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Costruirsi nel dialogo: La proposta educativa di Edda Ducci
Costruirsi nel dialogo: La proposta educativa di Edda Ducci
Costruirsi nel dialogo: La proposta educativa di Edda Ducci
E-book404 pagine5 ore

Costruirsi nel dialogo: La proposta educativa di Edda Ducci

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Info su questo ebook

«L’interlocutore, nel dialogo, non è un nemico da vincere. Non è neanche un ingenuo da persuadere, né un ignorante da istruire, e nemmeno un adulatore di cui si sia andati alla ricerca. È il compagno di strada con cui si impara a sincronizzare il passo, giorno dopo giorno, verso la meta che l’uno fa intravedere all’altro. Con cui si cerca pazientemente un punto in comune, solido, che tenga, che consenta l’abbandono del solipsismo e la mutua comprensione. Che è un cercante, una persona reale, colta e avvicinata nella sua realtà. È colui mediante il quale la nostra vita interiore si illumina e si fa vera, per cui il nostro agire, e primamente quello interiore, attinge vigore e si dispiega. Questo richiede anzitutto che si impari ad essere attivi interiormente, che si restringa lo spazio della passività, indicato dal ricevere da fuori, dallo sperimentare quello che il diverso da noi ci invia, e che noi avvertiamo come un nostro mutamento provocato. Diventare attivi portando (o riportando) al vivo le fibre del proprio essere, vinta l’innata pigrizia, e vinta anche la paura di quell’irrepetibilità scritta in queste stesse fibre» (E. Ducci, Approdi dell’umano. Il dialogare minore)
LinguaItaliano
Data di uscita18 ott 2018
ISBN9788838247477
Costruirsi nel dialogo: La proposta educativa di Edda Ducci

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    Anteprima del libro

    Costruirsi nel dialogo - Cosimo Costa

    Cosimo Costa (ed.)

    Costruirsi nel dialogo

    La proposta educativa di Edda Ducci

    ISBN: 9788838247477

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    I. INTRODUZIONE VERSO UNA LIBERTÀ LIBERATA. LA VITA E L’OPERA DI EDDA DUCCI

    1. Gli anni della gioventù, della scelta e delle ispirazioni

    2. Dall’impegno culturale alle esperienze sociali

    3. Dagli impegni istituzionali alle amate lezioni

    Conclusione

    II. TESTI ANTOLOGICI

    1. RILEGGERE IL RAPPORTO PEDAGOGIA-FILOSOFIA

    2. INDIVIDUARE L’INTERIORITÀ NEL SINGOLO

    a) La soggettività reale

    b) La soggettività è il compito

    c) Gli Pseudonimi nella dialettica della soggettività

    3. RITORNARE ALLA PAIDEIA

    4. PENSARE LA PERSONA COME RELAZIONE E COMUNICAZIONE

    4.1 La relazione

    4.2 La relazione rivelatrice di essere e di limite

    4.3 Morfologia della relazione

    4.4 La espressione della relazione

    4.5 Educazione e intersoggettività

    5. INTENDERE IL MISTERO DELL’UOMO

    5.1 La densità ontologica dell’io

    5.2 Lo spazio personale

    5.3 L’esigenza etica originaria

    5.4 La misura umana

    6. RIPENSARE LE FONTI

    7. COMPRENDERE IL POTENZIALE

    III. BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

    IV. POSTFAZIONE. LA PAROLA COME LECTIO EDUCATIONIS

    CULTURA

    Studium

    129.

    Cosimo Costa (ed.)

    Costruirsi nel dialogo

    La proposta educativa di Edda Ducci

    Postfazione di Francesco Mattei

    L’opera è pubblicata grazie ad una Borsa editoriale

    messa a disposizione per il 2017

    dalla Fondazione Tovini di Brescia

    per valorizzare studi e ricerche scientifiche

    sulla presenza dei cattolici in Italia.

    www.fondazionetovini.it

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Si ringrazia l’Editore Anicia per la cessione gratuita

    dei testi antologici pubblicati

    Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma

    ISBN 9788838247477

    www.edizionistudium.it

    I. INTRODUZIONE VERSO UNA LIBERTÀ LIBERATA. LA VITA E L’OPERA DI EDDA DUCCI

    «Hai un compito, anima mia,

    un grande compito, se vuoi.

    Scruta seriamente te stessa,

    il tuo essere, il tuo destino;

    donde vieni e dove dovrai posarti;

    cerca di conoscere se è vita quella che vivi

    o se c’è qualcosa di più.

    Hai un compito, anima mia,

    purifica, perciò, la tua vita:

    considera, per favore, Dio e i suoi misteri,

    indaga cosa c’era prima di questo universo

    e che cosa esso è per te,

    da dove è venuto e qual sarà il suo destino.

    Ecco il tuo compito, anima mia,

    purifica, perciò, la tua vita» [1] .

    Il ritratto di Edda Ducci che le tante testimonianze ci tramandano sembra volerci consegnare la figura di una donna e insieme di un’educatrice costantemente capace di aprirsi e di aprire all’umano. Di lei si è scritto: «Donna forte e coraggiosa, dal pensiero penetrante [...], aveva ereditato dalla sua terra una certa durezza formale, un certo rigore scevro da convenevoli, un’asciuttezza di comportamento senza formalismi, che peraltro lasciavano trasparire un animo sensibile, un’attenta disponibilità verso il prossimo, un ansietato desiderio [...] di volere il bene dell’altro» [2] ; «fu docente molto colta, estremamente esigente, prima di tutto con se stessa e poi con gli altri, sempre disponibile all’aiuto, ma mai disposta a contentarsi del poco perché lo reputava ribassare sull’umano» [3] ; «è stata pensatrice non banale e non levigata [...]. Del lessico pedagogico, della sua sintassi e del metodologismo epistemologico poco amava l’enfasi che la recente ricerca pedagogica ha evidenziato. Senza iattanza, però, perché era ben cosciente dell’importanza del linguaggio e della parola» [4] ; «Non ti legava, non ti sottometteva al suo immenso sapere: nelle relazioni amicali come in quelle accademiche si disponeva al di là della virgola kierkegaardiana lasciandoti solo, solo e libero, in virtù e non ad onta della sua vicinanza» [5] .

    Un ritratto avvalorato da una profonda spiritualità che inquieta e direziona verso una gioiosa esperienza di vita, in grado di aprire a un orizzonte capace di contenere una Weltanschauung, dove trascendenza e immanenza si uniscono, e una Lebensanschauung, in cui senso del personale, del politico, del sociale, della morale, del religioso e dell’estetico interagiscono sinergicamente per definire la tanto ricercata via dell’umano; sostanziato dagli stessi scritti dell’autrice in cui un’ontologia esistenziale soggettiva e intersoggettiva si unisce a un’indagine interiore trascritta e in qualche modo trascesa in un messaggio che dovrebbe inquietare il mondo dell’educativo, che non porta con sé soluzioni, che prospetta e fa sentire profondamente ignoranti di fronte all’altro e che tiene alto il livello di guardia sul rischio di approntare risposte che paiono esatte solo perché rispondono a urgenze momentanee o alla moda [6] . In fondo come la stessa Ducci scrive: «La giusta messa in questione di una specifica teoresi è segno di vitalità per la riflessione pedagogica. Affermarne o meno l’esistenza è opzione sull’uomo prima che giustificazione epistemologica; riproporne singoli aspetti al variare dei condizionamenti, delle situazioni, dei mutamenti socio-culturali, delle trasformazioni politico-economiche è ammissione, anche se non sempre significata, dell’originario che c’è nell’uomo concreto, della novità che ogni singola generazione propone, e della dialettica mai risolta tra soggetto e oggetto» [7] .

    L’autrice sa bene che toccare lo specifico dell’uomo significa cautelarsi dal pericolo delle opinioni, del sentito dire e da tutto ciò che il puro intelletto impone. Ed ecco il suo osservare e esaminare acutamente l’essere, l’ambiente, il tempo... il suo documentarsi intelligentemente sulle radici dei fenomeni che vede con l’idea che tutto ciò che alberga nell’uomo non è male ma nel male ci scivola facilmente, il suo modo di situarsi tra teoreticità e prassi [8] , la sua forte volontà di far comprendere che il nutrimento dell’anima ha da essere bello, fino ad una proposta educativa originale e atipica in cui pedagogia e filosofia non trovano vincoli epistemologici ma strade da percorrere insieme per comprendere quel limite enigmatico, tragico e misterioso da cui ogni possibilità è segnata e, in senso creaturale, partecipata con una struttura ontologica a cui l’uomo è tenuto ad obbedire per riscoprire l’umano che alberga in lui.


    [1] Gregorio di Nazianzo, Poesie a se stesso, LXXVIII; PG 37, 1425-1426.

    [2] Edda Ducci viene ricordata durante il Consiglio direttivo della Pontificia Accademia San Tommaso d’Aquino (Past) del 24 giugno 2007, in «Doctor Communis», 1-2, 2008, p. 14.

    [3] C. Di Agresti (a cura di), Edda Ducci. Ricordi e testimonianze, Anicia, Roma 2008, p. 8.

    [4] F. Mattei, Un paradigma educativo: parola di uomo, in «Formazione e lavoro», II, 3, 2007, pp. 71-72.

    [5] P. Coccone (testimonianza senza titolo), in C. Di Agresti (a cura di), Edda Ducci. Ricordi e testimonianze, cit., p. 34.

    [6] Cfr. E. Ducci, Il volto dell’educativo, in Ead. (a cura di), Preoccuparsi dell’educativo, Anicia, Roma 2002, p. 18.

    [7] E. Ducci, L’uomo umano, Anicia, Roma 2008 ², p. 9.

    [8] Cfr. Ibid., p. 16.

    1. Gli anni della gioventù, della scelta e delle ispirazioni

    Edda Ducci nasce il 5 gennaio del 1929 a Talla, piccolo paese del casentino. Di origini familiari benestanti, il padre Giovanni fu impiegato comunale mentre la madre Vera Cariaggi fu sarta, e prima di quattro fratelli: Vittorio, Carlo e Cesira, sin da piccola Edda visse in un ambiente familiare «onesto, incline alla creatività e al senso del religioso» [1] . Delle tendenze artistiche e religiose familiari, che tanto stimolarono la formazione della nostra Edda, ci giungono testimonianze indirette dai nonni paterni e materni, il primo maestro di musica e il secondo capo fabbro ferraio, da due zie paterne, Imelda e Clara, entrambe suore domenicane dedite alla pittura ed al ricamo, e dallo zio Girolamo Ducci, frate domenicano e stimato uomo di lettere. E non può mancare la famiglia del dottor Sacchi, medico condotto di Talla e vicino di casa della famiglia Ducci, con cui la piccola Edda trascorreva gran parte del suo tempo intenta ad apprendere poesie ed a comprendere l’operato di un medico che attraverso il suo mestiere già la proiettava in quella che fu la ricerca di tutta una vita: capire l’uomo nel suo «enigma» e nel suo «mistero» [2] .

    Prossimi alla guerra, nel suo paesello d’origine, Edda inizia a frequentare la scuola elementare dimostrando da subito una memoria prodigiosa oltre che una forte predisposizione allo studio; tanto che quando si pose il problema dell’impossibilità di recarsi ad Arezzo per frequentare la scuola media, «unica in tutto il casentino e raggiungibile da Talla per mezzo di una corriera con orari alquanto limitati: si partiva al mattino presto e si rientrava la sera tardi», grazie ai consigli di zio Girolamo, fu mandata a studiare a Gubbio [3] . Il collegio era la norma e nel collegio trascorse alcuni anni contraddistinti da una profonda e viva riflessione che alla fine la portarono ad una vocazione, o per meglio dire, secondo il suo stoico pensare, ad una «scelta di fondo» in grado di segnare tutta la sua vita. Così, all’età di circa diciotto anni, la giovane Edda entra nella stessa Congregazione [4] che l’accolse per favorire i suoi studi al fine di svolgere il suo noviziato.

    Nel 1950 con il trasferimento della casa generalizia a Roma anche Edda si sposta nella capitale, dove, indirizzata da Madre Luigia Tincani e dal carisma della propria Congregazione [5] , decide di iscriversi alla Facoltà di Filosofia dell’Università La Sapienza. Gli esami universitari li supera tutti brillantemente tanto che ormai vicina alla tesi di laurea la sua predilezione per la filosofia teoretica la porta ad accostarsi ad Ugo Spirito, all’epoca uno dei filosofi più importanti dell’ateneo romano. Ma le intenzioni intellettuali della giovane studentessa erano altre rispetto a quelle di Spirito: scandagliare e sondare il pensiero di un autore quale fu quello di San Tommaso, a cui nel corso dei suoi studi oltre che della sua vita si era avvicinata e appassionata tanto da tradurre nel 1992 l’undicesima delle Quaestiones disputatae de Veritate e costruire sul pensiero del filosofo tutto il suo futuro concetto di educabilità. Di fronte a tali propositi Ugo Spirito non sarebbe stato il giusto relatore. Così, attratta da un’«ontologia spiritualistica» ricondotta ad una tradizione antica e scolastica, verso la fine del 1954 Edda decide di trasferirsi a Genova dove sceglie come relatore il professore Carlo Mazzantini la cui riflessione si muoveva tra la dimensione del «sentimento», inteso come problema metafisico della realtà [6] , e la dimensione della «temporalità», intesa come intuizione istantanea di un’evidenza che apre al Vero [7] . Edda Ducci si laurea con il massimo dei voti in Filosofia il primo luglio del 1956 con una tesi dal titolo Realismo immediato in San Tommaso e realismo mediato nel Mercier.

    Dopo il conseguimento della laurea e un anno di insegnamento di religione presso alcuni Ginnasi e Istituti Tecnici di Taranto, nel 1957, vista la nomina ad assistente presso l’Istituto Superiore Pareggiato di Magistero Maria SS Assunta [8] , la nostra autrice torna a Roma. L’assistentato coincideva con la collaborazione volontaria alla cattedra di Pedagogia del professore Gino Corallo, dove Ducci orientava e seguiva le giovani studentesse sia intellettualmente che spiritualmente. Fu durante tale periodo che, grazie alla partecipazione ad alcuni campi scuola organizzati a La Verna, Ducci poté introdursi nel mondo delle guide scout in qualità di Capo Squadriglie Bibbia e Liturgia [9] , e soprattutto poté nutrire possibilità e convinzioni importanti sì per l’intelletto ma anche per quella formazione umana che nel corso degli anni contraddistinse la sua persona. Ciò fu possibile anche e grazie all’ incontro avuto con Mons. Piero Rossano, futuro Vescovo ausiliare per la pastorale universitaria e Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense, che nel contesto scout tenne due importanti lezioni di Sacra Scrittura rappresentanti l’inizio di una lunga e profonda amicizia e di «un fruttuoso lavoro in sinergia segnato dall’interesse per il dialogo in tutte le sue sfaccettature (umano, culturale, spirituale)» [10] . Tutto il percorso della nostra autrice, unito a quello di Rossano, è stato un ricco e fecondo accostamento alla cultura che le permise di aprire l’attenzione ad autori quali Ferdinand Ebner e Martin Buber, necessari non solo per il suo percorso accademico ma anche per la propria vita che sempre intese come «dialogo vivo». Ducci su Rossano in un articolo del 1993 dal titolo Iniziazione all’educativo scrive: «Monsignor Piero Rossano – mi sembra di poter dare testimonianza – aveva il senso per l’educativo. Era un iniziatore» [11] .

    Ma gli anni dello scoutismo furono anche contrassegnati da alcune pubblicazioni ancora di carattere non accademico e quindi anche molto lontani dai suoi cari auctores. Infatti, tra il 1958 e il 1962, sulla rivista per le capo dell’Agi: Il trifoglio, Ducci pubblica Pedagogia di Gesù; Simboli di Resurrezione; Maria: personalità di eccezione riuscita ed esemplare; Simbolismo delle tre Messe di Natale; La nostra partecipazione al Concilio Ecumenico; Oggi Cristo è nato; Natale: incontro con il Dio della gioia. Eccetto il primo, in cui attraverso la «parabola del seminatore» può rilevarsi qualche fragile traccia di spirito pedagogico [12] , tutti gli altri articoli appena citati sono basati su temi strettamente teologici che non possono annoverarsi tra la produzione accademica dell’autrice perché ancora non lasciano intravedere la vera linea direttiva del suo pensiero.

    Nel frattempo mentre in Vaticano continuavano le dispute conciliari tra tradizionalisti e modernisti e si puntava l’accento sul valore della persona e del suo essere, la nostra autrice consegue l’abilitazione per l’insegnamento di Storia e Filosofia e, presso il Maria Assunta, diviene assistente volontaria alla cattedra di Filosofia Teoretica tenuta da Cornelio Fabro che dell’Istituto era stato direttore dal 1954 al 1956. «Autorevolezza» e «ritorno al fondamento» sono i termini che maggiormente definiscono il rapporto tra il filosofo stimmatino e l’autrice casentinese. Legata a Fabro sia intellettualmente che emotivamente [13] , qualche anno dopo è la stessa Ducci che ci tramanda nostalgicamente le sensazioni provate alla scuola del filosofo: «L’esser maestro si radicava, per Fabro, primamente e solidamente nella sua natura di filosofo. [...]. Il suo dire, concettualmente limpido e altissimo, intrideva la durezza del rigore logico con l’amabilità di immagini, metafore, simboli. E sortiva un’efficacia singolare, ma rifuggiva ogni metodologismo» [14] . E fu forse grazie a tale autorevolezza che gli anni alla scuola di Fabro si contraddistinsero anche per le «entusiasmanti e raffinate» esercitazioni svolte dalla nostra Edda «con lodevole diligenza e intelligenza, con dedizione e assiduità» [15] . Già d’allora un’ermeneusi dei testi caratterizzava il suo modo di insegnare oltre che la sua predilezione per autori quali Aristotele, Tommaso e Kierkegaard. Autori a cui Ducci fu introdotta dal maestro, grazie ai quali poté comprendere che si torna al fondamento non per la svalutazione del « qui ora, ma piuttosto per l’insoddisfazione di fronte alla pretesa del qui ora di autogiustificarsi, di rendere insignificante qualsiasi forma di rimando, di rivendicare una impoverente immanenza» [16] . Come per Fabro, questa era una delle operazioni più care all’autrice, intrapresa e portata a termine con tutta naturalezza durante le sue lezioni. Per l’autrice tornare al fondamento era quasi un movimento scontato, una situazione preziosa per celebrare la vera libertà del pensare. E il compierlo non era la conseguenza di un proposito ma un adempimento lineare. Tutto ciò grazie anche ad una sua costante consapevolezza: la propensione a far di tutto per l’altro mediante un’operazione silenziosa e nascosta, tanto da segnarlo e fargli provare, forse come Fabro fece con lei, la sensazione di sentir nascere e crescere in sé il bisogno di scrutarsi nella sua primitività, facendogli accarezzare l’illusione che il traguardo raggiunto fosse tutta opera sua. Un principio oscuro, quasi inaudito per gli intrusi dell’educativo ma ben chiaro a Ducci, per la quale il maestro, il maieuta, considera l’evento, presagisce la solitudine e insieme pregusta un’esperienza tragica e magnifica: arrecare anche a uno solo il beneficio immenso di renderlo libero, senza che questo gli debba niente.

    Ma il periodo dell’assistentato a Fabro si caratterizza anche per i primi articoli accademici della nostra autrice. Difatti, grazie all’aiuto del frate domenicano Clemente Vansteenkiste, ispiratore del suo iniziale accostamento a Ferdinand Ebner e caro collega dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Mater Ecclesiae [17] , Ducci riesce a pubblicare nella rivista «Angelicum», all’epoca poco incline ad accettare scritti femminili, Il τὸ ἐὸν parmenideo nell’interpretazione di Simplicio (1963). Ad esso seguì, ma questa volta nella rivista «Rassegna di Scienze Filosofiche», Il τὸ ἐὸν parmenideo nella interpretazione di Filopono (1964), un altro importante articolo che testimonia della sua passione per l’ essere. Nei due contributi difatti l’ essere appare subito il punto di partenza, il contenuto non mai esaurito del problema, il termine ultimo, tanto che mossa da un vivo desiderio di conoscenza, Ducci giunge ad affermare che «la problematica sull’ essere uno di Parmenide, causa del tutto e unità fondamentale del reale, è un’indagine essenzialmente metafisica, l’intuizione di un quid intelligibile totalmente distinto dal sensibile e la testimonianza profonda di quella stupenda continuità di pensiero che fa della speculazione greca un dialogo non interrotto tra un interlocutore principale, la verità, e gli interlocutori secondari, i pensatori che si succedono nel tempo» [18] . La tensione dal livello sensibile a quello ontologico sarà sempre una costante nel pensiero dell’autrice: conoscere l’ essere per comprendere l’uomo nella sua essenza fisica e spirituale, dove uomo è sintesi unitaria di anima e di corpo, unità strutturale di corporeità vivente e persona spirituale, dotato di energia per giudicare il fine in relazione al valore, per utilizzare volontà e intelligenza al fine di liberarsi della sua finitezza, per dominare gli impulsi della sua naturalità e orientare il proprio essere all’immortalità del proprio spirito [19] . L’indagine dei grandi Commentatori di Alessandria portata avanti alla scuola di Fabro rappresenta uno dei primi fondamenti del pensiero dell’autrice [20] , una tappa non inutile e forse anche obbligata che indirettamente troverà spazio nella sua futura pedagogia attraverso l’affermazione di un fondamento metafisico-ontologico da porsi come principio di ogni suo filosofare.


    [1] Le informazioni riportate nella presente introduzione sono state tratte da un’intervista a Cesira Ducci, sorella della nostra autrice; da alcune conversazioni svolte con Carmela Di Agresti che di Ducci fu amica e collega per oltre quaranta anni e con F. Mattei anch’egli collega e amico dell’autrice; dal testo Commemorazione di Edda Ducci, scritto da Edward Kaczynski per il Consiglio Direttivo della Past, in «Doctor Communis», cit.; da alcune certificazioni riguardanti le attestazioni di assistentato e da un curriculum vitae dell’autrice che mi è stato gentilmente concesso da Carmela Di Agresti; dal Centro Documentazione Agesci; da alcuni articoli della stessa autrice.

    [2] Cesira Ducci racconta che il piccolo palazzo settecentesco in cui visse con la sorella ospitava al piano nobile il dott. Sacchi e la moglie: «quasi una seconda famiglia, dalla quale Edda attinse una passione per la medicina che ha sempre conservato, tanto da sentirsi ‘traditrice’ nei confronti del medico quando si iscrisse alla Facoltà di Filosofia».

    [3] Nella piccola città umbra l’Unione Santa Caterina da Siena delle Missionarie della Scuola, accanto alla casa generalizia, possedeva il Collegio San Domenico, una struttura di accoglienza per ragazze desiderose di studiare. Fu in questa struttura che ferma nel voler continuare i suoi studi Edda frequenta sia il ginnasio che il liceo.

    [4] La Congregazione delle Missionarie della Scuola era stata fondata da Luigia Tincani nel 1924 e si caratterizzava da un profondo impegno di vita contemplativa oltre che da un apostolato agile nel mondo, in particolare nella scuola pubblica, senza particolari segni di riconoscimento per meglio penetrare negli ambienti più lontani dalla fede.

    [5] La stessa Luigia Tincani era laureata in pedagogia e filosofia e fondò su discipline umanistiche quel cammino carismatico della propria Congregazione, al fine di far giungere i giovani al perfezionarsi delle proprie persone nella luce e nella sinergia del mistero dell’Incarnazione, cfr. C. Costa, Luigia Tincani. Una donna amata da Dio, una fonte d’amore per l’educativo, in «Ricerche Teologiche », XXVI, 1, 2015, pp. 133-150.

    [6] Cfr. C. Mazzantini, Nota sul sentimento sostanziale, Tipografica V. Bona, Torino 1933.

    [7] Cfr. C. Mazzantini, Il tempo, Cavalleri, Como 1942.

    [8] Il Magistero era stato fondato da Luigia Tincani e dal card. Giuseppe Pizzardo nel 1939, col proposito di rispondere a due ragioni: rendere più facile l’accesso agli studi universitari delle religiose chiamate ad insegnare nelle scuole cattoliche e contribuire ad una formazione intellettuale e umana libera dai condizionamenti ideologici del tempo.

    [9] Inventario dell’Archivio dell’Associazione Guide Italiane (Agi) 1944-1974, a cura del Centro Documentazione Agesci, Centro Documentazione Agesci, Roma 2011, pp. 25-27.

    [10] C. Di Agresti, Edda Ducci. Luoghi e tempi di un servizio, cit., p. 43.

    [11] E. Ducci, Iniziazione all’educativo, in R. Penna (a cura di), Vangelo, Religioni e Cultura. Miscellanea di studi in onore di Mons. Pietro Rossano, Edizioni San Paolo, Torino 1993, pp. 284-283.

    [12] Cfr. E. Ducci, Pedagogia di Gesù, in «Il Trifoglio», 4-5, 1958, pp. 18-21.

    [13] Si usa l’aggettivo emotivamente perché da quanto riporta Francesco Mattei in Logos, dialogos, paideia . Annotazioni dalle dispense ebneriane di Edda Ducci, in F. Mattei-C. Costa, Edda Ducci. La parola che educa, Anicia, Roma 2017, p. 108, «l’autrice fu molto contrariata quando, alla morte del suo maestro Cornelio Fabro, i padri Stimmatini [...] tolsero dai libri del grande pensatore neo-scolastico i riccioletti di carta multicolore che egli era solito inserire nei passaggi importanti dei suoi libri. Quei topoi, era solita commentare, costituivano l’occhio di Fabro sulle grandi opere di Tommaso o di Hegel, di Cartesio o di Kierkegaard. Dunque, quella restitutio in integrum dei testi della sua biblioteca personale rappresentava per lei una vera e propria mutilazione, una violenza, un atto contro la cultura di una vita dedicata allo studio».

    [14] E. Ducci, Cornelio Fabro. Maestro di libertà, in «Studi Cattolici», 415, 1995, pp. 529-530.

    [15] L’informazione è stata tratta da un certificato risalente al 4 luglio del 1968, rilasciato alla nostra autrice dal professor Ferdinando Milone, Direttore dell’Istituto Maria SS. Assunta.

    [16] E. Ducci, Cornelio Fabro. Maestro di libertà, cit., p. 530.

    [17] Le origini dell’Istituto risalgono al 1913, anno in cui Madre Luigia Tincani organizza un Corso superiore di ‘Religione’. Tra il 1964-65, nell’Istituto ormai inserito nella Pontificia Università San Tommaso d’Aquino ( Angelicum), Edda Ducci tenne delle lezioni di Introduzione alla Filosofia.

    [18] E. Ducci, Il τὸ ἐὸν parmenideo nella interpretazione di Simplicio, in «Angelicum», 40, 2, 1963, p. 327.

    [19] Cfr. E. Ducci, L’uomo umano, cit., pp. 30-32.

    [20] Sarà la stessa Ducci che anni dopo, in un breve passo autobiografico all’interno di uno scritto dedicato a Corallo confermerà la nostra interpretazione: «venivo da una formazione teoretica focalizzata sull’essere», E. Ducci, Libertà liberata. Libertà Legge Leggi, Anicia, Roma 1994, p. 41.

    2. Dall’impegno culturale alle esperienze sociali

    Dopo aver ottenuto l’idoneità all’insegnamento, nel 1965, «prima assoluta in graduatoria nazionale» [1] , Ducci vinse un concorso per insegnare Storia e Filosofia nei Licei: il ruolo gli venne assegnato a Isernia ma dopo poche settimane decise di lasciare la scuola, di ritornare a Roma e partecipare a un concorso per assistente ordinaria. Fu questo un momento molto importante e particolare. Infatti, nonostante la grande passione per la Filosofia Teoretica che fino al 1968 continuò a coltivare attraverso le sue amate esercitazioni alla cattedra di Fabro, voluta fortemente dal professore Gino Corallo, Ducci dovette ormai trasferirsi [2] a Bari per occuparsi di Pedagogia presso la Facoltà di Magistero. Lontana dalle dispute pedagogiche del tempo e dalle ricche e talora vivaci discussioni (i convegni di Scholé) di una pedagogia cattolica divisa dalla compresenza di Neotomismo e Personalismo, l’influenza esercitata dal pedagogista barese sulla formazione pedagogica della nostra studiosa era inevitabile. Come ella stessa scrive: «L’incontro con la proposta pedagogica di Corallo, e soprattutto con quel suo individuare nella libertà il proprium della realtà educativa, è avvenuto per me in condizioni ottimali. [...] La cosa nuova è stato un impulso a procedere verso un modo di fare filosofia dell’educazione. Non è certo secondario il fatto che proposta e formazione avessero in comune quella radicalità che alla dimensione libera dell’uomo viene dal situarsi nell’orizzonte cristiano» [3] .

    Ma il nuovo percorso non poteva non contemplare quanto l’autrice apprese di teoretica durante gli anni accanto a Fabro. Le dispense baresi, Dio e L’uomo, mediante cui svolse le sue prime lezioni su Ebner ne sono una riprova [4] . E insieme ad esse anche un importante saggio: Il rapporto tra filosofia e pedagogia del 1966, in cui l’autrice, aperta ad una posizione metafisica dell’ essere, intuisce una soluzione importante per il problema pedagogico: «la varietà e la ricchezza della vita vissuta, della dimensione esistenziale» [5] . Fu questa una intuizione che porterà costantemente con sé. Si guardi infatti negli anni avvenire al volumetto Libertà liberata. Libertà Legge Leggi del 1994, dove scrive che «per riaffrontare un tema educativo di largo respiro in una situazione di profondo travaglio è cosa seria disegnare la Weltanschauung e la Lebensanschauung in cui l’argomento si situa» [6] . L’autrice sa bene che la differenza non consiste soltanto nel considerare l’uomo come oggetto o come soggetto ma piuttosto come l’esplicitarsi di due possibilità, di cui l’una privilegia il sapere intorno all’oggetto/soggetto, le sue leggi rigorose e mirabili e l’altra mira al costituirsi di una dialettica costantemente alimentata dalla simbiosi tra il sapere e il modo di essere del soggetto/oggetto. Ma la produzione pedagogica ducciana continua con un altro importante articolo, Paideia e Metexis (1967), in cui l’autrice giunge a definire la metexis come momento fondante della paideia [7] . E sempre dello stesso anno è la traduzione del testo dello Pseudo Boezio, il De disciplina scholarium, nel quale mediante una lunga introduzione vengono precisati gli elementi e i valori indispensabili per poter svolgere la missione di educatore [8] . E ancora temi e problematiche quali: l’aforisma kierkegaardiano «stare soli – con l’aiuto di un altro», la comunicazione di sapere e la comunicazione di potere, la reduplicazione, i discorsi edificanti... Pregnanti espressioni kierkegaardiane, mutuate da Fabro, reinterpretate pedagogicamente e racchiuse nella monografia La Maieutica kierkegaardiana (1967), che nel 1969 valse alla nostra autrice l’abilitazione alla libera docenza in Pedagogia e qualche anno dopo l’incarico nel predetto insegnamento presso la Facoltà di Magistero barese.

    Tuttavia non sono solo i libri a fare di Edda Ducci una figura importante della pedagogia del Novecento. Sono infatti da indagare anche le sue lezioni dai cui titoli può già intuirsi la direzione e la forza del suo pensare. A tal proposito si ricordano: La dialettica della comunicazione esistenziale nella formazione della personalità; Il problema dell’alterità; Edificazione della persona e intersoggettività; Intersoggettività e liberazione dell’io [9] . Titoli di pensieri ben definiti [10] che hanno avuto la capacità di stimolare tanti studenti a istanze educative forti quali «lo statuto ontologico esistenziale dell’uomo, il tu, l’altro...» ma che purtroppo non sempre sono stati ben accetti dai pedagogisti del tempo. Difatti, «la filosofia dell’educazione era vista con sospetto e forti erano ancora le resistenze verso un tale approccio, temuto come rischio di indebita colonizzazione da parte dei filosofi» [11] . Nonostante ciò Ducci non si allontana dal suo nuovo modo di intendere la pedagogia, tanto da affrontare e far accettare alle autorità accademiche baresi l’idea di far bandire una cattedra di Filosofia dell’educazione [12] .

    Contrariamente a quanto si potrebbe pensare fu durante gli anni in questione che si assiste ufficialmente ad una operazione importante della nostra studiosa: traslare il discorso sull’educativo in una concezione filosofica e pedagogica aperta ad un realismo metafisico e teleologico. Come ella stessa scrive nella Prelezione del 2002 al testo Essere e Comunicare (1974): «Più che di un nuovo pensiero si trattava di un nuovo pensare. Un nuovo pensare per attingere una precisa modalità dell’essere, quella del soggetto relazionato. [...] Il nuovo pensare comprendeva (quasi presupponeva) la fedeltà all’essere, l’apertura alla trascendenza, l’importare dell’uomo» [13] . E fu con tali premesse che Ducci poté continuare l’opera intrapresa. Questa volta però mettendo mano ad un passaggio delicato e necessario: delimitare i contorni di un termine fondamentale per il lessico pedagogico, quello di comunicazione. Il problema in tal caso era scavare negli anfratti e nelle pieghe semantiche ed effettuali della comunicazione che non poteva configurarsi, ancora una volta, come pura tecnica, piuttosto, come scrive il suo amico e collega Francesco Mattei, doveva essere: «lontanissima dai fasti orgiastici dell’odierna (in)comunicazione di massa» [14] . E difatti la stessa autrice sulla strada kierkegaardiana: la comunicazione dev’essere comunicazione dell’umano, non ridotta a sola «comunicazione di sapere»; dovrà divenire «comunicazione di potere», tale da portare il soggetto a poter agire interiormente in autonomia [15] .

    Ma gli anni baresi di Edda Ducci furono contraddistinti anche da un altro testo, L’uomo umano (1979), che per tanti aspetti può dirsi appartenente alla sua maturità di pensiero. Riedito subito dopo la sua morte, in esso l’autrice coglie il discorso sull’educativo lontano dalle infinite teoresi pedagogiche per volgerlo ad una «filosofia poietica» testimone del suo amore per autori amati e frequentati e per temi sempre presenti alla sua preoccupata speculazione per l’uomo.

    Tuttavia, l’impegno per la promozione culturale si estende anche fuori dall’aula universitaria. Per ben nove anni (1977-1986) assunse la carica direttiva della biblioteca Gaetano Ricchetti, arricchendola con un importante patrimonio librario e facendola divenire un centro di dibattito pubblico su temi di attualità o di più generale formazione culturale, e maturò esperienze educative forti avviando varie iniziative di recupero in ambienti difficili quali le carceri e gli orfanotrofi. Le testimonianze a tal proposito sono tante.

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