Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Genesi 2.0: La rinascita di Adamo ed Eva
Genesi 2.0: La rinascita di Adamo ed Eva
Genesi 2.0: La rinascita di Adamo ed Eva
E-book390 pagine5 ore

Genesi 2.0: La rinascita di Adamo ed Eva

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Genesi 2.0. La rinascita di Adamo ed Eva: In principio Dio creò il cielo e la terra... Poi fu la volta dell'uomo, l'evoluzione della specie, la civiltà, l'apice del progresso. Ora, in un futuro che osiamo solo immaginare, vette inesplorate si affacciano all'orizzonte; il giovane Luca sta per coronare il suo grande sogno, la conquista dello Spazio, con l'obiettivo di sperimentare la creazione di insediamenti umani autosufficienti dal punto di vista energetico e alimentare. Accompagnato dalla affascinante Hilary, egli sarà il protagonista di un viaggio epocale, una missione dietro la quale si nasconde un progetto ben più ampio, pilotato da una intelligenza artificiale infallibile. Un romanzo che riflette sui risvolti possibili di un'Apocalisse che sta compiendosi nello sfruttamento selvaggio delle risorse terrestri, nell'incalzare delle nuove tecnologie, nell'oblio in cui vanno affondando le più attuali questioni etiche. Una prospettiva piena di speranza e inquietudine insieme, dove l'umanità, sua malgrado, è costretta a fare i conti con un'esperienza estrema, dove l'amore sembra essere l'unica certezza possibile.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2019
ISBN9788830605343
Genesi 2.0: La rinascita di Adamo ed Eva

Correlato a Genesi 2.0

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Genesi 2.0

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Genesi 2.0 - Andrea Di Filippo

    pensiero.

    Parte prima

    Capitolo 1

    Luca aveva sempre voluto fare l’astronauta. Fin da quando era piccolo. Non c’erano mai state esitazioni o tentennamenti. Quando qualcuno gli chiedeva cosa volesse fare da grande la risposta era ovvia: l’astronauta. Dentro la sua testa non c’era mai stato spazio per altro. Questa era l’unica cosa che sembrava avere senso. Suo padre aveva cercato di portarlo su una strada più semplice ma non c’era stato modo di indirizzarlo altrove. La famiglia aveva un ristorante nel cuore di Roma. Un ristorante che si tramandavano da generazioni. Il lavoro c’era ed i clienti pure. Il sogno del papà era fargli concludere gli studi e lasciargli in gestione il locale per potersi ritirare progressivamente verso una vita di maggiore calma e serenità. Ma Luca aveva altri progetti in testa. Diventare un giovane oste non rientrava nelle sue priorità. Con sommo dispiacere della famiglia decise di seguire gli studi in Ingegneria e, subito dopo la laurea, fece domanda per entrare nel progetto di formazione giovani all’ISNA (Istituto Sovra-nazionale Aerospaziale). Sembrava il solito capriccio che si sarebbe spento dopo le prime delusioni. Ma Luca era un mastino ferocemente determinato a raggiungere il suo scopo.

    Negli ultimi 50 anni gli investimenti aerospaziali avevano subito una decisa accelerazione. Tutte le nazioni avevano previsto budget importanti dedicati alla ricerca e sviluppo soprattutto grazie alla forte spinta data dal GOS (Governo sovra-nazionale). Il GOS era stato creato nel 2056 con l’obiettivo di coordinare a livello globale tutti gli stati membri. I confini dei singoli stati erano stati tutti messi a dura prova dalle ondate migratorie che per decenni avevano spostato milioni di persone dalle zone povere del pianeta a quelle ricche. Gli squilibri economici che ne erano derivati avevano messo in ginocchio i bilanci di molti stati e si era reso necessario creare un coordinamento unico per evitare il collasso economico-finanziario del sistema. Tutti gli stati ormai non potevano più decidere autonomamente cosa, dove e come produrre. Tutto era stato centralizzato nel GOS che, di fatto, sovraintendeva la politica economica planetaria. Le materie prime erano esaurite e solo grazie alla tecnologia sviluppata nel riciclaggio e nella chimica, che aveva permesso di produrre polimeri per qualsiasi tipo di applicazione, si era potuto garantire una adeguata copertura dei bisogni. Per decenni non si parlò più di crescita, ma di una stagnazione controllata. I mercati finanziari furono chiusi e la speculazione fu resa illegale. Fu sancito il principio che nessuno potesse arricchirsi alle spalle degli altri. Il coordinamento della produzione e lo sviluppo di precise politiche sociali permise al GOS di prendere, di fatto, il controllo dei bilanci degli stati. Non fu una scelta democratica, ma semplicemente una necessità resa obbligata dalla incapacità dei singoli paesi di risolvere i propri problemi.

    Il primo da risolvere fu quello di garantire un enorme afflusso di energia a bassi costi capace di soddisfare il fabbisogno globale. Il GOS allora decise di investire ingenti somme nella ricerca di nuove fonti di sostentamento energetico. Furono costruite centrali elettriche ad alta automazione sulla Luna. Le centrali sfruttavano il differenziale termico tra il giorno e la notte e, attraverso particolari antenne, trasmettevano l’energia prodotta a 16 punti di raccolta in orbita intorno alla Terra. Tutte le centrali erano governate da sistemi altamente automatizzati ma la presenza umana era comunque indispensabile. Gli apparati di produzione erano troppo complessi a fronte di strutture di supporto, invece, troppo poco sviluppate per poter garantire la piena autonomia. I guasti erano frequenti e la resa energetica molto bassa. Si cercarono allora nuove tecnologie che permettessero di creare colonie sempre più autonome e autosufficienti in grado di presidiare le centrali. Furono create 5 comunità umane sulla Luna. I gruppi inizialmente erano composti da almeno 8 elementi. Si pensava che insieme si sarebbero adattati prima alle condizioni estreme di vita, ma presto ci si rese conto che i contrasti interni ne minavano la stabilità. Si optò quindi per gruppi piccoli composti da 4 o ancora meglio 2 persone. Gli esperimenti proseguirono per anni con risultati altalenanti.

    Dieci anni dopo l’avvio del progetto la situazione economico-finanziaria si aggravò ulteriormente a causa dell’eccessiva crescita della popolazione terrestre. Il GOS decise di spostare parte degli investimenti sulla creazione di colonie autosufficienti in pianeti simili alla Terra con l’obiettivo di trasferirvi nel tempo parte della popolazione.

    Fu così che, per i successivi 30 anni, il GOS investì miliardi di dollari, unica moneta globale, nell’intento di creare nuove comunità nel sistema solare. Furono inviate sonde su Marte e successivamente sui satelliti di Giove e Saturno. Si era spesso parlato di mandare esseri umani, ma i problemi tecnici, che erano ancora presenti nelle colonie lunari, distanti e mal collegate alla Terra, ne avevano rallentato lo sviluppo. Ora la tecnologia era pronta. Era arrivato il momento di sperimentare la creazione di insediamenti umani autosufficienti sia dal punto di vista energetico, sia da punto di vista alimentare.

    Luca rimaneva sempre affascinato quando, da adolescente, vedeva le navicelle partire. Non erano semplicemente viaggi spaziali. Erano un sogno, una speranza. Sì, la speranza di dare una nuova patria all’umanità. Adesso era arrivato il momento di dare il suo contributo. Finalmente aveva realizzato il suo sogno.

    Questo pensava mentre percorreva il corridoio della più importante accademia dell’ISNA.

    Il corridoio era lucido ed illuminato da luci a led di un bianco latteo. Indossava la tuta grigia per le esercitazioni con lo stemma dell’agenzia spaziale cucita sul petto. Portava quella divisa con soddisfazione. Finalmente il suo sogno era ad un passo dal realizzarsi. Si stava recando verso la camera di simulazione per avviare l’ennesimo ciclo di test. Per poter essere ammesso alla fase successiva di selezione, doveva raggiungere un punteggio minimo di 98/100. Non aveva possibilità di errore. Era sufficiente collezionare un unico giudizio parzialmente negativo su 30 esami per essere scartato. Questa era l’ultima prova prima della selezione finale. Non poteva sbagliare proprio alla fine, dopo due anni di duro lavoro. No, non era possibile sbagliare.

    «Luca, ti sento nervoso. Ti consiglio di rilassarti prima di entrare nella stanza 21. Le tue percentuali di successo potrebbero scendere se non trovi la corretta concentrazione».

    «Non ti preoccupare IAN. Sono concentrato. Ho passato prove ben più difficili».

    IAN era l’assistente digitale di Luca. Ogni persona ne aveva uno. Si trattava della personificazione digitale di un algoritmo software che simulava in tutto una persona reale. Il sistema operativo era stato chiamato IUS (Intelligenza Universale Simulata). Ogni versione poteva essere personalizzata a proprio piacimento creando un avatar virtuale che ti seguiva dovunque. Ti consigliava dove andare, ti aiutava a gestire le tue finanze, acquistava servizi e prodotti per te quando ne avevi bisogno. Potevi confidarti con lui come se fosse il tuo migliore amico. I suoi algoritmi erano in grado di simulare milioni di stati d’animo e di trovare soluzioni per qualunque problema gli fosse stato sottoposto. La sua capacità elaborativa era pressoché infinita. Un mainframe centrale accedeva in tempo reale a seicentocinquanta milioni di database esterni, quelli che ottant’anni prima si sarebbero chiamati internet. Non esistevano informazioni che non potesse recuperare ed elaborare nel giro di pochi millisecondi. IUS poteva interagire con il proprio master in svariate forme. Attraverso un orologio, un computer nella propria casa, un device in un centro commerciale o il display del proprio frigorifero. Era in grado di riconoscere tutta l’umanità attraverso indizi biometrici e chimici. Di fatto ogni persona interagiva con un proprio assistente che, sebbene con fattezze differenti, era l’espressione di un’unica intelligenza centrale. Non c’era luogo della Terra dove non fosse possibile entrare in contatto con IUS. Ogni device era collegato ad una rete telematica globale della capacità di 150 Terabyte al secondo. La personalizzazione di IUS scelta da Luca si chiamava IAN.

    «Spero che tutto vada bene. Anche io ho sofferto come te in questi ultimi due anni. Vorrei poterti dare una mano per quest’ultimo test» disse IAN parlando dal piccolo monitor dell’orologio.

    «Ti ho detto di stare tranquillo. Ce la farò anche senza il tuo aiuto. Promettimi che ti disabiliterai durante i test».

    «Lo sai che non posso disabilitarmi. Io sarò sempre presente ed assisterò al tuo test anche se non potrò manifestarmi» puntualizzò IAN con voce calda e confortante.

    «Mamma mia, come sei puntiglioso. Adesso lasciami solo, per favore».

    IAN simulò una risata. «In bocca al lupo amico mio. Fatti valere».

    Luca si avvicinò alla porta elettronica che si aprì immediatamente avendo eseguito la scansione della sua retina a distanza. All’interno della sala lo attendevano due uomini in camice bianco.

    «Buongiorno. Ben arrivato. Si accomodi per favore sulla poltrona sensoriale».

    Luca non se lo fece ripetere. Si mise seduto ed attese che uno dei due esaminatori gli desse nuove istruzioni. La stanza sembrava vuota, anzi era letteralmente vuota. Le pareti erano coperte da pannelli bianchi e non si intravedevano finestre. Un sedile ergonomico era posizionato al centro. I collegamenti erano tutti wireless, non c’era neanche l’ombra di un cavo. I due uomini erano intenti ad osservare gli schermi tridimensionali richiamando informazioni dai database e discutendo tra di loro.

    «Bene Sig. De Santi oggi simuleremo un rientro sulla Terra con una navetta inerziale. Si partirà dall’astronave in orbita geostazionaria. Entrerà nell’atmosfera terrestre dopo circa 15 minuti di avvicinamento. Dovrà planare fino alla piattaforma galleggiante nell’Oceano Indiano. Nel computer di bordo troverà già impostata la rotta ed i principali check-point di volo. Per la tipologia di simulazione non potrà avere una seconda chance. L’atterraggio deve essere ok al primo tentativo. Tutto chiaro?» disse con tono calmo e distaccato.

    Luca non si scompose, aveva fatto centinaia di volte quel tipo di simulazione e si sentiva tranquillo.

    «Dimenticavo. ROB la aiuterà ma non prederà il controllo della navetta. Neanche in caso di difficoltà» continuò l’esaminatore.

    ROB era un’altra personificazione di IUS. Nelle simulazioni si comportava come se fosse il pilota della navetta spaziale, ma di fatto era lui stesso la navetta spaziale. Si occupava di raccogliere informazioni dai sensori di volo ed effettuava in tempo reale tutte le correzioni di rotta che si fossero rese necessarie. Da quando IUS aveva preso il controllo di tutti i mezzi di trasporto, comprese auto ed aerei, gli incidenti si erano azzerati. I suoi algoritmi non si basavano sulla vecchia tecnologia GPS, che era valida solo per calcolare il posizionamento, bensì su una tecnologia avanzata in grado di raccogliere ed elaborare milioni di informazioni. Era in grado di definire la posizione con precisione millimetrica. Prevedeva la traiettoria e l’interazione dei veicoli vicini, valutava i fattori ambientali circostanti ed era in grado di riconoscere i luoghi confrontando le immagini con quelle presenti nei suoi database. Prevedeva le rotture dei componenti soggetti ad usura con un mese di anticipo organizzando la sostituzione in officina. Officina ovviamente controllata sempre e comunque da lui.

    Il fatto che, nella simulazione, Luca non potesse avvalersi di ROB, significava ritornare alla vecchia e ormai inutilizzata guida manuale-assistita.

    «Perché non posso avvalermi di ROB?» chiese Luca preoccupato per l’esito del test.

    Uno dei due uomini smise di guardare il monitor che aveva di fronte. Lo schermo si arrotolò all’interno di quella che poteva sembrare una penna di vecchissima memoria.

    «Vogliamo simulare un guasto di categoria 6».

    «Categoria 6?» ripeté Luca stupito.

    «Equivale al parziale spegnimento della rete globale di controllo. È praticamente impossibile. I sistemi sono tutti ridondati e, anche se un quarto della capacità computazionale di IUS andasse persa, nessun sistema ne avrebbe un danno».

    Nella storia non era mai accaduto un incidente informatico tanto grave da creare disservizi diffusi. Solo un virus quaranta anni prima era riuscito a spegnere la centrale elettrica di una piccola città Ucraina per circa 10 minuti. Fu così che IUS era stato programmato per scandire la rete ed individuare da solo le potenziali minacce trovando, sempre in autonomia, le proprie contromisure.

    «Diciamo che è un caso limite. Ma non possiamo mandare nessuno nella colonia che non abbia effettuato la guida manuale almeno una volta» rispose l’esaminatore.

    «Adesso per favore indossi il visore ed attenda l’inizio della simulazione» continuò.

    Luca si infilò gli occhiali ed il casco neuronale e si rilassò poggiando la testa sullo schienale. Dopo pochi secondi sentì un improvviso formicolio agli occhi e fu catapultato nella cabina di pilotaggio della navetta inerziale.

    Capitolo 2

    «Ciao Luca, devono essere avviate le procedure di sganciamento. Ho effettuato tutti i controlli ed è tutto in ordine. Quando vuoi comincio il conto alla rovescia» disse ROB.

    In quel momento IUS aveva preso le sembianze umanoidi di un ragazzo di colore che lo guardava dallo schermo laterale.

    «Attiva per favore la console di controllo ed i proiettori olografici».

    Dalle pareti laterali si staccarono due pannelli rigidi che si posizionarono davanti alle sue mani. Dopo un leggero fremito comparve davanti ai suoi occhi il cielo stellato e, sullo sfondo, il pianeta azzurro illuminato dal Sole. Tutta la cabina sembrava essere diventata improvvisamente trasparente.

    «ROB… vai!».

    «Ok Luca. Il distacco avverrà tra 5, 4, 3, 2, 1… sganciato». Uno schiocco metallico pervase la struttura della navetta che cominciò a fluttuare nello spazio libera da vincoli. Lui batté il dito su uno dei due pannelli. Si attivarono i getti frontali che allontanarono dolcemente la navicella dalla stazione orbitale.

    «Ottimo lavoro Luca. Adesso dobbiamo inclinarci di 35 gradi e dirigerci verso il primo check-point».

    L’immagine della terra ruotò e Luca poté vedere distintamente l’oceano luccicante di riflessi argentei coperto solo da qualche nuvola. Una decisa spinta in avanti lo colse di sorpresa facendolo sussultare.

    «Stiamo per entrare nell’atmosfera. La traiettoria è corretta. L’inclinazione perfetta». ROB era ripreso dallo schermo a mezzo busto. Era vestito di una tuta blu aderente con placche azzurre sulle spalle e lo stemma dell’agenzia spaziale sul petto. Sembrava osservare Luca con distacco anche se i suoi algoritmi, in quello stesso momento, stavano monitorando tutti i sensori digitali di cui la navicella era dotata.

    I bordi della fusoliera cominciarono a scaldarsi ed una scia infuocata ne avvolse i contorni. Le vibrazioni aumentarono. Stava entrando nell’atmosfera. L’attrito scaldava a tal punto il veicolo da produrre lingue di fuoco che, partendo dal fondo della pancia, si estendevano ai lati della superficie.

    «La temperatura è nella norma. Rilevo però che stiamo aumentando la velocità di discesa. Ti consiglio di aumentare l’inclinazione del muso per rallentare».

    Luca, con la pressione delle dita sui pannelli, ricalibrò l’angolo di discesa. Le vibrazioni aumentarono e lo schermo si riempì ulteriormente di fiamme. La scocca era percorsa da vibrazioni per tutta la sua lunghezza. In tutte le sue esercitazioni Luca non aveva mai assistito a scosse di quella violenza.

    «ROB sei sicuro dell’angolo di rientro? Vedo che la temperatura sta salendo velocemente» disse leggendo i valori dai pannelli di comando.

    «Assolutamente sì. I valori sono corretti. Non mi preoccuperei se fossi in te».

    Luca si voltò a guardare lo schermo. ROB gli sorrise.

    «Perdonami, ma rilevo temperatura in continua crescita. Stiamo raggiungendo il livello di guardia. Dobbiamo diminuire l’angolo altrimenti rischiamo di danneggiare i pannelli protettivi».

    «Lo escludo. I valori sono corretti. La temperatura non è un problema. Mantieni l’angolo indicato».

    Le vibrazioni aumentarono ulteriormente ed il frastuono interno alla navetta crebbe sensibilmente, segnale che il flusso aerodinamico era disturbato. Nonostante le cinture di sicurezza che lo ancoravano stabilmente alla poltrona, Luca faticava a tenere la testa aderente allo schienale.

    Un ultimo sguardo ai sensori lo convinse che qualcosa non stava funzionando correttamente.

    «ROB. Diminuisco l’inclinazione. Ho deciso».

    Dopo pochi secondi il muso della navicella si abbassò e le fiamme ai lati persero di intensità. Le vibrazioni calarono e tutto sembrò ritornare all’apparente normalità. Le immagini dell’esterno si schiarirono e Luca poté scorgere i contorni delle terre emerse che stava sorvolando. L’aerodinamica della navicella era stata studiata per il rientro in planata controllata e, sebbene non avesse motori per il volo di rientro, poteva comunque effettuare correzioni di assetto manovrando gli alettoni ed il timone.

    «ROB, siamo sulla rotta giusta?».

    «Sì, siamo all’interno del tunnel di discesa. Te lo visualizzo sul display».

    Una serie di rettangoli verdi apparve sul monitor disegnando un passaggio guidato in cui far volare la navicella.

    Tutto sembrava procedere correttamente. Luca controllava la traiettoria con i pannelli mantenendo l’angolo di discesa previsto.

    Un improvviso scossone sul lato sinistro fece oscillare la navicella facendole perdere l’allineamento.

    «Cosa sta succedendo?» gridò preoccupato.

    «Luca, non riesco a capirlo. I sensori non danno segnali di anomalia, probabilmente qualche componente si è rotto o non sta rispondendo come dovrebbe. Faccio una scansione dei sistemi e dei processori».

    «Non riesci a capirlo?» chiese Luca sorpreso. Non riusciva a credere alle sue orecchie. Lo guardava agitarsi nello schermo alla sua destra, ma senza un’apparente ragione.

    «ROB, si tratta di un problema aerodinamico, non elettronico. La navicella va dove cazzo le pare. Come è possibile che non sei riuscito a prevedere questo guasto?».

    «Luca non so spiegarmelo» fu la rassegnata risposta di ROB.

    «Visualizza sullo schermo le immagini del telescopio di controllo».

    Su una piccola porzione del monitor comparve l’inquadratura trasmessa dalla base. Lo zoom ingrandì progressivamente fino a riprendere, in primo piano, la nave in planata. Si vedeva chiaramente che una delle due ali era danneggiata avendo perso parte del rivestimento esterno.

    «ROB, trasmettimi sul monitor gli indicatori di volo. Espandi gli aerofreni al massimo e… prega».

    Per un momento Luca perse la fiducia di riuscire a portare a terra la navicella. Aveva lasciato il tunnel di avvicinamento e non riusciva più a scorgere la base di atterraggio. Faticava a mantenere la traiettoria. Si sentì sopra un toro imbizzarrito in un rodeo. Con un’andatura così instabile non sarebbe mai riuscito a centrare il punto di atterraggio.

    «Dov’è la piattaforma, ROB? Dammi le coordinate» chiese ansioso mentre dei violenti scossoni continuavano ad attraversare la scocca.

    «Luca ho inserito nel monitor le informazioni richieste. Mantieni questa traiettoria e tra 5 minuti potrai avviare la fase finale di atterraggio».

    «Ma non vedi che non riusciamo ad andare dritti? Come cavolo fai a dirmi di mantenere la traiettoria?» gridò lui alterato guardando ROB nel monitor.

    «ROB, fai una scansione completa del sistema e di tutti i sensori. Verifica il funzionamento dei processori e delle antenne di collegamento con IUS».

    Si stava convincendo che qualcosa non funzionava a dovere. Sapeva di dover effettuare un rientro in modalità semi-manuale, ma non si aspettava di dover affrontare problemi così gravi. Non poter contare sulle informazioni che ROB dava, gli rendeva il compito ulteriormente complicato.

    Dopo un attimo di esitazione, in cui cercò di valutare tutte le diverse possibilità, decise di cambiare strategia di avvicinamento. Era convinto che se avesse continuato nella discesa senza rallentare si sarebbe schiantato. I sistemi gli indicavano ancora di mantenere una fase di avvicinamento rettilinea. Non potevano essere giuste quelle indicazioni. Ne era sicuro. Mosse la mano sinistra sul pannello di controllo inclinando di lato la navicella e sollevò il muso per creare la più alta resistenza possibile ma garantendosi un minimo di margine dallo stallo. Acquistò una traiettoria a vite che gli permise di scendere più lentamente ruotando intorno alla base. L’angolo di discesa e l’inclinazione gli permisero di guadagnare portanza e di riprendere momentaneamente stabilità. La navicella disegnava una grande spirale nel cielo. Era cosciente che prima o poi doveva trovare una soluzione per atterrare.

    In condizioni normali avrebbe dovuto inclinare la navicella in verticale e portarla in stallo. Due potenti motori avrebbero prima frenato la spinta, per poi farla dolcemente atterrare sulla piattaforma con una breve discesa verticale. In quelle condizioni non poteva utilizzare la stessa tecnica. La nave era troppo veloce. Doveva trovare il modo di rallentarla ulteriormente. L’ala danneggiata non offriva la resistenza all’aria necessaria per mantenere una velocità stabile. Nel suo cervello si continuavano a rincorrere mille pensieri su come poter salvare la missione.

    «Luca posso aiutarti? Tra meno di 5 minuti dovrai iniziare la fase di atterraggio. Non hai tempo. Dammi le istruzioni per continuare».

    Non ottenne nessuna risposta. Luca aveva gli occhi fissi sullo schermo come se il suo cervello fosse lontano.

    «Luca ti sto parlando… per favore, rispondimi. Mancano meno di 3 minuti».

    Passò ancora qualche istante che sembrò eterno.

    Luca con un gesto fulmineo attivò sul pannello la modalità di emergenza. Sul monitor apparvero tutte le opzioni possibili. Senza esitazioni premette espulsione paracadute.

    Un colpo sordo giunse dal retro del veicolo e, dopo qualche secondo, la testa di Luca fu catapultata in avanti. Stava rallentando. Le corde non avrebbero resistito molto alle sollecitazioni, ma per ora stava funzionando. Cabrò verso destra e la piattaforma ricomparve sullo schermo. Nel riquadro in basso poteva osservare la panoramica trasmessa dal telescopio di controllo. Il paracadute si era disteso completamente e, con una circonferenza grande 3 volte la navicella, stava compiendo efficacemente il suo compito.

    «Luca. Ho calcolato che il paracadute si romperà tra meno di 2 minuti. Non basterà per farci atterrare». La voce di ROB era alterata come se avesse effettivamente paura. I suoi simulatori di emozioni stavano interpretando perfettamente la situazione.

    «ROB, queste informazioni in questo momento non mi sono utili. Lo capisci? Stai zitto».

    «Come vuoi». Il ragazzo di colore divenne improvvisamente serio ed il monitor si spense.

    Luca fissava lo schermo davanti. Vedeva la piattaforma avvicinarsi velocemente. Ormai sembrava tutto perso. Lo schermo segnava la distanza. 100m… 80m… 60m… 50m.

    In quell’istante Luca azionò la procedura di atterraggio alla massima potenza. La navicella si inclinò verso l’alto. Un boato scosse la struttura. Si erano accesi i motori. Sentì lo stomaco scendergli fino ai piedi e la pressione sulle spalle aumentare di 7 volte. La scocca vibrava paurosamente. La visuale degli schermi non lo aiutò a capire cosa stesse succedendo. L’inclinazione, con il muso verso l’alto, gli permetteva di vedere solo il cielo. I motori si ridiressero verso il basso per la fase di discesa. Da un momento all’altro si aspettava di sentire lo schianto dovuto all’impatto con l’acqua. Chiuse gli occhi con forza e strinse i pugni. Serrò i denti più forte che poteva. Era ormai pronto al colpo quando sentì i motori spegnersi e, dopo una brevissima caduta di circa 2 metri, il veicolo si posò sulla superficie della base. Riaprì gli occhi e vide lo schermo del telescopio di controllo che visualizzava la nave in verticale al centro del cerchio di atterraggio ed il paracadute, ormai floscio, ai lati.

    Capitolo 3

    Un fremito lungo la schiena riportò Luca nella sala test. Quella che era stata la sua precedente esperienza scomparve come se fosse stato risucchiato da un universo parallelo.

    La tecnologia delle esperienze immersive aveva profondamente cambiato il modo di addestrare i futuri astronauti. Non si trattava di sogni. Il soggetto viveva una reale esperienza sensoriale fatta di odori, suoni, emozioni, paure e gioie. Il tutto senza muoversi di un centimetro dal lettino in cui era sdraiato.

    «Complimenti. Ottima performance» disse l’esaminatore mentre guardava con attenzione i dati raccolti durante la simulazione.

    Luca si tolse il visore e si sfilò i guanti sensoriali. Era stanco come se avesse avuto l’esperienza di volo nella realtà. Guardando l’orologio si accorse che non erano passati neanche 5 minuti da quando aveva iniziato la simulazione. Il tutto era accaduto nel suo cervello molto più velocemente di quanto potesse percepire nella realtà.

    «Non ho mai fatto una simulazione così complicata. Non pensavo di riuscirci» disse Luca poggiando nuovamente la testa sullo schienale.

    «Se può consolarla su 30 persone che hanno fatto il test, l’avete conclusa positivamente solo in due».

    Luca era troppo stanco per godersi appieno il risultato. La sua mente era ancora presa dall’esperienza appena vissuta. Il suo cervello continuava a produrre adrenalina e gli mandava segnali come se avesse effettivamente rischiato la vita.

    «Resti sdraiato per qualche minuto ancora. La sua mente deve riabituarsi progressivamente alla realtà. Non abbia fretta. Si rilassi» disse l’esaminatore sorridendo mentre con una mano sulla spalla lo teneva ancora sdraiato sulla poltrona sensoriale.

    Gli ci vollero 10 minuti prima di tornare pienamente alla normalità. Cominciò a godere della vittoria. Una strana sensazione pervase il suo corpo. Era gioia mista ad impazienza. Sentiva di aver passato lo scoglio più grande che lo separava dal realizzare il sogno della sua vita. Avrebbe, però, dovuto aspettare ancora qualche giorno per avere l’esito definitivo. La commissione esaminatrice si sarebbe riunita solo dopo qualche settimana per valutare i risultati di tutte le prove. In cuor suo, sapeva di aver fatto tutto il possibile per essere tra i primi 4. I soli che sarebbero stati ammessi al programma.

    «Mi tolga una curiosità» disse rimanendo sdraiato con gli occhi chiusi.

    «Prego, mi dica» rispose immediatamente l’uomo alla sua destra. La targhetta sul petto riportava il nome di John Gartner, ma la formalità, di cui l’ISNA era impregnata, li obbligava a mantenere un certo distacco, dando del lei agli esaminati.

    «Mi avevate informato che ROB non avrebbe potuto aiutarmi. Ma avevate previsto anche che andasse in tilt?».

    «Cosa le fa pensare che sia andato in tilt?».

    «Come sarebbe a dire? Mi ha dato informazioni sbagliate. Non ha capito che stavamo bruciando nella fase di rientro. Non ha saputo prevenire la rottura dell’ala. Non ha capito la situazione e ha continuato a consigliarmi la traiettoria impostata… Devo continuare?».

    L’uomo fissò Luca negli occhi.

    «Ma lei è proprio sicuro che fossero sbagliate? Intendo dire che lei ha fatto scelte diverse che si sono rivelate giuste, ma questo non significa che quelle di ROB fossero errate».

    Fece una pausa mentre guardava il monitor con i risultati della simulazione.

    «ROB ha una capacità computazionale praticamente illimitata e non può sbagliare. Mentre lei era intento a premere un unico comando, lui aveva già elaborato migliaia di opzioni scartando quelle meno sicure».

    «Ferma, ferma. Come può dire che le sue scelte erano le più sicure?!». Luca stava perdendo la calma ed il suo tono di voce divenne sempre più aggressivo. Era convinto che l’esaminatore gli stesse negando l’evidenza.

    «Ma cavolo» imprecò. «Ha sbagliato l’angolo di inclinazione».

    Tutto gli sembrava così chiaro a differenza dell’obiezione dell’esaminatore che percepiva inconsistente e fuori luogo. Continuò: «Se avessi proseguito la navicella sarebbe andata in mille pezzi».

    «Non credo. L’ala si è rotta non per la temperatura, ma perché diminuendo l’inclinazione in modo così rapido ha sollecitato la struttura oltre il punto di resistenza». L’esaminatore continuava ad osservare i dati e parlava senza alzare gli occhi dal monitor.

    «Comunque l’unica cosa che conta è che, nonostante tutto, lei sia riuscito ad atterrare. Al momento questo le deve bastare. Anche se ha preso una decisione sbagliata, è riuscito a rimediarla».

    Luca lo fissò sbalordito. Era assolutamente convinto di aver fatto tutto correttamente. Non aveva dubbi. Se avesse mantenuto la navicella inclinata sarebbe esplosa. Ma perché allora l’esaminatore si stava ostinando a proteggere ROB? Forse non voleva ammettere che anche lui potesse sbagliare?

    Con i dubbi che ancora gli trivellavano il cervello si alzò dalla poltrona sensoriale. Si soffermò per un istante ad osservare i due esaminatori ed uscì dalla stanza.

    Capitolo 4

    La rivolta in Brasile rischia di coinvolgere anche gli stati vicini. La popolazione è ormai allo stremo per i razionamenti imposti dal governo locale. Il primo ministro, dopo che la polizia è intervenuta con l’uso della forza uccidendo 45 manifestanti, si è giustificato accusando il GOS di essere la vera causa dei problemi. ‘Il blocco della produzione di caffè e di cotone che ci ha imposto il GOS ha ulteriormente impoverito la popolazione. Non si può andare avanti così’: ha commentato il primo ministro Sokolov.

    «IAN spegni la radio per favore. Voglio rimanere a letto ancora per un po’» disse Luca ancora assonnato.

    «Va bene. Ti ricordo che alle 10:00 devi andare da tua madre e alle 15:00 devi incontrare Michelle al parco» disse IAN comparendo sullo schermo alla sinistra del letto.

    «Uffa. Sei troppo preciso. Io voglio dormire e, per una volta, voglio arrivare tardi e farmi aspettare» disse mettendosi sulla testa il cuscino di fibra riciclata.

    «Luca, se vuoi avverto tua madre che arriverai in ritardo».

    «No, no. Lascia stare. Mi alzo» disse sconfortato.

    IAN rappresentava la sua coscienza. Non era come il grillo parlante della fiaba di Pinocchio, ma indubbiamente lo consigliava sempre indicandogli cosa era giusto fare. Molte volte Luca si era domandato se IAN lo facesse per una percezione di quello che gli umani avrebbero definito etica o se, il tutto, era solo frutto di calcoli algoritmici.

    «Mi fai risentire l’ultimo notiziario della mattina? Trasmettilo nella doccia per favore».

    Luca si avvicinò alla porta plastificata del box doccia. Selezionò sul display al lato la temperatura dell’acqua ed entrò.

    Gli altoparlanti digitali cominciarono a trasmettere il notiziario delle 7:30 a.m.. Da decenni ormai i radiogiornali ed i telegiornali erano scomparsi. Si erano

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1