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Il potere di Roma
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E-book412 pagine5 ore

Il potere di Roma

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Info su questo ebook

Una magnifica ricostruzione dell’antica Roma

79 d.C. Il regno dei Parti è teatro di guerra civile. Uno dei pretendenti al trono, affamato di potere, stringe un’improbabile alleanza con un uomo che si professa Nerone, l’imperatore deposto dal trono di Roma e considerato morto. Dall’altra parte del mondo, nel golfo di Napoli, Gaio vorrebbe trascorrere l’estate immerso tra i beneamati libri ma lo zio Plinio, il famoso ammiraglio, vuole invece che stringa amicizia con i giovani patrizi giunti da Roma al seguito di Domiziano, fratello dell’imperatore Tito. In particolare vorrebbe che entrasse in confidenza con il nipote di Ulpio, il misterioso senatore cieco proveniente dalla Spagna, di cui Plinio non si fida. Spera che Gaio possa scoprire qualcosa di più sul suo passato oscuro. Ma quando un ostaggio partico viene quasi ucciso, pochi giorni prima dell’arrivo nei dintorni di Napoli di una delegazione inviata dall’attuale re della Partia, per sancire l’alleanza con il neoeletto imperatore Tito, Plinio e Gaio capiscono che qualcosa non va. Da Levante, infatti, arrivano voci che raccontano di un falso Nerone giunto proprio in quelle terre massacrate dalla guerra. Durante la loro corsa contro il tempo per scoprire la verità, un evento terribile pronosticato dalla Sibilla cumana scuote le coste del golfo: la bocca del Vesuvio inizia a eruttare, e le sue ceneri nere cominciano a riempire il cielo…

Corruzione, violenza e tradimenti nella Roma di Nerone:
Avvincente e spietato come Game of thrones

Hanno scritto dei suoi libri:
«Straordinario. Una magnifica ricostruzione dell’antica Roma. Perderselo sarebbe un’eresia.»
Ben Kane

«Un incredibile esordio che ci porta avanti e indietro nella storia di Nerone, raccontata in modo credibile e avvincente.»
Sunday Express

«Uno straordinario romanzo, impressionante per la complessità della trama e per la potente immaginazione. Politica, intrighi, corruzione, violenza e tradimenti… La perfetta sintesi della storia romana.»
Lancashire Evening Post

David Barbaree
è avvocato e si è diplomato alla scuola di scrittura creativa Curtis Brown. Vive a Toronto con la moglie e i due figli. Il potere dell’impero è il secondo libro, dopo Il trono di Roma, di una trilogia incentrata sul ritorno di Nerone, dieci anni dopo la sua morte “ufficiale”.
LinguaItaliano
Data di uscita5 set 2019
ISBN9788822737298
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    Anteprima del libro

    Il potere di Roma - David Barbaree

    EN2475-cover.jpglogo-EN.jpg

    2475

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, luoghi e avvenimenti

    sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati

    in maniera fittizia. Qualunque analogia con fatti

    o persone reali, esistenti o esistite, è puramente casuale.

    Titolo originale: The Exiled

    Copyright © David Barbaree, 2019

    Maps © Rachel Lawston, 2019

    All rights reserved

    Originally published in the English language

    as Exiled by Bonnier Zaffre, London

    Copertina © Sebastiano Barcaroli

    Traduzione di Gabriella Diverio e Francesca Noto

    Prima edizione ebook: ottobre 2019

    © 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-3729-8

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Manuela Carrara per Corpotre, Roma

    David Barbaree

    Il potere di Roma

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    Newton Compton editori

    A Anna

    Indice

    Copertina

    Logo

    Colophon

    Frontespizio

    Dedica

    Cartine geografiche

    Personaggi

    Nota dell'autore

    Prologo

    I. TREMORI

    Zenobia

    Gaio

    Barlaa

    Domitilla

    Gaio

    Domitilla

    II. GLI EMISSARI

    Gaio

    Domitilla

    Gaio

    Domitilla

    Gaio

    Barlaa

    Domitilla

    Gaio

    III. NUOVI ARRIVI IN CITTÀ

    Capitan Verecondo

    Nerone

    IV. IO, GAIO

    Domitilla

    Barlaa

    Gaio

    Domitilla

    Gaio

    Domitilla

    Gaio

    Barlaa

    Domitilla

    V. FUOCO E CENERE

    Gaio

    Domitilla

    Barlaa

    Gaio

    Domitilla

    Gaio

    Domitilla

    Barlaa

    Domitilla

    Gaio

    Barlaa

    DIECI MESI DOPO... VI. IL FIGLIO DEL BECCHINO

    Domitilla

    UN ANNO PRIMA. OTTO SETTIMANE PREIMA DELL'ERUZIONE DEL VESUVIO

    Domitilla

    Barlaa

    Epilogo

    Ringraziamenti

    mappa1.jpg

    La provincia dell’Impero partico e i territori limitrofi.

    mappa2.jpg

    Il Golfo di Napoli.

    Personaggi 

    PARTIA 

    I re di Partia 

    Re Vologase, sovrano malato di Partia, re dal 51d.c., ha scatenato la guerra civile nominando suo successore il figlio cadetto, Pacoro ii.

    Re Vologase ii, primogenito di Vologase, uno dei tre figli che ambiscono al trono.

    Re Artabano iii, secondogenito di Vologase, non se la sta passando bene nella guerra civile. 

    Re Pacoro ii, figlio cadetto di Vologase e suo successore.

    I fedeli a Re Artabano iii

    Zenobia, moglie del re Artabano iii.

    Dario, satrapo di Battria, consigliere del re Artabano iii.

    Meerdate, detto il Rospo, figlio latinizzato di un ostaggio partico a Roma; gli sono state tagliate le orecchie da re Gotarze (detto il Macellaio), dopo un colpo di stato fallito.

    Imero, capo degli eunuchi dell’harem del re.

    ITALIA

    I Flavi

    Vespasiano, defunto imperatore di Roma, ha regnato dal 68 al 79 d.C. 

    Tito Cesare, figlio primogenito di Vespasiano, ex soldato e generale, nominato imperatore dopo la morte del padre nel giugno del 79 d.C. 

    Domiziano, figlio secondogenito di Vespasiano.

    Domitilla, figlia primogenita di Vespasiano.

    Vespasia, figlia secondogenita di Vespasiano.

    Servitori e cortigiani imperiali

    Tolomeo, schiavo e segretario imperiale di Tito.

    Giocasta, serva fedele da lunga pezza di Domitilla.

    Livia, serva di Domitilla.

    Casa di Secondo

    Plinio Secondo, detto Plinio il Vecchio, ammiraglio della flotta imperiale, militare, scrittore e intimo consigliere degli imperatori Vespasiano e Tito.

    Gaio Cecilio, nipote di Plinio, schivo e amante dello studio.

    Spartaco, segretario dell’ammiraglio Plinio.

    Zosimo, schiavo di Gaio.

    Casa di Ulpio

    Lucio Ulpio Traiano, ricco senatore cieco proveniente dalla Spagna 

    Marco Ulpio Traiano, nipote di Lucio Ulpio 

    Teseo, liberto ed ex gladiatore con un solo occhio

    Ciro, liberto di Ulpio

    Elsa, una vecchia schiava, come una madre per Marco

    Senatori e Patrizi

    Cocceio Nerva, senatore caduto in disgrazia presso i Flavi, dispone di una rete di spie in tutto l’impero.

    Sulpicio Petico, tornato da poco dalla Siria, proprietario di gladiatori, il fratello è stato messo a morte sotto Nerone.

    Ceriale, generale e amico dell’imperatore Tito, fidanzato con Domitilla.

    Tascio Pomponiano, vive vicino a Stabiae, nel Golfo di Napoli.

    Eprio Marcello, defunto, senatore sotto Nerone e Vespasiano, ha cospirato per uccidere e rovesciare Vespasiano.

    Cecina Alieno, defunto, ex comandante durante le guerre civili, coinvolto nella cospirazione di Marcello per rovesciare Vespasiano

    Valerio Festo, arrogante membro dell’entourage di Domiziano.

    Soldati e guardia pretoriana.

    Virgilio, da poco nominato prefetto della guardia pretoriana e uomo di fiducia di Tito.

    Manlio, centurione incaricato di sorvegliare gli ostaggi partici, Barlaa e Sinnace.

    Catullo Messalino, legato della guardia pretoriana e buon amico di Domiziano.

    Ostaggi partici

    Carene, defunto, generale e satrapo della Mesopotamia, ha sostenuto Meerdate nel fallito colpo di stato per rovesciare re Gotarze.

    Barlaa, guerriero di discendenza regale, uno dei cospiratori, con Carene, nel colpo di stato per rovesciare re Gotarze.

    Sinnace, figlio di Carene, nato in Italia.

    Emissari partici

    Arshak, capo degli emissari partici, basso, con gli occhi eterocromi

    Farbod e Farhad, fratelli, alti e di nobile aspetto.

    Atropate, vecchio traduttore che indossa un copricapo sciita.

    Gladiatori e cacciatori

    Il Batavo, leggendario venator, cacciatore di belve, di proprietà di Nerva.

    Sanguinerola, gladiatore, categoria mirmillone, di proprietà di Sulpicio Petico.

    Lancia di Sogdiana, guerriero portato in Italia dagli emissari partici.

    Reatini

    Plinio Pinario, becchino, che vorrebbe un’udienza con Domitilla a Baiae.

    Sesto Pinario, figlio di Plinio Pinario, che dovrebbe subentrargli nella gestione degli affari di famiglia.

    SIRIA

    Casa di Ulpio.

    Nerone, deposto imperatore, sotto le spoglie dello spagnolo Lucio Ulpio Traiano.

    Marco, ex schiavo, attualmente si finge nipote di Ulpio.

    Teseo (detto Spiculo), ex gladiatore preferito di Nerone.

    Doriforo (detto Ciro), ex liberto di Nerone, attore e maestro nei travestimenti.

    Patrizi locali

    Commodo, governatore della Siria.

    Sulpicio Petico, senatore di Roma, proprietario di gladiatori, il fratello è stato messo a morte sotto Nerone.

    Nota dell’autore

    Per più di due secoli la Partia fu rivale dell’antica Roma. Si estendeva dall’Eufrate a ben oltre il Mar Caspio, fino alla catena montuosa del Parapamiso e a sud fino al Golfo Persico. Comprendeva l’odierno Iran, l’Iraq e parte di paesi limitrofi, tra cui la Turchia e l’Afghanistan.

    Quando non erano in guerra aperta, il rapporto tra i due grandi imperi poteva essere considerato come l’equivalente antico dell’odierna guerra fredda. Si appoggiavano i pretendenti al trono del rivale. Si scambiavano ostaggi. Le concessioni ottenute venivano usate per conseguire vittorie politiche nel proprio paese. 

    Sappiamo poco della storia politica interna della Partia, specie riguardo alla seconda metà del i secolo dopo Cristo. Del periodo tra il 77 e l’80 d.C., successivo al regno trentennale di Vologase i, esistono riferimenti storici riguardanti tre diversi successori, Vologase ii, Pacoro ii e Artabano iii, che indurrebbero a pensare a conflitti civili, ma si tratta solo di supposizioni. 

    A Roma Nerone, l’ultimo degli imperatori della dinastia Giulio-claudia, governò fino al 68 d.C. A prendere il potere dopo di lui fu Vespasiano, a seguito di una breve ma sanguinosa guerra civile. Vespasiano regnò per un decennio e fondò la dinastia flavia, destinata a durare per altri vent’anni sotto i suoi figli, Tito e Domiziano.

    Durante il regno dei Flavi almeno tre uomini proclamarono di essere il deposto imperatore Nerone. Non sono sopravvissute molte testimonianze inerenti questi cosiddetti falsi Neroni. Sappiamo che erano spine nel fianco dei Flavi e che uno di essi cercò rifugio e appoggio in Partia durante il regno di Tito, ma poco più.

    Questo libro è il secondo di una serie ispirata ai falsi Neroni. È ambientato nel 79 e 80 d.C. Le notizie storiche sul periodo sono prevalentemente costituite dai resoconti di uomini che ne hanno scritto decenni o addirittura secoli dopo i fatti, interpretando il compito di documentare la storia attraverso la lente delle loro scelte di parte, personali e politiche. È quindi impossibile sapere con precisione cosa sia o non sia realmente accaduto durante il regno della dinastia flavia. Per fortuna, chi scrive romanzi non è tenuto ad attenersi alle stesse regole degli accademici. Questa è un’opera di fantasia. Mi sono preso tutte le libertà che un romanziere può concedersi., e la maggior parte delle imprecisioni storiche sono intenzionali. Allo stesso tempo ho però cercato di narrare una storia a suo modo veritiera, attraverso l’analisi dei documenti storici, delle intrinseche scelte di parte e delle contraddizioni mai chiarite, con l’ambizione di colmare quel vuoto che uno studio di carattere accademico non avrebbe potuto colmare. 

    Prologo 

    Il generale arriva nel pomeriggio. Ad attenderlo c’è mezza città.

    «Cominciamo?», chiede.

    La domanda è retorica: è il generale a decidere i tempi, non sono gli altri a imporglieli. Ma il sacerdote – uno del posto, che non conosce il protocollo imperiale – non mostra quella deferenza che spetterebbe di diritto all’uomo più importante dopo l’imperatore. 

    «Dobbiamo attendere», risponde bruscamente il sacerdote, «fino a quando il sole non inizierà la sua discesa». 

    Il generale borbotta. «Attendere?». Ma il sacerdote non è altro che un tramite, che incarna la volontà di Apollo. Chi è dunque il generale per mettersi a discutere?

    Perciò, decide di accamparsi. E di attendere. 

    Cesare sarebbe venuto in prima persona. Ma non sta bene, ed è così già da qualche tempo. A letto, si dice, destinato a non alzarsi più. Il senato ha deciso di mandare suo figlio, il famoso generale. Anche se nessuno ha osato dirlo ad alta voce, sono stati tutti concordi nel ritenere che fosse solo questione di tempo prima che il figlio venisse proclamato imperatore, non appena Cesare avesse esalato il suo ultimo respiro.

    All’ora sacra il generale percorre a piedi una foresta di pini antichissimi, su una collina scoscesa, per arrivare al Tempio di Apollo. La costruzione ha più di mille anni, è persino più vecchia di Roma. Facciata in marmo del Nordafrica, colonne con scanalature e due podi uniti da una gradinata; sul primo arde in un braciere un fuoco perenne. Poco distante c’è una scogliera che domina il Tirreno. Si intravede in lontananza l’isola di Ischia, uno scoglio nero dai contorni confusi che si erge dal mare. 

    Alla luce delle torce il generale sacrifica tre tori neri e un bue. Agli animali viene praticato un taglio nel collo e un fiume di sangue si riversa sul terreno, formando pozzanghere gelatinose e scure. Gli accoliti recitano versi antichi mentre il sacerdote inginocchiato, con le braccia sporche di sangue dalla punta delle dita ai gomiti, tira fuori e ispeziona le interiora degli animali, facendo scorrere il pollice su ogni fegato, come una sarta che controlli ogni cucitura. Una volta accertato che non vi sia nulla di anomalo, conduce il generale giù per la foresta attraverso uno stretto sentiero sterrato, fino all’ingresso di una grotta.

    Al compagno del generale, un soldato dai capelli bianchi, viene detto di attendere assieme agli accoliti.

    Il sacerdote si abbassa per entrare nella grotta; il generale lo segue.

    Il passaggio è stretto e buio. Il sacerdote lo conduce in un antro. Alla luce delle torce, un fagotto di dimensioni umane inizia a muoversi in un angolo.

    La Sibilla.

    Si tira su a sedere, poggiando la schiena contro l’aspra parete della grotta.

    La sacerdotessa è esile, tutta ossa e tendini, con capelli neri e folti.

    È soltanto una ragazzina, avrà intorno agli otto anni. Ma con la sua pelle pallida e quegli occhi neri ha l’aspetto di una donna anziana, già prossima alla morte.

    «Parla, e lei risponderà», dice il sacerdote.

    Il generale esita.

    Da soldato non ha mai avuto esitazioni. Sorride e pensa, Cosa ti prende? Questa piccola sacerdotessa di Apollo è forse più spaventosa di un’orda di germanici o di un assassino dei Sicarii? Ricorda che non lo stai facendo per te, ma per i sacerdoti che sono a Roma e per il Senato timorato di Dio. Chiedi quanto sei venuto fin qui a chiedere, e poi va’ a fare qualcosa di più utile. 

    Il generale si schiarisce la voce: «Gli oracoli raccontano di una calamità che colpirà Roma se l’ultimo dei troiani attraverserà l’Eufrate». Si impone di non pronunciare il nome dell’uomo. Significherebbe dare troppo credito a quell’impostore. «Corrono voci su qualcuno che afferma di essere tale uomo, e che starebbe radunando un esercito a Oriente. Potrebbe attraversare il fiume da un giorno all’altro. Potrebbe averlo già fatto. Dimmi cosa devo fare, per il bene di Roma».

    La voce della Sibilla è come un sussurro vuoto. «Non avere timore. Ogni impero è destinato a cadere».

    «Dimmi, sacerdotessa», la voce del generale si fa più forte man mano che riacquista sicurezza. «Cosa devo fare per proteggere il Principato e scongiurare la guerra?».

    La sacerdotessa getta la testa all’indietro, i suoi occhi iniziano a vagare come se stessero osservando il volo irregolare di un’ape, e la sua voce diventa profonda quanto quella di un uomo. Dunque si pronuncia:

    «Quando l’ultimo dei troiani sarà a Oriente e a Occidente, montagne cadranno e il cielo si riempirà di cenere nera. 

    Quando il seme di Enea attraverserà l’Eufrate, il cuore del lupo brucerà e una piaga si diffonderà. 

    Fa’ attenzione alla maledizione di una madre. Segue il colpevole anche oltre la morte.

    Fa’ attenzione alla maledizione di Remo. Non sei nessun Romolo.

    Fa’ attenzione alla forza. È la tua più grande debolezza.

    Quando i bambini dai capelli d’oro se ne saranno andati, sarà uno schiavo a governare.

    Apollo mantiene la sua parola».

    Cade sul pavimento vomitando bile nera, poi si raggomitola nuovamente nel fagotto che era quando i due sono entrati. 

    Il generale è pallido quando esce dal tempio, anche se più tardi sosterrà che fosse per l’effetto del chiaro di luna, non per il colore che ha abbandonato il suo viso, non per un sintomo di paura. Si ritira nella sua tenda con il compagno canuto, a bere vino fino alla mattina seguente. Parlano di guerra, di donne, di qualsiasi cosa che possa distogliere la mente da quel mucchietto di ossa che dispensa oracoli, con cui ha parlato Cesare. 

    Il soldato dai capelli bianchi pensa: questo doveva essere solo un classico tributo pagato allo spirito superstizioso dell’impero. Che sia diventato qualcosa di più? 

    Alla fine, chiede: «Che cosa ha detto la Sibilla?».

    Il generale gli ripete le parole della Sibilla come le ricorda. Quando ha finito, si sforza di ridere. Dopotutto, è il grande generale che ha posto fine all’assedio di Gerusalemme. Cosa gliene importa delle predizioni di una bambina di otto anni?

    «Ha detto che le montagne cadranno», dice al suo amico. «Come se gli dèi potessero rovesciare le montagne».

    I

    Tremori 

    79 d.C. 

    Zenobia

    1 aprile

    Harem di Artabano iv, Partia

    Il messaggio giunge dopo il tramonto. L’eunuco del re, Imero, lo consegna. Non ci sarà battaglia, comunica. Non stasera.

    Ottantotto donne, in tensione da quando in mattinata era stato identificato un esercito nemico, tirano tutte un sospiro di sollievo. Accanto a me la regina, che è incinta di otto mesi, inizia a piangere lacrime di gioia. L’harem non è pronto ad affrontare un’altra battaglia. Le cicatrici lasciate da Persepoli, con le vite perse e la crudele, lunga marcia verso nord, devono ancora guarire. 

    La notizia giunge a sorpresa, e io non condivido il loro sollievo. Mi sento… delusa. È vero, stasera non ci sarà battaglia. Ma siamo in guerra. Le battaglie arriveranno. Un combattimento avrebbe almeno posto fine al nostro esilio, avrebbe potuto significare riavere un tetto sulla testa, al posto delle tende impregnate di fumo grigio che vedo davanti agli occhi ogni sera mentre aspetto di addormentarmi. 

    Imero conclude il discorso con le solite banalità sul nostro re, ricordandoci il suo ineguagliabile genio, la sua magnanimità, la giustezza della sua causa. L’adulazione nelle sue parole è così esagerata, così retorica, che mi scappa quasi da ridere. Eppure, su qualcuna riesce a far presa. Alcune donne annuiscono con il capo; altre mormorano preghiere per il loro re. Forse sono solo quelle che non hanno mai incontrato Artabano e non hanno idea del suo carattere, sebbene non possa affermarlo con certezza. A differenza di altri, io non sto a tenere il conto di tutte quelle a cui è stato concesso l’onore di condividere il suo letto regale. Ci fu un tempo in cui lo facevo, quando ero giovane, competitiva e vanesia. Quei giorni ormai sono alle mie spalle, così come le vittorie. 

    Una volta concluso il discorso, Imero mi cerca con lo sguardo e si fa strada in mezzo alla tenda. Alcune donne, ansiose di maggiori informazioni o di rassicurazione, si avvicinano tirandogli la veste. L’eunuco concede a tutte una parola di conforto o un sospiro solidale, ma senza mai interrompere il passo. 

    Quando mi raggiunge, sussurra: «Il satrapo vorrebbe scambiare due parole con te».

    «Davvero?», dico alzando un sopracciglio. È consentito?

    «Dice che è di grande importanza». Il tono di Imero è un perfetto esempio di buone maniere. È il capo eunuco dell’harem del re e non proporrebbe mai nulla che andasse contro il protocollo.

    «Ti accompagnerò io». 

    Annuisco, mi annodo il velo e seguo l’eunuco fuori cercando di non dare nell’occhio. Sotto uno spicchio di luna bianca percorriamo insieme il campo fino a un’altra tenda, più piccola della sede del lungo harem, con il tetto a più falde. All’interno c’è odore di selvaggina arrostita, forse struzzo, e un accenno di incenso appena acceso; un vano tentativo di coprire la puzza di carne cotta che detesto. Una delicatezza da parte di un vecchio guerriero intrattabile, che di rado ne concede. 

    Si vede che gli manco. 

    O forse ha bisogno di me. 

    La tenda si spalanca e Dario, il satrapo di Battria, entra dentro. 

    La sua figura non è cambiata dalla nostra prima notte di nozze: non alto ma robusto, con le spalle di un toro. Anche il sorriso è lo stesso: sghembo, lascia intravedere una sottile fila di denti e può essere malizioso o minaccioso, a seconda del rapporto che si ha con lui in quel momento. L’unica cosa a essere cambiata è la sua barba. Un tempo nera, ora è quasi tutta grigia. «Zenobia», mi dice, «amatissima moglie». 

    «Non sono tua moglie», rispondo.

    Dario guarda Imero facendogli segno con il dito di voltarsi. Obbediente, l’eunuco gira su se stesso e ci volta le spalle. A eccezione del re, il satrapo è l’unico uomo a cui Imero potrebbe obbedire a quel modo. 

    «Ah no?». Dario finge di essere sorpreso. «Strano, perché ricordo ancora molto bene il nostro matrimonio, anche dopo tutti questi anni». 

    Si avvicina e mi alza audacemente il velo.

    Il suo sorriso si addolcisce. Il cambiamento nell’espressione è sincero, dico tra me, un segno di affetto, anche se non saprei dire cosa veda. Il mio momento migliore è passato, ho le rughe e una punta di grigio sui capelli. Non posso definirmi vecchia, non arriverei a tanto, ma certo non sono più la giovane bellezza che ha sposato. 

    «No», ribadisco, «non sono tua moglie. Non più. Mi hai fatta fuori». Mi prende le mani e se le porta al petto. «Questo mai». 

    Invece lo ha fatto. Ha buttato via la sua moglie ventiquattrenne come si fa con l’acqua del bagno usata. È vero che non sono riuscita a dargli un figlio, quantomeno uno che sopravvivesse alla gravidanza o ai primi, incerti anni di vita. Ma a parte ciò sono sempre stata leale, rispettosa, amorevole; una confidente, una consigliera assennata, tutto ciò che si potrebbe desiderare da una moglie.

    Perlomeno in tempo di pace. 

    Poi è arrivata la guerra a cambiare tutto. Quando Vologase, il re dei re, si ammalò rischiando di morire, nominò suo successore Pacoro, il più giovane dei suoi trentotto figli. E quando due dei suoi trentasette fratelli si rifiutarono di accettare la volontà del padre ebbe inizio questo brutale conflitto. Tutti i nobili dell’impero furono costretti a scegliere da che parte stare. Dario scelse Artabano. Poi, per ingraziarsi il suo nuovo re, Dario gli fece dono di tre delle sue figlie e di me, la preferita tra le mogli. All’inizio il piano era sembrato buono. Divenni rapidamente indispensabile nell’harem, assumendo il ruolo di matrona, istruendo le mogli e concubine del re più giovani e inesperte sulla complessa vita dell’harem, le sue politiche e regole comportamentali, sulla loro toeletta personale, sull’arte di soddisfare quel marito notoriamente difficile da accontentare. Ma forse Dario ha fatto male i suoi calcoli: il mio ex marito, l’illustre generale, il brillante stratega, potrebbe aver scelto il cavallo sbagliato nella corsa al trono. 

    «Ti sei pentito?», gli chiedo.

    «Ogni giorno che passa». 

    «E cosa accadrà se il nostro re non sarà il vincitore? Sarà stato tutto per niente». 

    «Non può perdere. Sono io a consigliarlo». 

    «Potresti anche averlo scordato, mio caro, ma non sono una stupida. La sconfitta di Persepoli è stata un colpo terribile. E ora siamo costretti a nasconderci nelle foreste come animali, mentre Pacoro, il ragazzo che pensavi non sarebbe durato neanche un giorno, ha in mano tutto l’Occidente».

    Dario scuote la testa. «Non sono tanto le doti del ragazzo a impressionare, quanto quelle dei sovversivi che lo sostengono. Si sono dimostrati più valorosi di quanto avessi previsto».

    «Ma sarai d’accordo con me che la guerra non sta andando per niente bene». 

    Dario sorride. «Ecco! È proprio questo ciò che mi manca. Il tuo acume. Tutte le mie mogli sono così tediose».Come te, quando hai deciso di rinunciare a me».

    Dario sospira lasciando andare teatralmente le mie mani; fa alcuni passi.

    «Sì», dice, «può darsi che sia vero. Ho rinunciato a te e questo fa di me un pazzo. Ma ormai non si può più tornare indietro, no?»

    «E allora perché, mio caro, mi hai fatto venire qui?».

    Dario rimugina per un momento, fissando la parete della tenda. Poi dice: «È per gli uomini che sono arrivati stasera. Gli stranieri. Che voci ti sono giunte su di loro?»

    «Solo stupidaggini. All’harem non arriva la verità. Soltanto esagerazioni raccontate dagli eunuchi e dalle serve».

    Dario scuote la testa e dice, più a se stesso che a me, «Forse non sono solo stupidaggini». 

    «Sono romani?», chiedo. «Abbiamo sentito dire che si tratta di soldati romani».

    «Soprattutto Romani, sì. Ma ci sono anche greci, ebrei, siriani, briganti. È arrivato chiunque per unirsi a Pacoro».

    Dario fa una pausa. Sta prendendo tempo, incerto o riluttante ad arrivare al punto. Non l’ho mai visto così. Il satrapo di Battria di solito non è uno di quelli che temporeggiano. 

    «Dovrei tornare», gli dico, «prima che la mia assenza venga notata. Dimmi, mio caro. Di che cosa hai bisogno?».

    Dario fa un respiro profondo, poi annuisce, come se alla fine fosse arrivato a prendere una decisione.

    «La nostra sorte è legata ad Artabano. Non ti sto chiedendo di fare nulla che possa danneggiarlo o ti arrechi disonore. Dopotutto sei sua moglie, adesso. La mia preoccupazione è che ci siano altri che si stanno dando da fare per guadagnare posizioni di fronte al nostro re. E che lo stiano facendo a suo discapito». 

    Non ho dubbi che Dario intenda quello che afferma, eppure quando dice qualcosa c’è sempre dell’altro dietro. Se dovessi indovinare, direi che ciò che tace è che quegli uomini stanno operando contro i suoi interessi. Dario teme di perdere il posto che gli spetta di diritto accanto al suo re. 

    «Domani», dice, «c’è un incontro con gli stranieri. Il tuo greco è migliore del mio. E tu parli anche il latino, una capacità che pochi hanno qui nel nostro campo. Ho bisogno che partecipi anche tu a quell’incontro, ascoltando e garantendomi di poter apprendere tutto ciò che viene detto».

    Faccio del mio meglio per non scoppiare a ridere all’assurdità della richiesta.

    «Vorrei tanto aiutarti, mio caro, oh se lo vorrei. Ma spiegami come potrebbe una componente dell’harem partecipare a un incontro tra due eserciti».

    «A parte me e Imero», dice Dario indicando il mio velo, «solo le donne dell’harem conoscono il tuo viso. Nessuna delle mogli del re sarà presente all’incontro. Voglio che tu partecipi come se fossi la mia serva. Imero ti fornirà l’abbigliamento adeguato. Starai al mio fianco e tradurrai ciò che viene detto».

    Il piano è tale che solo Dario avrebbe potuto escogitarlo: semplice ma audace.

    Tuttavia ciò che propone mi esporrebbe a grande rischio. Se fossi colta a gironzolare per il campo vestita da serva la mia reputazione sarebbe rovinata. Nel migliore dei casi sarei cacciata dall’harem, messa al bando e costretta a cercare di sopravvivere da sola, solo gli dèi sanno come. Nel peggiore…

    Il re è imprevedibile. Ci sono state donne che sono tornate dalla sua tenda con gli occhi gonfi o le labbra rotte. Reazioni sproporzionate a innocui commenti o risatine innocenti. E poi c’è stato quell’episodio, durante la nostra marcia verso est dopo la sconfitta di Persepoli, dopo che un’altra nobile famiglia aveva abbandonato la sua causa. Infuriato, volendo rifarsi su qualcuno – che non poteva essere il nobile traditore, il quale aveva ormai attraversato il deserto per metà e non poteva più essere raggiunto – Artabano se la prese con uno dei suoi segretari, un lontano parente del nobile in fuga. Per ordine del re, venne scavata una buca nel deserto e, sotto minaccia di morte, l’uomo dovette entrarvi e attendere che gli uomini del re la riempissero di nuovo di terra, seppellendolo fino al collo. Venne abbandonato da solo nel deserto, singhiozzante, a gridare pietà, mentre la nostra carovana riprendeva la sua marcia verso est. Da allora, l’ho sognato molte volte, con le cornacchie che gli beccano gli occhi e staccano brandelli di carne dal suo viso bruciato dal sole. 

    Un monito a ricordare una regola che non si dovrebbe mai scordare: è saggio evitare di destare le ire dei re. 

    Tuttavia, mi rendo conto che non mi basta starmene con le mani in mano ad attendere che la guerra finisca, sperando che il mio nuovo marito ne esca vincitore. Posso essere sposata con un re, ma questo non significa che non possa fare piani per un domani in cui lui non dovesse più regnare.

    A Dario rispondo: «Lo farò per te, ma a una condizione».

    «Qualsiasi cosa», fa lui. 

    «Sono fedele al nostro re, tanto quanto te». Evito di aggiungere che Dario può concedersi il lusso di scegliere chi merita la sua lealtà, mentre io questo lusso non ce l’ho. «Ma siamo in guerra. Se le cose dovessero mettersi male, voglio che tu mi prometta di prenderti cura di me». 

    Lui sorride. «Ovviamente. Non c’era bisogno di chiederlo. Sei la mia amatissima moglie». 

    «Io non sono tua moglie e ho bisogno di più garanzie di un tuo sorriso». 

    «Hai la mia parola».

    Scuoto la testa. «No, non è sufficiente».

    Mi guardo attorno nella tenda per farmi venire un’idea. Me ne balena una all’improvviso mentre fisso il petto del satrapo.

    «Il tuo amuleto di famiglia», gli dico. «Lo terrò io finché la guerra non sarà finita». 

    Nascosto sotto il kandys e la tunica di seta, appeso al collo a una catena d’oro, Dario porta un amuleto, un enorme rubino incastonato in oro massiccio, che la sua famiglia si tramanda di padre in figlio, generazione dopo generazione, da centinaia di anni. Dario ha sempre affermato che fosse un regalo di Alessandro alla sua sposa battriana. È la cosa più preziosa che possiede il satrapo. Il nostro re potrebbe non sopravvivere a questa guerra, ma Dario lo farà. Se ho il suo amuleto, mi troverà ovunque io sia e si prenderà cura di me.

    Il satrapo è infastidito; il suo sorriso si spegne. Non può credere che a qualcuno – figuriamoci a una donna e per di più sua ex moglie – non basti la sua parola. «Dubiti della mia lealtà?», chiede. 

    «Sì», rispondo. «Mi hai ceduta a un altro. Sarei pazza a non farlo». 

    Dario finge di pensarci, ma sappiamo entrambi che ha bisogno di me.

    Annuisce, apre il kandys e tira fuori l’amuleto da sotto la tunica. Ammira per un attimo il suo bagliore dorato sotto la luce della lampada, prima di depositarlo nelle mie mani.

    «Non dubitare più».

    Il mattino dopo Imero entra nell’harem, si schiarisce la voce e, parlando abbastanza forte perché tutte le donne lo possano sentire, richiede il mio aiuto. È l’eunuco del re e nessuna metterà in discussione la mia assenza fintanto che sono con lui.

    Mi porta alla sua tenda e mi consegna una lunga tunica senza maniche e un copricapo che potrebbe indossare una cameriera. Sono entrambi di pessima qualità e mi irritano la pelle. 

    Dopo che mi sono cambiata, l’eunuco mi mette davanti uno specchio incrinato. Le mie braccia e il mio viso saranno esposti in pubblico per la prima volta da quando

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