La singolarità del vivente
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Info su questo ebook
Miguel Benasayag
È nato in Argentina, dove ha studiato medicina e militato nella guerriglia guevarista. Arrestato, è stato torturato e a lungo detenuto. Espatriato in Francia, ha iniziato la sua attività clinica e di ricercatore. Attivo politicamente e nel sociale, di orientamento libertario, vive a Parigi, dove si è occupato per anni di problemi dell’infanzia e dell’adolescenza. È autore di numerose opere pubblicate anche in Italia.
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Anteprima del libro
La singolarità del vivente - Miguel Benasayag
DISSIDENZE
collana a cura di
Lelio Demichelis
Dissidenze
L. Demichelis, La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitalismo, 2018
F. Re David, Tempi (retro)moderni. Il lavoro nella fabbrica-rete, 2018
P. Bartolini, S. Consigliere, Strumenti di cattura. Per una critica dell’immaginario tecno-capitalista, 2019
G. Nebbia, La Terra brucia. Per una critica ecologica al capitalismo, 2020
P. Bartolini, L. Demichelis, La vita lucida. Un dialogo su potere, pandemia e liberazione, 2021
S. Bellucci, AI-Work. La digitalizzazione del lavoro, 2021
M. Benasayag, La singolarità del vivente, 2021
Titolo originale
La Singularité du vivant
© Editions Le Pommier/Humensis, 2017
Traduzione di
Cristiano Screm
© 2021
Editoriale Jaca Book Srl, Milano
tutti i diritti riservati
Prima edizione
agosto 2021
Redazione Jaca Book
Impaginazione Elisabetta Gioanola
Stampa e confezione
Geca Industrie Grafiche Srl, S. Giuliano M.se (Mi)
luglio 2021
ISBN 978-88-16-80302-2
Editoriale Jaca Book
via Frua 11, 20146 Milano
tel. 02/48561520, 342 5084046
libreria@jacabook.it; www.jacabook.it
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de más para amar y defender la vida.
INDICE
PREFAZIONE
Jean-Michel Besnier
UN INIZIO
Introduzione
I CORPI ESISTONO
«Il senso è morto, viva il senso!»
Macchina digitale, biologia e ibridazione
Il «Mamotreto», ovvero: perché è necessario pensare gli invarianti propri del vivente
Capitolo 1
OLTRE IL MECCANICISMO E IL VITALISMO. LA RADICALE DIFFERENZA TRA ORGANISMO E ARTEFATTO
«Nessuno è padrone in casa propria»
Un pensiero possibile dell’unità
Crisi di senso: quando le ipotesi divengono dogmi
Tre rivoluzioni: la lingua, la scrittura e la digitalizzazione
L’orizzonte del mondo digitale: quando il territorio diviene la mappa
Le situazioni concrete non sono riducibili al modello
Il computer non può vincere
Intenzionalità e adattamento
«Non vi è nulla da cercare dietro i fenomeni»
Capitolo 2
TRE MODALITÀ DI ESISTENZA
Un organismo è sempre fine a se stesso
Il campo biologico
Il DNA non è un supporto di informazione
Gli aggregati
I misti
Capitolo 3
LE DINAMICHE DEL MAMOTRETO I PER UN NUOVO MODELLO ORGANICO
I meccanismi della conflittualità
La barriera trasduttiva e stocastica
Riti e ritmi
Miti e consonanza: il fenomeno umano
Partecipazione e cattura
Lingua/campo biologico
Tecnica/campo biologico
Capitolo 4
LE DINAMICHE DEL MAMOTRETO II RITAGLIO E DISCRETIZZAZIONE
I meccanismi di coproduzione del mondo
Misti e campo di ritaglio
Coproduzione della conoscenza e del conoscibile
Una sorta di realismo del Mamotreto
Perché gli artefatti non possono essere affetti
Capitolo 5
LA DOPPIA COSTRIZIONE, UN PRINCIPIO DI ORGANICITÀ
Dove vi è la parte, esiste il tutto
«Funzione uguale finzione»
Gli organismi non obbediscono mai a un programma
Conclusione
IL PROBLEMA NON STA NELLA TECNICA
Postfazione
ELOGIO DELLA LINEA: VERSO NUOVI CONTORNI DELL’UMANO
Giuseppe Longo
Differenziazione cellulare e unità organica
La cattura da parte della lingua
I contorni, i bordi
Il ritaglio
Le derive dell’induzione matematica
La formazione storica del senso
Ringraziamenti
Dello stesso autore
PREFAZIONE
Jean-Michel Besnier
La tecnica pretende di digitalizzare la vita, di ridurla ad algoritmo, di scomporla in metabolismi e organi prontamente sostituibili. Contro questa ascesa di una modalità di vita post-organica, conseguenza dell’assalto sferrato dalla tecnica alla biologia, Miguel Benasayag lancia un appello alla resistenza: il riduzionismo della scienza e della tecnica nega gli invarianti strutturali e funzionali del vivente. E questi invarianti dimostrano proprio che non è possibile fare qualsiasi cosa con ciò che vive.
A quello che le tecnoscienze vorrebbero darci a intendere, incoraggiando una drammatica disinibizione, Miguel Benasayag contrappone un sistema da lui denominato «Mamotreto». La scelta di questo termine spagnolo è curiosa, sconcertante, perfino irritante. Si può tradurre in italiano come «aggeggio» o «trabiccolo»; si usa per designare qualcosa di inutile e ingombrante, oppure indigesto (come un libro voluminoso, un «mattone»). Io ci vedo un equivalente del termine italiano «roba» così come viene utilizzato nell’omonima novella del siciliano Giovanni Verga. In sostanza, la parola «Mamotreto» designa per Miguel Benasayag un sistema che non può che essere aperto e caotico, imprevedibile e incontrollabile, sorprendente e inquieto. È insomma la vita stessa a dispiegarvisi, «la singolarità del vivente», che sfugge alla morsa dei dogmatismi di ogni risma. Ma si tratta comunque di un sistema organizzato, giacché Miguel Benasayag non è né un vitalista né uno spiritualista, e non professa il culto dell’irrazionale. In verità, il vivente non è una cosa «qualunque», e la sua singolarità non è legata al fatto che esso sfugga alla concettualizzazione. Sarebbe troppo facile – e del tutto inutile.
Miguel Benasayag condivide con i presocratici – che aspiravano a organizzare la Natura in funzione di una struttura ragionata composta dai suoi elementi (acqua, terra, fuoco, aria), oppure in base a principi a un tempo unificanti e conflittuali (il Sé e l’Altro, l’Essere e il Divenire...) – la passione per i grandi sistemi che spiegano il mondo. Evita tuttavia la vana speculazione, proponendo una filosofia che inquadra le idee nei contesti e nei conflitti generati dal nostro tempo. Una delle sue «parole chiave», per dirla con Roland Barthes, è «dislocazione» – che utilizza per esprimere la sua nostalgia di un «Tutto qualitativo», oggi dislocato, e la sua volontà di battersi contro la fisicalizzazione e la digitalizzazione dell’umano. L’interrogativo che pone qui al lettore riguarda la vita, che viene considerata «un fenomeno di contesto» e corre il rischio di venire ridotta a elemento indifferenziato di un «mondo di Lego», privo di attriti e di rotture, privo di connessioni con un ambiente conflittuale e strutturante, estraneo alla differenza tra il possibile e il reale.
A suo modo, con il Mamotreto Miguel Benasayag propone di fatto una cosmogenesi, o quantomeno un’organogenesi, che permette di pensare la singolarità del vivente. Nel suo sistema vi sono tre livelli da attraversare, partendo dal centro. Soltanto così si può sfuggire alle illusioni dell’inizio assoluto, o a quelle che Gilbert Simondon riconduceva all’ilemorfismo dei sistemi metafisici: dal momento che il mondo è un processo, va necessariamente affrontato in movimento, colto nel suo moto; è sempre già presente e suscettibile di divenire altro.
Tre livelli, dunque: al centro, il «campo biologico», che poggia (in basso) sui «processi fisico-chimici» (gli «aggregati») e che si traduce (in alto) nelle produzioni simboliche e culturali (i «misti»). L’organicità resiste all’artefatto a cui le tecnologie vorrebbero ridurla sino a quando rimane in sintonia con gli aggregati e i misti che la circondano senza limitarla. Sotto questo aspetto si può cogliere l’assurdità del transumanesimo, che aspira alla costruzione di un mondo e di un uomo «post-organici», vale a dire votati al virtuale e privi di corpo… Non è mia intenzione descrivere in questa sede il Mamotreto, che restituisce il vivente alla sua dinamica e lo descrive in un contesto di permanente trasduzione. Mi limiterò a osservare quanto sia suggestivo, a mio avviso, questo modo di difendere l’unità del vivente presentandolo in costante conflitto con ciò che vorrebbe congelarlo e dislocarlo. Il Mamotreto dissipa queste pretese, rifiutando la razionalità analitica che appesantisce le scienze del vivente, e sviluppa una tematica già elaborata da Francisco Varela nel suo approccio «enattivo» ai fenomeni vitali: in biologia non si costruisce il complesso a partire dal semplice, poiché non vi è né semplice né elemento isolato, bensì costante interazione e accoppiamento strutturale, perturbazione e retroazione dei sistemi. In questo senso, Miguel Benasayag considera un invariante il fatto che le molecole costitutive del vivente siano soggette a un processo di «doppia costrizione», che le rende partecipi di ciascuno dei livelli del Mamotreto. Esse obbediscono da un lato ai meccanismi del loro funzionamento endogeno, e dall’altro alle limitazioni dell’organismo che le cattura e le incorpora. È qui che ha luogo l’inevitabile dissociazione tra la vita e gli artefatti che pretendono di imitarla: nella prima non vi è nulla di elementare o di isolabile – e le tecnoscienze, nella misura in cui la ignorano e moltiplicano i secondi, sono a rigor di termini mortifere. Con il Mamotreto, Miguel Benasayag inventa il modello esplicativo in grado di mandare a monte il tentativo di favorire l’avvento del post-organico – o, se vogliamo, del post-umano.
La singolarità del vivente è quindi legata all’interfaccia conflittuale a cui esso è costretto ad attenersi – sostanzialmente, quella che lo lega alla molteplicità degli aggregati fisico-chimici e lo costringe a dibattersi nel contesto culturale in cui dominano i misti. Sono sensibile alla portata quasi poetica della descrizione del vivente immerso in contesti soggetti allo scontro di ritmi e di riti – riti che creano una stabilità temporanea, come le istituzioni e le narrazioni ideologiche, e ritmi che sconvolgono tale stabilità, restituendo la vita al suo caos creatore. Non a caso vengono citati Cervantes, Borges e Artaud in questa odissea della vita impegnata a resistere alla semplificazione tecnologica. Leggere Benasayag significa convincersi progressivamente dell’aberrazione rappresentata dalla velleità dell’uomo moderno di sbarazzarsi dei riti (sociali) e da quella dell’uomo ipermoderno di soffocare i ritmi (biologici).
La singolarità del vivente è un libro entusiasmante – e sforzandomi a mia volta di dare battaglia agli avatar della disumanizzazione, devo dire che condivido il sentimento di urgenza che trasmette: ciò che fa comprendere crea la prospettiva di una resistenza creativa, già illustrata da Miguel Benasayag in diverse formulazioni¹, nonché la promessa di «nuove radicalità», anch’esse già preannunciate dall’autore². Devo spingermi sino ad affermare che La singolarità del vivente conclude oggi una filosofia abbozzata una trentina d’anni or sono? Assolutamente no – poiché il Mamotreto non potrebbe mai mettere il punto finale ad alcunché; è per definizione aperto e ostile ai dogmi. Pur presentandosi come modello teorico, è nondimeno una macchina da guerra contro l’assurda ambizione contemporanea di farla finita con la vita attraverso la tecnologia. Non v’è dubbio che questo libro si rivelerà indispensabile per dare impulso all’offensiva contro i tecnoprofeti del transumanesimo. Più in generale, esso dà risposta alla necessità di scalzare le nuove alienazioni e i malesseri generati dalle illusioni del «pan-informatico» e dalle vertigini della dematerializzazione. Una filosofia di lotta, scevra da misticismi e irrazionalismi, ma pienamente impegnata a comprendere ciò che ci minaccia – ecco ciò che ci offre Miguel Benasayag.
¹ Si veda per esempio Résister, c’est créer, La Découverte, Parigi 2002 (ed. italiana Resistere è creare, MC Editrice, Milano 2004).
² Pour une nouvelle radicalité, La Découverte, Parigi 1997 (ed. italiana Per una nuova radicalità, Il Saggiatore, Milano 2004).
UN INIZIO
La filosofia deve costituirsi
come la teoria di ciò che facciamo,
non come la teoria di ciò che è
Gilles Deleuze, Empirismo e soggettività
Tra il vivente e l’apparecchio, tra l’intelligenza artificiale e l’intelligenza animale, tra la vita artificiale e la vita e basta, noi contemporanei sembriamo ormai non fare più alcuna distinzione. Emerge una nuova promessa, che rende nuovamente attuali, attraverso gli strumenti dell’informatica e della robotica, le escatologie più oscurantiste. Dalla Silicon Valley, nuovi demiurghi fanno balenare davanti ai nostri occhi un’esistenza liberata da ogni limitazione, perfino dalla morte. A una condizione, tuttavia: quella di abbandonare il nostro corpo, per assurgere finalmente alla vera vita, trascesa all’interno di circuiti in silicio.
Pervasi da una felicità illimitata, uomini e donne dovranno presto andare a spasso insieme a fedeli amici robot, intelligenti, perfettamente adattati ai loro gusti e ai loro capricci… Amici, insomma, qualitativamente superiori a quelli di un tempo, con i quali intratteniamo rapporti inevitabilmente fragili, mutevoli e rischiosi. In questa visione puramente lineare e quantitativa del desiderio, aumentare le prestazioni, la vita, l’uomo sembra essere scontato, il che renderebbe di per se stessa obsoleta qualsiasi questione di senso.
Lungi da qualunque posizione passatista, riteniamo sia oggi necessario studiare razionalmente ciò che, nella complessità propria del vivente e della cultura, non può essere ridotto al modello informatico dominante. Tale compito implica altresì la necessità di comprendere come assimilare i processi del vivente ai processi digitali, dichiarare senza mezzi termini che tutto è informazione, equivalga a ignorare, e soprattutto ad appiattire, dimensioni del vivente e della cultura che non sono riducibili a unità elementari di informazione. Dobbiamo renderci conto che, lungi dal rappresentare un semplice insieme di tecnologie al servizio dell’umanità, gli algoritmi, i robot e i big data configurano una visione del mondo che non è affatto obiettiva come ci viene presentata. Non sono la realtà, ma soltanto una realtà.
Il presente lavoro non aspira a costruire un «modello» nell’accezione in cui i matematici utilizzano questo concetto. Intende piuttosto offrire un contributo all’elaborazione di uno sguardo diverso dal paradigma oggi dominante: in una fase in cui si assiste a una marcata equiparazione tra vivente e artefatto, è importante interrogarsi su una nuova possibile alterità. In passato l’altro dell’umano era la natura, e l’altro della creazione era il creatore. Ora, nel nostro tempo, la questione diviene la seguente: quale dovrebbe essere oggi l’altro di una vita e di un’umanità sempre più inglobate e modificate dai processi tecnoscientifici?
Questo libro aspira quindi a contribuire all’elaborazione di un nuovo immaginario – non allo scopo di contrapporlo all’analisi razionale, bensì in quanto alla base di qualunque concettualizzazione razionale, così come di ogni pratica, vi è un’intuizione, un punto di vista, un quadro concettuale. Questo nuovo immaginario non è né tecnofilo né tecnofobo; il suo scopo è permetterci di concepire una modalità di ibridazione tra la tecnica e la vita che non appiattisca la singolarità del vivente. Vuole esortarci a sperimentare l’esperienza che consiste semplicemente nel domandarsi: «Se guardo le cose da questa prospettiva diversa, quali sono i nuovi possibili che si manifestano?».
Il nostro postulato è che esista un’irriducibile singolarità del vivente, da cui dipende l’esistenza stessa del mondo in cui viviamo. Con il termine «singolarità» designiamo qui un’unità agente, che si auto-costituisce come universale concreto, in cui il tutto esiste in ciascuna parte. Il vivente si sta già co-evolvendo con la tecnica; certamente è destinato a ibridarsi ancora di più – e in modo irreversibile – con i prodotti delle nuove tecnologie. Per