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La fantascienza cinematografica, la seconda età dell'oro
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E-book333 pagine4 ore

La fantascienza cinematografica, la seconda età dell'oro

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Luke Skywalker, Darth Vader e i duelli a colpi di spade laser; i diafani alieni di Spielberg; Deckard e il replicante Roy sotto la pioggia; l'inarrestabile Terminator di Arnold Schwarzenegger; Ripley con un fucile su un braccio e una bambina sull'altro contro la regina aliena; ET «telefono casa»; RoboCop «vivo o morto, tu verrai con me!»; la metamorfosi di Jeff Goldblum e quelle della «Cosa» nella base artica; i vermi di Dune; il Predator con i capelli stile rasta... La fantascienza cinematografica del periodo compreso tra la fine degli anni Settanta e tutti gli Ottanta ha raggiunto un successo di pubblico e di critica mai toccati prima e regalato al genere alcune delle immagini più iconiche che ancora oggi resistono al passare del tempo. Per questo motivo possiamo considerare quell'epoca come una seconda età dell'oro del genere dopo quella degli anni Cinquanta.
LinguaItaliano
Data di uscita7 gen 2019
ISBN9788827864913
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    Anteprima del libro

    La fantascienza cinematografica, la seconda età dell'oro - Roberto Azzara

    Self-Publishing

    Prefazione

    di Michele Tetro e Giovanni Mongini

    Dopo la sua allucinante disavventura orbitale, in cui ha rischiato di essere inghiottita dal cosmo indifferente alle sorti umane, fatta a pezzi nella distruzione delle stazioni spaziali terrestri poste sulla letale traiettoria di frammenti orbitanti a velocità pazzesca, bruciata viva nella drammatica discesa sulla Terra a bordo di una capsula cinese ma soprattutto schiacciata mentalmente dalla percezione di un universo completamente avulso dall’esperienza umana, alieno, privo di coordinate di riferimento utilizzabili per recuperare una propria condizione esistenziale, la dottoressa Ryan Stone, naufraga che riesce a salvarsi per dedizione, coraggio, caparbietà e amore per la vita, emerge dalle acque che hanno accolto la sua navicella, guadagna la riva e si alza, tremante, affondando i piedi nudi nella sabbia umida della battigia, riconquistando così, con questo semplice gesto, la sua posizione (e centro gravitazionale) di essere umano. È il finale del film Gravity, di Alfonso Cuaron, del 2013, quindi al di fuori del range temporale compreso nell’analisi cinematografica per questo volume, ma non importa. Questa scena mi è parsa emblematica per giustificare l’esistenza di questo lavoro di Roberto Azzara, che si occupa di analizzare il cinema di fantascienza in quegli che sono stati gli anni di più rimarchevole successo del genere, a parità di contenuti ed effettistica speciale. Specificatamente, è importante al giorno d’oggi capire cosa sia esattamente la fantascienza, quale la sua natura fondamentale, i suoi temi portanti, i suoi stilemi… perché con il mescolamento di generi così di moda nei nostri tempi si è venuta a ingenerare una sorta di diffusa confusione tra le nuove generazioni di lettori-spettatori, che spesso perdono un po’ la bussola nel cercare di orizzontarsi in questo settore del Fantastico, così facile a contaminare e a essere a sua volta contaminato da altri. Come accade alla dottoressa Stone, che pur lavorando in orbita, in un ambiente ostile all’essere umano, ha comunque sempre davanti agli occhi il parametro fondamentale giustificante la propria esistenza (la Terra), può bastare un banale incidente per mandare in mille pezzi il mosaico accettato e basilare del proprio centro di gravità (fisico ed esistenziale), scardinandone le coordinare e ingenerando confusione, in cui è inevitabile perdersi, così oggi può accadere la stessa cosa quando stilemi narrativi o temi portanti di altri generi cinematografici vanno a collidere con quello propriamente fantascientifico, all’apparenza snaturandolo o trasformandolo in qualcos’altro. Allora sarà necessario riguadagnare le coordinate perse, affondare i piedi nella sabbia umida ma compatta di un centro gravitazionale che è sempre possibile riconquistare, magari con un po’ di fatica, e rimettersi in equilibrio. Mi sembra proprio che sia questo il compito che assolve il lavoro di Roberto Azzara, in modo efficace, lineare, tutt’altro che accademico. E proprio per questo motivi mi auspico che possa arrivare a trattare anche l’epoca precedente e quella successiva al periodo 1977-1989, con la stessa chiarezza espositiva e limpidezza di intenti che risulterà certo più allettante e semplice da comprendere per il lettore-spettatore che tradurre dal cinese i comandi nella capsula di rientro in cui trova alloggio la dottoressa Stone, prima della pericolosa discesa finale sulla Terra, dove una volta di più a lei risulteranno manifesti e lampanti quei criteri di vita andati persi o solo sopiti e a noi risulterà più facile muoverci tra i mille sentieri che il genere cinematografico fantascientifico da sempre ci pone davanti, tutti da esplorare.

    Michele Tetro

    In realtà non ci sarebbe molto da aggiungere dopo il mio caro e illustre collega, affamato cacciatore di berretti della NASA, e spesso autodidatta in cucina quale assatanato divoratore di pasti preconfezionati. Di lui conosco la sua passione per l’astronautica, il suo apprezzamento per la cinematografia di SF-Vintage e la sua profonda conoscenza di altri generi che lo liberano dalle normali etichette nelle quali a me piace vivere da vecchio, vetusto e quasi mummifico essere però, almeno per ora, come lui disse: ancora vivente.

    L’opera di Roberto è esemplare, Tetro ha ragione: una chiara esposizione senza frasi roboanti e criptiche alla portata di coloro che hanno vissuto quel periodo fecondo del cinema fantascientifico, alla portata di tutti quei giovani che non lo hanno vissuto direttamente e che lo conoscono solo grazie alle moderne tecniche di ricezione o che, addirittura, ne hanno solo sentito parlare. Un lavoro perfetto che però anch’io voglio considerare solo una prima tappa in estensione sugli altri periodi proprio per la chiarezza, l’arguta semplicità di com’è stato presentato alla quale si deve aggiungere la perfetta scelta dei disegni di Roberta Guardascione, tanto suggestivi e ben fatti che mi sono permesso di chiederne una copia da conservare nel mio archivio, congratulazioni vivissime all’autrice amante del blu. Il gruppo Fcebook di Roberto poi, «La Biblioteca del Cinefilo», è una miniera di confronti e d’informazioni, libera espressione di chi vuole postare le proprie idee, i propri mirabilia, insomma discutere con altri «alieni» il proprio mondo che è anche quello stesso in cui vivono.

    Insomma, un mondo apparentemente semplice che ha però molte sfumature e opere come questa sua sono dei parametri con la quale tutti dovrebbero confrontarsi: esperti o semplici appassionati e se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni, è che non puoi mai essere un «portatore di verità» perché ne esistono infinite, tante quasi come le stelle dell’universo, quell’universo inteso come tale e come idee, che sono in realtà parte di noi, dei nostri mondi e del nostro modo di essere. Il tempo ti è amico, Roberto, continua così. Per quello che vale, hai la mia benedizione.

    Giovanni Mongini

    Michele Tetro (Novara, 1969) è uno scrittore, giornalista e storico del cinema. Ha pubblicato, tra le altre cose, diversi racconti di fantascienza su varie riviste e antologie ed è tra gli autori dei volumi di saggistica cinematografica Il grande cinema di fantascienza, Vol. 1 e 2 (Gremese Editore), Mondi paralleli-Storie di fantascienza dal libro al film (Della Vigna Editore), Guida al cinema di fantascienza (Odoya Editore).

    Giovanni Mongini (Quartesana, 1944), è uno scrittore, produttore, saggista, critico e storico cinematografico di fantascienza. Si è dedicato alla fantascienza fin da giovane; i suoi interessi hanno da sempre spaziato dal cinema alla narrativa, ma è con la prima, il cinema, che ha trovato il grande successo che l’ha portato ha ricevere numerosi riconoscimenti e premi del settore. Ha pubblicato narrativa con Perseo Libri, Dalla Vigna e Edizioni Scudo e numerosi volumi di saggistica cinematografica tra cui Storia del Cinema di Fantascienza in due volumi (Fanucci Editore, 1976), George Pal, il Conquistatore delle stelle con Luigi Cozzi (Nebula Film Editrice, 1979), Storia del Cinema di Fantascienza in undici nuovi volumi curati assieme alla figlia Claudia (Fanucci, 1999), La Fantascienza sugli Schermi (Perseo Libri, 2002), Quando al cinema c’è Star Trek (Elara, 2008), Quando al cinema c’è Star Wars con Nicola Vianello (Della Vigna Editore, 2011), L'universo in celluloide tra scienza e fantasia. Il cinema di fantascienza tra stelle e pianeti (Della Vigna Edizioni, 2015), La fantascienza su Internet in due volumi con la moglie Manuela Menci (Della Vigna Edizioni, 2017), Chi li ha visti, B-movie di fantascienza dimenticati in quindici volumi (Edizioni Scudo, 2017-2018).

    Introduzione

    di Roberto Azzara

    Il piccolo saggio che vi apprestate a leggere prende in esame un periodo del XX secolo, spesso mitizzato, la fine degli anni Settanta e tutti gli Ottanta, e un genere cinematografico, la fantascienza, che proprio in quel periodo raggiunge una popolarità mai toccata prima. Lo scritto non ha ambizione di essere né completo né tassonomico, ma vuole solo fare una panoramica di quella che è stata la produzione cinematografica di quell’epoca.

    Parlando di fantascienza cinematografica, il primo quesito da risolvere riguarda quali film devono essere inclusi nella definizione del genere. Per fantascienza cinematografica s’intende il cinema che non si limita a riprodurre l’esistente e il reale, ma che crea nuovi mondi e nuove coordinate spazio/temporali in cui svolgere la narrazione. Nella fantascienza la realtà è indagata e sviluppata in modo da apparire plausibile, fino a toccarne o superarne i margini. Può essere una celebrazione della scienza e delle sue applicazioni ma anche una critica alla scienza stessa e a certi limiti che non andrebbero superati. Nel primo caso si avranno film che mostrano le meraviglie della tecnologia, nel secondo cupe distopie. La maggior parte delle opere mantengono un equilibrio fra le due concezioni, affermazione e negazione della scienza allo stesso tempo. Parlando di margini, quelli della fantascienza appaiono sfocati. Da un lato ci sono i film dove l’aspetto fantascientifico è rappresentato dal solo surplus tecnologico rispetto a quello attuale, tipico ad esempio di certi thriller hi-tech o dei gadget tecnologici di certi film di spionaggio (per esempio, quelli dell’agente 007). Dall’altro può nascere (e nasce) una certa confusione tra ciò che è fantascientifico e ciò che è fantastico in senso lato. Il fantascientifico deve giustificare, anche se in modo fantasioso e improbabile, le proprie trovate tecnologiche con la meccanica, l’elettronica e l’informatica, della medicina, quelle scientifiche con la fisica, la chimica e la biologia, quelle sociali con economia, la politica e la sociologia. Il fantastico non si pone questo problema, potendo trovare spiegazioni nell’ambito della magia, dei miracoli e degli incantesimi. Può capitare che in alcuni film questa distinzione sia sfumata, ma si tende a considerarli comunque film di fantascienza. D’altronde, come disse il famoso autore di fantascienza Arthur C. Clarke, «Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia».

    Il film di fantascienza può essere ambientato nel presente, nel passato o, più frequentemente, nel futuro. Dal punto di vista della plausibilità, quelli ambientati nel futuro appaiono paradossalmente più realistici. Questo perché più lontano nel tempo è visualizzato l’elemento esotico, più possibilità ci sono perché questo appaia verosimile agli occhi dello spettatore. Il passato e il presente sono, invece, presumibilmente già noti allo spettatore o soggetti a indagine degli stessi, rendendo perciò più difficile ma non impossibile, la sospensione dell’incredulità. Stesso discorso vale per il luogo dove storia è ambientata, un fenomeno straordinario appare più probabile nelle profondità dello spazio o su mondi lontani, piuttosto che sulla Terra, rispondendo all’as-sioma che ciò che impossibile qui potrebbe non esserlo altrove.

    Roberto Azzara

    Dedicato a Lorena, Alessandro e Ambra, le mie colonne portanti.

    Un grazie particolare a Giovanni e Michele, miei maestri e numi tutelari.

    E grazie anche a Claudio e a tutta L’associazione culturale Electric Sheep Comics per avermi dato quest’opportunità.

    Last but not least, un grazie anche a Roberta per i magnifici disegni che poi sono il motivo principale per cui qualcuno potrebbe voler acquistare quest’opera.

    In principio…

    La fantascienza fa capolino nel cinema sul finire del XIX secolo, quasi in contemporanea della nascita della settima arte. D’altronde se il cinema è illusione, la fantascienza ha la prerogativa di portare questa illusione all’estremo senza per questo rinunciare a toccare temi seri e importanti.

    Il 1895 è ufficialmente considerato l’anno di nascita del cinematografo, anche se i loro inventori, i fratelli Lumière, non capirono immediatamente le potenzialità del nuovo mezzo, limitandosi perlopiù a intrattenere il pubblico con proiezioni di filmati che registravano l’esistente senza finzioni. È comunque a loro che si deve probabilmente il primo film di fantascienza della storia del cinema. Nel corto umoristico La Charcuterie mécanique del 1895 immaginarono, infatti, un macchinario in grado di trasformare un maiale in una serie di prodotti finiti, come salsicce e costolette.

    Negli stessi anni, fu un altro francese a intuire sin da subito la possibilità di utilizzare le immagini in movimento per raccontare delle storie e provocare nel pubblico meraviglia e stupore: George Méliès. Egli capì che era possibile creare illusioni manipolando la pellicola in fase di montaggio, creando così un primo abbozzo di effetti speciali che tanta importanza avranno nello sviluppo della fantascienza cinematografica. Fu grazie alla sua intraprendenza e al suo entusiasmo che re-immaginò i viaggi straordinari di Jules Verne o i romanzi scientifici di H. G. Wells, per citare i più importanti esponenti della letteratura d’anticipazione coeva, in una serie di pellicole che ancora oggi non hanno perso il loro fascino.

    Con Méliès si ha la nascita della fantascienza cinematografica, prima ancora che il termine fantascienza sia coniato per indicare questo genere narrativo. Il termine inglese per definire il relativamente nuovo genere, Science Fiction (contratto in seguito in Sci-Fi o SF), vide, infatti, la luce nel 1926, grazie all’editore e scrittore Hugo Gernsback, mentre quello italiano cominciò a circolare nel 1952, attribuito a Giorgio Monicelli, fondatore della celebre collana di romanzi Urania. L’esempio di Méliès fu seguito da molti altri cineasti, iniziando così un’epopea che continua ancora oggi e che ci ha mostrato mondi lontani, terribili e meravigliosi, oppure senza allontanarsi dalla nostra roccia, sviluppi sociali e tecnologici auspicabili o meno, cercando di dare risposte a domande non ancora poste.

    La storia del cinema di fantascienza parte quindi da lontano. Col tempo, com'è successo a tutti gli altri generi cinematografici, ha sviluppato i propri schemi narrativi e i propri codici, poi li ha rigenerati e riscritti, contaminandoli con altri, rinnovandosi ed evolvendosi fino a diventare quel gran contenitore dell’immaginario che è oggi.

    La seconda età dell’oro della fantascienza cinematografica

    Mai il cinema di fantascienza ha toccato un successo di pubblico e di critica così elevato prima degli anni che vanno dal 1977 al 1989. Per questo motivo il periodo è, a buona ragione, considerato come una seconda età dell’oro del genere dopo quella degli anni Cinquanta, decennio in cui visse un grande periodo di fioritura sia per quantità e qualità delle pellicole prodotte, sia per varietà dei temi trattati. Seppur snobbato e relegato spesso nei circuiti dei drive-in, la fantascienza fifties riscosse, infatti, enorme fortuna e regalò alcuni dei più grandi e seminali capolavori del genere ancora oggi ricordati, citati e spesso sottoposti a remake.

    La fantascienza cinematografica raggiunse la piena maturità nel decennio precedente, tra la metà degli anni Sessanta e gli anni Settanta, e film come 2001: odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, Stanley Kubrick, 1968) e Solaris (Soljaris, Andrej Tarkovskij, 1972) ne rappresentarono l’apice. Questo anche grazie alla politica di accreditamento del genere nel consesso culturale cosiddetto alto portato avanti da cineasti, quali appunto Kubrick e Tarkovskij ma anche dai francesi Jean-Luc Godard (Agente Lemmy Caution: missione Alphaville, Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution, 1965) e François Truffaut (Fahrenheit 451, 1966), cui era riconosciuto lo status di artisti. La cosa fece anche acquisire importanza al genere agli occhi delle grandi case di produzione e delle grandi star di Hollywood che iniziarono a nobilitarlo con la propria presenza. Dal 1977 questa popolarità si espande in maniera tale da riuscire a piazzare diversi titoli ai primi posti del box office dell’epoca e da creare alcune delle icone cinematografiche che ancora oggi resistono al passare del tempo: Luke Skywalker, Darth Vader e i loro duelli a colpi di spade laser; i diafani alieni di Spielberg; Deckard e il replicante Roy sotto la pioggia; l'inarrestabile Terminator di Arnold Schwarzenegger; Jena Plissken; Mad Max; Doc Brown, Martin e la DeLorean; Ripley con un fucile su un braccio e una bambina sull'altro contro la regina aliena; ET «telefono casa»; RoboCop «vivo o morto, tu verrai con me!»; la metamorfosi di Jeff Gold-blum e quelle della Cosa nella base artica; i vermi di Dune; il Predator con i capelli stile rasta... È ovvio che gli appassionati e i seguaci del genere c’erano anche prima del periodo in esame, ma senza film come i vari Guerre stellari, E.T. l'extra-terrestre, Ritorno al futuro, Terminator e molti altri, la grande massa degli spettatori mainstream difficilmente avrebbe rivolto lo sguardo verso il genere.

    A realizzare questi successi è stata una nidiata di giovani cineasti cresciuti frequentando drive-in, sale cinematografiche di seconda visione e leggendo racconti fantastici sulle riviste popolari negli anni Cinquanta e Sessanta, rispondenti ai nomi di Stephen Spielberg, George Lucas, John Carpenter, James Cameron, David Cronenberg, Joe Dante e altri, grandi appassionati del fantastico e con una gran voglia di sdoganarlo dalla serie B in cui era relegata. Una generazione appartenente alla cosiddetta New Hollywood che tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta rivoluzionò il modo di fare cinema in America, smuovendo il sistema dalle fondamenta e rinnovandone i temi, i generi e gli aspetti formali. Bisogna però ricordare che molti di questi autori, negli anni Ottanta, diventarono a loro volta parte del nuovo sistema. Passarono cioè da registi di rottura, come erano considerati inizialmente Spielberg e Lucas per esempio, a produttori di kolossal e blockbuster, diventando espressione di un potere contro cui loro stessi si erano, per così dire, posti in antitesi.

    Il 1977 segna quindi la reinvenzione del genere che prevalentemente non racconta più storie dalle forti componenti politiche, filosofiche o sociali così come faceva in precedenza, soprattutto negli anni Settanta. Le trame diventano meno complesse e abbandonano, tranne che in rare eccezioni, la matrice letteraria di derivazione in favore di storie originali dove prevalente è l’aspetto visivo e la potenza delle immagini. Il genere s’ibrida con l’horror, il noir, il fantasy e la commedia. Da genere rivolto a un pubblico adulto, adesso mira principalmente al coinvolgimento di un’audience adolescenziale. Intrattenimento popolare principalmente di pura evasione, questo è il cinema dei vari Spielberg, Lucas, Dante o Zemeckis. Con loro si ha l’ingresso dell’estetica del B-movie nel cinema delle grandi produzioni. A controbilanciare in parte questa tendenza, il cinema più intellettuale, ma con minor successo commerciale, di Carpenter, Cronenberg o Verhoeven. Più indipendenti e, per forza di cose, con disposizione di budget più poveri. Fautori di un cinema estremo e meno mainstream, capace di attirare comunque negli anni un folto numero di appassionati che hanno eletto i loro film al rango d’indiscussi cult.

    Componente importante del ritrovato successo commerciale, è il notevole sviluppo nell'ambito delle tecnologie degli effetti speciali (tra cui l’animatronica e la nascente Computer Grafica), il cui uso non sarà più appannaggio di alcuni grandi e dispendiosi film, ma si estenderà alla media delle produzioni dell’epoca, trasformando in una vera e propria industria quello che prima era puro artigianato e cambiando per sempre, non solo nell’ambito del genere, l’immaginario mostrabile sullo schermo. Basti pensare alle metamorfosi in presa diretta di film come La cosa di John Carpenter (The Thing, 1982) o La mosca di David Cronenberg (The Fly, 1986) o alle perfomance degli xenomorfi della saga iniziata con Alien di Ridley Scott (1979). Ciò avrà come conseguenza che anche film mediocri otterranno ottimi risultati commerciali, proprio in virtù della presa che gli strabilianti effetti speciali avranno sul pubblico, e che porterà al progressivo diradarsi e alla quasi scomparsa della fantascienza cinematografica cosiddetta impegnata.

    Gli anni trattati, oltre ai grandi incassi, sono segnati anche da clamorosi e inaspettati flop al botteghino. Lo stesso film di culto degli anni Ottanta, Blade Runner di Ridley Scott (1982), non fu certo un successo commerciale, anche a fronte dei mezzi investiti nel progetto (riuscì a coprire le spese solo con le riproposizioni successive). Significativi poi gli insuccessi commerciali di film come il già citato La cosa di Carpenter e Dune di David Lynch (1984), che non ha comunque impedito loro di assurgere allo status di cult movie negli anni avvenire. Denominatore comune di queste pellicole è la base letteraria da cui prendono spunto, quasi a confermare quanto scritto prima e a dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, che il pubblico del cinema di fantascienza è più numeroso dei fruitori abituali della fantascienza scritta.

    Riferendoci alla fantascienza del periodo in esame, parleremo sostanzialmente di cinema hollywoodiano, perché la filmografia del genere, a parte qualche eccezione, è principalmente americana ed è comunque guardano a essa, nel bene o nel male, che si sono rifatte le produzioni degli altri paesi. Dopo i fasti degli anni passati, la fantascienza cinematografica britannica vive un periodo di appannamento. In Italia si sviluppa ulteriormente un cinema derivativo che cerca di sfruttare temi e filoni dei film stranieri di successo, ma con molti meno mezzi economici e produttivi. La Francia ha visitato il genere già negli anni passati (dopo averlo dato alla luce con Méliès) con film sperimentali, ma negli anni Ottanta deve ancora esplodere il fenomeno Besson, che muove i primi passi in quella direzione proprio in questo periodo. Nei paesi dell’Europa dell’Est, Unione Sovietica in testa, il genere rifugge la spettacolarità tipicamente americana e usa la fantascienza come metafora psicologica e introspettiva. Emblematiche sono le pellicole anti-spettacolari del russo Tarkovskij (Solaris, 1972 e Stalker, 1979). Qualche novità arriva dall’Australia, soprattutto con la trilogia post-atomica di Mad Max di George Miller.

    In definitiva, quegli anni sono stati un passaggio fondamentale per la fantascienza cinematografica. Soprattutto negli adolescenti di allora, nel periodo della consapevolezza e del consolidamento dei gusti e delle preferenze, hanno lasciato un notevole imprinting. Cercando però di esaminare il periodo senza le lenti della nostalgia per degli anni spesso mitizzati, c’è comunque da dire che, come per gli altri ambiti artistici e culturali, gli anni Ottanta hanno rappresentato per il cinema fantastico un’epoca di cambiamento e di grande successo commerciale, ma anche l’inizio di un declino contenutistico che ha portato il genere a essere associato principalmente agli ipertrofici blockbuster hollywoodiani dei decenni successivi.

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