Camaiore 25 dicembre 12078
Di Marco Trogi
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Anteprima del libro
Camaiore 25 dicembre 12078 - Marco Trogi
Trogi
1
C’era una volta, in quella dolce terra chiamata Versilia, nella pianura tra il mar Tirreno e le pendici del monte Prana, una ridente cittadina chiamata Camaiore. Un paesone
, circondato quasi interamente dalle Alpi Apuane, nel centro del quale, nel profondo del suo antico cuore, si poteva ancora respirare, nonostante il frenetico scalpitare del progresso, il profumo dell’aria di una volta, quel senso delle tradizioni, la solidarietà e quell’affetto spontaneo che solo in una grande famiglia può aver ragione d’essere. Una piccola comunità dove tutti, bene o male, si conoscevano e non disdegnavano di ricordarselo calorosamente alla prima occasione. Brava gente, sì, operosa e volenterosa. È proprio di loro che vi voglio raccontare, delle loro vite, della loro storia. La storia di un piccolo popolo che, come nessun altro al mondo, seppe dimostrare quanto la volontà, il coraggio, l’amicizia e soprattutto l’amore potessero assieme domare e dominare qualsiasi avverso destino, perfino il tempo.
Tutto ebbe inizio in un’insolita sera di primavera, era l’8 maggio dell’anno 2020…
«Ciao, Mauro, mi dai un pacchetto di Diana blu e uno di Marlboro light?»
«I numerini li vuoi?» chiese Mauro.
«Numerini?» domandò Stefano.
«Sì, la schedina che fa il computer, tua moglie la prende sempre» precisò Mauro.
«Ah, sì, dammela, vai.»
«Lotto o Super Enalotto?»
«Mah, ascolta: se devo provare a vincere dei soldi, voglio vincerne tanti, giusto? Dammi il Super Enalotto, dai.»
«Tanto siamo destinati a morire poveri, caro Stefano, devi fartene una ragione» commentò il¹ Batini, sorseggiando il solito bianchetto
², appoggiato al bancone di fianco a Stefano.
«Senti, Batini: se proprio devo morire povero, spero almeno di morire sopra una bella donna, quella sì che sarebbe una bella fine, sei d’accordo Mauro?» replicò Stefano, cercando spalla nel barista.
«Come no! E magari come il povero Martinelli, buonanima, te lo ricordi, no, l’orefice? – commentò il barista – Lo sai cosa gli rispose la Leda, al dottore dell’ambulanza quando gli chiese com’è che era successo?»
«No!» rispose Stefano incuriosito, pregustando già con un sorriso la battuta del barista.
Gli rispose:
«Ma cosa le devo dire, dottore, io pensavo venisse e invece partiva…»
Una fragorosa risata coinvolse tutti i presenti nel bar.
«E il casino che fece sua moglie alla Leda, ve lo ricordate? – continuò Marietto, seduto al tavolino di fianco, intento a giocare a carte – Volava di tutto in piazza; schiaffi, calci, seggiolate, sembrava il giorno del Giudizio. Perfino il prete, che provò a dividerle, ci rimediò una ginocchiata nelle palle…»
«E va beh, ma che c’entrava la Leda se al Martinelli gli piaceva andare a puttane, dai. In fondo lei faceva solo il suo lavoro.» Intervenne il Batini.
«Eeh! Fosse andato solo a puttane, dai, non mi far parlare, Batini… Oh, fra donne e macchinette da gioco, si è mangiato mezza oreficeria. Le giravano sì le scatole a sua moglie, dai. È chiaro che se la prese con la prima che gli capitò a tiro» rispose il barista.
Erano quasi le sette, Stefano aveva appena finito di lavorare, non era sicuro se Claudia avesse comprato le sigarette per entrambi e, per evitare i soliti discorsi e poi magari dover riuscire di nuovo, aveva pensato bene di avvantaggiarsi e non rischiare. Quella sera, poi, aveva voglia di far due chiacchiere e quale posto migliore del Bar di Mauro, per dire e ascoltare qualche bischeràta³?
«Hai visto che tempo, Stefano?» domandò il barista.
«Già, se piove per quel che tuona va a finire che affoghiamo tutti. – rispose Stefano – Ma la cosa curiosa, Mauro, è che a Viareggio quando sono partito c’era il sole, appena imboccato il viale, prima d’arrivare al Ponte di Sasso, il cielo è diventato
di un nero, ma un nero… mah, mi sa che stanotte vien’ giù il mondo. E poi c’è un cielo così strano… da Apocalisse; hai presente certi film di fantascienza?»
«Sì, bravo, hai ragione. Mah! Vorrà dire che stasera chiudo presto» aggiunse Mauro.
«Io ho noleggiato un film: doccia, cena e poi, lo sai cosa ti dico? Ma che venga pure giù il mondo! Fammi uno spritz⁴, dai, Mauro.»
«Subito, Mister» rispose il barista.
Si stava alzando anche il vento, un alito caldo che non presagiva niente di buono, ma a Stefano la cosa non dispiaceva più di tanto, l’idea di rintanarsi in casa con la sua famiglia dopo una giornata di lavoro e, come un lupo, crogiolarsi nel caldo tepore della tana, lo gratificava parecchio. Salutò Mauro e, alzandosi il colletto del giaccone, uscì dal bar proprio mentre dal cielo cominciava a scendere giù una fredda e impietosa pioggia a scrosci, frustate gelide che si alternavano alle calde folate di uno strano vento che nel frattempo aveva iniziato a spazzare disordinatamente la via. Stefano attraversò la strada di corsa, arrivando giusto un attimo prima che la pasticceria del
vecchio Amerigo chiudesse.
«Amerigo! Aspetta! Non chiudere!»
«Oh, Stefano! Non t’avevo mica riconosciuto. Vieni, corri, corri che ti bagni tutto!»
Stefano stava per entrare nel negozio, quando da dietro l’angolo sbucò all’improvviso una figura che andò a sbattere direttamente contro di lui, facendolo letteralmente cadere per terra.
«Ma porcaccia la miseria! Potresti fare un po’ più d’attenzione…» imprecò Stefano, cercando di rialzarsi.
«Mi dispiace, si è fatto male?» disse lo sconosciuto, tendendogli la mano per aiutarlo.
«No, no, non è nulla» rispose Stefano, rialzandosi in piedi con l’aiuto dell’uomo.
Era una persona alta, portava una specie di lungo mantello, un impermeabile sicuramente, con un cappuccio che ricopriva quasi per intero il volto. Lo sconosciuto scostò leggermente il cappuccio da sopra gli occhi per osservare meglio Stefano. Fu in quel momento che Stefano si rese conto che non era un uomo bensì una donna.
«OK, allora, ciao!» disse la sconosciuta, riaggiustandosi in fretta il cappuccio e dileguandosi subito dopo dietro l’angolo, scomparendo nell’oscurità.
Stefano guardò per un attimo nella direzione dove era scomparsa la donna, poi, scuotendo la testa, si affrettò a entrare nella pasticceria.
«Porca puttana, se è ghiàccia⁵» disse Stefano, scuotendosi dalla pioggia che lo aveva letteralmente inzuppato.
«Guarda, appena in tempo, oh, Stefano, stavo giusto per abbassare la saracinesca» rispose Amerigo, il pasticcere.
Stefano guardò un’ultima volta fuori nella direzione dove si era dileguata quella strana donna incappucciata che lo aveva ancora di più infradiciato di quanto la pioggia non avesse già fatto.
«Ma chi era?» domandò il negoziante.
«Boh! Lo sai te?… va be’. Dimmi un po’, Amerigo, che ti è rimasto?» chiese Stefano.
«Che mi è rimasto? La pazienza, Stefano, ma non mi serve più a molto. Pensa che ieri sera ho provato a darne un po’ a mia moglie, ma lei non se n’è nemmeno resa conto e si è subito addormentata» rispose l’anziano pasticciere.
«Eh, queste donne, non sanno apprezzare certe finezze, Amerigo. Dovresti provare a essere un po’ più… come si dice, un pochino più… duro.»
«Sì, duro, qui di duro mi è rimasto solo i ginòcchi⁶, oh, Stefano!»
Stefano sorrise divertito.
«Ho capito, parliamo d’altro dai, ascolta, Amerigo: ti sono rimaste delle pastine, un dolcino, qualcosa di sfizioso?»
«Delafìa!⁷ Cos’è? Tua moglie è di nuovo incinta?» domandò
Amerigo.
«Per l’amor del cielo! Io ho già dato il mio contributo
all’umanità» rispose Stefano.
«E cosa vorresti dire? Che hai chiuso con le donne? Hai già unto e riposto il fucile anche te?»
«No, no, forse hai capito male, Amerigo, a me non sono rimasti solo i ginòcchi duri, eh, insomma, ho ancora qualcos’altro, e delàfia…»
«Aah, mi sembrava strano, Stefano, sei ancora un bimbetto.»
«Sì, un bimbetto. Una volta!»
«Bon per te, Stefano! – rispose sorridendo il pasticcere – E
va beh, senti: mi è rimasto dei bigné, due tortine di riso e qualche sfogliatina alla crema.»
«Dai, dai, incarta tutto, Amerigo.»
«Tutto?» chiese sorpreso il pasticcere.
«Oh cosa credi, Amerigo, ci sono certe bocche a casa mia. Te non lo sai ma mi costa più sfamarli che rivestirli.»
«Sei messo bene, allora» commentò sorridente Amerigo.
Stefano salutò l’amico pasticcere e salì velocemente in macchina, mentre la pioggia stava impietosamente aumentando d’intensità. Arrivato davanti al cancello di casa, notò che Claudia era già rientrata ma non era lei a essere in anticipo, guardò l’orologio, erano le otto meno un quarto. "Però… me la
sono presa piuttosto comoda stasera", pensò fra sé. Scese di macchina per aprire il cancello e per l’appunto, appena aperta
la portiera, uno schiaffo d’acqua gelida lo colpì in piena faccia.
«Maremma maiala! – esclamò rientrando velocemente in auto – Mi deciderò prima o poi a istallare il cancello automatico.»
Da casa arrivava il solito casino: la bambina piccola che piangeva, gli altri due fratelli che litigavano, su tutti la mamma che invano gridava di farla finita. Stefano si fermò un attimo davanti alla porta e sorrise, quella fabbrica di urla era la sua famiglia, ma a lui andava bene così, amava la sua famiglia e amava quella confusione, anche quello faceva parte del suo mondo, lo faceva sentire a casa e soprattutto vivo.
«Quando saranno tutti sposati, vedrai quanto ci mancherà questo casino!» era la frase che solitamente Stefano usava ripetere a sua moglie.
Aprì la porta. Lucia, come lo vide, gli corse incontro abbracciandolo, Davide lo placcò sulla porta per raccontargli cosa gli aveva detto sua sorella più grande, mentre la stessa Francesca tentava di raccontare, per contro, cosa aveva combinato il fratello. Dalla cucina, Claudia, che inutilmente cercava di riportare l’ordine, minacciando ritorsioni di ogni genere.
«Cos’è questa baccano? Basta! Uno alla volta, fatemi almeno entrare, Santa Madonna!» disse Stefano alzando la voce e cercando nel frattempo, con la bambina piccola in braccio, di richiudere con la spalla la porta dietro di sé, per lasciare il maltempo fuori dalla sua tana, fuori dal suo mondo.
«Viaa! Piantatela, altrimenti non vi do nulla!»
«Cos’hai portato? » chiesero all’unisono Davide e Lucia.
«Ho portato una cosina… dopo cena però.»
«Papà ha portato il gelato!» gridò contenta la piccola.
«Macché gelato, mi sembri scema, ma l’hai vista che serata, fuori ci sono anche i pinguini.»
«I pinguini? Ma dai, i pinguini sono al Polo Nord» rispose Lucia.
«Al Polo Sud, casomai» la corresse Davide.
«È arrivato l’homo super mega sapiens» commentò sarcasticamente sua sorella Francesca.
«Te, stai zitta, bimbetta super mega scema» le rispose a tono Davide.
Francesca fece per allungare un ceffone al fratello, quando il padre si mise tra i due.
«Ora mi avete rotto! O la fate finita o stasera vi faccio dormire tutti fuori sul balcone, così vediamo se vi si raffreddano un po’ i bollenti spiriti. Ci siamo capiti?»
«Papà? Ma, fai dormire anche me sul balcone?» domandò con una punta di malizia, travestita da candida innocenza, Lucia.
«E come potrei, come farei a lasciare una principessina così bellina come te tutta la notte sul balcone, eh? Me lo dici un po’?» rispose Stefano, come al solito, centrato in pieno dalla furbesca dolcezza della piccolina.
«Allora, a me lo dici cos’hai portato?» continuò la bambina.
«Ma cosa vuoi sapere? Te sei furbina, ma stasera non mi freghi, è una sorpresa e basta. Aspetti come aspetteranno gli altri, va bene?»
Stefano Giannecchini aveva quarant’otto anni ed era un abile decoratore, anche se, con la crisi economica che ultimamente attanagliava tutto il paese, per tirare avanti si ritrovava sempre più spesso a fare semplicemente l’imbianchino. Ad aggravare, poi, la situazione ci si era messa anche la concorrenza degli extracomunitari, che si offrivano a prezzi da fame pur di lavorare. Naturalmente la qualità dei lavori eseguiti dagli appartenenti alla specie protetta
, come la definiva Stefano, era quella che era ma, purtroppo, si sa, quando c’è crisi è il prezzo che si guarda per primo e quindi a Stefano non rimaneva miglior soluzione che adattarsi, abbassando la testa e soprattutto i prezzi.
Sua moglie, Claudia, di due anni più giovane, con l’aiuto saltuario della figlia più grande, gestiva un negozio di abbigliamento per bambini in via di Mezzo. Stefano e Claudia avevano tre figli: Lucia di sei, Davide di quindici e Francesca di ventuno anni. Lucia faceva la prima elementare, Davide il primo anno dell’Istituto d’Arte a Pietrasanta mentre Francesca frequentava il secondo anno di Giurisprudenza presso l’Università di Pisa.
Davide era l’unico in famiglia ad avere ereditato il talento artistico del padre, era bravo soprattutto nel disegno e la sua grande passione era la progettazione. Per questo avrebbe voluto, terminato l’Istituto d’Arte, iscriversi alla Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze. Stefano ne era orgoglioso, anche lui aveva fatto la stessa scuola, aveva intrapreso la medesima strada universitaria ma poi, dopo avere appena frequentato un paio d’anni, incantato dai grilli della gioventù
, come usava dire sua madre, aveva abbandonato il tutto, con grande dispiacere dei genitori, soprattutto del padre Italo che ci teneva molto a che si laureasse.
2
«Uhm, cos’è questo profumino?» domandò Stefano.
«Mamma ha fatto il pollo fritto stasera» rispose Francesca.
«Delafìa! Pollo fritto? E vai!» esclamò Stefano.
«Ragazzi, muovetevi a preparare la tavola, altrimenti stasera divento cannibale e mangio voi. Dov’è la mia sposa?»
«Dove vuoi che sia!» rispose Claudia dalla cucina.
«Ciao, bella mia passerona» le sussurrò in un orecchio Stefano, abbracciandola da dietro e palpeggiandole il seno con entrambe le mani.
«E falla finita, scemo, ci sono i figlioli! – protestò Claudia – Piuttosto, come mai a quest’ora? La tua amante non ti voleva mandare più via stasera?» domandò con una punta di sarcasmo, indossando appieno i panni della moglie gelosa.
«Ma cosa stai dicendo? Lo sai che sei te la mia unica, focosa amante, bella porcellona!» le rispose Stefano.
«Sì, raccontala a qualcun’altra e… ma Madonna Santa, la smetti di palpeggiare? Ti ho detto che ci sono i figlioli, stupido!»
«Ti mangerei tutta a morsi... mmh, dopo il pollo fritto naturalmente» continuò invece imperterrito Stefano.
«Ah, ecco, dopo il pollo fritto, eh? Lo sai cosa ti dico, caro dongiovanni del venerdì sera? Mi sa che te, se non ci fai una bella fotografia, finisci che ti scordi com’è fatta» rispose Claudia.
«Eh! Non sarebbe mica una cattiva idea» commentò Stefano.
«Cosa? Scordarti com’è fatta?» chiese lei.
«No, dicevo fare qualche foto un po’… diciamo, un po’ osé.»
«Ma falla finita, imbecille! Te sei proprio scemo, ma proprio tutto scemo.»
«Dai, lo sai che scherzo – e avvicinandosi di più al suo orecchio – E comunque, a proposito di…»
«Eccolo! So già dove vuole andare a parare ora» lo anticipò lei.
«Beh, allora visto che lo sai, ehm… che fai? Stasera me la dai o no?»
«Mamma mia! O chi ho sposato? Un poeta? Piuttosto, com’è che siamo così arzilli stasera?» gli domandò.
«Ho voglia della mia mogliettina, che c’è di strano? Ringrazia il cielo, fossi in te mi preoccuperei, casomai, se non ti cercassi, no? Anzi, sposa, stasera non puoi trovare scuse, mi sono super organizzato, ho comprato anche l’Aulin, casomai delle volte ti venisse il mal di testa. Lo sai come si dice, no? Prevenire è meglio che curare.»
«Sì, va beh, lasciamo perdere, stasera il Giannecchini c’ha le
ruzze. Vai a farti la doccia ch’è meglio, va’, e fattela bella ghiàccia, cammina!» gli rispose.
Stefano stava per uscire dalla cucina, rassegnato ad affogare le proprie fantasie sotto la doccia, quando lei lo chiamò indietro:
«Comunque, aspetta, vieni un po’ qua,… latin lover da strapazzo.»
«Che vuoi, befana?» rispose, recitando lui questa volta la parte dell’offeso.
«Maa… ammettiamo che io stasera te la do, no?… Guarda che poi la rivoglio indietro, eh» sussurrò strizzandogli l’occhio.
«E vai! Mi garbi⁸ un casino quando sei così…»
«Sssh! – lo zittì Claudia – Ma la vuoi chiudere quella boccaccia, t’ho detto che ci sono i ragazzi, testone!»
Stefano, fischiettando soddisfatto, si avviò verso il bagno, quando dalla sala Davide lo chiamò:
«Papà?»
«Che c’è, Davide?» rispose.
«Guarda che, due sorelle, mi bastano e m’avanzano, eh… fai un po’ te».
Stefano non commentò, sgattaiolando velocemente in camera per sfuggire al severo sguardo della moglie