Il dodicesimo padre: Undici storie di paternità e un epilogo
Di Enzo Riccò
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Info su questo ebook
È difficile essere padre.
Non c’è una scuola che te lo insegni, se non la vita.
Si resta padri per sempre, ma in modo diverso secondo le età.
Questo libro raccoglie undici racconti di padri e un epilogo e ha l’obiettivo di sottolineare, soprattutto, come lo sono diventati e come stanno vivendo questa funzione.
Vari ritratti di padri: uno con un figlio disabile; un ex carcerato; un insegnante in crisi di autorità; un prete in cerca di una vera paternità spirituale; uno seriamente malato; uno assente e desiderato e uno che ha il desiderio di esserlo senza riuscirci; uno che ha visto il precipizio della depressione e uno che si trova a fare il bilancio di una vita.
Padri biologici, adottivi, affidatari e spirituali e potremmo dire anche “affiancatori”, per sostenere questa importante funzione educativa.
Storie piene di incertezze, dove però la speranza ha comunque l’ultima parola.
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Anteprima del libro
Il dodicesimo padre - Enzo Riccò
Enzo Riccò
Il dodicesimo padre
Undici storie di paternità e un epilogo
© 2024 – Gilgamesh Edizioni
Via Giosuè Carducci, 37 – 46041 Asola (MN)
gilgameshedizioni@gmail.com – www.gilgameshedizioni.com
Tel. 0376/1586414
ISBN 978-88-6867-701-5
È vietata la riproduzione non autorizzata
Il dodicesimo padre è un’opera di fantasia. I personaggi e gli eventi rappresentati in questo libro sono immaginari. Qualsiasi somiglianza a persone reali, vive o morte, è casuale e non voluta dall’autore.
In copertina: Progetto grafico di Dario Bellini.
© Tutti i diritti riservati
UUID: cc9ad968-2d54-4efc-9d35-c5f31d3afdd7
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
https://writeapp.io
Indice dei contenuti
Premessa (Perché raccontare di padri?)
I racconti
Il primo padre – Due linee blu (La paternità desiderata)
Il secondo padre – Amo l’Africa (La paternità di fronte alla disabilità)
Il terzo padre – L’uomo della C3 (La paternità e il senso di fallimento)
Il quarto padre – Buon compleanno (La paternità e il bilancio di una vita)
Il quinto padre – Il Vicario facente funzione (La paternità e il ruolo educativo)
Il sesto padre – Il figlio del tedesco (La paternità nella malattia)
Il settimo padre – Le dimissioni (La paternità spirituale)
L’ottavo padre – Diabasis (La paternità e il senso di vuoto)
Il nono padre – Verrà Natale (La paternità disattesa)
Il decimo padre - Genesi 4, 13-15 (La paternità e l’espiazione della colpa)
L’undicesimo padre – La Micia (La paternità alle radici)
Il dodicesimo padre (La paternità come testimonianza)
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Un REGALO per te dalla nostra Casa Editrice
ANUNNAKI
Narrativa
227
La vita è pur sempre un viaggio.
Si può salpare verso il futuro
se si ha un approdo di riferimento,
là dove la nave,
nei cantieri della giovinezza,
è stata assemblata.
Poi il mare dell’esistenza
porterà bonacce e burrasche,
ma anche scie di veloce navigazione
verso nuovi approdi e nuove scoperte.
La vita è pur sempre un viaggio.
Ma nella trama delle tue vele,
come sigillo, vedrai sempre,
chiudendo gli occhi,
l’amore e la forza delle tue origini.
Ai miei figli,
ai miei nipoti
e alla loro madre e nonna
che è mia moglie.
Noi siamo nell’epoca del tramonto irreversibile del padre,
ma siamo anche nell’epoca di Telemaco;
le nuove generazioni guardano il mare
aspettando che qualcosa del padre ritorni.
La domanda di padre che oggi
attraversa il disagio della giovinezza
non è una domanda di potere e di disciplina,
ma di testimonianza.
Sulla scena non ci sono più padri – padroni,
ma padri testimoni. [1]
Premessa (Perché raccontare di padri?)
Ho perso mio padre che non ero ancora entrato nell’adolescenza.
Ne ho cercati altri come sostituti affettivi
. Forse più come sostegni e modelli. Qualcuno lo ricordo ancora con affetto, anche se non sa di essere stato un po’ un supplente
in certi momenti della mia vita.
La mancanza del padre è come un buco. Una ferita.
È il segno dell’assenza che ti rimane anche se hai sessant’anni.
Attraverso la cattedra ho incontrato dei ragazzi e delle ragazze senza il padre. Ho visto, nei loro occhi, i miei occhi di giovane incerto. Alcuni si sono affezionati a me ed io ho amato la loro solitudine, che traspariva senza parole. Ci siamo come annusati
a vicenda, vedendo nell’altro la stessa radice.
Gli esperti dicono che da tempo esiste una profonda crisi del ruolo paterno. Con la contestazione giovanile di fine secolo, si è destrutturata l’idea di un padre autoritario che imponeva la disciplina; era capo indiscusso della famiglia, cresceva figli spesso frustrati nei loro desideri primari di accoglienza e di realizzazione. Qualcuno afferma che, se chiedevi allora cosa si aspettassero i genitori dai figli, la risposta era: il rispetto e la rettitudine. Oggi la risposta è universalmente una: la felicità.
Il guaio è che non sempre si raggiunge questo obiettivo con un giusto bilanciamento. Morta infatti l’immagine di un padre-padrone, dispensatore di regole e ordine, non sempre si è riusciti a definire un nuovo ruolo più equilibrato. Il pericolo è che si configuri così una società come Grande Madre, che si non preoccupa tanto del ben-essere
dell’uomo (nel senso del benessere interiore), ma bensì, del bene-stare
, soddisfacendo molti desideri e contravvenendo, a volte, al rispetto richiesto dalla convivenza.
Il termine Società della Grande Madre è coniato dallo psicologo Claudio Risè. Nei suoi testi afferma che, con la crisi del ruolo paterno, la predominanza materna spinge ad una esigenza collettiva di soddisfazione dei desideri, che la stessa comunità alimenta. In molti casi, si configura come una richiesta che non è mediata dalla capacità di saper attendere. L’uomo contemporaneo, in particolar modo il giovane che è figlio di questa epoca, rischia di interiorizzare un debole riferimento normativo sociale; incerto nel percepire il bene comune, si ripiega su una posizione di attesa egocentrica piangendo
e invocando dagli altri un latte
che non basta mai. [1]
Tutto questo determina uno smarrimento esistenziale dove il consumismo e l’ edonismo hanno la meglio. Queste due maligne trappole, come il gatto e la volpe di Pinocchio, illudono l’uomo facendogli credere che la felicità possa avere radici nel possedere e nell’apparire. Avere il più presto possibile ciò che si desidera; godere senza la giusta frustrazione dell’attesa.
Si evidenzia così un’emergenza educativa. La crisi del ruolo paterno – e della funzione genitoriale in generale – può determinare una gioventù narcisisticamente auto-referenziata, continuamente ripiegata su se stessa e fondamentalmente insoddisfatta, senza che ne percepisca la vera ragione. Dall’altra parte, si struttura una adultità incerta con deboli punti di riferimento valoriale.
È dunque in crisi la funzione paterna?
È difficile essere padre!
Non c’è una scuola che te lo insegni, se non la vita. Non c’è per lui il rapporto stretto carnale che ha la madre, che porta in grembo e partorisce.
Bisogna fare i conti con i propri errori e i propri limiti. Scommettere sulla capacità di essere almeno decenti, perché non esiste (per fortuna) un padre perfetto: sarebbe un modello troppo opprimente e asfissiante. Occorre costruire un’intimità nella giusta distanza, rompendo, con delicatezza, la simbiosi con chi lo ha tenuto in grembo per nove mesi.
La difficoltà aumenta se si hanno più figli, poiché nessuno è uguale all’altro. Allora si deve ricominciare sempre da capo, adeguandosi al temperamento della persona che ti è stata affidata. È giusto parlare di affidamento, perché il figlio non è del genitore, anche se è sangue del suo sangue. Deve seguire la sua strada. Un giorno ci si trova di fronte un uomo o una donna che hanno creato una loro indipendenza e una loro coscienza, che è doveroso rispettare.
Si resta padri per tutta la vita, ma in modo diverso secondo le età.
Ma quali padri ci possono essere?
Certi rifiutano questo impegno, anche se hanno generato con il proprio seme. Non ne vogliono sapere di un terzo incomodo
che destabilizza un equilibrio spesso egoisticamente costruito. Allora caricano totalmente sulle spalle della donna ogni responsabilità. Esibiscono talvolta un insincero rispetto delle scelte della compagna (che è piuttosto una fuga), là dove invece si esigerebbe una condivisione dei carichi, delle decisioni e delle fatiche.
Alcuni esercitano male questo ruolo, anche senza rendersene conto. Si trovano ad essere padri, ma non riflettono criticamente sulle loro azioni. Agiscono, nella maggior parte dei casi, esibendo il modello che hanno ricevuto, anche se nell’adolescenza l’hanno contestato duramente.
Altri purtroppo sono addirittura distruttivi verso i figli, malvagi, mortiferi
spiritualmente e, ahimè, anche fisicamente. Sarebbe meglio che non ci fossero. Come dice il Vangelo, senza mezze misure: Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina, e fosse gettato negli abissi del mare [2].
Fortunatamente, nella maggior parte dei casi, la funzione paterna - in necessaria sintonia con quella materna - è importante e può dare ai figli (futuri adulti) almeno tre cose fondamentali.
La prima è un senso di sicurezza in se stessi, valorizzando in modo corretto i carismi che i figli possiedono. Ma anche aiutandoli a guardare in faccia la realtà, che spesso non è prodiga di consensi.
La seconda è una giusta visione dei limiti e delle regole per il rispetto degli altri con cui si vive. La soddisfazione delle proprie ambizioni deve fare i conti con uno spazio delineato - a volte limitato – di realizzazione. Accettare le frustrazioni di certi desideri è difficile, se pur necessario per una equilibrata capacità relazionale.
La terza, non meno importante, è quella che si può chiamare il lancio nella comunità: l’iniziazione alla vita sociale, un avviamento alla convivenza in un cerchio di rapporti che si allarga sempre di più. Questo perché i figli possano navigare