Il prezzo dell'inferno
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Il prezzo dell'inferno - Federico Betti
XXX
I
Stefano Zamagni era un agente della Squadra Omicidi.
Gli piaceva molto la vita tranquilla e nei momenti liberi amava andare in giro per Bologna con il suo coupé biposto color grigio argento.
Una fredda mattina di gennaio si alzò, fece una veloce colazione a base di spremuta di pompelmo e qualche fetta di pane azzimo e uscì per andare al lavoro. Aveva la sua calibro 38 nella fondina.
Arrivato in via Rizzoli, vedendo di essere in anticipo per il lavoro, decise di fermarsi per salutare il suo amico Mauro Romani nel fast-food di sua proprietà al numero 68 di quella strada.
Appena entrato vide un losco individuo dall'altra parte del bancone con un fucile a canne mozze nella mano destra, pronto a fare fuoco sul signor Romani se non gli avesse consegnato l'incasso.
Quando vide il sacchetto dei soldi nelle mani del rapinatore e il suo amico Mauro libero, tirò fuori la pistola dalla fondina sotto la giacca.
«Fermo, polizia» disse Stefano, aspettandosi che l'individuo si fermasse.
Ma ciò non avvenne: l'uomo mascherato sgattaiolò dietro una porta che dava agli scantinati.
Senza esitare un attimo di più, Stefano, arma alla mano, inseguì il rapinatore lungo le scale, sperando che non fosse già svanito nel nulla.
Cercò per parecchio tempo, ma non lo trovò.
Forse era veramente riuscito a scappare. O forse no.
Stava per andarsene, quando fu attratto da uno strano bagliore rossastro che proveniva da dietro l'angolo.
Con molta attenzione, tenendo sempre la calibro 38 in mano, si mosse verso quella strana luce intensa. In quel punto c'era un libro per terra. La copertina era di raso rosso. Un rosso cupo. Fortissimo. Abbagliante. Non ci resisteva più.
Appena Stefano toccò il libro, il bagliore accecante si placò.
Prese il libro e lo portò con sé al Dipartimento di polizia, dove lavorava.
Tranquillo, si mise a lavorare alla sua scrivania. Stava cercando il modo per trovare quel losco individuo che aveva incontrato nel locale in via Rizzoli.
Aveva un po’ di emicrania ma non ci fece caso, perché dopo parecchie giornate di lavoro intenso si trovava a soffrirne. Dopo un po’ fece un cenno ai colleghi e se ne andò a casa.
Salì sulla coupé e partì con il libro sull'altro sedile della macchina.
Accese la radio per ascoltare se c'erano delle novità su quello che gli era capitato nel fast-food o altre notizie che lo potessero interessare: andava matto per quelle curiose o fuori dall'ordinario. Lo speaker non annunciò nulla di particolare, così Stefano spense la radio.
Arrivato a casa, prese il libro che aveva trovato la mattina, lo mise sulla scrivania personale nel suo studio e si mise a leggere il giornale.
Lo colpì immediatamente un titolo a caratteri cubitali in prima pagina: TENTATA RAPINA A UN FAST-FOOD IN VIA RIZZOLI. Da ciò che lesse capì subito che non avevano ancora identificato il rapinatore. Chiuse il giornale.
Per cercare di calmarsi definitivamente si fece una tisana a base di menta, karkadé e altre erbe rinfrescanti, e si sdraiò sul divano del salotto sperando che nessuno lo disturbasse al telefono oppure suonando il campanello. Non aveva voglia di parlare.
Le ricerche sul rapinatore e la sua identità continuavano, sebbene Stefano non fosse al Dipartimento.
II
Dopo circa tre ore di intenso lavoro al fast-food e al Dipartimento, la Polizia Scientifica e alcuni altri agenti arrivarono all'identificazione del rapinatore incontrato da Stefano Zamagni.
Il suo nome era Daniele Santopietro. L’uomo aveva precedenti penali per rapina a mano armata, stupro e violenza durante prestazioni e incontri di magia nera.
Decise di assumersi le ricerche Alice Dane, un agente proveniente da Scotland Yard, ma di origine irlandese, più precisamente della città di Belfast.
Determinata a trovare Santopietro, partì sulla sua berlina sportiva lungo la statale che attraversa la città, per i suoi gusti un po’ troppo trafficata.
Sapeva di trovarlo dall'altra parte di Bologna, in via Saffi.
Arrivata in quella strada, parcheggiò la macchina e si avviò verso la dimora di Santopietro con la pistola nella borsetta.
Trovato il palazzo che cercava, suonò ad un campanello inventandosi una scusa per entrare senza porre sospetti in nessuno.
Entrata, ci mise poco a trovare la porta con scritto SANTOPIETRO.
La porta era socchiusa. Entrò facilmente nell’appartamento. Forse troppo facilmente, pensò lei.
Con la pistola alla mano avanzò nell'appartamento. Sembrava che all’interno non ci fosse nessuno.
Era un luogo buio e tetro, cosa che non le piaceva per niente, ma doveva andare avanti. Non poteva fermarsi. Non adesso che era arrivata lì.
Era un appartamento con molte sale, tutte piuttosto ampie e arredate. Le esplorò un po’ tutte: dalla cucina al ripostiglio, dalla camera da letto ad un'altra sala. Era tutto collegato da lunghi e cupi corridoi. All’interno non si vedeva nessuno.
Stava per andarsene, quando si accorse di aver tralasciato una piccola stanza nell'ultimo angolo buio.
Sempre con la pistola alla mano, si avvicinò silenziosamente verso lo stanzino appartato, facendo attenzione a ogni minuscolo movimento che potesse esserci in quegli istanti. Aveva molta paura. Non le piaceva assolutamente quella casa.
Non vedeva l'ora di uscire da lì. Tremava.
Sbirciò dentro, per vedere se magari potesse trovare Santopietro lì. Dalla descrizione che le era stata fatta di quell'uomo, si rese conto subito che probabilmente lo aveva trovato.
Era seduto a un tavolaccio pieno di tante boccette di vetro contenenti liquido di diverso colore: giallo, rosso, verdognolo. Non riusciva a capire che cosa potessero essere.
Ad un tratto vide una figura umana nascosta dietro una colonna piuttosto larga.
Aveva spilloni e tubicini di gomma nel collo, sullo stomaco e sugli arti. Liquido dello stesso colore che aveva visto poco prima sul tavolaccio fuoriusciva dal corpo di quell'uomo e, attraverso i tubicini che aveva addosso, arrivava in tre boccette uguali alle precedenti.
Non riusciva però ancora a capire che cosa stesse accadendo in quella maledetta sala e un fremito le corse lungo tutta la schiena.
Qualsiasi cosa stesse succedendo là dentro, Alice era comunque fermamente decisa a bloccare quell'individuo nel suo appartamento, ammanettarlo e portarlo fino al Dipartimento di polizia di Bologna per consegnarlo prima a Stefano Zamagni, che oltretutto doveva ancora conoscere, poi a chi di competenza nei ranghi più alti della giustizia. Ma doveva agire subito, senza aspettare un attimo di più, altrimenti sarebbe stato troppo tardi, sia per lei, sia per quella povera persona che si trovava sotto le grinfie di Santopietro.
Teneva la pistola salda in mano, pronta a fare fuoco se ce ne fosse stato il bisogno.
Mentre Santopietro era intento nel suo lavoro, Alice Dane venne allo scoperto.
«Fermo. Polizia!» gridò.
Santopietro non le badò affatto.
«Ho detto fermo!» tornò a gridare usando tutta la voce che le era rimasta in gola.
Lui non mosse un dito.
In tanto tempo che era là dentro non si era ancora accorta che la persona accanto a Santopietro era viva. Se ne accorse solo in quel momento.
«Mani in alto!».
Santopietro continuò a fare il suo lavoro senza badare alla donna con in mano una pistola d’ordinanza.
Stanca di urlare, Alice decise di sparare per fermarlo.
Prese la mira.
Contò fino a cinque prima di premere il grilletto.
Uno, due, tre, quattro, cinque... Sparò. Bastò un colpo.
«NOOOO!» gridò Santopietro.
Sfortunatamente per lei, Alice aveva colpito al cervello la cavia di Santopietro. Colpa della malasorte. Un errore di valutazione dell’ordine di pochi millimetri.
Il criminale cominciò a sbraitare contro la poliziotta.
«Pagherete per questo! Tu e quel poliziotto stronzo!» disse imprecando per la perdita appena subita.
Immediatamente Alice capì che cosa erano quegli strani liquidi sul tavolaccio ed ebbe un brivido di freddo.
Cercò di calmarsi, pensando che doveva essere impossibile tutto ciò che le era venuto in mente. Poi ebbe modo di ricredersi. Era sicuramente tutto quanto vero.
Orina. Sangue. Bile.
«Pagherete per quello che avete fatto!» gridò nuovamente Santopietro.
«Me lo avete portato via! Prenderete voi il suo posto. Tu e quel tuo fottuto amico!».
Alice rabbrividì, non tanto per ciò che aveva detto all'inizio, quanto per l'ultima frase che aveva pronunciato.
«Lo hai ucciso!» urlò sempre più pieno d'ira.
Alice decise di nascondersi dietro ad una colonna, per vedere perfettamente tutto ciò che stava succedendo in quella famigerata stanza.
Santopietro aveva occhi rossi e fumanti e la lingua nera più del carbone.
Alice puntò lo sguardo alla colonna che aveva scelto come riparo: era tutta decorata con linee ondulate di diversi colori. Rosso, blu, nero.
Ad un certo punto notò che la colonna si stava muovendo.
No, non era la colonna; erano le linee di decorazione. Si stavano ingrossando .
Stavano diventando serpenti. Serpenti veri. Erano serpenti vivi .
Era stata vista. Si stavano muovendo verso di lei. Rabbrividì. Aveva paura. Davvero troppa per i suoi gusti. Doveva scappare da quell'inferno. In preda al panico, si destreggiò nella casa, o almeno ci provò. Riuscì ad uscire da quella casa.
Noncurante di dove stesse andando, per la fretta aveva sbattuto contro il mobilio della casa e contro gli stipiti delle porte. Sanguinava alle braccia e alle gambe.
Doveva medicarsi immediatamente. Poteva comunque considerarsi fortunata per essere riuscita a scappare ai serpenti e a quel maledetto Santopietro.
Quando arrivò a casa, si medicò e cercò di riposare.
Stranamente ci riuscì abbastanza bene, pur essendo così agitata.
Quando si svegliò, si meravigliò di essersi addormentata.
III
Dopo essersi ben riposato, Stefano bevve un caffè e tornò al Dipartimento di Polizia per vedere come proseguivano le indagini sul rapinatore.
Entrò e venne subito a sapere il suo nome. Un collega gli disse anche che in sua assenza si stava occupando delle indagini una certa Alice Dane di Scotland Yard.
Si mise subito in contatto con lei per eventuali novità.
C'era la segreteria telefonica, così le lasciò un messaggio per dirle di andare al locale di Mauro Romani in via Rizzoli al numero 68, per discutere delle indagini in corso.
Quindi uscì subito per recarsi all'appuntamento: era ansioso di avere notizie su Daniele Santopietro.
Salì in macchina e accese la radio. Si rilassava ascoltandola. Cambiò velocemente molte frequenze. Il cielo sopra di lui era limpido e sereno. Sentì un rumore alla radio. Era molto flebile.
Poco dopo il cielo si intorpidì leggermente.
Il rumore aumentò di intensità. Stava diventando quasi assordante. Il cielo divenne rapidamente scuro, buio.
Il rumore divenne sempre più forte, irresistibile. Stefano non poté più sopportarlo e decise di spegnere il motore.
Improvvisamente il rumore si placò.
Stefano credette di essere salvo e tentò di aprire la portiera per uscire dalla macchina, ma subito si accorse che questa era bloccata e la radio si spense.
Dai bordi cominciò ad uscire del fumo facendogli bruciare gli occhi.
Intanto vide che le maniglie interne delle portiere cominciarono a muoversi, strisciando come serpenti.
Erano serpenti.
Stefano Zamagni stava vivendo un'atmosfera da incubo, con il fumo che gli irritava gli occhi e i serpenti che gli strisciavano attorno.
Doveva assolutamente fare qualcosa se voleva uscire vivo dalla sua stessa macchina, e anche molto in fretta.
Si ricordò per caso di avere della carta di giornale proprio dietro il sedile.
Pensò di bruciarla in modo