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La Fenice Azzurra
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E-book101 pagine1 ora

La Fenice Azzurra

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Info su questo ebook

Narrativa - romanzo breve (73 pagine) - Testi proibiti e forze misteriose e soprannaturali tra inganni e misteri


Un ex soldato trova lavoro come guardia del corpo di un antiquario con una passione particolare per testi proibiti. Si ritroverà ad affrontare forze misteriose e soprannaturali per i vicoli nebbiosi di una città che cela inganni e misteri in ogni anfratto.


Laureato in lettere, Andrea Valeri si occupa di musica, scrittura di racconti, romanzi, poesie, sceneggiature per cortometraggi. Ha collaborato con diverse webzine scrivendo recensioni e interviste nell’ambito della musica dark, rock, metal e cinema (Zeromagazine.it, Negatron.it, N-core). Ha condotto un programma radiofonico, Chaos Party, che trasmetteva musica dark, rock e metal interessandosi di realtà locali e gruppi esordienti. Recentemente è entrato a far parte dell’antologia I mondi del Fantasy per la Limana Umanita Edizioni. Ha partecipato al progetto “Serial Writers” sponsorizzato da Mediaset per la creazione di una fiction da proporre su La5.

LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2021
ISBN9788825414738
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    Anteprima del libro

    La Fenice Azzurra - Andrea Valeri

    9788825412826

    1. Il Potere delle Ombre

    Dintorni di Londra, 1937

    Le fiamme lambivano le pietre del grande camino che dominava l’ambiente.

    Di fronte alle legna crepitanti, su un’elegante poltrona di velluto logorata dall’uso e dal tempo, se ne stava appollaiato l’anziano sir Archibald Perkins, capostipite di una delle famiglie più facoltose della Gran Bretagna. Avvolto nella sua vestaglia color vinaccia stringeva tra le mani nodose un bicchiere colmo di whisky scozzese single malt. Le dita gli tremavano mentre portava l’alcool alle labbra per assaporarne una breve sorsata. Accanto a lui, poggiato al bracciolo, c’era un fucile da caccia grossa, carico e pronto all’uso.

    Quella villa dispersa nella campagna londinese era molto isolata ma ben difesa dai suoi uomini. All’interno però, ad eccezione del suo maggiordomo personale, Percy, lui non aveva mai voluto nessuno. Semplicemente non si fidava degli altri. Da mesi aveva la netta sensazione che qualcuno volesse penetrare nella sua biblioteca personale e trafugare qualcosa dalla sua collezione privata.

    Da decenni collezionava preziosi codici, incunaboli, testi antichi provenienti da ogni parte del mondo, nelle aule ampie e gelide di quella casa e non avrebbe permesso mai a nessuno di rubarglieli. Essi valevano più della sua stessa vita.

    Solo una persona era più preziosa dei suoi volumi.

    Rosamund. La sua bambina. Tutta la sua famiglia.

    Quella sera gli aveva preparato una tisana alla rosa canina, prima di uscire a una cena istituzionale presso l’ambasciata francese al centro di Londra e si era raccomandata che il padre la bevesse tutta. Gli avrebbe calmato i nervi e favorito un riposo privo di incubi. Archibald aveva ubbidito, trangugiando la bevanda calda per far contenta la ragazza. Ma appena lei era uscita, si era affrettato a recuperare l’ampolla di liquore che custodiva gelosamente in uno stipo di legno intagliato del salone principale.

    Rosamund credeva che lui fosse paranoico, che quei libri maledetti condizionassero la sua mente, lo ossessionassero fino a condurlo sull’orlo della follia. Ma lei non poteva capire. Quella collezione rappresentava il lavoro di una vita e non avrebbe permesso che qualcuno se ne appropriasse impunemente dopo tutti i sacrifici che aveva compiuto per radunarli lì, in quelle sale.

    Archibald bevve un’altra lunga sorsata e si carezzò la lunga barba bianca perdendosi con lo sguardo tra i guizzi delle fiamme.

    Fu un rumore improvviso a distogliere la sua attenzione dai pensieri che gli attraversavano la mente. Come una sorta di scalpiccio proveniente dal corridoio principale della biblioteca. In una villa così grande fruscii, scricchiolii, colpi sulle finestre, erano all’ordine del giorno. Uccelli, topi, spifferi d’aria, potevano produrre la maggior parte di essi, ma la prudenza non era mai troppa.

    Era l’ennesima serata di veglia che passava, da quando si era convinto che qualcuno stesse tentando di compiere un’effrazione là dentro. Posò il bicchiere su una mensola accanto al camino, afferrò il fucile e cliccò l’interruttore che avrebbe acceso la corrente elettrica nell’intera ala della casa adibita a conservare i volumi. La luce però, non si accese. Si chiese come mai. Stava per chiamare Percy, chiedendogli di controllare, quando si rese conto con orrore che forse i suoi nemici si trovavano già lì, dentro casa sua.

    Allora decise di non perdere tempo e di non concedergli alcun vantaggio. Accese la lanterna a olio coperta da una griglia di metallo e fece luce a sufficienza per iniziare ad addentrarsi nella galleria principale da cui si dipanavano le varie stanze occupate dagli scaffali di legno. Archibald ignorò le palpitazioni che gli scuotevano il petto. Il dottor Higgins gli aveva consigliato di evitare le emozioni forti, perché il suo cuore non era esattamente in buone condizioni, ma lui non si rendeva conto di quanto fossero importanti i suoi libri!

    Con gli occhi sgranati, serrando il fucile con una mano sudata e facendo oscillare la lanterna cigolante, il vecchio collezionista si guardava intorno ansimando.

    Le pareti delle stanze erano coperte fino al soffitto da pesanti scaffali strabordanti di testi. Scale di legno avvinghiate a guide metalliche, permettevano di accedere ai testi posizionati ai livelli più alti a quasi cinque metri dal pavimento.

    Il vento che si era alzato all’esterno scuoteva i rami delle querce, facendone sbattere uno contro le vetrate dei grandi finestroni che mostravano solo il buio del parco sottostante.

    La luce calda della lanterna creava un tappeto di ombre tremolanti che sembravano danzare scomposte tra i libri accatastati sui mobili, sotto i quadri e le mappe geografiche appese alle pareti, dietro le statue di marmo che decoravano gli ingressi ad arco delle varie aule.

    Con passo incerto, Archibald si aggirava nel suo regno, convinto che là dentro ci fosse qualcuno, un intruso in cerca di un bottino prezioso. Alzò il fucile, sicuro di trovarlo nell’ultima stanza, quella in cui erano conservati i volumi proibiti, i più rari, i più pericolosi, le prede più ambite. Roteò la lanterna e il fascio di luce illuminò qualcosa che si nascondeva dietro a uno degli scaffali blindati.

    – Chi c’è? Fatti vedere! – ordinò il vecchio con la bava alla bocca, la mano tremante sul grilletto e un terrore che non avrebbe mai immaginato di poter provare che lo raggiungeva attraversandolo come una scarica elettrica dirompente.

    Quello che vide lo sconvolse.

    Archibald cacciò un grido disperato e fece partire un colpo. I pallettoni si dispersero in una rosa incandescente che penetrò oltre i rivestimenti degli scaffali raggiungendo perfino le pareti ma non intaccò minimamente la cosa che gli si stava parando innanzi.

    L’orrore si era già fatto strada nella sua mente, quando vide il buio coagularsi in una spaventosa forma antropomorfa dai muscoli di lucida pece e il volto che si strappava in una spaventosa parodia di un sorriso, mostrando una chiostra di fauci scintillanti pronte a ghermirlo.

    Il vecchio sparò ancora alla creatura di notte liquida ma fu impreciso e irrimediabilmente troppo lento.

    Il grido che squarciava le tenebre fu il preludio a un orrido tonfo.

    Per sfuggire al mostro, sir Archibald Perkins aveva preferito gettarsi nel vuoto da una delle finestre.

    Il suo sangue nero ora bagnava il granito umido del selciato.

    2. Dalla fine un nuovo inizio

    Dacca, Bangladesh, un mese prima

    Qualcuno avrebbe definito Arthur Bolton un patriota, qualcuno l’avrebbe definito una testa calda. Probabilmente entrambi avevano ragione.

    Era diventato un Naik, un caporale, del British Indian Army, le truppe britanniche presenti in India, organizzate in un esercito che mescolava soldati inglesi a milizie indigene fin da quando c’era stata la rivolta dei Sepoy nel 1857.

    Aveva frequentato l’accademia militare di Dehradun e aveva preso molto sul serio il motto del Raj Britannico, "Heavens’ light our guide". Si era dato con passione a ogni missione gli era stata assegnata, contribuendo attivamente

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