Altri occhi per me
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Amanda Fabi
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Anteprima del libro
Altri occhi per me - Stefano Santarsiere
dell’Editore.
Uno
Ecco, la luce veniva a svegliarlo attraverso la persiana. Poco per volta gli si accumulò sulle palpebre, lui le sollevò e le sbatté lasciandosi vincere dal nuovo giorno. A breve la madre gli avrebbe portato la tazzina di caffè e un bicchiere d’acqua sopra un vassoio; girando la testa sul cuscino si predispose a quel gesto di benevolenza.
Più tardi consumò la colazione e come ogni mattina uscì a passeggiare; un rituale che derivava dalla sua infanzia, quando il nonno lo portava in giro mentre la madre metteva in ordine casa e preparava il pranzo. Si avviò dunque per le solite strade, in ricognizione di luoghi e panorami, come per accertarsi che il mondo fosse tutto al suo posto nel nuovo giorno. La gente lo salutava, senza chiedergli più perché mai avesse mollato la scuola; poi le case lasciarono il posto alla campagna e tra vigne e file di cipressi ritrovava un ordine più chiaro, un’armonia che sembrava perduta nei vicoli di facce scolorite dal tempo come stracci vecchi.
Tornò a casa a metà mattino. Era estate, il sole picchiava. La madre gli chiese di sbrigare qualche commissione. Il padre arrivò all’ora di pranzo con il giornale – lui se ne impossessò di nascosto per leggere le pagine sportive. Il campionato era finito da un pezzo e cominciavano quei surreali tormentoni di calciomercato.
Suo padre non aveva voglia di parlare con lui. Era di ritorno dalla mezza giornata di lavoro giù alla cava, si era sgolato con operai e manovratori e forse non aveva intenzione di mettersi a discutere anche con lui. Del resto, gli argomenti dei loro confronti erano gli stessi da mesi: aveva sprecato un’altra giornata? Non aveva considerato di riprendere la scuola a settembre? Aveva finalmente maturato qualche decisione sul futuro? La madre viveva con apprensione quei momenti e impegnava tutta se stessa a scongiurare l’innesco. Si frapponeva tra loro, sviava i discorsi, metteva la carne a riscaldare lamentandosi del macellaio.
Quanti giorni erano passati? Lui li contava a gruppi: quelli con i litigi e quelli senza. Ma a prevalere erano sempre i primi.
Due
Il gatto arrivò come un’inezia, un’increspatura nella quotidianità di rapporti sempre più tesi.
Stava attraversando la piazzetta quando un suono attirò la sua attenzione. Un verso effimero, flebile. Si fermò in ascolto. Il miagolio si ripeté più forte, più indignato. Lo individuò fra i rami dell’acero: puntava intimorito le zampette sul legno, poi guardava lui e scoccava i suoi miagolii.
Si avvicinò. La bestiola si ritrasse zampettando lungo il ramo. Lui si sollevò sulle punte dei piedi e lo afferrò dalla collottola: l’animale si irrigidì tutto, emise un miagolio rauco e soffiò, ma si fece tirare fuori dai pasticci.
Cosa poteva accadere a portarsi il gatto a casa? Suo padre avrebbe rifiutato. Non per contrarietà sincera ma per fargli dispetto. Sua madre si sarebbe schierata con il figlio, per quieto vivere e anche per malizia, perché avrebbe poi preteso qualcosa in cambio, ad esempio che lui si impegnasse a studiare un po’.
Sorpresa fu che il gatto entrò in scena senza scossoni. La quinta si aprì, il gatto vi fu introdotto con il benestare dei vecchi, forse inteneriti da quegli occhi vibranti e spalancati, e il sipario si richiuse.
Tre
Funzionò