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In Hoc Vinces: La notte che cambiò la storia dell'Occidente
In Hoc Vinces: La notte che cambiò la storia dell'Occidente
In Hoc Vinces: La notte che cambiò la storia dell'Occidente
E-book216 pagine2 ore

In Hoc Vinces: La notte che cambiò la storia dell'Occidente

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Info su questo ebook

La storia dell’Europa, e di tutto l’Occidente è cambiata radicalmente con un sogno premonitore. La notte del 27 ottobre dell’anno 312 d.C., l’imperatore romano Costantino è accampato con le sue truppe a poca distanza da Roma. Durante il sonno, Costantino riceve la visione di Cristo che gli suggerisce di scrivere sugli scudi il monogramma greco del Salvatore “XP” con la leggendaria promessa in hoc vinces (con questo vincerai). Il giorno seguente si scontra in battaglia col nemico Massenzio, schierato a difesa di Roma. Questo evento ha due fonti storiche principali: Eusebio di Cesarea (265-340) e Lattanzio (250-327). I due resoconti hanno in comune il sogno. In hoc vinces è un avvincente viaggio nel tempo, alla ricerca di indizi archeologici, esoterici e astronomici nascosti dalla polvere dei secoli che, insieme al racconto della vita del leggendario imperatore romano e dei molti misteri legati alla vicenda storica che lo riguarda, offrono al lettore di oggi una nuova lettura e un’inedita interpretazione di quel “segno”.
LinguaItaliano
Data di uscita7 nov 2013
ISBN9788827223574
In Hoc Vinces: La notte che cambiò la storia dell'Occidente
Autore

Bruno Carboniero

Medico, libero professionista in Roma, appassionato di astronomia, storia, archeologia e web.

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    Anteprima del libro

    In Hoc Vinces - Bruno Carboniero

    COPERTINA

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    In Hoc Vinces

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    La notte che cambiò la storia dell’Occidente

    BRUNO CARBONIERO - FABRIZIO FALCONI

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    Copyright

    IN HOC VINCES

    ISBN 978-88-272-2357-4

    Prima edizioni digitale 2013

    © Copyright 1961-2013 by Edizioni Mediterranee

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

    PARTE PRIMA - Costantino il Grande, un predestinato

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    1 – Costantino, detto Il Grande, primo imperatore cristiano di Roma.

    C’è una immagine che è chiara per tutti, quando si parla di Costantino, l’imperatore che portò la cristianità a Roma e in tutto l’Occidente. È una immagine che solletica la curiosità delle migliaia di turisti che ogni anno affollano le strade di Roma, e che li porta inevitabilmente a salire la scalinata del Campidoglio, e a varcare il portone dei Musei Capitolini, una delle collezioni d’arte antica più importante del mondo.

    Nel cortile dei Musei – un tempo a cielo aperto, recentemente dotato di una struttura di copertura – il pezzo forte è la gigantesca testa dell’imperatore Costantino, in marmo bianco, con quei celebri occhi penetranti, lo sguardo solenne e trasognante, una vera icona del potere. Sparsi per il cortile, poco lontani, vi sono poi altri pezzi di quella monumentale statua, altrettanto famosi: il piede, con il calzare romano; e la mano, il pugno chiuso con l’indice puntato al cielo¹.

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    Fig.1 Resti dell’acrolito raffigurante l’imperatore Costantino I esposti nei Musei Capitolini di Roma.

    Quello che i molti visitatori, e gli stessi romani, spesso non sanno è che i pezzi di questa gigantesca statua, che era alta in origine più di quindici metri, provengono da un acrolito che l’imperatore stesso volle collocare, dopo l’eclatante vittoria su Massenzio, proprio al posto di quella che l’usurpatore aveva dedicato a se stesso, all’interno della grande basilica, i cui resti imponenti ancora oggi è possibile ammirare lungo la via dei Fori Imperiali, nel Foro Romano.

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    Fig. 2 Immagine del Cristo Salvatore raffigurata nell’abside della basilica di san Giovanni in Laterano, a Roma.

    Ma quel che invece non è affatto consueto è che un imperatore abbia costruito su se stesso anche il modello di una divinità preesistente. C’è un altro ritratto di Costantino a Roma, questo molto più nascosto – potremmo dire quasi criptato – e ugualmente anche di fronte a questo ritratto passano ogni giorno migliaia di pellegrini e di turisti in visita nella Città Eterna.

    Per ammirarlo anche oggi, con gli stessi brillanti colori di allora, basta trasferirsi poco lontano dal Campidoglio, sulla cima del colle Laterano, dove sorge la grande Basilica intitolata a san Giovanni che, come si sa, è la prima basilica dedicata al culto della cristianità di quelle edificate a Roma, proprio per volere di Costantino il Grande.

    L’edificio, come lo ammiriamo oggi, è il frutto di innumerevoli ristrutturazioni e ricostruzioni succedutesi nei secoli. La stessa cosa vale anche per la superficie musiva che occupa l’abside, e che rappresenta una delle attrattive della basilica. Al centro della magnifica semivolta c’è la imponente figura di Cristo, il Salvatore.

    La porzione di mosaico con il busto del Salvatore è, secondo gli esperti che l’hanno esaminata, la parte più antica del mosaico (e dell’intera basilica), e ciò spiega quanto antico e venerato fosse quel volto, che non a caso ha una importanza fondamentale, perché finì per rappresentare il modello dei moltissimi ritratti del Salvatore successivamente riprodotti negli angoli più remoti della città e in definitiva della prima iconografia del volto di Cristo in Occidente. Un grande studioso di Roma, Cesare d’Onofrio, insieme ad altri, sostiene una ipotesi suggestiva, del resto tramandata anche oralmente a lungo: e cioè che sia stato lo stesso Costantino l’ispiratore di quella immagine².

    Ispiratore in quanto testimone diretto di qualcosa che fu visto nel cielo, alla vigilia della battaglia decisiva contro Massenzio.

    Come racconteremo meglio fra breve, infatti, l’imperatore, secondo quanto riferito da una delle fonti della vicenda, sognò proprio il volto di Cristo, insieme a quella croce destinata a diventare simbolo della sua visione e icona dei nuovi radicali cambiamenti che si andavano annunciando nell’Impero Romano.

    Perciò, la tesi sostenuta da d’Onofrio è proprio che agli stessi artisti che lavorarono alla Basilica Lateranense Costantino riferì e descrisse il volto di Cristo, come gli si era presentato in quella visione.

    Ed è davvero suggestivo verificare con i propri occhi come, ancora oggi, nella Basilica di San Giovanni, il volto del Salvatore-Costantino, cioè modellato sui tratti somatici dell’imperatore, campeggi al di sopra di una magnifica croce gemmata.

    Il volto e la croce: la leggenda cominciò dunque proprio così.

    Ma chi era, dunque, quest’uomo capace di imprimere una svolta così radicale a un Impero sconfinato come quello di Roma e all’Occidente intero? Da dove veniva questa passione per il cielo? Come fu che il suo volto si sovrappose al Cristo Salvatore, al Nazareno che dagli stessi Romani, tre secoli prima, era stato mandato a morte, divenendo nuovissima icona di culto riconosciuta e fondante?

    Una prima risposta a questa domanda è che Flavio Valerio Costantino era un figlio illegittimo. Suo padre, Costanzo Cloro (Flavio Valerio Costanzo), prima Cesare e poi Augusto (vedremo fra breve la distinzione tra questi due termini), nel confuso periodo della tetrarchia lo generò unendosi a una locandiera della Bitinia (l’attuale Turchia nord-occidentale), Elena.

    Riguardo alla sua nascita e alla sua giovinezza sono molte più le cose che non sappiamo di quelle che conosciamo. Perfino la data di nascita è incerta, anche se è convenzione maggioritaria ritenere che il futuro imperatore nacque il 27 febbraio del 273 (o 272) a Naissus, l’attuale Nis, una cittadina nel Sud dell’attuale Serbia, che sorge sulla confluenza tra i fiumi Morava e Nisava.

    Non abbiamo poi praticamente altre notizie certe su Costantino – tranne quelle che è possibile ricostruire attraverso fonti indirette – fino a quel 25 agosto del 306, data in cui, a Eburacum – nell’attuale Nord Yorkshire, in Inghilterra –, questo giovane dal fisico imponente e dal coraggio leonino viene acclamato cesare direttamente dai suoi soldati, subito dopo la morte del padre, il generale Costanzo Cloro, durante la sanguinosa campagna romana contro i Pitti e gli Scoti, nell’attuale isola britannica. Sulle cause della morte le fonti sono discordi attribuendole a una uccisione in battaglia, per le ferite riportate in uno scontro o per una non meglio chiarita malattia.

    Costantino, quel ragazzo che ormai è diventato uomo, e che i soldati continuano a chiamare – con ammirazione ma anche con sfrontatezza – con il soprannome di Trachala, ovvero, collo taurino, è già pieno del suo carisma. Quel carisma che lo trasformerà, di lì a pochissimo, in uno degli imperatori dal potere più longevo e onorato dell’intera storia di Roma.

    2 – L’Impero prima di Costantino – Una situazione a rischio, il potere spezzato, la tetrarchia. Il patriarca Diocleziano.

    Per capire qualcosa di quello che significò allora per la storia di Roma e per la storia dell’Occidente il regno di Costantino e con esso l’irruzione della religione cristiana come religione dapprima tollerata e poi ufficiale dell’Impero, dobbiamo soffermarci ad analizzare come era la situazione sul finire del III secolo e all’inizio del IV. La potenza di Roma era ormai senza confini. L’Impero, per quasi trecento anni, si era espanso su buona parte delle terre emerse conosciute; i costumi e la civiltà romana avevano messo piede nell’allora lontano Oriente come nelle terre fredde ed estreme del Nord Europa, nelle steppe dell’Est così come nelle aride distese di Spagna fino alle colonne d’Ercole. Ma l’ostentazione di questo enorme potere – accresciuto nella forma e nella sostanza dai contributi dei popoli conquistati, e fu questa la vera grandezza di Roma – non corrispondeva a una effettiva saldezza interna. Il potere anzi, all’inizio del 300 d.C., non era mai stato così incredibilmente frazionato. Volgeva infatti al termine, in un declino lento ma inarrestabile, il dominio di Diocleziano.

    Salito al potere sanguinosamente il 20 novembre del 284, uccidendo di fronte all’esercito che lo acclamava il prefetto Lucio Apro, Diocleziano, l’imperatore dalmata³, si prese la responsabilità di abbandonare Roma, ormai divenuta un nido di serpenti, e di trasferire la capitale dell’Impero molto lontano, in Oriente, scegliendo, in Asia Minore, la città di Nicomedia. A tale scopo si auto-proclamò augusto d’Oriente, nominando successivamente Massimiano augusto d’Occidente e fissando la sede di questa parte di Impero a Milano.

    A rendere la situazione ancora più intricata intervenne l’iniziativa, nel 293, dei due augusti di scegliere un proprio cesare, titolo che in questo periodo della storia romana veniva utilizzato per indicare a tutti gli effetti un co-imperatore subordinato però rispetto all’augusto, e destinato a succedergli in linea ereditaria.

    Diocleziano indicò come suo cesare Galerio, che scelse come quartier generale Mitrovizza, in Croazia. Cesare di Massimiano fu nominato Costanzo Cloro, il futuro padre di Costantino, il quale stabilì il suo potere nella città di Augusta Treverorum, l’attuale Treviri, in Germania.

    Appare evidente come Roma fosse completamente fuori dai giochi di potere. Non solo: con i due augusti e i due cesari nasce quel periodo caotico della storia di Roma che viene denominato tetrarchia. Uno scontro di poteri e di interessi tra i diversi protagonisti, che andò in scena per un ventennio, dal 284 al 305, con l’utilizzo di ogni mezzo, intrigo o colpo proibito. A complicare il tutto il fatto che, come d’usanza nella vita politica pubblica romana, i rapporti famigliari, e in particolare quelli matrimoniali, servivano principalmente per suggellare o cancellare alleanze, creando intrecci spaventosi, rancori e vendette trasversali, rese dei conti e congiure⁴.

    L’equilibrio precario dell’Impero riuscì comunque, fino a un certo punto, a reggersi in piedi.

    Massimiano governava su Italia e Africa del Nord; Diocleziano su tutte le province orientali compreso l’Egitto; Galerio disponeva di tutti i territori dei Balcani; a Costanzo Cloro invece furono affidate le terre del Nord e dell’Ovest: Britannia, Gallia, Spagna.

    Nonostante le rivolte interne, la difficoltà di difendere i confini dell’Impero dalla pressione delle orde di barbari, nel Nord e a Est, la feroce persecuzione iniziata contro i cristiani soprattutto nelle province di Oriente, il malcontento economico della popolazione, la situazione complessiva si mantenne sotto controllo grazie anche ai brillanti risultati conseguiti da Costanzo Cloro e Galerio rispettivamente in Britannia e in Persia.

    Nell’anno seguente la doppia abdicazione di Diocleziano e Massimiano in favore dei rispettivi cesari, fu proprio la morte del padre di Costantino, Costanzo Cloro, nel 306 d.C. a incrinare definitivamente il precario equilibrio della tetrarchia, dando il via a una serie di sanguinose rese dei conti che si fermeranno solo con la proclamazione di Costantino imperatore assoluto, molti anni più tardi, dopo lo sbaragliamento di tutti gli altri contendenti.

    Gli ultimi anni di vita il vecchio imperatore Diocleziano li trascorse ad assistere allo sfacelo di quella concordia faticosamente mantenuta per anni, chiuso nel meraviglioso palazzo che si era fatto costruire sulle coste dalmate, a Spalato, in un volontario esilio dal quale non accennò a voler tornare, nemmeno nel momento più buio della contesa scatenatasi tra i pretendenti al potere, preferendo restarsene a coltivare il suo orto, fino alla morte che lo colse a sessantotto anni.

    3 – Ascesa al potere di un predestinato. Padre e figlio.

    È molto importante segnalare quanto per il giovane Costantino avere avuto un padre come Flavio Valerio Costanzo – denominato Cloro, cioè Chlorus, riferito all’aspetto pallido del suo volto – fu decisivo.

    Costanzo è davvero il prototipo di un uomo completamente dedito alla carriera militare, che nella Roma Antica significava dedizione assoluta alle finalità e agli interessi dell’Impero.

    Nella totale assenza di fonti riguardanti la sua formazione e giovinezza, è da supporre, con ottimi argomenti, che la sua ascesa vertiginosa ai massimi livelli del potere fosse dovuta essenzialmente alla sua onestà di servitore dell’esercito e alle sue capacità in questo settore, dimostrate sul campo. All’abilità nell’arte della guerra si deve, senza alcun dubbio, il fatto che a questo anonimo personaggio – uno dei tanti nello sterminato esercito romano d’Oriente – vengano concessi i privilegi dapprima del titolo di protector, ossia di alto ufficiale alle dirette dipendenze del quartier generale dell’imperatore, e subito dopo di tribunus, e infine di praeses dalmatiarum, ovvero di governatore della provincia della Dalmazia sotto l’imperatore Marco Aurelio Caro.

    È nel corso di questa rapidissima carriera, durante una delle estenuanti campagne militari che durano anche undici mesi consecutivi, che a soli vent’anni Costanzo incontra Elena, quella che secondo sant’Ambrogio⁵ era una stabularia – cioè una stalliera, una ragazza addetta alla manutenzione delle stalle.

    È piuttosto semplice immaginare come, sedotto dalla bellezza della ragazza, Costanzo decida di prenderla come sua concubina, e di come da quel momento Elena cominci a seguirlo nell’itinerario vagabondo di un ufficiale romano, costantemente al seguito delle sue truppe.

    Costantino nasce due o tre anni dopo, a Naisso, come abbiamo detto, in Serbia. La nascita del figlio non turba gli ambiziosi piani di carriera di Costanzo. Nel 288 Costanzo inizia, con le sue milizie, una trionfale campagna militare contro i Franchi che appoggiano uno dei nemici più temibili dell’Impero in quel periodo, Carausio, un ufficiale romano nativo della Gallia, che due anni prima aveva osato autoproclamarsi imperatore della Gallia e della Britannia.

    Costanzo riesce in poco tempo a debellare le truppe dei Franchi, raggiungendo le

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