Il paradigma dell'ecologia integrale: Introduzione a un pensiero per la cura della casa comune
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rapporto tra le discipline, in relazione alla necessità di
un ripensamento critico del paradigma epistemologico
dominate e in vista di indicare alcune caratteristiche per
un paradigma che tenga conto della complessità del sapere
e dell’urgenza della cura della “casa comune”, ovvero il
mondo.
Andrea Bizzozero ha conseguito il dottorato di ricerca in
teologia a Lugano, la laurea magistrale in scienze filosofiche
presso l’Università degli Studi di Milano e il dottorato di
ricerca in filosofia presso la Pontifica Università Antonianum
di Roma. Ha svolto attività di studio e ricerca a Parigi.
Attualmente è professore stabile di storia della filosofia
contemporanea presso la Facoltà di filosofia dell’Università
Antonianum. Tra le sue ultime pubblicazioni: Fare la verità;
Una rilettura della decostruzione di Jacques Derrida (2019);
Il malessere dell’umano e l’urgenza della filosofia in Bernard
Stiegler (2021); “Ratio” e “Universitas”; Interpretazione di
un rapporto a partire da “La raison universitaire” di Jacques
Derrida (2022).
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Anteprima del libro
Il paradigma dell'ecologia integrale - Andrea Bizzozero
Studi
41
Collana diretta da
Erasmo Silvio
Storace
Comitato scientifico
Paolo
Bellini
(Università degli Studi dell’Insubria, Varese e Como)
Claudio
Bonvecchio
(Università degli Studi dell’Insubria, Varese e Como)
Alessandro
Carrera
(University of Houston, Houston, USA)
Pierre Alessandro
Dalla Vigna
(Università degli Studi dell’Insubria, Varese e Como)
Massimo
Donà
(Università degli Studi Vita-Salute San Raffaele, Milano)
Paolo
Scolari
(Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)
Carlo
Sini
(Università degli Studi di Milano, Milano)
Se pareba boves, alba pratalia araba,
et albo versorio teneba, negro semen seminaba.
Gratia tibi agimus, potens sempiternus Deus.
© Proprietà letteraria riservata
Edizioni AlboVersorio, Milano 2023
www.alboversorio.it
mail-to: alboversorio@gmail.com
ISBN: 9791281331204
Direzione editoriale: Erasmo Silvio
Storace
Impaginazione a cura di: Giorgia
Toppi
Andrea
Bizzozero
IL PARADIGMA DELL'ECOLOGIA INTEGRALE
Introduzione a un pensiero per la cura della casa comune
In copertina: Foto di Andrea Bizzozero
Esposizione Colori dei Romani. I mosaici dalle Collezioni Capitoline
, presso Centrale Montemartini, 27/04/2021 - 03/09/2023
indice
Introduzione
1. Il paradigma
2. Ecologia integrale
2.1. L'ambiguità di un'espressione
2.2. Il paradigma dell'ecologia integrale nella Laudato si'
3. Il rapporto tra le discipline
3.1. Kant
3.2. Nietzsche
3.2.1. La gaia scienza
3.2.2. Schopenhauer come educatore
4. Modelli di interdisciplinarietà
5. Il pensiero complesso di Edgar Morin
5.1. Alla ricerca di un nuovo paradigma
5.2. L'urgenza educativa
6. Un'apertura, a mo' di conclusione
Bibliografia
Introduzione
Un titolo che recita Introduzione alla complessità può suonare, non senza qualche ragione, come un po’ ambizioso, se non addirittura ingenuo, almeno per due motivi. In primo luogo, perché non mancano studi che hanno già affrontato la questione, basti pensare, a titolo esemplificativo, al proficuo approccio sviluppato da Edgar Morin¹; in secondo luogo, perché parlare di complessità è, appunto, molto complesso
, nel senso che ogni pretesa di volerla definire o circoscrivere in una definizione o in una descrizione è già una sorta di tradimento di quanto si intenderebbe fare. Tuttavia, permane l’esigenza di affrontare la questione, nonostante la sua intrinseca difficoltà e la ricchezza di riflessioni finora prodotte².
Il percorso qui proposto intende muoversi a partire da un particolare sintagma - paradigma dell’ecologia integrale - che compare nel testo della lettera enciclica Laudato si’. Sulla cura della casa comune di papa Francesco³. Il sintagma avrà bisogno di venire compreso ed esplicitato, in riferimento all’articolato pensiero ecologico che si è sviluppato e diffuso a partire dalla fine del XIX secolo⁴. Se, certamente, il testo dell’enciclica non ha una vera pretesa teoretica - e non le compete averla - si offre, tuttavia, come interessante testimonianza della presa di consapevolezza di un’urgenza ormai non più trascurabile⁵. Nel particolare approccio alla questione ambientale, infatti, si invita a considerare la complessità di connessioni che intercorrono tra ambiente naturale e umano. Se ciò non è affatto nuovo, è comunque degno di considerazione l’invito lì rivolto a percorrere strade teoriche e pratiche che tentino di considerare le singole questioni o urgenze da un punto di vista più ampio, ovvero attento alle interazioni implicate nelle singole questioni.
La Laudato si’ sembra così suggerire di sviluppare, dal punto di vista teoretico, una riflessione che provi a indagare e ad approfondire i modelli di interazione tra i saperi e le discipline, in modo da poter leggere criticamente le questioni
più contingenti che si impongono alla nostra attenzione. In altre parole, partendo da quello che viene indicato come il paradigma dell’ecologia integrale, si evidenzieranno caratteristiche e possibilità di un pensiero che si articola a partire dall’impegno di mantenersi nella complessità. Una singola questione o problematica, seppur oggettivamente e fattualmente circoscrivibile, non solo rimanda intrinsecamente ad una molteplicità di connessioni con altre questioni, ma, in prima istanza, richiede che venga interrogata a partire da diverse prospettive di interrogazione, da diverse forme di sapere, da un complesso orizzonte di senso nel quale riconoscere la questione in oggetto.
Non mancano preziosi e competenti contributi dove l’urgenza ambientale viene affrontata facendo convergere più competenze. Si veda, per esempio, l’opera ben riuscita Scienze della sostenibilità; Energia, risorse, città, acqua, ecosistemi, diritto⁶. Qui la consapevolezza di un’urgenza educativa
viene espressa con chiarezza in questi termini: «In questo processo di trasformazione le università hanno una grande responsabilità: quella di essere promotrici dei cambiamenti rilevanti che dobbiamo affrontare per salvare l’umanità»⁷. Resta da verificare se l’auspicio che le università diventino «vere e proprie comunità»⁸, da intendersi anche come comunità di saperi, non richieda anche una riflessione su come sia possibile costituire una comunità di saperi, come intendere salvezza dell’umanità
e, non da ultimo, quale sia il modello di sapere e quale il senso dello sviluppo delle conoscenze umane.
Da qui la struttura del percorso proposto. Posto il problema e presentato, in sintesi, il senso teoretico del paradigma dell’ecologia integrale, verranno prospettate, attraverso il contributo di alcuni filosofi, le caratteristiche di una visione prospettica che aiuti a non rimanere chiusi in visioni mono-prospettiche. L’istanza qui supposta corrisponde alla convinzione che la realtà e, in essa, le singole questioni o problematicità, si dicono in modo polifonico, prospettico, plurale, molteplice, mai secondo una sola e unica tonalità.
Sarà prioritario individuare alcune matrici di pensiero in grado di supportare l’esigenza di mantenersi in una pluralità di prospettive e di una convergenza di sforzi, cercando soprattutto di far emergere il motivo fondamentale che rende possibile, sia la convergenza, sia la legittimazione della pluralità, anziché la sua univocità. È importante che sia, ad un tempo, una convergenza e una pluralità, considerato che dove prevale la convergenza, si rischia l’omologazione, mentre dove prevale la pluralità si rischia l’incomunicabilità. La vera sfida consiste in una pluralità di prospettive che, pur lavorando per una comune causa, non ambiscono alla formalizzazione egemonica di una prospettiva sulle altre.
Nell’entrare nel vivo della nostra questione, si dovranno esplicitare almeno le seguenti domande: come si organizza il sapere all’interno dell’università, intesa quale luogo di incontro tra le discipline? Ovvero, che relazionare c’è tra le diverse forme del sapere? Cosa rende pensabile e cosa fonda la possibilità di una relazione feconda e fruttuosa delle diverse forme di sapere? Che cosa rende possibile un dialogo realmente rispettoso? Con riferimento a queste domande, viene proposto un itinerario di lettura di alcuni testi al fine di mostrare, da una parte, alcuni modelli di strutturazione del rapporto tra i saperi, dall’altra, prospettare piste per fondare schemi di risposta alle suddette domande.
Martin Heidegger, nel suo celebre testo Il principio di ragione (1957), considerava la strutturazione universitaria e il rapporto tra le discipline, invitando a non trascurare la questione del fondamento, ovvero della ratio che organizza il sapere. Parlare di fondamento significa in qualche modo recuperare la questione della ragione, della ratio, di ciò che regge e organizza la struttura interna dell’università dei saperi e delle relazioni tra i diversi ambiti o le diverse scienze:
Noi, qui e ora, abbiamo forse già avvertito o addirittura sperimentato pienamente e pensato in modo sufficiente questo elemento che esercita il potere della tesi del fondamento nella sua grandezza? Se vogliamo essere sinceri e parlare chiaro, dobbiamo tutti ammettere che la risposta a questa domanda è: no. Dico tutti, anche coloro fra di noi che di tanto in tanto si sono già dati pensiero in merito all’‘essenza del fondamento’. Come stanno dunque le cose? Noi pratichiamo con grande fervore lo studio delle scienze. Impariamo a conoscere gli ambiti scientifici fin negli angoli più remoti e nei più piccoli particolari. Ci esercitiamo nelle procedure scientifiche. Ci spingiamo addirittura oltre le singole discipline per guardare all’insieme delle scienze. Ci lasciamo raccontare che la spaccatura fra il regno della natura e il regno della storia non è poi così netta e rigida come potrebbe sembrare se si considera l’istituzione di facoltà universitarie separate. Ovunque, nello studio delle scienze, è all’opera uno spirito alacre e incoraggiante. Eppure, se meditiamo per un solo istante sulla domanda che abbiamo posto, dobbiamo dire che in tutto il nostro preoccuparci delle scienze, mai, in nessun caso, ci siamo ancora imbattuti nella tesi del fondamento. E tuttavia, senza questo grande e potente principio non ci sarebbe alcuna scienza moderna, così come non ci sarebbe l’università odierna. Anch’essa, infatti, si fonda sulla tesi del fondamento⁹.
Il testo di Heidegger introduce, senza mezzi termini, alla questione antica e sempre nuova della fondazione del sapere, lasciando chiaramente intendere che alla prospettiva gnoseologica ed epistemologica è connessa anche quella etico-pratica. Tutto ciò che è, ha un fondamento, una ragione, una giustificazione: ma si è mai resa ragione di questo fondamento? Si è mai interrogato il principio che regge la nostra
ragione? Il fondamento, il principio di ragione che regge la nostra
ragione è l’unico? È adeguato? In altre parole: quel è la ragione dominante grazie alla quale si struttura la realtà? La realtà è descrivibile solo come il darsi di una ragione che si giustifica da sé o vi è contenuto anche qualcosa di diverso?
Heidegger fa esplicito riferimento agli specialismi della scienza moderna, iniziata con la rivoluzione scientifica e progressivamente sviluppatasi coinvolgendo profondamente tutti gli aspetti della vita sociale, economica e politica, determinando una mutata comprensione del significato del lavoro, della natura e dell’umano. Il lavoro si è consolidato nella sua vocazione di produzione di beni da consumare; la natura è considerata come fonte di energia da estrarre e usare per produrre; l’umano, che certamente produce, è il consumatore di beni per eccellenza. La scienza indaga, scompone e analizza la natura per rendere più efficace l’estrazione di energia necessaria alla produzione. Nella Conferenza¹⁰ Heidegger ritiene che l’epoca attuale è definita a partire da un principio energetico, quello atomico: di conseguenza, ciò significa definire l’essere umano non più a partire dalla cultura o da una dimensione spirituale, bensì dalle sue abilità a trasformare l’energia in produzione e in beni, senza però che si considerino le ambiguità connesse a tale inedita definizione della storia umana. Va da sé che la questione da indagare e da verificare è se si dà la possibilità di un altro punto prospettico o di un altro principio per definire il rapporto tra essere umano, natura, produzione, sviluppo tecno-scientifico.
A chiusura di quella terza lezione, nel considerare la struttura universitaria, Heidegger non manca di notare che sono in atto dei tentativi di avvicinamento tra le discipline e i saperi, volti a garantire, accanto alla necessaria specializzazione, un dialogo tra i saperi, che si voglia propositivo e stimolante per tutti. Tuttavia, il tono nasconde una certa ironia: lo sforzo che si fa è ancora inconsistente, in quanto non si è ancora cominciato a indagare il fondamento che regge il sistema conoscitivo dominante. Non si sta cercando la ragione di fondo, non la si fa emergere. Non si ricerca nemmeno la ragione che legittima questo sforzo di distinzione e di relazione tra le discipline¹¹.
L’interrogazione di Heidegger pone in primo piano una questione spesso trascurata, ma che tuttavia riveste un ruolo prioritario, anzi, che andrebbe considerata come la questione fondamentale. L’istituzione universitaria è già in sé una particolare modalità di strutturare, organizzare e ordinare i saperi e non semplicemente un luogo neutro dove si offrono degli insegnamenti. Nell’università il sapere prende una forma particolare: quella della divisione in facoltà e quindi delle differenti discipline. Ogni facoltà, anche solo a livello organizzativo, ha una sua propria strutturazione interna (decano, vice-decano, segretario, docenti, studenti, ecc.). Pur trovandosi sotto l’unico cappello della istituzione universitaria, ciascuna facoltà è indipendente dall’altra e nutre una sua propria autonomia e finalità. L’indipendenza, prima ancora di essere di carattere pratico, è di natura epistemologica: le facoltà non si possono sovrapporre, né si devono confondere in ragione dello specifico dell’ambito scientifico proprio. Va da sé che nell’università la molteplicità dei saperi converge per definire i confini specifici di ogni disciplina, marcando così la distinzione tra una facoltà e l’altra; dall’altra parte, ciascuna facoltà viene ricondotta all’unica struttura che è l’università. Da qui l’urgenza, per Heidegger non trascurabile, di indagare la ragione che fonda, articola e giustifica tale struttura del sapere.
La questione sollevata da Heidegger invita a percorrere almeno due strade. La prima è quella di indagare i rischi dell’ipertrofia disciplinare e le possibili tonalità del principio di ragione; la seconda si volge ad approfondire il rapporto tra le discipline, le condizioni di possibilità, le finalità e la ratio alla quale obbedire.
Il primo spunto di critica rispetto alla sclerotizzazione disciplinare o all’esagerato positivismo sarà offerto da Nietzsche: la distanza temporale che separa dai suoi testi sembra non annullare la pertinenza delle osservazioni, le quali esigono un confronto, almeno per due aspetti. Da una parte, per la tematizzazione della questione della conoscenza, del conoscere umano, delle sue caratteristiche e possibilità: la conoscenza, a differenza di quanto prometteva Descartes, è un esercizio sempre impuro che non può prescindere dall’umano stesso; dall’altra, il magistero di Nietzsche invita a confrontarci con una particolare forma di prospettivismo. Questo andrà adeguatamente compreso a partire dall’analisi delle possibilità umane di conoscere la verità, oltre che la stessa natura della verità. Da qui l’importanza di un approccio epistemologico e gnoseologico che provino a tenere conto dell’intera trama del reale, senza cedere alle lusinghe di una sola prospettiva, di un’unica disciplina o di un solo ambito conoscitivo.
Da un punto di vista propositivo, il discorso farà riferimento a Kant e, in particolare, all’architettonica da lui sviluppata nella Critica della ragione pura, letta in relazione anche al celebre opuscolo Il conflitto delle facolt๲. Il discorso introdotto da Nietzsche e da Kant verrà – non senza qualche forzatura – sviluppato in relazione all’importante contributo di Edgar Morin intorno alla questione della complessità. Di lui si dovrà fare riferimento, se non a tutti i volumi del suo Metodo, almeno a Introduzione al pensiero complesso, La testa ben fatta, Educare per l’era planetaria e La sfida della complessità. In ultimo, dichiariamo un certo debito alla prospettiva gnoseologica di Jacques Derrida, la quale rappresenta il vero punto prospettico di tutto il percorso. Il testo nasce dal dialogo con gli studenti e a loro vi ritorna come sussidio per accompagnare lo studio.
1. E.
Morin
, La méthode, vol. 1 La Nature de la Nature (1977); vol. 2 La Vie de la Vie (1980); La Connaissance de la Connaissance (1986); vol. 4 Les Idées (1991); vol. 5 L’humanité de l’Humanité (2001); vol. 6 Éthique (2004); ora in I
d.,
La méthode, Seuil, Paris 2008, vol. I-II; I
d
., Introduction à la pensée complexe, Seuil, Paris 2005 (or. fr. 1990);
Id
., La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina, Milano 2000 (or. fr. 1999);
Id.
, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, a cura di M. Ceruti, Cortina, Milano 2015 (or. fr. 2014);
Id
., Educare per l’era planetaria. Il pensiero complesso come metodo di apprendimento, introduzione a cura di B. Spadoni, Armando, Roma 2018 (or. fr. 2003);
Id
., La sfida della complessità, a cura di A. Anselmo - G. Gembillo, Le Lettere, Firenze 2017; M.
Ceruti - F. Bellusci
, Abitare la complessità, Mimesis, Milano-Udine 2020.
2. Si fa così eco a quanto affermava già E.
Morin
, Le défi de la complexité, in Chimères; Revue des schizoanalyses, 5/6 (1988), 79-94 (qui 79), dove ricordava che «ci sono due difficoltà preliminari nel parlare della complessità. La prima difficoltà è l’assenza di uno statuto epistemologico del termine. Le filosofie delle scienze e le epistemologie l’hanno negletta ad eccezione di Bachelard. La seconda difficoltà è semantica: se si può definire chiaramente la complessità, è evidente che questo termine non è più complesso; la complessità sorge come difficoltà, come incertezza e non come chiarimento e come risposta. Il problema è di sapere se c’è una possibilità di rispondere alla sfida dell’incertezza e della difficoltà».