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IRA: A Deadly Sins Novel Vol. 2
IRA: A Deadly Sins Novel Vol. 2
IRA: A Deadly Sins Novel Vol. 2
E-book298 pagine4 ore

IRA: A Deadly Sins Novel Vol. 2

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Info su questo ebook

Qualcuno sostiene che aggrapparsi alla collera sia come bere del veleno e poi aspettarsi che sia l’altra persona a morire. Io lo faccio comunque e lascio che pian piano mi consumi divorando tutto ciò che sono; al contempo però combatto, per nascondere al mondo tutto ciò che di brutto c’è di me.
Continuo così finché non la incontro.
Lei è come un balsamo rinfrescante per ciò che mi affligge; lei addolcisce la collera che ruggisce dentro di me e, senza saperlo, lei sta guarendo ciò che è rotto.
Sono deciso a tenerla con me, a farla mia, ma...
Ma cosa accadrà quando vedrà il mostro sotto la superficie?
Mi resterà accanto?
E cosa farò, io, con i sussurri che tormentano la mia mente e che mi dicono che anche lei sta nascondendo qualcosa?
L’amore può essere costruito sulle bugie o le braci dei nostri segreti accenderanno le fiamme che finiranno col consumarci entrambi?

Per via del linguaggio esplicito e dei contenuti sessuali l’età raccomandata è di almeno 18 anni
LinguaItaliano
Data di uscita27 mar 2019
ISBN9788831980944
IRA: A Deadly Sins Novel Vol. 2
Autore

Jennifer Miller

Jennifer Miller is an author and journalist. Her debut novel, The Year of the Gadfly, was called "entirely addictive" (Glamour) and a "darkly comic romp” (The Washington Post). She writes frequently for The New York Times and The Washington Post Magazine. She lives with her family in Brooklyn.

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    IRA - Jennifer Miller

    Jennifer Miller

    IRA - Fighting Wrath

    A Deadly Sins Novel Vol. 2

    1

    Titolo: IRA - Fighting Wrath - A Deadly Sins Novel Vol. 2

    Autrice: Jennifer Miller

    Copyright © 2019 Hope Edizioni

    Copyright © 2015 Jennifer Miller

    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it

    Published by arrangement with Hershman Rights Management 

    Progetto grafico di copertina: Angelice Graphics

    Immagini su licenza Bigstockphoto.com

    Fotografo: StMAK | Cod. immagine: 244462366

    Fotografo: pabloi631 | Cod. immagine: 542304

    Traduttrice: Elisabetta Rindone

    Editing: Sveva Ferrettini

    Impaginazione digitale: Cristina Ciani

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale. 

    Questo libro è riservato a un pubblico adulto. Contiene linguaggio e scene di sesso espliciti. Non è adatto a lettori di età inferiore ai 18 anni. Ci si rimette alla discrezionalità del lettore.

    Tutti i diritti riservati.

    Indice

    Prologo

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

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    20

    21

    22

    Epilogo

    Hope edizioni

    A mia mamma. 

    Grazie di ricordarmi che, 

    nonostante il risultato, 

    non dovrei mai aver paura di volare.

    Prologo

    1

    TYSON

    Sto per vomitare. 

    Le mie mani tremano e il sudore mi scorre lungo la schiena, come se tutti i pori avessero scelto quel preciso momento per liberare ogni goccia di fluido presente nel mio corpo. L'aria condizionata è al massimo, ma non è d'aiuto. Contraggo e rilasso più volte le mani sul volante, e obbligo i polmoni a fare respiri profondi, cercando di riprendere il controllo.

    Continuo a riflettere su cosa può esserci di sbagliato in un'azione così semplice: accendere il motore e allontanarsi, ma ogni volta che penso di farlo, immagino il viso di mia sorella Rowan e rimango incollato sul posto. Non posso deluderla, merita di meglio dell'esistenza schifosa che stiamo vivendo, giorno dopo giorno. Ce la posso fare, dico a me stesso, posso fare qualsiasi cosa per lei.

    Dopo aver preso, per l'ennesima volta, la decisione di scendere dall’auto, ripenso a uno scenario fin troppo familiare accaduto alcuni giorni fa. Sono tornato dal lavoro e ho trovato di nuovo mia madre ubriaca e strafatta. Dopo tutto questo tempo, dovrei essermi abituato a certe situazioni, invece, anche se non riesco a capire perché, continuo a sperare in una realtà differente. Ogni volta che rientro a casa, provo un piccolo barlume di speranza prima di aprire la porta, e sistematicamente rimango deluso. Puro masochismo. Quello che davvero vorrei è piuttosto semplice: poter tornare a casa, dopo una lunga giornata di lavoro, farmi una doccia, magari trovare pronto qualcosa per cena, e poi portare il mio culo a letto. Invece ciò che mi aspetta è quel buco di merda che lei chiama casa.

    Chiudo gli occhi e rivivo nella mente la scena.

    La vista è deprimente. Sospiro e mi passo una mano tra i capelli, esasperato, prima di posare il mio borsone e chiudere la porta dietro di me. Felice che Rowan, mia sorella gemella, sia rimasta a dormire a casa della sua amica Erica, mi dirigo verso la cucina. Dopo quella volta che sono tornato a casa e ho trovato un uomo estraneo nella sua stanza che stava per farle cose che non riesco nemmeno a immaginare, sono più tranquillo quando so che non è qui, specialmente quando sono al lavoro. Dato che lei è via per la notte, potrò dormire tranquillo senza dover rimanere vigile tutta la notte.

    Un suono gutturale proveniente dall'altra stanza mi riporta al presente. Dopo aver preso una busta per la spazzatura da sotto il lavandino della cucina, ritorno in soggiorno e mi guardo intorno. Ci sono lattine di birra su ogni superficie disponibile e strisce di polvere bianca sui ripiani dei tavoli. La cara mammina è svenuta, con il corpo per metà fuori dal divano. Mi sorprende che sia sola, è raro che succeda, in genere la stanza è piena dei suoi detestabili compagni di bagordi che, o sono svegli e si stanno facendo di brutto, oppure sono accasciati accanto a lei, svenuti.

    Mentre pulisco, ripenso a mia sorella. Non so a che ora tornerà domani e non voglio lasciare tutto questo casino con il rischio che lo veda. Appena formulo il pensiero, mi sento uno stupido. So che Rowan è consapevole della triste realtà nella quale viviamo, ma io le sono affezionato e sento comunque il bisogno di proteggerla. Non m'importa di nessun altro, e visto che nostra madre non si prende cura di lei, sicuro come la morte che lo farò io. Si merita di meglio, entrambi lo meritiamo.

    Nemmeno a farlo apposta, mentre finalmente sto infilando le ultime cose nel sacco della spazzatura, mia mamma comincia ad agitarsi sul divano e a biascicare, un chiaro segno dell'entità dello stordimento. Una volta, circa un anno fa, ha avuto le convulsioni e ha emesso un suono gorgogliante come se stesse avendo un attacco epilettico, e Rowan ha iniziato a piangere dalla paura. Proprio quando ho afferrato il telefono per chiamare il 911, ha ripreso i sensi e, dopo che le abbiamo raccontato di quanto fossimo preoccupati e di cosa stavo per fare, mi ha picchiato per aver persino pensato di chiedere aiuto. Da quel momento, quando la trovo svenuta, la sistemo su un fianco così che non muoia soffocata dal suo stesso vomito, anche se, a volte, non ho idea del perché m'importi. Penso che staremmo tutti meglio se morisse, e quella è la parte peggiore. Per fortuna non manca ancora molto, tra due anni io e Rowan compiremo diciotto anni e andremo via da qui. Non vedo l'ora, cazzo.

    «Non osare lasciarmi, Bryce!» 

    Mi volto di scatto e fisso mia madre, chiedendomi che cosa diavolo stia borbottando. Data la chiarezza delle sue parole, sono sorpreso di vedere che sta ancora dormendo. Non avendo idea di chi sia Bryce, torno a dare un'occhiata intorno per assicurarmi di aver tolto tutto e chiudo la busta della spazzatura, così posso portarla fuori.

    «Fottiti» urla lei forte.

    Mi volto di nuovo e vedo che dorme ancora. Mi strofino le tempie dalla stanchezza e ho solo voglia di andare a letto a dormire. 

    Poi lei riprende a parlare.

    «Come osi lasciarmi perché sono incinta, Bryce Martin. Come osi!»

    Mi irrigidisco e lascio cadere la busta. Fisso mia madre e in silenzio prego che vada avanti, che dica qualcosa di più. Non ha mai pronunciato il suo nome - il nome di mio padre - mai. Ha da tempo messo in chiaro che anche il minimo accenno a lui è tassativamente vietato. Diavolo, anche prima che cominciasse a sballarsi tutto il tempo, non era un argomento di conversazione consentito, diventava furiosa se domandavamo di lui. Per noi era come se non fosse mai esistito, per lei era un brutto episodio da dimenticare. Ricordo ancora Rowan piangere e urlare perché desiderava che nostro padre fosse disponibile a partecipare al ballo padre/figlia della scuola; tutto quello che voleva era che si presentasse alla porta e la venisse a prendere, in modo che potesse essere come tutte le altre bambine. Si era attaccata a quella speranza per tutta la sera, finché il ballo non era finito. Avevo provato a distrarla con dei giochi - Mangia Ippo era il suo preferito - ma niente aveva funzionato, e mamma, be', aveva confortato sua figlia facendo un casino del diavolo, urlandole contro e dicendole di stare zitta, di smetterla di piangere e frignare per un padre che non l'aveva mai voluta e mai amata. 

    Il giorno successivo a quella specie di involontaria confessione, appena mia madre esce per andare a sbronzarsi, decido di fare delle ricerche. Rovisto nei cassetti, negli armadi, nel cassettone, ovunque. Non so quanto tempo ho a disposizione, ma provo a essere meticoloso, cercando di rimettere tutto a posto, nello stesso modo in cui l’ho trovato. Faccio centro quando, durante una seconda ricerca nell’armadio, trovo una scatola sul fondo, nascosta sotto mucchi di vestiti e scarpe.

    So che è ciò che cerco. Aprendola con mani tremanti, emetto un respiro che non sapevo neanche stessi trattenendo. Nascosti sotto una pila di carte, ci sono i nostri certificati di nascita, e tante fotografie di mia mamma con un uomo che vedo ogni volta che mi guardo allo specchio. Dove i nostri lineamenti sono spigolosi, quelli di Rowan, in qualche modo, risultano essere più delicati.

    È innegabile che l'uomo ritratto sia nostro padre. Sotto le foto ci sono dozzine di lettere scritte a lui da mia mamma, contrassegnate con la dicitura 'rispedite al mittente'. Provo ad aprirne qualcuna, scoprendo che sono tutte varie versioni di lei che lo implora di tornare, che lo minaccia di fargli causa per il mantenimento dei bambini e, le più difficili da leggere, quelle in cui gli dice che si sbarazzerebbe di noi se lui decidesse di ritornare. Leggere quelle parole, conferma tutto ciò che ho sempre pensato, ossia che siamo delle enormi seccature per nostra madre, ma è diverso vederle scritte nero su bianco, fa ancora più male. Un coltello affilato penetra nel mio cuore, finché la lama che si contorce non risveglia ogni sentimento negativo che ho provato nei suoi confronti e la rabbia sale potente come mai prima. È incredibile che non abbia abbandonato me e Rowan anni fa, e il fatto che siamo sopravvissuti fino all'età di sedici anni è un notevole successo. Il ricordo di ogni abbandono e abuso subiti genera in me una ridda di emozioni incontrollabili. 

    Con grande sorpresa, dopo intense ricerche al computer e grazie all'aiuto di un mio amico bravo in queste cose, scopro che Bryson Martin vive in California, in una città non lontana da qui. La mia prima reazione è un senso di nausea; come può vivere così vicino a noi senza aver mai cercato di contattarci? Poi mi chiedo se per caso mia madre non abbia mentito tutto il tempo. Forse lui, per qualche ragione, pensava che non fossimo figli suoi? Forse non sa nemmeno di noi? Visto che tipo di donna è mia madre, non mi sorprenderebbe se l'avesse abbandonato lei e fosse quello il motivo per cui lui non ci ha più cercato. Può essere così diversa adesso da come era allora?

    Qualsiasi sia il motivo, so che ho bisogno di scoprirlo. Se esiste anche una remota possibilità che lui possa aiutare Rowan e me, allora devo provare. Quindi, nonostante i sentimenti contrastanti che sto provando, devo farlo. Affronterò l'uomo che ci ha lasciato indietro senza voltarsi. Vale la pena farlo, per lei.

    Torno al presente, sono passati solo pochi giorni da quando mia madre ha borbottato le parole che probabilmente stanno per cambiare la mia vita. Credo che una parte di me si aspettasse di sentirsi meglio solo per il fatto di conoscere quel nome, invece la consapevolezza ha solo aumentato il desiderio di saperne di più. È tempo di avere le risposte alle mie domande.

    Facendo un respiro profondo, mi strofino il viso e poi esco dalla macchina. Mentre lentamente cammino verso l'entrata della casa di mio padre, osservo la perfetta villetta blu da cartolina con tanto di staccionata bianca. Le persiane sono anch'esse bianche, e ha persino un'altalena sul portico. Le mie ginocchia stanno tremando così forte che mi sorprende non stiano sbattendo tra loro. Stringendo i pugni, mi costringo a continuare a mettere un piede davanti all'altro, facendo un piccolo passo alla volta. Nella mente evoco l’immagine del viso di mia sorella ed è l'unica motivazione di cui ho bisogno.

    Vengo colto di sorpresa quando la luce di una finestra si accende sul davanti della casa, e mi fermo. Un bambino e una bambina entrano nella stanza e posano qualcosa sul tavolo, li segue una donna sorridente con dei bei capelli castani. Accarezza il maschio sulla testa mentre gli passa accanto e, quando si siede, sorride a chi presumo debba essere sua figlia. Osservando l’intimità di quella scena familiare, penso che forse ho sbagliato casa e, per un instante, considero l’idea di voltarmi e andarmene.

    Almeno finché lui non entra nella stanza. Inspiro bruscamente mentre lo guardo posare un grande piatto sul tavolo e dire qualcosa che fa ridere tutti.

    Devo essermi mosso in qualche modo, perché improvvisamente lui volta la testa verso di me e io mi blocco come uno stupido. Sono abbastanza vicino perché i miei occhi possano entrare in contatto con i suoi. Lui si acciglia, muove la bocca e si alza all'improvviso. Se qualcun altro sta guardando nella mia direzione, non ci faccio caso, tutto ciò che vedo è lui.

    Di colpo la luce del portico si accende e io mi trovo a sbattere gli occhi, abbagliato. Mio padre, l'uomo che ho sognato a occhi aperti per molte ore, è in piedi di fronte a me. Infiniti scenari di lui che ci salva e ci porta via, scorrono velocemente nella mia mente e mi sento sopraffatto, incapace di parlare. La luce brillante alle sue spalle mi impedisce di distinguere i suoi lineamenti e lo fa davvero assomigliare all’eroe che ho visto innumerevoli volte nei miei sogni. 

    Ma capisco subito che quella luce intensa, che a prima vista sembrava quasi angelica, è solo una maschera. Nasconde per pochi istanti la realtà delle cose, ma subito dopo la verità mi viene sbattuta in faccia con una crudeltà brutale che non mi aspettavo. 

    Un momento decisivo per la mia vita, la ragione per cui la mia rabbia costante sarebbe diventata qualcosa di più.

    1

    1

    TYSON

    Quando un pugno impatta sulla mia guancia destra, il dolore esplode, facendomi contrarre lo stomaco per la nausea. Ingoio il sapore amaro che subito mi sale in gola, vomitando imprecazioni dalla bocca mentre il sangue mi gocciola sul mento. Faccio del mio meglio per muovere velocemente i piedi e sollevare le mani per parare un altro colpo, ma mi raggiunge lo stesso allo stomaco e, per un momento, mi toglie il respiro. Cercare di utilizzare il mio precedente allenamento nell'MMA un po' mi aiuta, ma per altri versi è dannatamente inutile, perché questo non è per niente la stessa cosa. È un combattimento brutale, sporco e senza regole.

    Sono scalzo e a torso nudo, il cemento freddo sotto i piedi e l'aria che mi sfiora la pelle nuda mi mantengono vigile. Sbatto le palpebre per allontanare il sudore dagli occhi, e mi asciugo il naso velocemente con il dorso della mano. Le urla e il tifo del consistente gruppo di persone che ci circonda mi arriva smorzato, solo occasionalmente una voce emerge qua e là.

    «Sì! Così Randy! Buttalo giù, cazzo» grida qualcuno al mio avversario, ma io lo ignoro. Li ignoro tutti.

    Il colpo successivo che ricevo è un calcio al fianco che si diffonde come un’onda fino alle dita dei piedi, e devo concentrarmi per evitare di cadere sulle ginocchia mentre il dolore mi attraversa il corpo come una scossa. Un ronzio lento si fa strada nelle mie orecchie, e io stringo i denti cercando di reagire. 

    Conosco ciò che sta per arrivare. È solo questione di tempo, ma arriverà, e la verità è che non sono nemmeno sicuro del perché la combatto. Ultimamente, sembra sempre meno importante arginarla.

    La rabbia.

    No, mi correggo, non è solo rabbia. Questa definizione non è profonda abbastanza, vasta abbastanza per rendere conto di quello che provo. La rabbia è una spiegazione troppo semplice e non si avvicina nemmeno lontanamente alla sensazione che provo. L’onda che monta dentro di me può essere descritta solo come furore, parte dalle viscere e all’improvviso esplode con un calore così intenso che mi consuma pian piano. Mi fa allargare le narici e fare respiri corti, digrignare i denti e serrare i pugni. Credo che si possa paragonare a un fiammifero che viene acceso, un bastoncino di legno all'inizio completamente statico, almeno finché non colpisce la superficie ruvida e si infiamma. È selvaggio e di una bellezza incredibile, ma può facilmente andare fuori controllo, soprattutto se alimentato.

    È violento.

    Incontrollabile.

    Gli occhi del mio avversario incontrano i miei e all’improvviso si spalancano di fronte allo sguardo feroce che prima era assente, come se vedesse finalmente il vero me. Quando combatto, il mio avversario non ha importanza, è una faccia qualunque, un lottatore a caso. Quello che sento non è diverso da quello che prova una prostituta che adesca il decimo cliente della giornata. Per lei, come per me, rappresenta solo un mezzo per fare soldi. Però, oltre ai soldi, la ragione per cui accetto di combattere, il motivo che nessun altro conosce tranne me, è che io ne ho bisogno. È uno sfogo, il modo che uso per liberarmi, almeno per un po', dalla rabbia intensa che mi porto dentro. 

    È la mia terapia.

    Ora sì che mi sento bene, incazzato e pronto a finire questa fottuta danza, mentre la faccia del mio avversario diventa quella delle persone del mio passato. Visi che mi deridono, facce che mi perseguitano.

    Vedo l'insegnante che mi ridicolizzava in classe di fronte ai miei compagni, sminuendomi, imbarazzandomi, e trattandomi come la spazzatura che credeva io fossi. Opinione non smentita dal comportamento umiliante che mia madre teneva in pubblico.

    Vedo il mio vecchio datore di lavoro all'autolavaggio che mi prendeva di mira quando ero solo un adolescente vulnerabile. Ancora una volta, riesco quasi a sentire le sberle sul collo che mi rifilava quando non mi muovevo abbastanza veloce per i suoi gusti. Altre volte, i colpi arrivavano quando mi presentavo tardi al lavoro, di solito a causa di mia madre, o perché ero in ritardo da scuola. Non importava, non veniva mostrata nessuna indulgenza, né perdono.

    La faccia successiva che visualizzo è quella dello psicopatico pervertito che una sera ho allontanato fisicamente dalla stanza di mia sorella Rowan, mentre nostra madre era svenuta a causa di alcool e droga. Il pensiero di quello che probabilmente le avrebbe fatto se non fossi arrivato in tempo, mi ha procurato incubi per anni. 

    E infine, vedo mio padre. L'uomo che mi ha rifiutato... ci ha rifiutato. L'uomo che avrebbe dovuto essere lì per proteggerci, per portarci via da tutto, ma che invece ci ha abbandonato ed è andato avanti con una nuova famiglia.

    Il fuoco adesso è ben alimentato. Non vedendo nient'altro che rosso, inspiro profondamente e, mentre butto fuori l'aria, perdo completamente la testa. I colpi fulminei e veloci che dirigo sullo stomaco del mio avversario lo prendono di sorpresa, ma sono niente paragonati alla bomba che sgancio sulla sua faccia priva di protezione. Cade e tutto ciò che riesco a sentire, tutto ciò che riesco a provare, è un ruggito nelle mie orecchie. Nelle mie vene scorre un fuoco cremisi e le voci nella mia testa mi dicono di colpire forte, calciare forte. Voglio mostrargli come ci si sente, voglio far vedere a tutti come ci si sente. L'odio è diventato un sesto senso e gli lascio prendere il controllo, fanculo, gli do il benvenuto, e picchio a sangue l'uomo di fronte a me, mentre la folla intorno a noi impazzisce facendo il tifo e chiedendo sempre di più.

    A un certo punto, due uomini mi afferrano da entrambi i lati e rapidamente mi allontanano da lui. Ruggendo di rabbia, mi libero dalla loro presa e mi muovo di nuovo verso Randy. Mettendomi a cavalcioni sul suo corpo, piego il braccio all'indietro per allungare un altro pugno, ma prima che ci riesca vengo ancora una volta tirato via.

    «Basta» urla una voce direttamente nel mio orecchio. «Basta Tyson, è giù, hai vinto. Datti una regolata, cazzo!»

    Respirando pesantemente, saltello sul posto facendo del mio meglio per scuotermi di dosso la furia che sto provando. Batto rapidamente le palpebre e il rosso comincia a scomparire dal mio campo visivo, mentre il mio corpo inizia a tremare per effetto dell'adrenalina.

    Una voce grida: «Gente, il vincitore stasera è Ty-Ty-Ty-TYSON! Se avete scommesso contro di lui, mi dispiace per voi. Pagate, perdenti. Se avete puntato in suo favore, congratulazioni, avete scelto bene, godetevi la vincita. Facciamo un bell'applauso al nostro vincitore.»

    Tutti esultano attorno a me e, mentre passo, la gente si complimenta dandomi pacche sulla schiena. Ignorandoli, mi faccio condurre via, finché una mano sul mio braccio mi blocca, affondandomi le unghie nella pelle. 

    «Grande combattimento stasera, Tyson. Vuoi andare da qualche parte più tardi? Possiamo festeggiare quando finisco di lavorare.»

    Osservo il vestito indossato da Nikki, che non lascia nulla all'immaginazione, e arriccio il naso per il disgusto: «Non se ne parla.»

    Le sue mani si spostano sui fianchi e la sua testa scatta all'indietro come se l’avessi schiaffeggiata, mentre la massa dei suoi capelli neri si riversa sulle sue spalle. 

    «Sei serio? Sono venuta per vedere questo schifo nella mia pausa di lavoro.»

    Prima che possa continuare con i suoi capricci, Eli la blocca. «Non adesso.»

    Il suo tono di voce non lascia spazio ad altre discussioni e Nikki si allontana, ma non prima di avermi dato una strizzata all’inguine. 

    Non la sopporto proprio quella ragazza, siamo andati a letto insieme una volta e da allora non ha ancora capito che aria tira. Lei e le sue amiche troiette passano tutto il tempo nella palestra che frequento. Ci siamo incontrati lì, siamo usciti una sera e le cose si sono evolute. Successivamente, i ragazzi della palestra mi hanno detto che si era fatta tutti quanti, a loro non sembrava importare, e alcuni ci andavano ancora a letto, ma io ho deciso di passare. Solo che lei non ha afferrato il concetto.

    Ci facciamo strada verso il furgone di Eli, ricevendo altre congratulazioni. Quando arriviamo, apre lo sportello e tira fuori il kit di primo soccorso. 

    «Disinfettiamoci» dice.

    Il posto per il combattimento di stasera è un parcheggio sotterraneo. A quest’ora della notte, nessuno entra o esce, a parte qualche coppietta che sta cercando un po’ di riservatezza

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