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L'Omeopata
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E-book277 pagine3 ore

L'Omeopata

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Info su questo ebook

La vita monotona e tranquilla di un paesino di provincia in cui tutti conoscono tutti – e in cui non succede mai niente – viene sconvolta da due omicidi. Le vittime sono entrambe giovani donne, cosa che porta a pensare ad un serial Killer. Stefano Parsi, psichiatra del Tribunale, diffidando dell’arresto compiuto dalla polizia locale, intraprende una sua personale indagine.  Egli è convinto che tra i due omicidi ci sia un nesso comune: l’omeopatia. Così si instaura una partita in cui mosse e contromosse scaturiscono dallo studio della natura umana stessa: si entra nella mente dell’assassino e delle vittime scandagliando la loro condizione di esseri umani, fino a cercare di capire e discernere il Bene e il Male universali. De Palma non tradisce la sua formazione, e ci regala un giallo in cui scienza e psicologia si fondono.
Nell’introduzione, un breve ma prezioso vademecum dell’omeopata scritto dall’autore.
LinguaItaliano
Data di uscita2 set 2019
ISBN9788832214062
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    Anteprima del libro

    L'Omeopata - Antonio De Palma

    Antonio De Palma

    L’OMEOPATA

    COPERTINA

    Illustrazione e grafica: Carlo Carpiceci

    EDITOR

    Maura Rossetti

    WEB

    www.robotics2000.it

    © 2019 Robotics2000

    ISBN 978-88-32214-06-2

    I edizione e-book

    Introduzione

    Quando ero studente in medicina, sin dal primo anno di corso mi sentivo un po’in difficoltà. Infatti, mentre i miei colleghi si inorgoglivano nell’esibirsi in camice bianco e stetoscopio per i vari reparti, io sentivo già che quella medicina, pur affondando le sue radici nella solida realtà del metodo scientifico e della riproducibilità, non poteva accogliere tutte le esigenze umane di una cura profonda dell’essere. Si generavano diagnosi accurate - ma sintomatiche - e terapie protocollari che in qualche modo, sia pur utili, potevano rischiare di spegnere l’arte del medico nell’investigazione delle più profonde esigenze e necessità del paziente.

    E proprio la parola investigazione ci porta al collegamento col romanzo L’Omeopata perché è proprio questo tipo di medico che, in linea generale, non si accontenta di quanto ha studiato nelle aule universitarie e pur rispettando e mantenendo ben solide le sue radici nella terra della scientificità, è però in grado di permettere ai suoi rami di puntare verso il cielo.

    D’accordo, l’omeopatia è una medicina difficilmente riproducibile e perciò difficilmente potrà mai rientrare nella definizione di metodo scientifico. Tuttavia, chi ha detto che per curare un essere umano dobbiamo fermarci a questo, se comunque otteniamo delle guarigioni e spesso più radicali e definitive?

    L’omeopatia si basa su antichissimi principi che restringerei ai tre principali: similitudine, diluizione e succussione.

    La similitudine fa parte del lavoro precipuo del medico

    investigatore che fa mille domande al paziente, non tanto per sapere ciò che è scontato e sintomatico (ad esempio: dottore, ho mal di stomaco), ma per afferrare quali sono le sue stranezze, le contraddizioni, le assonanze e le divergenze collegate coi sintomi di base.

    È proprio dalla raccolta di tali peculiarità individuali che nasce l’abilità del medico di paragonarle per similitudine con gli effetti tossici generati da varie sostanze prese dai tre regni minerale, animale e vegetale e somministrate diluite per diverso tempo a dei soggetti sani volontari. Queste reazioni particolari derivate dalla sperimentazione su tali soggetti vengono poi raccolte in materie mediche e repertori, anche informatici, per la consultazione ed il raffronto con quanto si è trovato nel singolo paziente.

    Se, insomma, i sintomi trovati nella sperimentazione su soggetti sani con quel determinato rimedio coincidono o sono molto simili con quelli emersi dall’indagine sul malato, allora è proprio questo rimedio che sarà scelto per essergli somministrato.

    Veniamo allora al principio della diluizione. Anche se attualmente con metodiche molto raffinate si è trovato che qualche particella di materia è pur sempre presente nei rimedi omeopatici, è chiaro che l’effetto curativo non è conseguito dalla parte materica del rimedio, bensì da un principio energetico presente in esso che i macchinari attuali non sono in grado di rilevare. In effetti, tale principio viene diluito sempre di più in molteplici passaggi, generando le varie diluizioni chiamate DH, CH, K, LM, a seconda dei vari metodi utilizzati. Tuttavia, ad ogni diluizione viene abbinato il terzo principio, quello della succussione: si tratta di scuotere manualmente o con degli appositi macchinari il rimedio diluito, cosa che lo carica energeticamente e lo rende definitivamente attivo.

    Sembra un po’ stregonesco, ma di fronte ad analisi che si regolarizzano o a malattie che stentavano a guarire e che con i vari rimedi omeopatici trovano un definitivo giovamento, anche la mia mente formata alla scientificità si dovette arrendere.

    Resta il problema della non riproducibilità: dando lo stesso rimedio che ha guarito ad esempio un’ulcera gastrica ad un paziente, non è affatto detto che si ottenga lo stesso risultato su altri cento con lo stesso problema. Tuttavia, questo che sembra il limite dell’omeopatia, è proprio la sua bellezza: ogni rimedio appartiene per similitudine solo a quei soggetti che presentano, ad esempio, un’ulcera accompagnata da particolari sensazioni, stranezze e modalità del tutto a loro peculiari e tale rimedio non si adatta invece agli altri pazienti che non le appalesano, pur avendo anche loro un’ulcera.

    Insomma, l’omeopata è un vero investigatore; deve cercare, chiedere, indagare, vedere cosa succede somministrando il rimedio simile e a quale diluizione. Quale miglior connubio tra lui e la ricerca di un assassino che vuol mettere alla prova il suo talento?

    Dott. Antonio De Palma

    L’Omeopata

    L’aquila

    Un’aquila rapace volteggiante in cielo: così l’avevo sognato!

    Di lui conoscevo solo la ferocia assassina e la raffinata comprensione della medicina omeopatica!

    Ma visto che nessuno mi dava credito su quest’ultimo punto, avevo assunto il ruolo del cacciatore solitario…

    In quanto medico omeopatico, potevo sfidarlo sul suo stesso campo.

    Qual era il significato dei reperti trovati accanto alle donne uccise? Questa era la prima domanda a cui dare una valida risposta.

    Mi sarei dovuto tuffare nelle terrificanti acque del suo inconscio, nella parte più sommersa del suo iceberg psichico, lì dove si nasconde l’impulso irrefrenabile ad uccidere!

    Per un altro verso, avevo la sensazione che l’assassino stesse tendendo una trappola proprio a me, trasformandomi da cacciatore in preda e che tramasse per un nostro incontro imminente.

    Facevo queste riflessioni una domenica mattina di diversi anni

    fa.

    Me ne stavo in totale solitudine, seduto davanti al computer. La finestra era aperta sul mio giardino e in lontananza potevo intravedere l’ondeggiare del mare, scintillante sotto i raggi del sole.

    Pochi giorni addietro, era stato rinvenuto alla base della scogliera il cadavere sfracellato al suolo di una giovane ragazza ed avevo avuto la triste opportunità di assistere alla sua autopsia. In effetti, non era la prima volta che il tribunale mi nominava suo perito, in virtù della qualifica di psichiatra presso l’ospedale civile della mia cittadina.

    Si trattava della seconda ragazza assassinata nella nostra zona; due delitti sicuramente connessi tra di loro, ma senza un movente plausibile.

    Avevo visto il giovane volto della vittima, soffuso di celestiale bellezza, scarnamente appoggiato su quella maledetta tavola dell’obitorio e avevo immediatamente compreso di non poter lasciare quella morte brutale senza un perché.

    Tuttavia, nonostante la mia idiosincrasia per ogni forma di violenza, mi chiedevo se l’assassino fosse poi così dissimile da me.

    Il nostro animo nasconde meandri così oscuri e inesplorati, sconosciuti persino a noi stessi, zone di grigio di varia intensità, sino al buio più profondo, che dovrebbero sconsigliarci dal giudicare persino il caso estremo dell’omicida: il male è sempre presente dentro di noi, anche se siamo convinti di essere nel bene!

    M’interrogavo sul perché della sua esistenza. L’unica giustificazione che mi veniva in mente era l’impossibilità di una Creazione parziale, cioè fatta di solo bene!

    Secondo la legge del tutto o del niente, se si crea la Vita, questa deve manifestarsi in tutti i suoi aspetti, in un perfetto equilibrio di forze positive e negative.

    L’uomo può scegliere cosa privilegiare, può scegliere il bene, essendo consapevole, però, che è inevitabile l’altro lato della medaglia. Se, invece, si spaventa e tende a relegare quello che considera il male nelle tenebre dell’inconscio, non solo non riuscirà ad annientarlo, ma spesso e volentieri lo rafforzerà!

    Abbandonare la propria parte oscura, far finta che essa non esista, è il peggiore delitto dell’essere umano, è l’alfa e l’omega del vero male, l’inizio della tempesta.

    Il mio scopo, perciò, non era la vittoria della luce sull’oscurità. Piuttosto, era il tentativo consapevole di portare allo scoperto il lato buio della nostra psiche; quell’estremo limite che prima o poi tutti siamo costretti ad affrontare.

    Solo mettendo questo mio lato in risonanza con quello dell’assassino, potevo sperare di comprenderne le motivazioni e le prossime mosse!

    Oltre a questo, avevo un altro potente aiuto per la mia indagine, per quanto sui generis potesse apparire: il repertorio omeopatico, cioè la più grande e raffinata raccolta di sintomi patologici umani.

    Non si può dire che l’ispettore avesse tutti i torti a ritenermi un po’ matto: curare con l’omeopatia è già un azzardo nel mondo della medicina cosiddetta scientifica, figurarsi poi utilizzarla per andare alla ricerca di un assassino!

    Eppure, la sua connessione con l’omeopatia era ai miei occhi del tutto evidente: l’assassino ne era certamente un esperto e aveva lasciato, in entrambi i delitti, delle tracce ad hoc, una specie di guanto di sfida per un suo simile!

    L’Omeopatia al processo

    Signor giudice, così cominciò la mia deposizione al processo Geronzi, che era il primo sospettato per i due delitti, "sono il dottor Stefano Parsi, perito processuale e medico psichiatra specializzato in omeopatia e sono stato chiamato per cercare di chiarire alcune delle questioni riguardanti questo caso. Cercherò di esprimermi in termini semplici per farmi capire da tutti e dalla giuria in particolare. Prima di tutto, sento la necessità di fare una brevissima descrizione della medicina omeopatica, perché come vedremo essa è stata chiamata in causa dallo stesso assassino! Dobbiamo considerare che l’omeopatia è una medicina poco conosciuta non solo dalla massa, ma anche dalla maggior parte dei medici. Il suo utilizzo, nonostante le molte prove empiriche di validità terapeutica, è stato duramente contrastato, soprattutto in ambito universitario, non essendo possibile, al momento attuale, trovare strumenti che ci diano conferma certa della sua efficacia, secondo il cosiddetto metodo scientifico. Poiché esso si basa sulla possibilità di ripetere con efficacia lo stesso esperimento nelle stesse condizioni, l’omeopatia molto difficilmente può rientrare in questa visione della scienza. Infatti, uno dei punti chiave è proprio questo: ci troviamo di fronte ad una medicina che adatta i singoli rimedi ai particolari sintomi di un paziente che in genere differiscono per le modalità con le quali si presentano. Ad esempio, due pazienti con la stessa diagnosi di asma possono vivere la loro patologia in maniera differente: uno vive l’attacco asmatico con la sensazione di avere una pietra pesante sul petto e un altro, invece, lo sente come una morsa che lo stringe alla gola. I rimedi da somministrare pertanto saranno differenti: uno dovrà essere capace di eliminare l’asma percepita come un peso e un altro ancora agirà sulla percezione della morsa in gola. In omeopatia non può esistere un rimedio unico per qualunque patologia! Il rimedio omeopatico deriva da una sostanza minerale, vegetale o animale che è più volte diluita in acqua e dinamizzata (sottoposta a scosse energizzanti) e si può arrivare al punto che le molecole originali non siano più reperibili nella diluizione finale. E allora ci si può domandare come possa funzionare. Ebbene, vi sono varie ipotesi ed una in particolare. Si suppone, in tale teoria, che avvenga una specie di copiatura nella struttura dell’acqua di un’energia curativa contenuta in tutte le sostanze impiegate. Infatti, alcuni scienziati hanno ipotizzato che le molecole dell’acqua abbiano la capacità plastica di legarsi tra di loro in infiniti modi, consentendo così di memorizzare come uno stampo un’informazione. Aumentando le diluizioni e le succussioni, si ha la possibilità di accrescere enormemente l’eventuale potere terapeutico di una sostanza. Mi chiederete come si fa a conoscere le possibilità terapeutiche di un rimedio omeopatico. È presto detto: si somministra una sostanza diluita (in modo che non risulti tossica) a dei volontari sani e si raccolgono i sintomi che compaiono per un piccolo periodo e poi scompaiono senza lasciare traccia. Se un paziente presenta quegli stessi sintomi o almeno essi sono molto simili a quelli del rimedio sperimentato sui volontari, gli viene somministrato e si ottiene la regressione o la guarigione, secondo il detto similia similibus curentur. In breve, il simile cura il simile! Spero di esser stato chiaro sin qui, non so se posso proseguire, signor giudice …"

    Il giudice Corelli, curvatosi nella mia direzione per ascoltare meglio, con il pugno che gli puntellava la tempia, le candide sopracciglia leggermente aggrottate e le labbra a boccuccia, era giunto senz’altro al limite della sua resistenza mentale di fronte ad un argomento a lui così ostico. Tuttavia, in qualche modo, ne avevo sollecitato l’interesse e sembrava disposto a farmi andare avanti!

    Prosegua pure, dottore, anche se confesso la mia ignoranza in materia e non riesco ancora a capire il nesso tra i reperti trovati vicino ai cadaveri e quello che lei ci sta riferendo!

    Solo un momento, vostro onore, risposi, dando un’occhiata all’uditorio composto di sguardi interessati e perplessi nello stesso tempo, voglio dimostrare che quei reperti costituiscono per una persona esperta in omeopatia un chiaro segnale, volutamente lasciatoci dall’assassino, ed è assolutamente indispensabile che lei, signor presidente, abbia almeno un’infarinatura sulla sua teoria. Infatti, l’assassino ha lasciato vicino a entrambe le vittime un bicchiere riempito d’acqua. Il bicchiere non presenta impronte digitali, come il perito di parte vi ha già esposto, ma presenta una particolarità. Infatti, sciolte nel liquido vi sono delle molecole di lattosio. Qual è il nesso? Presto detto. Il rimedio omeopatico è normalmente assunto in granuli di lattosio. Il paziente assume i granuli, succhiandoli a digiuno come una normale caramella, oppure li fa sciogliere in un po’ d’acqua, che successivamente sorseggia.

    Volete dire m’interruppe il giudice, afferrandosi il mento con la mano, che la presenza di lattosio nell’acqua dei bicchieri, indicherebbe che vi è stato disciolto un rimedio omeopatico?

    Certamente, signor giudice risposi, lasciandomi andare ad un lieve sorrisetto che, devo ammetterlo, si compiaceva del mormorio di sorpresa che si era levato nell’aula.

    Ma allora, continuò Corelli, ci sarà traccia anche del farmaco!

    Come ho avuto modo di esporre alla Corte, continuai con minore spavalderia, il rimedio omeopatico, prima di essere assorbito dai granuli che gli fanno da supporto, è diluito varie volte, e superata una certa diluizione è molto difficile, se non impossibile – almeno con i mezzi attualmente a nostra disposizione – rilevare traccia della sostanza usata.

    Uhm... fu la sua unica risposta. Seguì un certo silenzio imbarazzato.

    La mia ipotesi evidentemente non era stata presa in così grande considerazione. Grazie per la sua testimonianza, dottore. concluse infine il giudice con aria piuttosto interdetta. L’ipotesi omeopatica fu così liquidata!

    La seconda vittima

    Non ho mai capito come si possa fare l’anatomo-patologo. Ci vogliono fegato e stomaco da parte dell’operatore e del povero operato!

    Il mio amico Giorgio aveva scelto questa professione con vero entusiasmo: evidentemente era felice di passare la vita a tu per tu con i cadaveri!

    Un lavoro sicuramente utile e degno, ma per me terribilmente angoscioso!

    Eravamo amici già da alcuni anni, da quando avevo varcato per la prima volta la soglia dell’ospedale, e in quell’occasione lui si era offerto di prendere qualcosa al bar, tanto per festeggiare il mio primo giorno di lavoro.

    Tuttavia, l’amicizia non mi aveva ancora permesso di superare un vago disagio nei suoi confronti. Soprattutto se gesticolava, non potevo fare a meno di guardargli le mani e pensare a quello che gli avevo visto fare poco prima!

    Ad ogni modo, quella mattina Giorgio mi aveva pregato di recarmi in sala settoria, e non me l’ero sentita di tirarmi indietro. Ancora prima di entrarci, avevo un vago senso di nausea, perché non sono tipo capace di abituarsi a certe cose.

    Ecco la porta… pensai rallentando inconsciamente il passo. Poggiai la mano sulla maniglia ed ebbi per un attimo la voglia di scappare all’aria fresca. Percepivo già l’odore respingente della formalina che filtrava dall’infisso.

    Pochi istanti dopo, spinto dal senso del dovere, mi ritrovai, non so neanch’io come, davanti al tavolo settorio, con Giorgio e l’assistente che mi salutavano tutti garruli, discutendo del più e del meno. Mi meravigliavo sempre di come potessero mantenere quell’umore festaiolo in un ambiente così tetro per me, e mi riuscì solamente di sorridere a mezza bocca.

    Sul tavolo era disteso il cadavere di una donna dal viso d’angelo e dalle forme perfette di una gioventù ancora in fiore. Mi sembrava come se potesse alzarsi da un momento all’altro e chiederci che diavolo ci facesse lì sopra.

    D’improvviso, il dolore allo stomaco e la nausea mi abbandonarono, per lasciare il posto al senso di ammirazione di fronte a tanta bellezza e alla commozione per l’affronto che doveva subire.

    Eccolo qua il nostro Stefano, attaccò Giorgio, con aria un po’ punzecchiante, "ti ho chiamato perché so che t’interessa molto questo caso, viste le ipotesi che ci stai costruendo sopra; mi sa che dovrò fare una sezione omeopatica!" I due patologi si misero a ridere.

    Restai impassibile. I baffetti neri di Giorgio, ogni volta che rideva, si allungavano sino a divenire sottilissimi e gli occhi piccoli e furbi divenivano ancora più piccoli, quasi a scomparire, continuando però a sprizzare simpatia. L’assistente, invece, era una specie di topo! Nel senso che tutto il suo essere me lo ricordava. Infatti, gli occhiali da forte miope facevano fuoriuscire l’unica cosa di rilevante della sua persona: il naso! Inoltre, gli incisivi strabordavano abbondantemente dal suo labbro superiore. Si aveva l’impressione che dovesse rosicchiare qualcosa da un momento all’altro. Sicuramente rosicchiava le parole, emettendo suoni spesso a me incomprensibili.

    Fatto sta che la loro risata mi apparve fuori luogo e del tutto contrastante con i sentimenti che provavo in quel momento. Ero molto imbarazzato!

    Mi fa tanta pena! riuscii solamente a dire.

    Per fortuna, questa mia uscita inaspettata li fece smettere, riportandoli alla realtà del luogo e del momento; senza altri indugi, andarono a recuperare gli strumenti per la sezione. Ebbi così un minuto di tempo per osservare di nuovo il cadavere. Sul lato anteriore non presentava segni di ferite, tranne qualche graffio e qualche livido, come per la prima vittima. Se le cose erano andate nell’identica maniera - quello che temevo di vedere - si sarebbe reso evidente una volta girato il corpo.

    Che la tua anima sia in pace, se non il tuo corpo! recitai nella mia mente, poi deglutii e mi feci coraggio per assistere alla sezione.

    Pensai che, in un primo momento, quand’ero una matricola inesperta, avevo avuto un po’ di curiosità morbosa per la sala settoria, all’idea di confrontarmi con la crudezza della morte. Poi, di fronte alle scioccanti visioni, la morbosità mi era passata di colpo.

    Di fronte alla morte, piuttosto, mi accadeva di essere travolto da un’ondata di pensieri metafisici. Dov’è finita l’anima? mi chiedevo e mi aspettavo che il cadavere aprisse gli occhi e sorridendo dicesse che si era trattato solo di uno scherzo e che magari, messosi a sedere tutto nudo sul bordo della tavola settoria, mi cominciasse a raccontare qualcosa della sua vita. Sarei stato molto curioso di interrogarlo...

    Il rumore del coltello che tagliava i tessuti superficiali mi riportò alla realtà. Mi faceva tanta tristezza vedere profanato quel corpo così perfetto.

    L’uomo deve sempre andare a impicciarsi di cose che non lo riguardano; il corpo è sacro! pensai con un senso d’irritazione.

    D’altra parte non avevo scelto a caso la psichiatria e l’omeopatia. Era l’anima a interessarmi più della materia, quale fonte di tutto. Che poteva mai trovare l’uomo smaneggiando tra le viscere di un suo simile? Non era certo lì che si poteva trovare il mistero della vita e neanche le vere cause di morte.

    Non c’è stata violenza sessuale! proclamò Giorgio. Vorrei sapere che le uccide a fare! si lasciò sfuggire.

    Il topo biascicò qualcosa d’incomprensibile, facendo luccicare gli incisivi da roditore. Mi sembrava di vivere in un incubo, ma il peggio doveva ancora venire!

    Per girare il cadavere era stato chiamato un inserviente grosso quanto un armadio e dall’aspetto brutale. Con mia grande sorpresa, invece, eseguì il suo compito con

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