dare degna sepoltura ai resti del suo nemico; di fatto però quella morte faceva di lui l’uomo più potente di Roma.

    Cesare allora si trattenne per qualche tempo in Egitto, dove fu costretto a fronteggiare una rivolta ordita ai danni di Cleopatra, divenuta ormai la sua nuova compagna, e un primo scontro contro i Parti. Mentre il prozio faceva tutto questo, Ottaviano restava in Italia e si preparava a indossare la toga virile, che ottenne a sedici anni, quindi nel 47 a.C.

    Gli ozi di Cesare in Egitto si conclusero nel 46 a.C., quando il comandante si rese conto che la sua missione contro i pompeiani era tutt’altro che finita. Cesare ottenne così un’altra vittoria proprio nel 46 a Tapso e poi ancora un’altra a Munda nel 45 a.C. Quest’ultima fase del conflitto che si svolse in Spagna vide protagonisti non solo i figli di Pompeo Magno ma anche lo stesso Ottaviano. Questi, infatti, decise, nonostante i pericoli, di raggiungere suo zio per aiutarlo. Già a quei tempi la salute di Ottaviano era malferma e quando partì alla volta della Spagna si era appena ristabilito da una di quelle crisi che lo tormentarono per tutta la vita:

    Successivamente, quando suo zio partì per la Spagna contro i figli di Gneo Pompeo, egli, sebbene ancora convalescente da una grave malattia, lo raggiunse con pochissimi compagni attraverso zone infestate dai nemici e facendo anche naufragio: si accattivò decisamente il favore di Cesare, che ne apprezzò sùbito anche il carattere oltre che l’arditezza del viaggio².

    In quell’occasione Cesare sconfisse definitivamente i pompeiani, tutti tranne uno, che divenne negli anni seguenti una spina nel fianco per il povero Ottaviano, vale a dire Sesto Pompeo, il figlio minore di Pompeo Magno.

    Cesare rientrò a Roma dove fu acclamato dittatore a vita e pian piano cominciò a correre voce che aspirasse a diventare addirittura re di Roma. Il malcontento cominciò a serpeggiare e anche l’invidia, per cui un piccolo gruppo di uomini, tra cui diversi ex pompeiani che avevano beneficiato delle clemenza di Cesare, cominciarono a ordire una congiura contro di lui. Mentre tutto questo avveniva Ottaviano si trovava lontano da Roma, ad Apollonia, dove lo zio lo aveva mandato per permettergli di completare i suoi studi. Cesare e Ottaviano avrebbero dovuto riunirsi di lì a poco, dato che nei progetti del dittatore c’era una spedizione contro i Parti e una contro i Daci e Ottaviano avrebbe dovuto prendervi parte al fianco del prozio; questo incontro non avvenne mai perché Cesare alle idi di marzo del 44 a.C. fu assassinato.

    Ottaviano era all’estero da quattro mesi quando apprese della morte di Cesare e impiegò diverso tempo a rientrare perché dovette sincerarsi della situazione prima di agire. Aveva saputo dalla madre di essere l’erede di Cesare ma questa notizia portava con sé aspetti tanto positivi quanto negativi che andavano valutati.

    Nonostante la madre e il patrigno, il secondo marito di Azia, glielo avessero sconsigliato, Ottaviano decise di accettare l’eredità lasciatagli dal prozio e di rientrare in Italia dove, il 19 aprile del 44 a.C., incontrò Cicerone. L’incontro avvenne a Neapolis, attuale Napoli, e Cicerone si sentì molto gratificato dal comportamento di Ottaviano. L’oratore, dopo aver preso coscienza del fatto che Bruto e Cassio non erano in condizione di gestire la situazione, pensò che avrebbe potuto tener testa ad Antonio solo in veste di tutore dell’erede di Cesare. Insomma, Cicerone sperava di poter diventare l’eminenza grigia di Ottaviano ma ancora non aveva compreso di che pasta era fatto il ragazzo. Dalle lettere private dell’oratore traspare un’illusoria convinzione di poter manovrare Ottaviano, una convinzione che a tratti rende l’oratore alquanto ridicolo, soprattutto se queste lettere le leggiamo ben consapevoli di quanto accadde dopo la loro stesura.

    Gli uomini che presero parte all’assassinio di Cesare erano in tutto una sessantina. Conosciamo i nomi di alcuni di loro, tra cui l’ideatore del complotto Caio Cassio Longino, del quale riparleremo a breve. Il più famoso di tutti, soprattutto per i rapporti che lo legavano a Cesare, fu sicuramente Marco Giunio Bruto.

    Cesare pare avesse avuto sentore di ciò che sarebbe accaduto quel maledetto giorno, tanto che in un primo momento aveva deciso di non recarsi in senato. Uno dei congiurati però, un uomo di fiducia di Cesare, lo convinse a recarsi presso la Curia dove poi avvenne l’omicidio. Il dittatore fu colpito da ventitré coltellate e morì dissanguato ai piedi di una statua di Pompeo, nei pressi di quello che oggi è noto come Largo Argentina. Subito dopo la morte di Cesare vi fu una notevole confusione: molti non avevano capito bene cosa fosse successo e quindi con chi schierarsi, per cui ci fu un fuggi fuggi generale. Fu Cicerone a prendere in mano la situazione. L’oratore, che già dopo la sconfitta di Catilina si era proposto come salvatore della patria, sperava di poter riportare l’ordine in città guadagnandosi ancora una volta il favore del popolo. Fu lui a spiegare ai congiurati che avrebbero dovuto convocare il senato per spiegare a tutti che il loro intento era stato quello di salvare la città da un possibile tiranno. Il senato, poi, avrebbe dovuto convalidare le ultime disposizioni di Cesare e allo stesso tempo giustificare, anzi premiare i suoi assassini. Una cosa paradossale a rifletterci bene. Perché questa contraddizione? Semplice, perché Cesare prima di morire aveva assegnato a molti dei suoi futuri assassini degli incarichi di grande importanza, incarichi che avrebbero permesso ai tirannicidi

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