Il rovescio dell'amore
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Anteprima del libro
Il rovescio dell'amore - Martina Benvenuti
Martina Benvenuti
IL ROVESCIO DELL'AMORE
Prima Edizione Ebook 2022 © R come Romance
ISBN: 9788893472197
Immagine di copertina su licenza ENVATO ELEMENTS, elaborazione Edizioni del Loggione
img1.pngwww.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave 60
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
img2.jpgLa trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Martina Benvenuti
Il rovescio dell'amore
Romanzo
Indice
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Ringraziamenti
L'autrice
Catalogo
A mio padre che un giorno mi disse:
Adesso che sei caduta, ti voglio più bene di prima.
1
La vita è come una lunga partita di tennis, piena di punti decisi dal nastro o dalla riga e di errori inutili e gratuiti come i doppi falli.
Ci sono momenti in cui tentiamo di cavarcela con un lob o una palla smorzata e poi ci sono i colpi vincenti, giocati alla perfezione, grandi rovesci incrociati o lungolinea di diritto che spiazzano l’avversario e valgono il prezzo del biglietto.
La fortuna e il talento spesso contano allo stesso modo ma, in ogni caso, senza giocatori non ci sarebbe partita, comunque questa vada. E dunque va reso merito a chi quella racchetta la prende in mano e prova a fare il suo game.
Vera pensava proprio a questo mentre guardava il suo bambino dallo specchietto retrovisore. Lui era stato sicuramente il suo più bel punto: un ace giocato a 200 chilometri orari all’incrocio delle righe.
Alla radio passavano un grande successo di David Bowie, Starman. E lui era lì, sul sedile posteriore, il suo piccolo uomo delle stelle che dormiva beato, così splendente che si sarebbe accontentata di vivere il resto dei suoi giorni di luce riflessa.
Intanto era arrivata. Spense la radio e rallentò all’imbocco del vialetto. Si fermò davanti al cancello e si preparò ad affrontare la testa di serie numero uno del torneo: sua suocera.
I due grandi pini a destra sembravano militari con enormi baschi sulla testa, pronti ogni volta a ricacciarla indietro. Li detestava.
Guardò Matteo un’ultima volta, poi si decise a premere il telecomando e il cancello si aprì davanti a lei. Lasciate ogni speranza o’ voi ch’entrate
pensò.
La ghiaia scricchiolava sotto le ruote dell’auto che procedeva lenta verso la villa.
Aprì i finestrini come per prendere l’ultima boccata di ossigeno. Nonostante fosse la prima settimana di giugno faceva già un gran caldo, ma là dentro, tra quelle mura, avrebbe trovato il gelo, come sempre.
Eccola, impettita davanti al portone d’ingresso, nel suo caftano beige di lino leggero. La sigaretta nella mano destra, una rivista nella sinistra, i capelli raccolti nella crocchia tirata e il volto scarno e rugoso, impreziosito da un sapiente uso dei cosmetici. Vera deglutì quel groppo solito che le saliva dallo stomaco alla gola ogni volta che la vedeva. Parcheggiò. Si voltò e scosse delicatamente le gambe di Matteo. Lui aprì un occhio alla volta, svogliatamente.
«Siamo arrivati, corri a salutare nonna Clelia.»
Matteo obbedì. Si strofinò gli occhi, aprì lo sportello e corse verso quella statua di marmo che lo stava aspettando.
«Sei uscito dalla macchina da solo? Tua madre non ti aveva legato come al solito.»
Vera si avvicinò portando due grandi valigie.
«Buongiorno Clelia» le disse «la trovo bene.»
«Io invece ti trovo molto smagrita mia cara, attenta a lasciarti andare così, mio figlio potrebbe stancarsi…»
Vera lasciò che la suocera scoccasse la prima freccia avvelenata dell’estate e la seguì dentro la Villa. Matteo s’infilò subito in cucina, in cerca delle coccole di Angela, l’anziana domestica.
«Vai pure a sistemarti, pranziamo all’una in punto, nel pomeriggio ho un torneo di burraco al bagno.»
Vera salì le scale trascinando le due pesanti valige, ma già in cuor suo si sentiva più leggera. Il programma pomeridiano di Clelia le avrebbe dato qualche ora di libertà.
Entrò in camera e, per prima cosa, spalancò le grandi imposte. Odiava il buio. Quella stanza era già abbastanza tetra anche quando era illuminata dalla luce del sole, figuriamoci nella penombra.
Meglio morire di caldo che di tristezza
pensò.
Poi aprì tutti i cassetti e le ante dell’armadio di noce. Se ci avesse messo subito i vestiti, si sarebbe portata addosso la puzza di vecchio per tutta l’estate. Infine tirò via dal letto quella insopportabile coperta di ciniglia verde e la chiuse nella cassapanca in fondo alla stanza.
Si sedette, aprì la borsa e ne estrasse il suo inalatore per l’asma. Aspirò due volte e si sentì meglio. Era veramente assurdo. Il mare avrebbe dovuto curare i problemi respiratori, non scatenarli. Poi prese il libro e lo mise sul comodino accanto al letto. Guardò con tenerezza quel romanzo che non riusciva proprio a finire, Open, di André Agassi. A pagina 152 faceva capolino il solito segnalibro, un biglietto del treno andata e ritorno per Torino del 25 ottobre 2011. Un mese dopo suo nonno era morto e quel biglietto era il ricordo di un viaggio disperato che Vera aveva fatto per salvarlo. Sul treno leggeva proprio quel libro che parlava di tennis, di amore, di odio e di speranze e si era distratta dalla triste missione inutile che stava compiendo per quel nonno, Edoardo Rinaldi, che era stato molto più di un padre per lei.
Matteo entrò nella stanza, con il viso sporco di salsa al pomodoro e una patatina fritta nella mano.
«Angela mi ha fatto assaggiare, ma la nonna non mi ha visto.»
«Per fortuna!» esclamò Vera.
«Io dove dormo?»
«Quando non c’è papà puoi dormire qui nel lettone con me, ma quando arriva sai che devi andare in camera tua…»
«Spero che non arrivi allora! Non voglio andare nella camera marrone, è brutta» poi la prese per mano e, come due alleati, si avviarono ad affrontare la prima prova della giornata: il pranzo.
Clelia sedeva a capotavola. Vera alla sua destra e Matteo a sinistra, così che per la madre fosse impossibile aiutarlo a tagliare la carne o infilare la pasta con la forchetta. Ma Angela lo sapeva e, dalla cucina, portava le pietanze di Matteo già tagliate o sminuzzate. Vera le sorrise. Clelia invece scosse la testa.
«Mio figlio quando arriva?» chiese bevendo un sorso d’acqua.
«Domani pomeriggio, se non ci sono imprevisti in clinica.»
«Bene. Abbiamo molte cose da raccontarci io e lui e poi l’avvocato Manzini ci ha invitati a cena al circolo e voglio che mi accompagni.»
Ogni estate, con mosse astute da bravissima giocatrice di carte, si prendeva inesorabilmente un pezzetto del loro matrimonio.
«Cristian l’accompagnerà molto volentieri.»
«Gradirei molto anche la tua compagnia, cara, ma domani sera Angela ha la serata libera, quindi chi si occuperebbe del bambino?»
Mangiarono in silenzio. Poi Matteo si alzò e prese la pallina da tennis nella borsa della madre e iniziò a tenerla stretta. Un perfetto antistress.
«Ancora questa fissa del tennis?» domandò Clelia. «Cristian non aveva detto che lo avrebbe portato a giocare a calcio?»
«Ci ha provato, ma Matteo non vuole saperne.»
«Peccato, il calcio è uno sport molto più virile, nel tennis non vedo niente di così combattivo.»
«Forse sta sbagliando sport, Clelia. Non c’è niente di più agonistico del tennis, niente che somigli di più a una battaglia e, soprattutto, è chiaramente lo sport che Matteo preferisce.»
Lo disse cercando di non strozzarsi con il boccone.
Clelia serrò la mascella.
«Sarà...» rispose. Poi lasciò cadere il tovagliolo sul tavolo e si alzò.
«15-0 per noi!» disse sottovoce Vera a Matteo. Il bambino sorrise e corse ad abbracciarla.
Il cellulare squillò. Per fortuna Clelia era già uscita dalla stanza. Vera si era dimenticata di metterlo in modalità suocera: silenzioso durante il pranzo.
«Mamma! Come sei mattiniera…»
«Non ho chiuso occhio, sapevo che oggi arrivavi al Forte e ti ho pensato tutta la notte.»
«Non avresti dovuto. Devi solo pensare a divertirti, sei a New York ed è la tua luna di miele!»
«Ah, non farmi ridere, sono troppo vecchia per quella parola.»
«Non sei vecchia e hai diritto a tutta la felicità del mondo.»
«Anche tu, bambina mia, ma sono sicura che tra le grinfie di quell’arpia non ne troverai nemmeno una goccia.»
«Oh, vedrai che non andrà tanto male. Ho sempre il mio meraviglioso bambino. Lui cura tutti i mali.»
«E Cristian?»
«Arriva domani, ma Clelia ha già molti progetti per lui. Non credo ci vedremo molto.»
«Come vanno le cose tra voi?»
«Al solito.»
«Stai guardando Parigi?»
«Mamma!»
«Dai, era pour parler… e comunque è in semifinale.»
«Lo so, mamma, non guardo le partite ma leggo ancora i giornali!»
«D’accordo, non voglio irritarti, c’è già quella vecchia acida che lo fa fin troppo. Salutala da parte mia e dille che sto divinamente nel mio… com’è che l’aveva chiamato?»
«Anacronistico romanticismo.»
Scoppiarono a ridere.
«Vai a trovare Lavinia, tesoro, andate a giocare a tennis.»
«Ok, mamma, lo farò. Adesso torna da Giorgio, ci hai messo vent’anni per dirgli di sì, non vorrai perdere altro tempo!»
«Va bene, va bene, ma prometti di chiamarmi presto.»
«Te lo prometto, un bacio.»
Poco dopo Vera si tolse i vestiti del viaggio, indossò costume e shorts e si sdraiò sul letto, facendosi cullare dal rumore ritmico della pallina che Matteo lanciava contro il muro. Per lei quel rimbalzo cadenzato era una musica, per Clelia era paragonabile alla tortura della goccia. Perché continuava ad accettare quel soggiorno estivo forzato? Come si era trovata prigioniera di quegli obblighi familiari? Se lo chiedeva ogni tanto, ma non trovava la forza per rispondersi.
«Il bambino ha la fortuna di fare tre mesi di mare, la convivenza con mia madre è solo un piccolo prezzo da pagare!» le diceva Cristian quando lei ancora tentava di affrontare la questione. Poi si era arresa. Non aveva voglia di lottare né con lui né con nessun altro. Sapeva soltanto di essere intrappolata in una vita che non avrebbe mai immaginato di poter condurre.
Matteo piombò sul letto accanto a lei.
«Mamma, sei bellissima, hai le gambe lunghe e magre come Elastigirl.»
«Wow che complimento! Peccato che non ho anche i suoi superpoteri.»
«Faresti sparire la nonna?»
Vera scoppiò a ridere.
«Dai, andiamo al mare, io e te da soli…»
«Sì, andiamo, prendo i racchettoni!»
Mano nella mano attraversarono il parco della Villa. Il lungomare era a due passi. Ancora non era affollato. Come sempre, molti degli stagionali sarebbero arrivati la settimana successiva, dopo la fine delle scuole. Entrarono nel solito stabilimento, con la consueta monotonia del beige degli arredi che, a dire di Clelia, era così signorile e in pendant con i suoi parei crema, cachi e tortora. La famiglia di Cristian, per diritto di anzianità, godeva di tutti i privilegi: cabina con doccia, prima tenda a partire dal mare, tavolino sotto il gelso riservato alla signora per le partite a carte pomeridiane.
Vera e Matteo si spogliarono velocemente e corsero sulla riva.
«Dai, mamma, giochiamo.»
Adesso sì, poteva farlo. Per qualche ora non avrebbe avuto addosso gli occhi giudicanti di Clelia. Si ricordò dell’estate precedente, quando si era iscritta al torneo di ping pong e aveva stracciato in finale il figlio sedicenne del dottor Giraldi.
«Disdicevole!» aveva commentato sua suocera allontanandosi dal bagno con la solita scopa ficcata nel didietro. «Una donna della tua età, madre e moglie, dovrebbe stare al suo posto e non lasciarsi andare a delle volgarissime sfide da adolescenti.»
Matteo prese la pallina di spugna e la racchetta con il manico foderato giallo fosforescente, Vera aveva scelto il rosa fucsia per la sua.
«Mamma, attenta perché dopo le lezioni con Giorgio sono molto più bravo…»
«Lo so, tesoro, mi dovrò impegnare, ma tu conta i palleggi e cerchiamo di arrivare a venti.»
Cominciarono a giocare. Non era chiaro chi si stesse divertendo di più. Matteo era un vero talento. Così piccolo, teneva la racchetta con una padronanza insolita e colpiva la palla in modo preciso. Giorgio, che era stato anche il maestro di Vera, gli aveva dato qualche lezione nell’inverno e diceva che era un prodigio. Padroneggiava certi movimenti spontaneamente, mentre alcuni bambini impiegavano anni. Vera ne era compiaciuta.
«Sul rovescio, mamma, mettile sul rovescio» la esortò Matteo.
Vera esitò. Poi sorrise e, mentre una lacrima di emozione le solcava la guancia, cominciò a giocare colpi incrociati.
2
Da: Vera.Rinaldi85@gmail.com
A: Lavi.Palmieri85@gmail.com
OGGETT0: Cenerentola vs matrigna cattiva
Ehi straniera, quando arrivi? Il castello è sempre più tetro e mi serve una ventata di colore. Non vedrei male nemmeno una serata molto alcolica, di quelle che mi concedo soltanto con te.
Oggi ho giocato in spiaggia con Matteo. Lo guardo e tu sai bene cosa vedo.
Mentre ti scrivo sta dormendo beato accanto a me. Sembra un cherubino con quel caschetto biondo che gli ricade sulla fronte. Gli ho scostato i capelli, gli ho annusato le tempie e ho sentito quell’odore inconfondibile di erba, sole e terra. Sembra felice e faccio di tutto perché lo sia.
Abbiamo cenato alle sette, ti rendi conto? Sarebbe l’ora più bella da passare sulla spiaggia a contemplare il mare, ma Clelia dice di avere la digestione lenta e non può andare a dormire se non sono trascorse almeno quattro ore dal pasto. La povera Angela aveva cucinato delle scaloppine al vino bianco eccellenti e il commento di Clelia è stato Deve aver sbagliato qualcosa, sono venute buone…
.
Cristian arriva domani, ma ha già dei programmi con la madre. Non siamo felici.