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Passaggio Corvin 1956: La Rivoluzione Ungherese del '56
Passaggio Corvin 1956: La Rivoluzione Ungherese del '56
Passaggio Corvin 1956: La Rivoluzione Ungherese del '56
E-book383 pagine6 ore

Passaggio Corvin 1956: La Rivoluzione Ungherese del '56

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Budapest (Ungheria): «Il Passaggio Corvin è uno spazio, quasi una piazza, di forma circolare attorno al cinema Corvin, collegato con uscite sul Grande Viale circolare József, sul Viale Üllői, sulla Via Kisfaludy e la zona circostante. È là che si svolsero i combattimenti più acerrimi, è là che i sovietici ebbero le maggiori perdite e per questo il luogo appare in molti memoriali scritti sulla Rivoluzione del ’56» (Ivan Plivelic). Il libro Passaggio Corvin 1956 (Corvin Köz 1956) - questa è la sola traduzione italiana - racconta della insurrezione ungherese del 1956: una sollevazione armata antisovietica scaturita nell’Ungheria socialista che durò dal 23 ottobre al 10-11 novembre 1956. La sommossa venne alla fine brutalmente repressa dall’intervento delle truppe sovietiche. Vi morirono circa 2.700 ungheresi.
LinguaItaliano
Data di uscita21 feb 2020
ISBN9788835375258
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    Anteprima del libro

    Passaggio Corvin 1956 - Gergely Pongrátz

    DIGITALI

    Intro

    Budapest (Ungheria): «Il Passaggio Corvin è uno spazio, quasi una piazza, di forma circolare attorno al cinema Corvin, collegato con uscite sul Grande Viale circolare József, sul Viale Üllői, sulla Via Kisfaludy e la zona circostante. È là che si svolsero i combattimenti più acerrimi, è là che i sovietici ebbero le maggiori perdite e per questo il luogo appare in molti memoriali scritti sulla Rivoluzione del ’56» (Ivan Plivelic). Il libro Passaggio Corvin 1956 ( Corvin Köz 1956) - questa è la sola traduzione italiana - racconta della insurrezione ungherese del 1956: una sollevazione armata antisovietica scaturita nell’Ungheria socialista che durò dal 23 ottobre al 10-11 novembre 1956. La sommossa venne alla fine brutalmente repressa dall’intervento delle truppe sovietiche. Vi morirono circa 2.700 ungheresi.

    GERGELY PONGRÁTZ COMANDANTE DEI CORVINISTI

    Ivan Plivelic

    Gergely Pongrátz è indubbiamente uno dei principali protagonisti della Rivoluzione Ungherese del ’56 e della diaspora che ne conseguì. Sono passati oltre cinquant’anni da quando con i suoi Ragazzi di Pest compiva le gesta eroiche che lo hanno reso famoso, ma la sua importanza, a mano a mano che divengono noti nuovi particolari, continua a crescere. Egli è un po’ come Bartók e Mahler, inattuali nel loro tempo ma oggi più che mai in auge. Di ciò è testimone anche la rete Internet, dove il suo nome è citato oltre 1.200 volte. Il crescente interesse è testimoniato anche dalla riedizione del suo libro nel 2004, disponibile anche in lingua tedesca. I lettori italiani, sempre così interessati alle vicende ungheresi, potranno ora disporre di una accurata traduzione nella loro lingua. Il museo da Lui fondato, malgrado sia situato un po’ fuori mano, a metà strada tra Szeged e Kiskunmajsa, riceve continuamente una folla crescente di visitatori.

    Gergely Pongrátz, mancato il 18 maggio 2005, è diventato una leggenda per aver condotto un folto gruppo di rivoluzionari, che dal Passaggio Corvin del cinema omonimo, ubicato in posizione strategica, hanno opposto fiera resistenza agli invasori. Non solo il suo gruppo ha distrutto un notevole numero di carri sovietici, ma ha anche impedito che questi potessero arrivare al centro città. Insieme a Gergely Pongrátz combattevano altri cinque fratelli; Ödön, Ernő, Kristóf (Bandi), Bálint e András.

    Il Passaggio Corvin è uno spazio, quasi una piazza, di forma circolare attorno al cinema Corvin collegato con uscite sul Grande Viale circolare József, sul Viale Üllői, sulla Via Kisfaludy e la zona circostante. È là che si svolsero i combattimenti più acerrimi, è là che i sovietici ebbero le maggiori perdite e per questo il luogo appare in molti memoriali scritti sulla Rivoluzione del ’56.

    Confesso che l’idea di curare in italiano il libro di memorie di Gergely Pongrátz, già m’intrigava nel 2006, mentre stavo elaborando il mio volume [1] sulla Rivoluzione. Questo mio desiderio era alimentato non solo dal ricordo dei punti in comune tra la mia e la sua storia, ma pure dalla volontà di porre in evidenza anche in Italia, dove è pressoché sconosciuta, la figura di questo eroe. I numerosi testi pubblicati in Italia per il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ungheria contengono a malapena e spesso in modo vergognosamente errato, il suo nome e citano in poche misere righe la storia del cinema Corvin, o addirittura la dimenticano, forse volutamente, quasi sotto un comando misterioso arrivato da forze sotterranee, tuttora esistenti in Ungheria.

    Una storia vera da riabilitare, anche da noi, qui dove ci sono ancora persone che negano la validità e la purezza della Rivoluzione del 1956.

    Credo che pubblicare le sue memorie sia un atto doveroso verso il Comandante del gruppo combattenti più importante e numeroso a Budapest: è probabilmente l’unico libro in lingua italiana che descrive in maniera analitica, dal punto di vista dei combattenti, quanto accaduto nel 1956 in quell’area di Budapest. È anche un omaggio alla memoria dei 435 eroi caduti del Corvin e ai 24 uccisi dopo giustiziati con impiccagione.

    Questo testo è uno dei pochissimi che descrive in prima persona i combattimenti, la crudeltà dei comunisti e dei loro padroni russi, la repressione vissuta da gente che Pongrátz conosceva. Una storia vissuta dall’interno e non raccontata da storici che si servono di informazioni di seconda mano, magari per falsificarle: esattamente ciò che stanno facendo, passo a passo, i reformcomunisti che sono tornati al potere. Si tratta di gente senza onore, che sta cercando di dimostrare che la Rivoluzione l’hanno fatta i comunisti.

    Visto questo, non c’è da meravigliare se per molto tempo la discussa figura di Pongrátz fu quasi dimenticata anche in Ungheria, principalmente a causa delle discussioni che suscitava. In questo ostracismo, credo furono determinanti le polemiche innescate dal caso del colonnello Maléter, che Lui accusava di aver ucciso due rivoluzionari e causato la morte d’altri sette, quando li cacciò fuori in mezzo ai combattimenti.

    Su questo argomento sono stati scritti fiumi di lettere nel periodo seguente la Rivoluzione, contenenti tesi tutte regolarmente confutate in questo volume. Si sono create delle organizzazioni, istituti di più o meno discussa obiettività che cercano di dare un quadro degli avvenimenti fatto su misura loro. Con un lavoro minuzioso strisciante si cerca oggi in Ungheria di deformare l’opinione pubblica, anche grazie a disponibilità economiche pressoché inesauribili.

    Di fronte a questa potenza spirituale-economica il borghese Pongrátz teneva alta la testa, senza mai alterare quanto ha creduto di scrivere nel lontano 1982, in esilio, lontano dalla patria. I suoi nemici, rimasti sempre là, camuffati e con la pelle da pecora addosso, hanno occupato quasi tutti gli spazi della cultura e oggi appaiono irremovibili, padroni della situazione. Esibiscono documenti di dubbia origine, ma soprattutto, nascondono quelli a loro letali o anche soltanto scomodi, tacendo i nomi delle persone che esprimono opinioni diverse. Queste persone non possono parlare o scrivere pubblicamente.

    Alcuni studiosi ritengono che Pongrátz abbia esagerato nell’identificare sé stesso con la Rivoluzione, nella convinzione che il Corvin fosse il vero centro della resistenza. Le testimonianze gli danno conferma.

    Sono pienamente d’accordo con Pongrátz quando distingue tra la prima parte del sollevamento, chiamandola Rivoluzione e la seconda che è Lotta per la libertà ( Szabadságharc). Forse è vero che nella prima i più volevano solo trasformare il regime stalinista in uno più umano, ma al ritorno dei sovietici tutti combattevano affinché lasciassero l’Ungheria, in altre parole, per la libertà. Béla Király scrive giustamente che la Rivoluzione non ha cancellato il sistema socialista (ciò sarebbe avvenuto nel 1990 dopo il cambio regime) che voleva invece soltanto democratizzare seguendo i 16 punti espressi dalla volontà popolare. Pertanto, il 4 novembre l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ha attaccato la repubblica democratica socialista ungherese la prima guerra tra paesi socialisti.

    La Libertà fu ottenuta insperatamente solo molti anni dopo con l’uscita dell’ultimo soldato russo. In quel momento qualcuno bonariamente disse: Ora che ci avete tolte le manette, possiamo anche stringervi la mano. Come se non fosse successo nulla.

    C’è molta menzogna oggi in Ungheria, i conti non tornano, sono falsati! E non solo attorno la figura di Pongrátz, ma anche sulla Rivoluzione, si vuole minimizzare i risultati dei corvinisti. Troppe informazioni false girano in Internet, verosimilmente manovrate da quelle forze oscure che non solo sopravvissero al cambio del regime, ma ne sono tuttora ai comandi. Si può tranquillamente affermare che nel 1989 non sia avvenuto un cambio vero della struttura politica del paese, ma solamente un rifacimento delle vetrine, un cambio di facciata dell’edificio, tuttora abitato dai vecchi inquilini. Bugie, distorsione dei fatti e metodo gesuita che tace su quello che non gli piace.

    Gergely Pongrátz si è unito insieme ai fratelli al gruppo combattente del cinema Corvin il giorno 25 e non nei giorni del 26 o 27 ottobre, come vorrebbero far credere i profeti falsi. Qui presto assunsero una posizione dominante. Era lui il più diffidente verso i capi politici e militari durante le trattative per una tregua d’armi. Fu eletto comandante superiore del gruppo, il 30 ottobre.

    Nella letteratura non tornano i conti sulle perdite. Györkei nel suo Intervento militare sovietico in Ungheria minimizza le perdite sovietiche: 670 caduti, 1.500 feriti e numeri ancora più modesti di armamenti distrutti. Nella stessa pagina scrive: - La divisione motorizzata n° 33 ha perso a Budapest 14 tra carri e cannoni d’assalto semoventi, 9 veicoli corazzati, 13 cannoni, 4 BM-13 a tiro multiplo, 6 cannoni contraerei, 45 mitragliatrici, 31 automobili e 5 motociclette.

    Dallo scritto non appare se le perdite sono quelle totali o soltanto quelle di questa unità. Non c’è da meravigliarsi se gioca al ribasso, forse si vergogna, dal momento che era lui il braccio destro di Malasenko, il comandante sovietico dell’invasione Tornado d’ottobre. Faceva parte degli invasori. Györkei indica la direzione d’attacco del 24 ottobre 1956 in direzione di Budapest; una delle divisioni sovietiche partiva dalla zona di Körmend, confine austriaco, l’altra da vicino a Pécs, vicino alla Jugoslavia, la terza da Temesvár, Romania e altri due da Munkács (oggi Mucacevo)in Ucraina.

    Eörsi generosamente ammette 40 tra carri e cannoni d’assalto semoventi, 30-35 veicoli corazzati, circa 20 cannoni, 4 BM-13 a tiro multiplo e 10 cannoni contraerei, però sommando i numeri dagli scritti dello stesso Eörsi, troviamo che a Budapest le perdite oscillavano tra 70-79 carri. Un bel numero, già più credibile.

    Quanto di questo risultato è attribuibile ai corvinisti? È difficile dirlo esattamente, poiché sappiamo che attorno al cinema c’era un dedalo di strade con un folto numero di gruppi combattenti che agivano per conto proprio. Sappiamo però che soltanto nella giornata di 26 ottobre, dal Passaggio Corvin hanno sparato su 17 carri dice Pongrátz, trasmesso anche alla radio, e diciassette furono colpiti. Eörsi nel testo sui corvinisti attribuisce 20-25 carri in ottobre e 15-20 in novembre, in totale35-45, cioè la maggior parte. Questi numeri dimostrano come effettivamente il fulcro della Rivoluzione si trovava nella zona del cinema Corvin. E allora Pongrátz può ben essere fiero dei suoi Ragazzi di Pest (Pesti Srácok), i monelli combattenti.

    Un testimone che certo non può considerarsi simpatizzante dei rivoluzionari, è Zukov, comandante supremo dell’attacco Tornado del 4 novembre diretto da Serov. Rileggendo i suoi dispacci vediamo che mette l’accento proprio sul cinema Corvin e la zona intorno.

    Il 4 novembre, alle 21 scrive: A Budapest la resistenza è annientata, eccetto la zona del Corvin e la piazza Mosca. Il 5 novembre, alle 9 del mattino: Ancora accanita resistenza al Corvin, Piazza Mosca e il Ministero degli Interni e piccoli gruppi di resistenza in città. Alle ore 21 dello stesso giorno, riferisce di 2 ore di bombardamenti con artiglieria e del successivo attacco al Corvin. Il cinema è in fiamme. Continua l’eliminazione dei rivoltosi nascosti nelle cantine, 70 prigionieri, molti altri uccisi. Lotta dura anche a Piazza Mosca. Il 6 novembre, alle 9 il dispaccio annuncia che tutto il Corvin è occupato e accerchiate 1.500 persone combattenti alla Fortezza. Alle 21 dello stesso giorno ci sono ancora moti rivoluzionari alla Fortezza, catturati 500 attorno al Corvin. Catturato anche Kopácsi, il comandante della Polizia, passato ai rivoluzionari. I documenti portati da Eltsin in Ungheria nel ’93 confermano l’importanza di questi combattimenti.

    Alcuni giorni dopo anche lui ammette: Al cinema Corvin e attorno hanno danneggiato 20-25 carri e ucciso 150 soldati russi. I documenti, portati da Ieltsin nel 1993, confermano quanto era drammatica e pesante la situazione in quei luoghi. Il Passaggio Corvin anche durante il comando di Gergely Pongrátz rimase il più importante centro dei Nemzetör, difensori della nazione, come asserisce lo storico Eörsi.

    Pongrátz provò a resistere all’attacco sovietico dell’alba del 4 novembre, ma risultata inutile ogni resistenza, in particolare a causa dei colpi di mortaio, nella notte con una parte dei combattenti si trasferì nella non lontana Piazza Rákóczi e nell’edificio della capitaneria in Via Víg, come si legge anche sulla home- page di Kiskunmajsa. Qui diede le dimissioni da comandante capo. Altri seguaci invece rimasero al Corvin e dintorni fino il 10 novembre. Il 28 novembre, vista l’impossibilità di ogni ulteriore resistenza, Pongrátz abbandonò l’Ungheria. Della sua vita avventurosa narra nel libro.

    Gergely Pongrátz era di un carattere forte e controverso, capace di trascinare la folla ma anche di commuoversi al ricordo dei suoi ragazzi di Pest. A loro ricordo creò e condusse la Fondazione Ragazzi di Pest. Orgoglioso ma anche fragile: più volte i nervi cedono da richiedere l’intervento medico, tuttavia si riprende e torna a combattere. E generoso: non lascia che i traditori vengano torturati o uccisi, a loro ci penserà dopo la magistratura. Per la stessa umanità lascia liberi i sovietici catturati. Amava infinitamente la patria, diceva il mio sangue e la religione è armeno, ma il cuore è ungherese. L’ho conservato anche quando divenni cittadino americano. Questo forse spiega l’amore nei fratelli verso la patria attaccata, un sentimento reso forte dai ricordi atavici delle sofferenze che il loro popolo ha sofferto per secoli sotto i turchi.

    Questo coraggioso combattente non si vergognava di mostrare i propri sentimenti o anche la propria paura, ma si scagliava contro i nemici della Rivoluzione.

    Gergely Pongrátz è morto d’infarto nel cortile del museo che ha realizzato a proprie spese. È l’unico museo ungherese dedicato alla Rivoluzione situato a Kiskunmajsa, nell’Ungheria meridionale dove è ancora vive anche il fratello maggiore Ödön. L’altro fratello András vive in America. Venne inaugurato il 14 marzo del 1999 con l’aiuto dell’Esercito e l’Istituto di Storia Militare che ha prestato anche il carro T-55 visibile all’esterno e altre armi d’epoca.

    Come spesso succede, l’importanza di Gergely Pongrátz fu riconosciuta dopo la morte; i funerali di stato avvennero nella basilica di Santo Stefano di Budapest, colma di cinquemila persone, tra cui il presidente della Repubblica, il primo ministro precedente, autorità varie e una folla enorme all’esterno. La sua figura è consacrata per eterno dal Consiglio Mondiale Ungherese del ’56, dall’Associazione Mondiale Ungherese del ’56, dalla Fondazione Ragazzi di Pest e dalla Fondazione della Storia del ’56 come un camerata di lotta. In seguito la salma fu collocata a riposo nella cappella che l’eroe aveva voluto vicino a Kiskunmajsa. Intorno a lui, sulla parete, le targhe dei combattenti del Corvin uccisi, tra cui anche Pál Maléter. L’ultima sua creazione è il vicino campo giovanile in tre edifici per 50 posti laddove vengono tenuti corsi di aggiornamento sul ’56. I docenti sono tra i politici di altissimo rango ed intellettuali.

    Leggendo la vita del nostro eroe, mi sembra di ravvisare vari legami tra noi: abbiamo entrambi combattuto sulla stessa Via Üllői, anche se alle due diverse estremità, lui nella prima fase rivoluzionaria e io nella seconda (la guerra per la libertà); il 9 novembre sono passato davanti al suo quartiere generale, poche persone erano in giro in quel giorno; abbiamo tutti e due lasciato l’Ungheria lo stesso giorno, il 28 novembre; e siamo invisi entrambi all’establishment attuale di sinistra. Abbiamo quasi avuto due vite parallele nella Rivoluzione: proprio non ci vogliono.

    Personalmente ebbi qualche scambio di corrispondenza con Gergely Pongrátz, che chiedeva agli ex combattenti di inviargli le proprie memorie, ma io contando sulla realizzazione di un libro a mio nome, non vi ho aderito. Mi dispiace, ora almeno posso ripagarlo curando la pubblicazione del suo libro in italiano. Lo raccomando a tutti coloro che amano la libertà e non vogliono dimenticare cosa è successo a noi e ai nostri padri.

    Statua in memoria dei Ragazzi di Pest (Pesti Scrácok), davanti al cinema Corvin, dove hanno versato il loro sangue.


    [1] Ivan Plivelic, La mia Rivoluzione. Da Budapest 1956 all’Italia (2006).

    STORIA DELLA STESURA DEL MIO LIBRO

    «Ai miei compagni d’armi,

    caduti accanto a me nelle vie di Budapest

    nel corso della Rivoluzione e della lotta di liberazione,

    e ai martiri che in seguito sacrificarono il bene maggiore:

    la loro stessa vita, per la libertà del popolo ungherese

    e per gli ideali della nostra Rivoluzione»

    Gergely Pongrátz

    Il 12 ottobre 1982 i miei compagni di Chicago m’invitarono a tenere una conferenza che aveva per argomento i fatti del Passaggio Corvin e la Rivoluzione ungherese del 1956. Accettai con piacere il loro invito, tanto più che per la prima volta veniva invitato a parlare l’ex comandante in capo del Passaggio Corvin e non il presidente dell’Associazione mondiale dei combattenti per la libertà. Ciò mi offriva l’opportunità di rendere finalmente pubblici, dopo 25 anni, i fatti che si svolsero nel 1956 nel Passaggio Corvin e di dire quale fu il ruolo dei combattenti del Corvin [corvinisti] nella Rivoluzione ungherese.

    Il motivo del mio venticinquennale silenzio è semplice. Nel 1957 volevo rendere pubbliche le storie che sono descritte nel mio libro. Béla Király, tuttavia, allora presidente dell’Associazione mondiale dei combattenti per la libertà, mi dissuase da quel proposito, dando la seguente motivazione:

    Gergely, il riconoscimento della Rivoluzione ungherese e della lotta di liberazione che abbiamo ottenuto in tutto il mondo è tale, che non possiamo permetterci di rovinare tutto con il racconto dei fatti di cui parli tu. Aspetta. Non è ancora arrivato il momento di portare alla luce l’intera verità. Non dimenticare, poi, che la dittatura comunista nel nostro paese potrebbe esercitare una ritorsione ancora maggiore contro il popolo ungherese e contro i nostri compagni rimasti in patria. La vera storia degli avvenimenti accaduti deve essere portata alla luce, ma non ora. Tra qualche anno i tempi saranno maturi anche per questo.

    Nel 1957 Béla Király aveva ragione e, per quanto ciò mi risultasse difficile, tacqui. Del mio silenzio, però, altri hanno approfittato. Sono apparsi libri, studi ed articoli di giornale che portano a conoscenza del pubblico esattamente il contrario della verità. Sia la propaganda della dittatura comunista, sia la maggior parte degli scrittori e degli storici residenti all’estero hanno finito col fare un lavaggio del cervello ideale. Eccone un esempio.

    Nell’estate del 1968 vivevo a Madrid, dove ricevetti la visita del nostro storico dr. Péter Gosztonyi, con il quale per tre giorni parlai dei fatti del Passaggio Corvin e della Rivoluzione ungherese. Stava preparando una intervista con me e prendeva appunti. Promise di farmene avere una copia prima della pubblicazione per ricevere il mio beneplacito, copia che in effetti mi arrivò l’ultimo giorno di settembre. Risposi subito a Péter Gosztonyi e gli comunicai che non intendevo autorizzare la pubblicazione di quell’articolo, perché aveva tralasciato le parti più importanti degli eventi che avevo raccontato; inoltre altre parti erano state distorte, col risultato di comunicare al lettore l’esatto contrario della verità. E, dato che tutto ciò era stato fatto a mio nome, non potevo dare il mio nulla osta alla pubblicazione del suo scritto.

    Péter Gosztonyi nella sua risposta mi fece sapere che il manoscritto era ormai in tipografia e che era troppo tardi per bloccarne la stampa. L’articolo apparve sul numero di novembre-dicembre 1968 della rivista Új Látóhatár [Nuovo Orizzonte, N.d.T.], con particolare riguardo per destare una buona impressione nel lettore. DOCUMENTUM Il Passaggio Corvin nel 1956. Conversazione con Gergely Pongrácz.

    Dunque, Gosztonyi avrebbe dovuto scrivere quel che io avevo detto. L’esclusione delle parti più importanti viene così motivata: Sui dettagli torneremo ancora in seguito. Ora come ora la cosa non è d’attualità.

    I dettagli che ho descritto nel mio libro per molta gente non sono mai stati né mai saranno d’attualità. Ma per quelli del Passaggio Corvin [corvinisti], quelli di Piazza Széna, di Piazza Baross e per tutti coloro che hanno puntato la propria vita sulla Rivoluzione, quegli eventi non hanno mai perso la loro attualità. Noi conviviamo con essi ormai da 26 anni. Gli scrittori di professione o hanno omesso di interrogare i combattenti per la libertà, o hanno distorto ciò che hanno sentito. Hanno divagato!

    In occasione del mio discorso a Chicago, che si tenne nell’eccellente ristorante Arany Bika, il «Toro d’oro», del mio compagno József Bocskay miei vecchi compagni ed i nuovi amici mi misero nuovamente sotto assedio. István Harmath, nella cui biblioteca si può trovare pressoché ogni sorta di scritto relativo alla Rivoluzione ed alla lotta di liberazione ungherese, ha avuto su di me una grande influenza. Mi disse che il mio discorso era come il fumo di sigaretta. Per qualche minuto può disturbare i non fumatori presenti accanto a me, poi si disperde e nessuno ci pensa più. Ma se io racconto e pubblico in un libro i fatti del Passaggio Corvin ed il loro ruolo nella Rivoluzione ungherese, essi diventano storia. Lo devo ai posteri ed alla storia ungherese.

    Le parole di István Harmath mi tormentarono per settimane, tornando continuamente ad aleggiare nei miei pensieri. Mi mettevo a scrivere e smettevo. Sapevo, tuttavia, che Pista [Uno dei diminutivi di István/Stefano, N.d.T.] aveva perfettamente ragione. Anzi! Sapevo pure che nessun altro poteva descrivere gli avvenimenti e renderli pubblici nella loro verità storica se non il comandante in capo eletto del Passaggio Corvin, il quale ha vissuto in gran parte gli eventi che oggi sono pubblicati in questo libro.

    Mi tormentavano anche i fatti accaduti in occasione del 25° anniversario della Rivoluzione, le menzogne accumulatesi di quei 25 anni e la contraffazione della storia. Sentivo che, con il mio silenzio, anch’io sarei stato complice di quel lavaggio del cervello che tenta di dare una descrizione della storia della Rivoluzione ungherese di segno contrario.

    Mi è così poco congeniale la scrittura, che molte delle mie relazioni con amici e compagni si sono interrotte perché io non rispondevo alle loro lettere. Ora, tuttavia, era in gioco molto più che il mantenimento di rapporti tra amici e compagni. Oltre al fatto che era giunta l’ora, dopo 25 anni, di divulgare e rendere pubblici gli eventi descritti, sarebbe stato per me un delitto e avrei considerato alto tradimento portarli con me nella tomba. Mi passò per la mente anche il pensiero che forse per questo non ero morto nel 1956 nel Passaggio Corvin, che forse Dio mi aveva tenuto in vita fino ad allora perché avevo un compito. Tale compito era la stesura e pubblicazione di questo libro.

    Mi misi, dunque, nuovamente al lavoro e decisi di esporre gli avvenimenti secondo le mie capacità. Ciò ha richiesto non solo un enorme sacrificio materiale, dato che per un anno non potei occuparmi di nient’altro che della stesura, della composizione del libro. Molto più penoso del sacrificio materiale è stato per me dover rivivere quegli eventi a 25 anni di distanza. La scrittura di alcune parti procedeva molto lentamente, perché per giorni, settimane i miei occhi erano velati dalle lacrime. Non ho vergogna a confessare che piansi molto, moltissimo. Grazie a Dio ne sono venuto fuori, l’ho superato.

    Non posso esimermi dal ringraziare anche, con l’occasione, i miei amici, i compagni, i miei fratelli per il sostegno morale e materiale accordatomi. Spesso a mezzanotte capitava che squillasse il telefono, chiamavano da New York, da Albany, da Buffalo, da Chicago e da diverse città d’America, per offrirmi un po’ di forza d’animo, un incoraggiamento. Uno dei miei compagni, cui avevo esposto i problemi materiali relativi all’edizione del libro, mi disse: Gergely, anche se dovessi togliermi il cappello e mettermi a mendicare ad un angolo di strada, il denaro per la pubblicazione del libro lo raccoglieremo. Di questo non devi preoccuparti.

    Un altro mio compagno, Feri Csongor, mi chiamò una domenica mattina e tra noi si svolse la seguente conversazione:

    Ho sentito, Gergely, che stai scrivendo un libro.

    È vero, risposi.

    La prima copia sarà mia! Te la pagherò mille dollari!.

    Mio caro Feri, non lo so ancora con precisione, ma credo che il prezzo del libro sarà intorno ai 18 dollari.

    D’accordo. Allora pagherò i 18 dollari per il libro, il resto tienilo come donazione.

    Non mi riusciva in alcun modo di procurarmi certi libri e studi che erano stati pubblicati in Ungheria dai propagandisti di Kádár. Chiesi aiuto a Béla Király, il quale promise di spedirmi del materiale entro una o due settimane. E nel giro di tre giorni lo ricevetti.

    Péter Gosztonyi m’inviò una copia-omaggio del suo libro intitolato Storia della Rivoluzione ungherese, pubblicato nel 1981. Quando gli scrissi per ringraziarlo della sua premura, gli comunicai anche che stavo lavorando intensamente alla storia dei fatti del Passaggio Corvin, che avrei voluto pubblicare in coincidenza con la data del 26° anniversario. Nonostante le divergenze ideali tra noi esistenti, si riallacciò nuovamente un rapporto epistolare, nel corso del quale ricevetti molti dati che vengono citati o menzionati nel mio libro. Grazie Péter!

    Un sentito ringraziamento va anche ai revisori del manoscritto, che per settimane hanno lavorato gratuitamente. So che la mia determinazione a non permettere di apportare modifiche al manoscritto ha reso il loro lavoro ancora più pesante. Pista, Feri, che Dio vi benedica per questo! Siete miei commilitoni-compagni di penna! Il vostro operato vi ha promossi a combattenti onorari del Passaggio Corvin!

    Desidero, in quest’occasione, esprimere un sentito ringraziamento a Béla Szilágyi, Pista Frank, Mária Bohacsek, Klára Mihály, Jóska Bocskay ed agli innumerevoli compagni ed amici che mi hanno aiutato moralmente e materialmente nella pubblicazione del libro.

    Ho scritto la storia del Passaggio Corvin e del suo ruolo nella Rivoluzione ungherese in primo luogo per offrire materiale ed un punto di partenza ai futuri storici ungheresi, che da un intricato nodo gordiano dovranno dipanare la verità. Quando arriverà il giorno in cui, sulla base dei verbali dei tribunali, delle testimonianze e delle pubblicazioni in materia, uomini imparziali scriveranno la vera storia della Rivoluzione e della lotta di liberazione ungherese del 1956, possano essi avere in mano anche una testimonianza scritta da un combattente per la libertà. Ora, tuttavia, devo porre l’accento sul termine combattente per la libertà! Non posso affermare d’essere imparziale, non potrei esserlo! Ho preso parte alla lotta, nel corso della quale i miei compagni hanno sacrificato la loro vita per la nostra patria e ogni giorno morivano a dozzine accanto a me. Tale fatto giustifica fin troppo la mia parzialità a sostegno dello spirito della Rivoluzione e del ricordo della morte eroica dei miei compagni caduti. Non sono neppure un diplomatico, capace di descrivere gli avvenimenti con giri di parole ed espressioni belle e vuote. Non era questa la mia intenzione! Volevo evitare la possibilità di interpretazioni erronee. Spero di essere riuscito nel mio intento. So che qualche mio connazionale e forse anche qualche politico occidentale si mangeranno il fegato dopo aver letto il mio libro. Da parte mia in questo libro c’è molto più che politica. Il ricordo della morte eroica dei miei compagni non è politica per me, ma, ancora oggi, una penosa, triste realtà! Molti tra coloro che hanno letto il manoscritto mi hanno chiesto, già in passato, di modificare, mitigare la parte riguardante Maléter, dal momento che anch’egli fu impiccato dai boia di Kádár. Con la sua morte egli ha pagato per i crimini da lui commessi contro di noi.

    La mia risposta è la seguente: a partire dal 1° novembre del 1956, per iniziativa del sottotenente Péter Gosztonyi, in servizio presso la caserma Kilián, Maléter entrò da eroe nella storia della Rivoluzione. Dopo l’esecuzione ne fecero un martire, ma egli non fu né un eroe né un martire della Rivoluzione. Questo, per quanto mi è possibile, lo confermo, e spero che gli imparziali storici del futuro troveranno maggiori prove a sostegno di ciò! Neppure la sua esecuzione lo colloca tra i martiri, poiché, come ho già scritto, la morte di per sé non è sufficiente a fare di qualcuno un martire. La sola cosa che consacra martire un uomo è l’ideale per il quale egli sacrifica la propria vita! Maléter non è stato vittima degli ideali della Rivoluzione, bensì della propria carriera.

    La stessa introduzione del mio libro può infastidire. Sono stato invitato a modificare anche quest’ultima. In questo caso si pone una questione: di chi è la colpa? Di colui che l’ha commessa o di chi l’ha resa pubblica? Io non ho fatto altro che ricomporre le tessere scombinate del mosaico, in modo da ricavarne un quadro chiaro. Cosa, questa, assolutamente indispensabile, poiché, oltre al fatto che tale quadro documenta la ragione della sconfitta della Rivoluzione ungherese, nel contempo esso confuta le false teorie che attribuiscono alle esecuzioni avvenute in Piazza della Repubblica la ragione del secondo intervento sovietico.

    So che il mio libro non vincerà il premio Nobel per la letteratura, ma neanche vi aspiravo. Tuttavia spero che i fatti narrati con cruda franchezza possano mettere un freno a coloro che si occupano della Rivoluzione ungherese e fanno a gara tra loro nel mistificare la storia e nel macchiare la memoria dei miei compagni caduti! Il mio principio guida è stato di scrivere la verità oppure nulla, quandanche ciò provocasse dolore a me o a chiunque altro. Allo stesso tempo desidero ricordare, a coloro ai quali ho fatto venire il mal di denti, un vecchio proverbio ungherese che suona così: «Si fa prima a raggiungere un bugiardo che un cane zoppo». D’ora in avanti, dunque, almeno non mentano!

    Gergely Pongrátz

    23 ottobre 1982

    INTRODUZIONE

    Molti libri e studi aventi per argomento la Rivoluzione ungherese e la lotta per la libertà del 1956 sono stati pubblicati nel corso dei passati 25 anni. Ciò non desta stupore, poiché tali eventi offrono alla penna di chi scrive un argomento sul quale vale la pena di concentrare l’attenzione. Tali libri e studi, tuttavia, sono molto discordanti, poiché ogni autore tende a presentare al lettore la propria concezione politica. Sostengono la teoria secondo la quale non esiste storia, esiste solamente lo storico e, in base a ciò, si arrogano il diritto di distorcere, falsificare i fatti. Naturalmente a ciò contribuisce anche il fatto che gli autori di tali libri e studi non hanno partecipato in armi alla Rivoluzione del 1956 o, se lo hanno fatto, hanno combattuto dall’altra parte della barricata.

    I miei compagni ed amici da tempo mi chiedono di scrivere un libro. Ho ricevuto anche una lettera in cui mi si chiedeva di non esporre la storia del Passaggio Corvin e della Rivoluzione ungherese da un punto di vista ungarocentrico. A mio parere non ci si può avvicinare agli avvenimenti ungheresi del 1956 se non da un punto di vista ungarocentrico. Lo conferma il tema stesso. Soltanto la storia potrà valutare nella sua interezza il significato sia milita re che politico della Rivoluzione e della lotta di liberazione ungherese del 1956. Tuttavia la sua efficacia, nel plasmare il destino dei popoli del mondo, si è potuta vedere sin dall’inizio nel corso dei passati 25 anni. Essa fu un fenomeno che, come un fulmine a ciel sereno, piombò sull’umanità e che possiamo annoverare tra le fasi storiche di maggior rilievo del XX secolo.

    Nel 1956 si verificò la prima Rivoluzione che prese le armi contro un regime comunista. Proprio per questo, quando per gli storici si avvicina il momento di collegare ad una data e ad un luogo l’inizio del crollo del comunismo, inevitabilmente devono menzionare il 23 ottobre 1956 e l’Ungheria. La gioventù ungherese ancora una volta faceva storia,

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