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Suite 703
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E-book530 pagine15 ore

Suite 703

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Info su questo ebook

Dall’autrice del bestseller 703 ragioni per dire sì

Leggerlo sarà un piacere

Eden sta per realizzare uno dei suoi più grandi sogni: partire per New York insieme all’uomo di cui è perdutamente innamorata. Mr Damon Blake è al suo fianco e non c’è nient’altro che lei desideri. Ma proprio in aeroporto, di fronte all’entusiasmo della ragazza, Damon si lascia andare, inaspettatamente, a una confessione che getterà la dolce Eden nel panico. E lei sarà a quel punto obbligata a scegliere: accompagnarlo e scoprire tutti i segreti che le ha nascosto o andarsene e dimenticarlo.

Le lettrici di 703 ragioni per dire sì hanno scritto:

«Attenti, crea assuefazione e seria dipendenza… vorrete leggere subito il seguito...»

«L.F. Koraline è un’Autrice con la A maiuscola!»

«Signore fate largo: dopo Christian Grey e Jesse Ward arriva Damon Blake!»
L.F. Koraline
ha due grandi passioni: gli animali e i libri. Con la Newton Compton ha pubblicato 703 ragioni per dire sì e Suite 703.
LinguaItaliano
Data di uscita26 gen 2017
ISBN9788822705334
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    Anteprima del libro

    Suite 703 - L.F. Koraline

    Prologo

    È sempre la stessa storia, un copione già scritto, parole già dette, lacrime già versate.

    Non importa di chi sia la storia. Non ha importanza chi abbia scritto il copione, chi abbia pronunciato quelle parole o chi stia versando quelle lacrime.

    Un cuore spezzato fa sempre lo stesso, identico, rumore…

    Capitolo 1

    Ora posso dire di conoscere perfettamente il fragore di un cuore che si spezza.

    Riconosco il frastuono di un sogno che si disintegra e lo schiamazzo di un’anima strappata a un corpo disarmato.

    «Non posso dirti altro, Eden. Non sei ancora pronta per la verità, ma ti prego, parti con me».

    Non è bastato, non questa volta.

    La solitudine e l’angoscia sono la giusta punizione per la mia stupidità.

    Non avrei mai dovuto legarmi a un uomo che non mi amava, che non parlava di sé, che non era in grado di fidarsi di me.

    Sulla mia pelle c’è ancora il suo profumo, e negli occhi il suo sguardo.

    Mi ha seguita fino all’uscita, mi ha supplicato di restare, di non andare, di non lasciarlo, ma non ho potuto, non questa volta.

    Il mio stupido cuore ha smesso di battere nel momento stesso in cui le mie mani hanno lasciato le sue e il suo ritmo non è mai più stato regolare.

    Se solo avesse voluto parlarmi, spiegarmi.

    Se solo mi avesse amata, avrei potuto accettare qualsiasi cosa, qualsiasi assurda, patetica, banale spiegazione, ma non il nulla che mi stava offrendo.

    «Parti con me, Eden, parti con me stasera e ti prometto che presto ti racconterò ogni cosa».

    Il nulla, quei maledetti misteri, quelle frasi non dette. Il nulla.

    «Perché non mi dici subito chi diavolo sei e perché mi hai fatto una cosa del genere?».

    Non mi sono bastati i suoi occhi lucidi.

    «Non posso, non ora».

    «Perché, Damon? Dimmi perché?». Le mani intrecciate saldamente alle sue.

    «Perché ho troppa paura di perderti».

    Mi sono liberata della sua presa, dei suoi occhi, del suo profumo e sono scappata. Non c’era più nulla che potesse dire o fare per trattenermi. Non era disposto a dirmi la verità, non era disposto a buttare giù la maschera e io non potevo più accettarlo, né obbedirgli.

    Questa camera è stata il mio rifugio.

    Il silenzio e la discrezione di quest’uomo solitario sono state la mia consolazione.

    Non c’era altro posto al mondo in cui mi sarei potuta rifugiare.

    Sergio non ha chiesto spiegazioni.

    Ha aperto la porta della sua casa alla mia anima tormentata, al mio volto stremato, al mio corpo stanco.

    Nessuno sa che sono qui. Né Patty, né Marco, non lo sanno nemmeno i miei amici e soprattutto non lo sa Damon Blake.

    Lui mi chiama a ogni ora del giorno e della notte.

    John Michael Montgomery e la sua I Love The Way You Love Me sono la mia compagnia e il mio tormento.

    Mi manda messaggi d’ogni tipo, continuamente.

    Si affanna a cercare un contatto che, puntualmente, gli viene negato.

    Non era amore quello che dicevi di provare se non sei disposta a darmi un’altra possibilità.

    Questo è veramente troppo. Come può mettere in discussione il mio amore? Come può fare certe affermazioni?

    Tu sei l’ultima persona al mondo a poter parlare d’amore. Non dovresti neppure pronunciare quella parola. Non ne sei degno. Sei una persona diabolica e senza scrupoli. Ti diverti a giocare con i sentimenti delle persone. Non completerai il tuo gioco con me. È finita, Damon. Non cercarmi mai più. Non fino a quando non sarai disposto a raccontarmi tutta la verità. Voglio sapere chi sei, cosa vuoi da me e perché ti sei divertito alle mie spalle con la storia di Sean. Dirmelo non cambierà nulla, ma potrebbe aiutarti a pulirti la coscienza.

    Per la prima volta, dopo giorni di silenzio, ho dovuto rispondergli.

    Non potevo più resistere.

    Eden, ho bisogno di parlarti, di vederti. Non può finire così. Quando tutto è iniziato non avrei mai pensato di provare quello che ho provato insieme a te. Non avevo previsto tutto quello che è successo tra noi.

    Non devo e non posso cedergli. È bravo sia con le parole che con i fatti, per cui non ho la minima intenzione di fare nulla. Fortunatamente New York dista migliaia di chilometri da Roma e sono al sicuro.

    È finita, Damon. Questo è l’ultimo messaggio. Non posso fidarmi. Mi hai presa in giro. Ti sei divertito alle mie spalle Dio solo sa per quale subdolo motivo e io, come una stupida, mi sono innamorata di te. Ti dimenticherò, Damon. Ricomincerò e troverò una persona che mi ami e che mi rispetti come tu non sei mai stato in grado di fare. Buona fortuna, Sean, Damon, Mr Blake o come diavolo ti chiami.

    Non dirlo. Non pensarlo neanche. Nessuno ti metterà le mani addosso. Tu sei mia, Eden.

    La sfacciataggine di quest’uomo non ha confini. Come si permette? Davvero pensa che io sia sua e che non possa ricominciare?

    La rabbia mi divora se penso alle conversazioni con Sean. Mi consumo cercando di capire. Perché ha scelto me come vittima?

    Nella mente mille pensieri, mille possibili soluzioni, mille ipotesi per lo più irragionevoli, ma nulla che possa avere un senso logico.

    Io non sono tua. Non più.

    Sergio bussa alla porta. Vorrei fingere di dormire per restare sola, ma non è giusto.

    «Eden, tutto bene? Ho preparato la cena. Vieni a mangiare qualcosa con me?». Mi alzo riluttante e vado ad aprire.

    «Buonasera, Sergio. Mi sistemo e ti raggiungo».

    Da quella maledetta sera non sono più uscita. Passo le mie giornate chiusa in camera e solo la sera faccio un po’ di compagnia a Sergio. Spesso rimaniamo in silenzio a leggere un libro o a guardare la tv, a volte facciamo due chiacchiere.

    Ora, però, mi sento pronta per vedere Patty e spiegarle. Dopo cena la chiamerò.

    In tavola ci sono risotto ai funghi e formaggi, ma anche questa sera non ho molta fame.

    «Eden, devi mangiare. Qualsiasi cosa sia successa non vale la tua salute. Ti prego, fa’ uno sforzo».

    Voglio accontentarlo.

    Anche se esitante, inizio a mangiare, molto lentamente.

    «Hai intenzione di sostenere l’esame, Eden? Vorrei che finissi gli studi. Ormai manca poco». Mi sorride con dolcezza.

    «Sì, Sergio, sosterrò l’esame, ma ora, se vuoi scusarmi, vorrei tornare in camera. Non ho molta fame».

    Allunga la mano e prende la mia.

    «Almeno finisci di mangiare. Mi piacerebbe andare a fare una passeggiata domani. Hai voglia di fare compagnia a questo povero e triste avvocato?».

    Non merita il mio muso lungo.

    «Vada per la passeggiata insieme. Promesso». Devo uscire da questa casa.

    Per una volta penso all’unica cosa che mi renderebbe felice. Chiamare Patty. Ho davvero bisogno di lei.

    «Patty, come stai?». La sento sussultare.

    «Finalmente, amica. Pensavo ti fossi dimenticata di me, come stai?».

    Vorrei dirle che sto bene e che sono felice fra le braccia di Damon, peccato che non possa farlo.

    «Patty, ti devo parlare. È successo un fatto che non mi sarei mai aspettata e le cose non sono andate esattamente come dovevano».

    «Dimmi che sei felice a New York», chiede con tono incerto.

    «No, Patty. Non sono neppure partita. Sono a Roma».

    «A Roma? Ma che dici?».

    Non so proprio da dove iniziare.

    «Senti, Patty penso che io e te dovremmo vederci. Ci sono un sacco di cose che devo raccontarti».

    «Va bene, certo, ma dove sei? Perché non sei tornata a casa? Damon è con te?».

    Mi sale un nodo alla gola solo a sentirlo nominare.

    Non ho ancora metabolizzato la nostra rottura definitiva.

    «No, tra noi è finita».

    Dirlo ad alta voce è doloroso.

    Chiudiamo la telefonata con la promessa di vederci l’indomani.

    Il mio cellulare squilla di nuovo. Un numero privato.

    Sono tentata di non rispondere, ma potrebbe essere Patty.

    Chiama spesso in modalità anonima, dice che ai ragazzi piace.

    «Pronto».

    «Non riattaccare». Mi sento mancare. È Damon.

    Erano giorni che non sentivo la sua voce.

    «Eden, per favore, lasciami parlare». Il tono calmo, sembra triste. No, non mi lascerò incantare.

    «Che vuoi?»

    «Parlarti».

    Mi manca l’aria e ho voglia di piangere, ma devo resistere, non posso permettere che avverta la mia fragilità.

    «Penso che ci siamo già detti tutto. Addio, Damon».

    «Eden, non-mettere-giù. Ascoltami», ordina con tono imperativo.

    «Ti do due minuti, poi riattacco».

    Devo resistere.

    Peccato che la cosa sia più complicata del previsto.

    Sentire la sua voce mi turba.

    Mi sento morire.

    «Eden, dove sei? So che non sei a casa di Patty. Dimmi dove sei. Vorrei che fossi tu a dirmelo».

    «E se non lo facessi?»

    «Ti troverei, Eden, lo sai. Non sono disposto a rinunciare a te. Ho sbagliato, ho sbagliato tante cose, ma posso rimediare».

    È facile per lui parlare in questo modo, non ha la minima idea di quello che sto passando a causa sua.

    «Come pensi di rimediare? Sei pronto a dirmi tutta la verità?». Lo sento sospirare, fa una lunga pausa.

    «Se ora ti dicessi tutto ti perderei definitivamente e io non voglio perderti».

    La voce è più strozzata, ma continua ad avere un tono calmo.

    «Mi hai già persa, Damon. Non posso accettare quello che mi hai fatto».

    «Tu sei mia, Eden».

    «Non sono tua, non più», il suo respiro si fa più affannoso. Si sta innervosendo.

    Sua maestà non ama essere contraddetto.

    «Tu sarai mia per sempre. Non mi sfuggirai a lungo. Eden, torna da me o verrò a prenderti. Anche contro la tua volontà. Ho bisogno di te».

    Le sue parole mi colpiscono dritta la cuore.

    Piango in silenzio, grata del fatto che non possa vedermi.

    Oh, mio Dio quanto lo amo. Come faccio a dimenticare?

    Non riesco a rispondergli. Non so che dirgli, come controbattere.

    «Eden, so che non è finita. Non piangere».

    «Non sto piangendo», rantolo cercando di mantenere il controllo.

    «Non mentirmi. Vorrei essere lì per asciugare le tue lacrime». Non riesco più a trattenermi, comincio a singhiozzare disperata.

    «Non mi lascerò più ingannare da te».

    «Non…». Non aspetto che finisca la frase, riattacco.

    Prova a richiamarmi, non rispondo. Riprova, rifiuto la chiamata.

    Si ostina, è cocciuto come un mulo.

    Resto a fissare il soffitto per tutta la notte con il telefono spento sul petto. Non c’è pace per il mio cuore.

    Riaccendo il telefono nel cuore della notte.

    So dove sei. Speravo me lo dicessi tu. Eden, devi andare via da quella casa. Non posso accettare che tu stia lì.

    Vorrei sparire per sempre, non farmi più trovare da nessuno.

    Damon sa dove sono e la cosa mi inquieta.

    Non so fino a che punto possa spingersi la sua ossessione. Sono diventata la sua sfida, e deve avermi perché non accetta di perdere.

    Le prime luci del giorno mi rincuorano. Anche questa notte è passata e sono sopravvissuta a questo dolore nel petto.

    Mi preparo molto lentamente e quando esco di casa la luce del sole mi infastidisce.

    Sergio non ha voluto che andassi da Patty da sola e ha insistito per accompagnarmi.

    Davanti la porta di quella che è stata per qualche tempo la mia casa capisco perché non sono tornata qui l’altra notte.

    Ci sono stata con lui l’ultima volta.

    Ero felice l’ultima volta. Stavo per partire per il posto che più amo al mondo con l’uomo dei miei sogni.

    Ho il terrore di aprire la porta e sentire il suo profumo.

    So che è sciocco, ma temo che possa accadere.

    Piangere fra le braccia di Patty è un gran conforto.

    «Ora calmati e dimmi cosa è successo».

    Prendo fiato e inizio a raccontarle tutto, fin dall’inizio.

    Le racconto di Sean, delle nostre lunghe conversazioni e della gelosia di Damon nei suoi confronti.

    «Lui mi ha costretta a non sentirlo più e Sean non voleva più sentirmi perché era geloso di Damon», Patty mi guarda turbata. Tutte quelle informazioni devono averla confusa.

    «Ma avevi chiuso con Sean, no?», sorride nevroticamente.

    «Sean non esiste. Damon era Sean», confesso.

    Patty sgrana gli occhi e mi fissa a bocca aperta.

    «Cosa?».

    Solo parlarne mi fa impazzire di rabbia.

    «Damon mi ha contattata due mesi prima che piombassi nel suo ufficio, e non è stata una coincidenza».

    «Ma… Com’è possibile?», balbetta con lo sguardo smarrito.

    «È quello che mi chiedo anch’io. Non so cosa sia successo. Non so come sia potuto accadere e Damon non vuole dirmelo. Dice che se me lo raccontasse ora rischierebbe di perdermi per sempre». Non le dico delle liste, della dipendenza sessuale, degli strani gusti di Damon, del patto di Mefisto e della scatola Voodoo.

    Tutto questo non ha niente a che fare con la storia di Sean e neppure con la nostra separazione, almeno spero.

    «Ma ti ha cercata? Hai chiesto spiegazioni?», chiede con lo sguardo smarrito, ma il suo atteggiamento ha qualcosa di strano.

    La conosco abbastanza per capire che c’è qualcosa che non vuole dirmi.

    «Mi chiama e mi scrive continuamente, ma non è disposto a darmi spiegazioni esaustive e io sono stufa delle sue mezze verità. Questa volta deve cedere lui».

    Gli occhi mi bruciano e mi sento molto debole, vorrei solo addormentarmi e dimenticare tutta questa storia.

    «Eden, io non volevo dirtelo, ma penso che a questo punto tu debba saperlo».

    Fisso il mio sguardo accigliato sul suo sguardo timido e dimesso.

    «Cosa devi dirmi, Patty?».

    Immaginavo che c’era qualcosa dietro quello sguardo colpevole.

    «Sapevo che non eri partita. Damon Blake mi ha chiamata la stessa sera in cui l’hai lasciato», fa una pausa. Avverto il suo disagio.

    «Che diavolo stai dicendo? E perché non mi hai detto nulla? Perché non mi hai cercata?».

    Deglutisce e mantiene lo sguardo basso.

    «Perché ho avuto paura. Damon era furioso. Mi ha chiesto se fossi tornata a casa e quando gli ho detto di no è andato su tutte le furie e mi ha ordinato di non cercarti. Mi ha chiesto di starti lontana».

    Questo è davvero troppo per me. Come può aver fatto una cosa del genere?

    «E tu perché gli hai dato retta? Non ti importava di sapere dov’ero? Come stavo?»

    «Io sapevo dov’eri. È stato Damon a dirmelo, quella sera stessa. Sapevo che eri da Sergio e che rifiutavi le sue chiamate. Mi ha chiesto di non intromettermi. Mi ha detto che lui vegliava su di te e che non avrebbe mai permesso che ti succedesse qualcosa».

    Non riesco neppure a piangere.

    «Avresti dovuto cercarmi, avresti dovuto pensare a me invece che dare retta a quel pazzo, maniaco, tiranno di Damon Blake».

    Il suo viso si piega in una smorfia di dispiacere.

    «Eden, non sapevo cosa fare. Da un lato mi sembrava che volesse proteggerti e che sapesse già come venire a riprenderti, dall’altro avevo paura che volesse cercarti per ammazzarti. Davvero, non sapevo che fare e nel dubbio non ho fatto nulla. Mi chiama ogni giorno. Mi ha chiamata anche questa mattina e mi dice sempre che è tutto sotto controllo, che stai bene e che presto uscirai da quella casa».

    Quell’uomo è un folle. Mi sento braccata, indifesa.

    «Patty, ti perdono solo perché so come ci si sente sotto la pressione psicologica di Damon. Posso immaginare come sia stato in grado di farti il lavaggio del cervello».

    «Eden, credimi se ti dico che per la prima volta nella vita non ho pensato con la mia testa. Quell’uomo è in grado di annullare la personalità e le convinzioni della gente».

    «So benissimo di cosa stai parlando».

    Non c’è modo di spuntarla con lui.

    Mi guarda smarrita.

    Non posso rimproverarle nulla, posso solo invitarla a stringermi forte. Ho bisogno di un suo abbraccio.

    Lei è il mio rifugio. Devo tornare a vivere in questa casa.

    Stiamo per uscire dalla camera quando sentiamo suonare.

    Patty si precipita a rispondere, spera che sia Marco. Gli ha proposto di studiare insieme.

    «Eden, è Sergio, sta salendo».

    Entra di corsa e si richiude la porta alle spalle.

    «Sergio, tutto a posto?»

    «Tutto a posto. Volevo solo assicurarmi che stessi bene e che non avessi bisogno di me».

    «Ero qui in casa, cosa mai poteva succedermi?».

    La sua eccessiva apprensione mi preoccupa, temo che viva con troppa ansia il nostro rapporto.

    Ha un senso di responsabilità eccessivo verso di me.

    «Volevo solo assicurarmene. Possiamo tornare a casa, adesso?».

    In realtà vorrei restare, ma non posso lasciarlo così, senza una spiegazione. Mi prenderò ancora qualche giorno e poi chiederò a Patty il permesso di tornare da loro.

    «Va bene, andiamo. Amica, grazie della comprensione. Ti chiamo stasera».

    «Eden, sai che puoi tornare quando vuoi».

    Sergio si irrigidisce.

    «Non mi sembra il momento di parlarne, signorina Patrizia. Grazie per la disponibilità, ma credo che sia compito mio occuparmi di Eden».

    Lo sguardo di Patty passa da Sergio a me più volte.

    «Ne parleremo con più calma, Patty. Grazie ancora».

    Esco di casa con un braccio di Sergio sulla spalla.

    Capitolo 2

    Questa storia ha dell’assurdo. È del tutto inaudita. È un folle, patologicamente affetto da deliri di onnipotenza. Ora Damon mi sentirà. Basta.

    Scorro l’elenco delle chiamate. Solo leggere il suo nome sullo smartphone mi dà i brividi.

    Sono ancora vittima del suo sortilegio.

    Risponde al primo squillo.

    «Eden, piccola, finalmente». La sua voce mi provoca dolore fisico.

    «Perché continui a torturarmi? Che vuoi da me?»

    «Piccola, abbassa le armi. Non andiamo da nessuna parte così».

    Respiro un paio di volte per non urlare.

    «Non mi interessa andare da qualche parte con te. Voglio solo sapere cosa credi di fare. Cosa pensi di ottenere? Ho parlato con Patty. So tutto».

    «Tu non sai proprio nulla, ragazzina, e non mentire a te stessa. Sai bene che mi vuoi. Tu mi vuoi ancora, come io voglio te». Il tono deciso, fermo, sensuale. Rabbrividisco all’istante.

    «Sei tu che non sai proprio nulla. Io non ti voglio più. Non voglio una persona che non conosco e che non ha nessuna intenzione di farsi conoscere».

    Resta in silenzio per qualche secondo, sicuramente infastidito per la mia audacia.

    «Basta giocare, Eden. Vengo a prenderti».

    Mr Arrogante presuntuoso crede di poter fare tutto ciò che vuole.

    «Non pensarci neanche. Non verrò da nessuna parte con te. Damon, è finita. Non intrometterti più nella mia vita e lascia stare Patty».

    «Credi davvero che abbia bisogno del tuo permesso? Tu sei mia e io mi riprendo sempre ciò che mi appartiene. Ricordalo, ragazzina».

    Ho appena disegnato un sorriso sulle mie labbra. Perché sono così stupida? Mi odio da sola.

    «Io non sono tua. Sei disposto a raccontarmi tutto?»

    «Non dire che non sei mia. Non provarci neanche», ruggisce.

    «E tu cerca di rispondere alla mia domanda. Sei disposto a dirmi tutto, Damon?»

    «No», replica deciso, il respiro pesante. È contrariato.

    «Allora dimentica di avermi conosciuta. Addio, Blake».

    Sto per riattaccare, ma un suono gutturale, piuttosto intenso, arriva al mio orecchio forte e chiaro.

    «Non osare… Non sfidarmi, Eden».

    Spirito Furioso l’ha posseduto totalmente.

    «Tu non puoi dirmi cosa devo o non devo fare e smettila di farmi seguire dai tuoi cani da guardia. Addio, Blake».

    Questa volta riattacco senza indugiare.

    Non avrei mai voluto arrivare a questo. Mi sono illusa come una stupida, ma ora so che con un uomo del genere non c’è alcuna possibilità. Lui non ragiona, non si controlla, non vuole essere disobbedito.

    Mi sento persa, finita, disarmata.

    Devo dare un taglio a questa storia, nonostante faccia male anche solo pensarlo.

    Ignoro le sue tredici chiamate consecutive. Spengo il telefono e mi metto a letto.

    Mi rasserena svegliarmi con il sole caldo e luminoso.

    Aver accettato di uscire a fare una passeggiata con Sergio è stata un’ottima idea.

    Facciamo colazione in un bar sotto casa, ma quando parcheggia nei pressi di Villa Borghese mi sento morire.

    L’Hotel Aldrovandi si erge maestoso e mi colpisce in pieno petto.

    «Va tutto bene, Eden?».

    Si irrigidisce per un momento, poi stringe la presa sul mio gomito. Io e Sergio sottobraccio come facevo con il mio papà. Una strana malinconia guida i miei passi e mi lascio cullare dalla bellezza di questo posto, provando a ignorare l’hotel davanti a noi. Provo a ignorare anche il ricordo di Damon tutto vestito di blu che cammina, deciso e sfrontato, con una mano nella tasca.

    La mattinata scorre veloce.

    Lo smartphone è abbandonato sul comodino.

    Appena a casa corro a controllare se mi ha cercata.

    Nulla.

    Perché la cosa mi dispiace?

    Stupida Eden, stupida, stupida, stupida.

    Mentre mi flagello al pensiero che possa aver fatto la più grande stupidaggine della mia vita, il cellulare inizia a squillare, ma non è lui a cercarmi. Riluttante guardo lo schermo. È Marco. Sono felice.

    Ho bisogno di rivedere i miei amici e di riprendere una vita normale.

    «Marco, ciao, che piacere sentirti».

    «Ehi, che bello sentire la tua voce. Sono davvero felice del tono con cui mi hai risposto. Stai bene?».

    Dovrei mentire?

    «No, Marco, non sto bene. Penso che tu sappia tutto. Hai parlato con Patty?»

    «Sì, Eden, so tutto. Voglio vederti».

    Esito un attimo.

    «Marco, perché non usciamo tutti insieme stasera. Io, tu, Patty e magari lo diciamo anche a Giorgio e Antonella».

    Marco rimane in silenzio per un momento, poi lo sento sospirare.

    «Eden, io vorrei uscire da solo con te».

    Faccio per rispondere, ma mi anticipa.

    «Eden, non pensare di fare un torto a Patty. Io non provo nulla per lei, non proverò mai nulla per nessun’altra finché ci sarai tu nella mia mente».

    «Marco, non posso. Patty è mia amica e io non me la sento di…». Mi interrompe.

    «Non farai nessun torto a Patty se non le dirai nulla. Dammi solo la possibilità di passare qualche ora con te. Ti prometto che non ti farò pressioni e non farò nulla che tu non voglia».

    «No, per favore. Ti prego».

    «Eden, non puoi pensare di rendere conto della tua vita a Patty».

    «No, Marco. Non è a Patty che devo rendere conto, ma alla mia coscienza. Usciamo tutti insieme. Per favore».

    Lo sento sbuffare sonoramente.

    «E va bene, facciamo come vuoi, ma sappi che io avevo bisogno davvero di parlare un po’ con te».

    Sembra così sincero, forse dovrei accettare.

    «D’accordo, Marco, usciamo da soli, ma promettimi che non farai nulla che possa destabilizzare il mio già precario equilibrio mentale».

    «Prometto. A che ora ci vediamo? Passo a prenderti io. Dove sei?».

    Sergio sta diventando oppressivo. Nemmeno con mio padre ho dovuto affrontare e superare un terzo grado prima di uscire. Povero uomo, si preoccupa per me come se fossi davvero sua figlia.

    Fortunatamente l’ho convinto che Marco è sano di mente, incensurato e autosufficiente al punto da riuscire a guidare una macchina per venirmi a prendere sotto casa.

    Indosso un pantalone nero aderente stile capri e un corpetto di raso bianco e pizzo nero con lacci neri intrecciati sulla schiena.

    Solo dopo essere uscita mi rendo conto che potrei non aver fatto una scelta saggia.

    Assomiglio a una ballerina di Cancan e non vorrei che Marco si facesse strane idee.

    È troppo tardi per ripensarci. È sotto casa che mi aspetta.

    Gli sorrido, andandogli incontro.

    Non pensavo che mi potesse rendere così felice vederlo.

    Senza neppure salutarmi, mi stringe a sé.

    «Eden, quanto mi sei mancata», dice senza staccarsi. Faccio leva delicatamente sulle sue braccia per liberarmi.

    «Come stai, Marco?»

    «Ora che ti ho vista bene. Sei meravigliosa, come sempre. Lasciati guardare. Dio, quanto sei bella».

    I miei occhi incontrano i suoi e mi imbarazza l’intensità del suo sguardo.

    «Come stai, Eden?».

    È inutile mentire, tanto mi si legge in faccia.

    Sono talmente stupida che ho addirittura tentennato a uscire con lui per non fare un torto a Damon.

    Ma Damon non merita nulla. Non merita il mio rispetto.

    «Ecco… Io… Insomma…».

    «Lo so, Eden, ma passerà. Ci sono io qui con te».

    Accetto di nuovo il suo abbraccio, che però si protrae più del previsto, sconfinando. Il suo respiro si fa più pesante.

    «Resta fra le mie braccia, Eden», mormora fra i miei capelli.

    Come sospettavo. Alle sue spalle vedo Sergio che ci osserva con un’espressione spettrale.

    Mi schiarisco la voce e faccio leva sulle sue braccia.

    Fortunatamente coglie subito il mio disagio e mi lascia andare.

    «Va tutto bene qui?».

    Apprensione morbosa di livello tre, modalità on.

    «Tutto bene, avvocato. Come sta?».

    Marco lo saluta porgendogli la mano, per niente a disagio.

    «Stai uscendo, Sergio?», chiedo.

    «Solo per fare due passi, rientro tra poco».

    «Bene, allora noi andiamo. Buona serata, avvocato». Marco mi mette un braccio intorno alle spalle e stringe ancora la mano a Sergio, che nel frattempo non sembra essersi rilassato.

    «Tornerò presto, Sergio, sta’ tranquillo. Marco è un ragazzo affidabile». Gli sorrido strizzandogli un occhio allegramente. Non voglio che stia in pena per me.

    Marco sceglie un bel ristorantino a Trastevere.

    Ceniamo chiacchierando del più e del meno, ma mai di Damon Blake. Ne sono felice.

    «Mi piacerebbe se domani venissi a studiare con me e Patty. Che ne dici?». In effetti l’idea non è malvagia e il suo sguardo è piuttosto speranzoso.

    «Va bene. Penso sia una buona idea per riprendere in mano i libri, anche se devo confessarti che non ne ho molta voglia».

    La serata procede con una passeggiata. Mi lascio andare, accettando un contatto, ma nell’istante in cui le nostre mani si intrecciano, vengo invasa dal senso di colpa.

    Ancora questa assurda sensazione di fare un torto a lui. Non ha senso. Marco mi guarda e fa un lungo sospiro, stringendo ancora di più la presa.

    «Eden, quanto vorrei avere una possibilità».

    «Per favore, Marco, lo sai che…».

    «Sì, lo so che è ancora presto e che non hai dimenticato, ma ti sto solo chiedendo una possibilità».

    Mi limito a sorridergli, lui non insiste.

    «Ti va di fare due salti?»

    «Perché no, mi sembra una buona idea».

    Ci dirigiamo verso la sua auto, sempre mano nella mano.

    Parcheggiamo disgustosamente distante dalla discoteca e iniziamo a camminare.

    L’impresa non è semplice considerando i dodici centimetri che mi separano dalla terra ferma. Sono lenta come un bradipo che scala un albero di cecropia, ma, grazie a Dio, Marco tiene il mio passo.

    Poi si blocca. Smette di parlare e mi stringe fra le braccia.

    Lo guardo sorpresa, confusa e un po’ corrucciata.

    «Eden, non posso far finta di nulla». Mi stringe ancora di più.

    «Per favore, non complichiamo le cose».

    «È di Patty che ti stai preoccupando o sono io che non vado bene? Cerca di essere sincera».

    «Marco, è complicato. La mia mente non è libera».

    La mia affermazione non è sufficiente a distoglierlo dal suo obbiettivo. Credo che abbia tutte le intenzioni di concludere la serata sfoggiando i miglioramenti delle sue performance sessuali. Lo sguardo è chiaramente eccitato e non solo. Spinge il bacino contro il mio per farmi notare la chiara reazione del suo corpo.

    «Marco, per favore».

    Chiudo gli occhi cercando di riordinare le idee e sperando in un’illuminazione improvvisa che mi permetta di uscire illesa da questa imbarazzante situazione.

    «Sei così bella, ti desidero. Ti sposerei anche domani se solo volessi».

    Oh, mio Dio, no. L’ha detto davvero?

    «E tu saresti disposto ad accettare tutti i cani e i gatti e i coniglietti e le tartarughine e tutto il resto delle specie animali con cui vorrei vivere?», provo a buttarla sull’ironia.

    «Eden, non scherzare. Parlo sul serio».

    Dio mio, questa sarebbe una dichiarazione?

    «Devi dimenticare quell’uomo. Sarà in giro a spendere i suoi milioni di dollari. Un uomo come quello non è per te. Tu hai bisogno di una persona vera, onesta, sincera. Tu meriti di essere amata».

    Colpita e affondata.

    Sentirlo parlare con una tale convinzione, con tanto sentimento, mi fa male, perché so che ha ragione.

    Marco 1 Eden 0 e palla al centro.

    Damon sarà chissà dove e chissà con chi in questo momento.

    La sola idea mi colpisce in pieno petto, ma devo accettarla.

    Il nodo che si è formato in gola esplode come una bomba d’acqua facendomi piangere.

    «Ci sono qui io, Eden. Piangi, sfogati, disperati, ma poi dimentica. Dimentica quell’uomo e il male che ti ha fatto».

    Ha ragione, ha maledettamente ragione.

    Devo dimenticare Damon Blake.

    Quando risollevo il viso e incontro di nuovo i suoi occhi mi sento al sicuro. Non amo Marco e forse non lo amerò mai, ma sento di potermi fidare di lui.

    Gli sfioro una guancia con la mano, lui sussulta.

    Con una spinta decisa mi inchioda al muro che ho alle spalle, schiacciandomi con il peso del suo corpo.

    «Ti desidero da morire». La sua erezione preme contro di me, ma la mia reazione è tutt’altro che piacevole.

    Mi sento disgustata. Lotto contro questa sensazione, ma non riesco a evitarla.

    «Marco, per favore. Dammi tempo. Allontanati».

    Non appena il suo bacino smette di premere contro il mio, mi rilasso.

    «Ti darò tutto il tempo che vuoi, tutto il tempo di cui avrai bisogno, fossero anche mesi o anni».

    Mi accarezza la guancia con una mano, poi solleva anche l’altra e mi afferra il viso, bloccandomi a pochi centimetri dalla sua bocca.

    Rimane fermo senza dire nulla, ma intuisco i suoi intenti. Forse dovrei lasciarmi andare, dovrei tentare per sentire quello che provo.

    Chiudo gli occhi. Lui, con un dito, mi accarezza il labbro inferiore, sento il suo respiro vicinissimo.

    Mentre Alive dei Pearl Jam si diffonde dal locale accanto, provo ad accettare la sua vicinanza. Mi concentro sulla musica e cerco di non pensare che quel respiro non ha il profumo di spezie del mio Damon e sorvolo anche sul fatto che non sento svolazzare le farfalle nello stomaco e che non ho neppure i brividi lungo il corpo.

    Le farfalle sono migrate chissà dove, mi manca tutto il baccano che facevano ogni volta che Damon si avvicinava o mi sfiorava.

    «Lasciati baciare, Eden».

    Le sue parole non mi emozionano, ma lo lascio fare. Non lo fermo, non lo rifiuto, ma quando le sue labbra sfiorano le mie mi irrigidisco.

    Mi bacia con dolcezza, ma io non reagisco.

    Si sposta su una guancia e la bacia con tenerezza, poi torna sulle labbra.

    «Lasciati andare. Io ti amo, Eden».

    Le sue parole sono come un tuffo al cuore.

    Quanto avrei voluto che fosse stato Damon a dirmelo.

    Senza aprire gli occhi, inizio a schiudere le labbra, ma qualcuno ci assale.

    Marco è stato sbalzato via da una furia assassina.

    Ho un nodo alla gola che non mi permette di respirare. Marco è per terra, si rialza immediatamente con un unico agile guizzo.

    I miei occhi fissano quelli furiosi di Mr Damon Blake.

    È qui di fronte a me.

    Marco gli si scaglia contro, colpendolo con un pugno in pieno viso. Damon riceve il colpo che gli fa inclinare la testa, ma rimane impassibile.

    Si passa il pollice sulle labbra. Sta sanguinando.

    Guarda prima me e poi Marco, con rabbia. Si ripulisce dal sangue con il dorso della mano e sul suo volto meraviglioso si disegna un sorriso diabolico e fascinoso al tempo stesso.

    «Eden non è più affare tuo», incalza Marco restando a petto gonfio davanti a lui che si limita a guardarlo senza dire nulla.

    «Mettiti da parte, ragazzino. Sto perdendo la pazienza».

    Mi fulmina con lo sguardo.

    «Via di qui. Subito», ordina con fermezza.

    Sono totalmente interdetta. Incapace di muovermi, di parlare, di difendermi.

    «Via di qui, ragazzina… Via», stavolta la sua rabbia è palesata da un sonoro urlo.

    Marco si mette davanti a me, per proteggermi. Posa la sua schiena sul mio petto schiacciandomi ancora di più al muro.

    Timorosa e discreta, faccio capolino dalle sue spalle larghe per osservare la reazione di Damon. La mascella è irrimediabilmente contratta e le labbra sono un’unica linea sottile di furia omicida. Si sfidano ripetutamente guardandosi in cagnesco.

    «Togliti di mezzo, non voglio farti male».

    Damon minaccia Marco che non accenna a spostarsi.

    «Non mi fai paura. Eden non è affare tuo», ripete, ma questa volta la reazione di Mr Furia Selvaggia è decisamente diversa.

    Si avventa contro Marco afferrandolo per un braccio e sollevandolo dal suolo.

    Io rimango schiacciata contro il muro, ma sento che le gambe potrebbero cedermi.

    «Smettetela voi due». Cerco di impostare un tono di voce deciso, ma il risultato è un odioso suono stridulo.

    Damon mi fredda con lo sguardo prima di colpire Marco più volte.

    Il mio povero amico cerca di proteggersi, ma è inutile. La furia di Damon non si placa e, quando Marco è per terra, lo colpisce con un calcio nello stomaco.

    «Damon, basta… Basta».

    Questa volta urlo.

    Due ragazzi lo placcano, afferrandogli le braccia.

    Sembra impazzito, cerca di divincolarsi.

    Marco si rimette in piedi, ma è piuttosto malconcio.

    Gli vado incontro per dargli una mano, ignorando gli ordini di non muovermi e di non toccarlo che arrivano dalla mia sinistra.

    Fortunatamente sono intervenute altre due persone.

    Hanno salvato Marco dalle grinfie di Damon e ora sono in quattro a reggere, con fatica, la sua furia.

    «Oddio, Marco. Mi dispiace». Gli accarezzo il viso.

    Ha un sopracciglio sanguinante, un labbro gonfio e si tiene una mano sulle costole.

    Fulmino Damon con lo sguardo e lui ricambia con altrettanta rabbia, poi, incurante della sua furia, abbraccio il mio povero amico. Mi sento così in colpa.

    «Non lo toccare. Eden, sta’ lontana da lui», ruggisce Damon provando a divincolarsi.

    «Io non sono più affare tuo», ribatto decisa.

    «Non dirlo, non devi dirlo». Sembra impazzito.

    Come un animale selvaggio, si divincola dai quattro uomini e corre verso di noi.

    Questa volta lo sguardo di Marco è decisamente più impaurito, ma non demorde. Mi fa di nuovo da scudo.

    «Togliti di mezzo», lo minaccia.

    È di nuovo pronto all’impatto.

    «Damon, smettila. Lo sai che è finita», affermo decisa avvicinandomi a lui. Una ragazza alla mia destra prende il cellulare. Immagino che stia per chiamare la polizia. La cosa non mi piace.

    «È tutto ok. Per favore, andate via», cerco di mantenere un tono pacato. Si guardano tra loro, forse increduli della mia reazione, forse impietositi dalla situazione, sta di fatto che spariscono velocemente, disperdendosi lungo le antiche vie della città.

    Damon allunga un braccio verso di me, ma io evito il contatto, spostandomi bruscamente. Inclina la testa e indurisce le mandibole fino quasi a farle scrocchiare.

    «Eden, smettila di fare la bambina. Sto perdendo la pazienza anche con te».

    «Che c’è? Vuoi picchiare anche me?».

    Chiude gli occhi e incrocia le mani dietro al collo, piegando la testa. Sta cercando di recuperare il controllo e io vorrei schiaffeggiarmi da sola perché anche questo suo gesto mi è tanto mancato.

    Stupida Eden, stupida, stupida.

    «Che ci fai qui, Damon?», urlo. Non risponde.

    «Andiamo via di qui», biascica Marco con voce strozzata, si regge un fianco e respira a fatica. Mi prende per mano ed è la cosa peggiore che potesse fare. Lo sguardo di Damon si incupisce ulteriormente e si scaglia di nuovo su lui.

    Scaraventa Marco lontano da me e, senza pensarci, mi blocca, stringendomi un polso non calcolando la potenza della stretta.

    «Mi fai male, lasciami». Sento la mano formicolare, anzi quasi non la sento più.

    Damon ha le nocche bianche a causa della forte pressione che esercita.

    «Damon, mi fai male». Marco sta ritornando all’attacco, ma lui, con un gesto di una rapidità spaventosa, mi afferra per le gambe e mi carica sulle sue spalle.

    Provo a divincolarmi.

    Con passo veloce, si incammina in direzione opposta a quella di Marco che ci segue.

    «Sta’ lontano, ragazzino o ti giuro che stasera qualcuno si farà male», urla senza fermarsi.

    «Damon, lasciami. Mettimi giù, per favore. Lasciami ho detto».

    Ovviamente le mie parole si disperdono nel vento.

    Mi ignora e continua la sua cavalcata.

    Sto camminando per le strade della mia

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