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La lancia di Hìmes. la saga dei due imperi
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La lancia di Hìmes. la saga dei due imperi
E-book386 pagine6 ore

La lancia di Hìmes. la saga dei due imperi

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Info su questo ebook

La barriera che separava l’impero di Athelmet da quello dei famigerati guerrieri del ghiaccio è stata aperta ed ora è una prigione per il giovane principe e per la cugina Ehnys. I due ragazzi, infatti, sono stati scaraventati nel regno dei loro nemici, impossibilitati a tornare indietro. Anche Marcus ha attraversato il confine ed è pronto a dar loro la caccia e ad ucciderli una volta per tutte. Lui è il principe dei Ghiacciati, erede al trono dell’impero e minaccia per lo stesso Thel. Altre forze, però, si fanno strada in questo mortale gioco di guerra; forze esterne che nessuno dei due principi può permettersi di evitare. E mentre Athelmet scopre di essere più forte di quanto credesse, Marcus al contrario si ritrova a dover fare i conti con le sue più recondite debolezze e paure interiori. Tra alleanze e segreti, personaggi di un remoto passato e nuovi avversari, i due andranno alla ricerca della famigerata lancia di Hìmes, l’unica arma in grado di aprire un passaggio nella barriera e di riportarli tutti a Carsey. La lancia è una preda ambita, però, ricercata anche da qualcun’altro… riusciranno Marcus e Athelmet a sconfiggere questa nuova minaccia o sono destinati ancora una volta a doversi scontrare tra di loro per il bene dei propri regni? E Callum ed Ehnys che parte sceglieranno? L’impero di Ghiaccio è un luogo oscuro e freddo, non quello che ci si sarebbe aspettato…
LinguaItaliano
Data di uscita26 feb 2020
ISBN9788835377283
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    Anteprima del libro

    La lancia di Hìmes. la saga dei due imperi - Elvira Ciufo

    fianco.

    Capitolo 1

    Non fidarti di nessuno

    Marcus

    Mi trovavo in bilico in un mondo immaginario, o forse no. Era come galleggiare nel vuoto e nel silenzio, attratto dalla vastità del nulla biancheggiante, che ruotava e girava nel ghiaccio. I mie occhi, spalancati in quel latteo accecante, cercavano di capire quello che il cervello aveva già intuito: ero stato tradito. In un lampo mi venne in mente ogni cosa. Il brusco risveglio, la cavalcata sulla neve, i protettori di mio padre al mio fianco, la prova per poter diventare, un giorno, re. Infine, il brusco ed inaspettato tradimento. Qualcuno mi aveva afferrato per le spalle e scaraventato in uno degli infiniti laghi di ghiaccio del mio regno. Ecco il perché del freddo, mi venne immediatamente da pensare. Eppure i miei occhi continuavano ad essere spalancati in quel nulla accecante, mentre sentivo il ghiaccio penetrarmi nelle ossa e nella carne. Sentii i miei vestiti sciogliersi e le mie mani riscaldarsi, per poi raffreddarsi in un battito di ciglia. In lontananza intravidi una luce azzurra avvicinarsi sempre più veloce. Cercai di serrare le palpebre, non avendo nessuna intenzione di guardarmi morire all'interno di una melma bianca piena di mostri, ma quelle rimasero imperterrite e aperte con la luce che, ormai, mi aveva completamente raggiunto. Senza poter fare assolutamente nulla, la vidi avvolgermi e risucchiarmi la vita. Ancora oggi, al ricordo di quella esperienza, ho i brividi. Posso continuamente sentire le stilettate di ghiaccio e fuoco trapassare le mie carni mortali, come le ebbi sentite quell'unica e terrificante volta; credetti di morire e poi di non morire, di restare in quel dolore per tutta l'eternità. Non so quanto tempo passò, infine. Ricordo soltanto che, improvvisamente il dolore, così come velocemente era giunto, tanto velocemente andò via, lasciandomi in uno stato di disperazione e afflizione. I miei occhi, finalmente, riuscirono a chiudersi ed io...io mi lasciai andare alla deriva. Non mi ero mai sentito così stanco in tutta la mia vita. Sentivo caldo ed avevo le mani ghiacciate. Il volto di colui che mi aveva ucciso si formò, all'improvviso, nella mia mente e serrai i pugni, freddi. Non può assolutamente finire così. Devi pagarla, maledetto.  Il mio corpo, però, non sembrava pensarla ugualmente. Mi sentivo esausto ed in fiamme. Non voglio morire. Padre!

    Afferratelo! E fate piano, per l'amor dell'Impero.

    Accolsi l'aria ancora prima di respirarla. Qualcuno mi ghermì per un braccio, e mi trascinò a terra malamente. Riuscii a scalciare e ad aprire la bocca, con gli occhi ancora chiusi. Una mano nodosa mi strinse la testa e mi costrinse ad abbassarmi verso il ghiaccio. Improvvisamente vomitai, e presi a tossire acqua e qualcos'altro di disgustoso che preferisco non rivangare.

    Ecco ragazzo, butta tutto fuori e non farti remore, così, ti tengo io.

    Intravidi un uomo biondo e asciutto, ricoperto da un numero infinito di pellicce ed armato di pugnali fino ai denti, tenermi la testa in basso e saldamente. Ripresi a vomitare.

    Dobbiamo andare. Più restiamo qui, più aumentano le possibilità che ci scoprano.

    Un altro energumeno si alzò da terra e si avvicinò a tre cavalli lì vicino. Io riuscii ad aprire maggiormente i miei occhi, e questi saettarono ovunque. Non capivo cosa stesse succedendo. Chi sono questi due allocchi? E dove è il traditore? Improvvisamente, sentii vorticare ogni cosa. Caddi a terra e rimasi lì, immobile. Mi sentivo bruciare ovunque e le mie mani, cavolo, le mie mani erano un pozzo di fuoco. Vidi il nero accerchiarmi.

    Brucia peggio delle fiamme dell'Inferno, aiutami a metterlo su quel maledetto cavallo.

    Uno mi prese per i piedi e l'altro per le braccia e, insieme, riuscirono ad issarmi su una delle loro cavalcature. Avrei voluto urlare e chiedere aiuto, ma non riuscivo a far uscire fuori la voce, ed il cercare di controllare il mio corpo e di tenere a bada il dolore, non lasciavano spazio per nient'altro. Vedevo solo rosso e nero avvicendarsi tra loro.

    Dai, sbrigati, se lo sciamano chiude la barriera siamo fottuti.

    Il re non lascerà il figlio da questa parte, puoi stare tranquillo.

    Il biondo incombeva su di me, e la sua voce mi fece uno strano effetto narcotizzante. La mia mente percepì il cavallo muoversi al trotto, verso chissà dove.

    Il re sa anche che non siamo ancora pronti per la guerra, la barriera deve essere nuovamente chiusa.

    Andiamo, allora.

    Spesso ripercorro i miei passi, cerco di ricordare quel viaggio e tutte le sue implicazioni, ma per quanto mi sforzi, la mia mente mi riporta solo il buio, il dolore e i movimenti del cavallo su cui mi trovavo. Una cosa però la ricordo bene: il cielo di uno strano colore violetto ed i continui ringhi di bestie immaginarie. Queste furono le mie accompagnatrici costanti durante un cammino che pur dovette essere lungo. I miei due rapitori non parlarono mai o, se lo fecero, io stavo troppo male per rendermene conto. Avevo un caldo infernale e mi sentivo la febbre altissima. La mia mente andava alla deriva e non voleva risvegliarsi. L'ultima cosa che percepii, prima dell'oblio completo, fu l'arrivo di tantissimi cavalli che mi vennero incontro. Mi sentii trascinato e sballottato dagli eventi, o se volete vederla più poeticamente, da un destino crudele che aveva deciso di giocare con me ad un gioco che io, però, non avevo assolutamente voglia di fare. Un uomo scese da un cavallo nero, bardato di blu ancora in corsa, e mi strinse a sé con forza, troppa. Cercai di divincolarmi e, dalle mie labbra mi uscì un gemito di sofferenza pura. Lui allentò la presa e avvicinò il suo viso al mio, in fiamme. I suoi occhi erano viola.

    Bentornato a casa, Marcus.

    ***

    Marcus

    Sentivo le urla. Qualcuno spesso piangeva, ma forse era solo la mia immaginazione. A volte credetti di udire, nuovamente, i ringhi delle mie bestie immaginarie. Esse erano accompagnate dal rumore dello stridio delle armi e dalle voci degli uomini. Il mio corpo continuava a bruciare e non capivo cosa fosse frutto della mia mente distorta e cosa no. Una donna cantava continuamente per me. Il suo canto era dolce e riposante, una ninnananna rassicurante che mi calmava e mi raffrescava. Probabilmente a raffrescarmi era il ghiaccio che sentivo tutto attorno, o anche questo non era reale? Percepivo mani di gente estranea toccarmi ovunque. Avrei voluto respingerle, mandare tutti via, chiudermi nel mio fuoco interiore e morire, ma loro, chiunque fossero, non me lo permettevano. Mi sentivo perso e spaventato, in balia di estranei che avrebbero potuto farmi di tutto e io non avrei potuto fermarli, debole così come ero.

    Perché sta così male?

    Questa era un'altra voce che sentivo continuamente, assieme a quella della donna che cantava.

    I suoi poteri gli si sono rivelati troppo presto; inoltre il suo corpo non è abituato al freddo che c'è qui, maestà. Dategli tempo, è forte e giovane. Presto si rimetterà.

    La voce riprese a cantare ed io sprofondai nuovamente nelle tenebre.

    Nella notte più oscura che esista,

    arriverà il Mago celato di nero.

    Egli ti rapirà nell'inverno del ghiaccio,

    e ti trasformerà al suo volere malvagio.

    Non avere paura del buio,

    bambino.

    Se ti metterai a dormire nel ghiaccio,

    lui non potrà vederti.

    Dormi, dormi,

    principe del mio cuore,

    e al sicuro sarai dalle sue braci di fuoco.

    Aprii di scatto gli occhi e notai, immediatamente, che qualcosa era differente. L'ambiente aveva, attorno a sé, una specie di patina azzurrina. Provai a stropicciarli, ma tutto rimase uguale. Mi trovavo in una stanza gelida e ovale, spoglia tranne che per l'immenso letto a baldacchino, pieno di coperte, sul quale mi ero appena messo seduto. Allontanai le lenzuola e mi alzai velocemente. Stranamente mi sentivo benissimo, eppure, anche se vagamente, avevo un ricordo di quel dolore sordo al corpo e alle mani che mi aveva accompagnato fino a qui e che sembrava non volesse abbandonarmi più. Spostai lo sguardo su queste ultime e le vidi, assolutamente normali. Cautamente avanzai fino alla porta e poggiai l'orecchio su di essa: niente. Regnava un silenzio tombale. Notai, accanto al caminetto spento, vicino il letto, un bastone di legno appuntito; lo presi e decisi che lo avrei usato contro il primo dei miei rapitori che mi fosse capitato a tiro. Girai con lentezza esasperante la maniglia della porta e sbucai all'interno di un corridoio anonimo e freddo. In punta di piedi, presi a camminare. Sembrava non esserci nessuno in questa specie di castello. Le pareti erano del colore del ghiaccio, anzi, tutta l'intera dimora sembrava essere un grosso e modellato pezzo di ghiaccio intero, ma come poteva esistere una cosa del genere? Un angolino remoto della mia mente mi disse che avrei dovuto avere freddo, visto che indossavo soltanto una maglietta sgualcita e un paio di calzoni leggeri, ma io non ci feci caso, non più di tanto. Alla fine del corridoio mi si presentarono due rampe di scale: una portava in basso e l'altra in alto. Il buonsenso mi disse che era arrivata l'ora di uscire da lì; all'aria aperta mi sarei sentito sicuramente meglio, così, presi la scalinata che portava al piano inferiore. Mi ritrovai in un ennesimo varco buio e azzurro. Qui, almeno, vi erano alcune decorazioni, vale a dire varie armature incassate in delle nicchie che mi fissarono mentre sfilavo loro dinanzi. Il mio stomaco prese a brontolare improvvisamente e la lingua corse a leccare le labbra riarse e secche. Per la miseria, che fame! Dove diamine sono capitato! Vidi una luce provenire da una stanza semiaperta e mi arrestai di botto, spaventato. Dal suo interno proveniva una musica che mi sembrava di conoscere. Facendomi coraggio, alzai il bastone, la mia unica arma di salvezza, e sbirciai al suo interno. Vi erano due camini in funzione che mi buttarono addosso una vampata improvvisa di calore e mi fecero arretrare di botto. Presi un respiro e riprovai. L'ambiente era arredato da una moltitudine di fiori e odori stravaganti. Questi riempivano tutto lo spazio a disposizione, persino il letto sfatto ne era ricolmo. Storsi il naso, disgustato, ed entrai lentamente all'interno. Una donna mi dava la schiena. Stava raccogliendo il calore del camino seduta su di una poltrona a dondolo, cantando quella canzone che sentivo, anzi sapevo di conoscere, ma proprio non ricordavo come o quando l'avessi già ascoltata. I capelli della donna erano così chiari da sembrare bianchi ed erano così lunghi da sfiorare il pavimento con le punte. Pensando che sarei riuscito a difendermi se mi avesse attaccato, presi a parlare.

    Ehm… salve. Sa dirmi dove mi trovo?

    Non ebbi nessuna risposta. Lei continuò a dondolarsi e a cantare a bassissima voce, come se non mi avesse sentito. Impugnai più saldamente il bastone e la scossi con l'altra mano.

    Sto parlando con lei.

    La voltai bruscamente, in modo che i suoi occhi fissassero i miei e rimasi immobile. Aveva gli occhi azzurri, no, erano di un bianco accecante. Mi trapassarono senza vedermi. La donna prese a muovere la testa a destra e a sinistra e alzò la voce. Il suo canto divenne quasi un urlo.

    Stia zitta.

    Le mie parole non sortirono alcun effetto, al contrario, sembrarono rinvigorirla maggiormente. Sentii dei passi in lontananza, così uscii dalla stanza, ora di nuovo spaventato e mi misi a correre, abbandonando la cautela una volta per tutte. Devo andarmene da qui. Di sicuro tutto il regno mi starà cercando a quest'ora. Con il fiato grosso raggiunsi il portone di ghiaccio del castello e lo spalancai. La luce violetta mi accecò per un istante. Ero sbucato in un cortile. Al suo centro svettava una specie di albero avvizzito, circondato da lastre di ghiaccio e da brina che si era posata sulle sue foglie minute. Non si vedeva nessuno, non un soldato, non una guardia, avevo il via libera. Mi misi di nuovo a correre e i miei occhi si rallegrarono alla vista di un ponte levatoio in lontananza. Già stavo pregustando la fuga, quando un colpo mi scaraventò, improvvisamente, a terra. Arrabbiato oltre ogni dire, mi rimisi in piedi con una capriola e fissai intensamente il nemico. Era un ragazzino dai corti capelli biondi, con indosso un'armatura stretta e completamente nera. Mi aveva scagliato a terra con una semplice spallata, e adesso mi stava fissando attraverso due occhi azzurri, in modo alquanto intenso. Impugnava una corta spada seghettata e la alzò verso di me.

    Levati di torno gli urlai in malo modo.

    Lui si limitò a mettersi in guardia e ad avanzare. Con la coda dell'occhio intravidi, seduta vicino l'albero, una ragazza dai capelli biondo rame, ma non ebbi modo di effettuare un esame più approfondito, che il biondo mi si lanciò addosso. Va bene, ti rimetterò a posto velocemente e me ne andrò via da questo posto infernale. Raccolsi il bastone da terra e mi preparai allo scontro. Il ragazzino biondo cercò di colpirmi alle gambe, ma lo evitai facilmente con un salto. Poi, spada e bastone si incontrarono sprizzando scintille e dando vita ad un duello di stoccate e parate.

    Il vostro re deve essere alquanto idiota, visto che lascia a difesa di un intero castello un moccioso alle prime armi ed una ragazzina inerme.

    Il biondo si limitò a sorridere, mentre la sua compagna aveva preso a mangiucchiare una mela, presa da chissà dove. Lì seduta si stava godendo il duello a gambe incrociate. Il ragazzo aumentò i suoi affondi e richiese tutta la mia concentrazione.

    Non sei un tipo loquace, eh?

    Continuammo a darcele di santa ragione. Riuscii, per un attimo, a penetrare la sua guardia, ma all'ultimo istante, lui si piegò in basso e schivò il mio bastone per un pelo. Io, per quanto mi fu possibile, tentai di resistere ai suoi assalti, ma quelli divennero più veloci e letali ad ogni istante che passava, e sentii il mio corpo protestare e lo stomaco piangere per la mancanza di cibo. Improvvisamente mi distrassi, avevo iniziato a vedere doppio, e non so come avvenne di preciso, ma vidi il mio povero bastone, ormai ridotto ad un mucchietto di legno informe, volare dall'altro lato del cortile ed atterrare con un tonfo vicino i piedi della ragazza. Lei si alzò ed appuntò i suoi occhi nei miei: erano del colore della brace. Il biondo mi si avvicinò ed io non arretrai. Qualcosa si mosse nel mio stomaco e questa volta seppi che non era una richiesta di cibo. Era come ghiaccio fuso che aveva preso ad agitarsi dentro di me. Alzai le mani senza volerlo e le vidi ricoprirsi di brina bianca. Il biondo si arrestò, mentre la ragazza si mise a correre. Il suo avanzare mi allarmò e le mie mani agirono di conseguenza. Un fascio di ghiaccio fuoriuscì da esse e colpì il fianco del bambino biondo. Lo vidi cadere su di un ginocchio con un gemito e portarsi la mano sulla parte lesa, bagnata di sangue.

    Non farlo!

    La voce della ragazzina sembrava provenire da un posto lontano anni luce. Vidi, affascinato, il terreno duro e gelido colorarsi di ruggine, vicino i miei piedi. Avanzai e colpii di nuovo il nemico con il ghiaccio, mirai al cuore, ma esso penetrò la spalla. Questa volta il ragazzo urlò e cadde a terra malamente. Qualcosa bruciò anche la mia, di spalla, e sentii il respiro strozzarmisi in gola. Facendomi forza, mi rimisi in piedi ed afferrai il bambino per il braccio sinistro, strizzandolo e facendogli fuoriuscire un altro grido di sofferenza, grido che andò a baciare il mio; lo sballottai come una bambola di pezza.

    Me ne andrò da qui e tu non potrai fermarmi, nessuno di voi lo farà.

    Immaginai un coltello di ghiaccio e quello prese immediatamente forma nella mia mano. Ordino e le mie mani eseguono. Tirai il giovane per i capelli e voltai il suo viso verso il mio. Le fronti si toccarono, i respiri si mescolarono. Sentii il suo alito nella mia bocca. I suoi occhi azzurri penetrarono i miei e mi bloccai. Impugnava ancora la spada nell'altra mano, ma non aveva nemmeno accennato ad alzarla. La ragazzina ci aveva raggiunti e si era arrestata.

    Si farà ammazzare da te, principe.

    Le sue parole penetrarono, a poco a poco, la mia coscienza. Mi voltai, tenendo ancora abbracciato il biondo e la vidi. Il ragazzo si accasciò sul mio petto. Lei si inginocchiò e me lo tolse dalle mani, ebbi freddo. Dal cortile emersero due donne che fissarono la scena immobili e spaventate. Che spettacolo atroce devo essere. Uno scherzo della natura, con uno strano potere tra le mani. All'improvviso avvertì tutta la stanchezza dell'ultimo periodo cadermi addosso come un macigno. Ripresi a vedere doppio. Le mie mani erano sporche di sangue e mi fecero ribrezzo. Caddi a terra e rimasi immobile, paralizzato. Che sta succedendo? Chi sono io? Il ragazzino biondo mi si avvicinò, mi acciuffò la testa con le mani e mi strinse a sé, come se fossimo vecchi compagni di spada. Il freddo venne scacciato via e mi sentii al sicuro, come non mi era mai capitato di sentirmici in tutta la mia vita. Chiusi gli occhi. Uno squillo di trombe fece voltare tutti improvvisamente. Vidi dei cavalieri al galoppo, davanti, lo stesso uomo che la mia mente riportò a galla in un baleno: i capelli bianchi e gli occhi viola. Frettolosamente riempirono il cortile e ci circondarono. La ragazzina dai capelli ramati corse incontro un uomo e ad una giovane dai capelli rosso fuoco che, scesa da cavallo, la abbracciò con calore e rise sguaiatamente.

    Ne ho ucciso uno Neìme, dovresti essere fiera di me, sorella.

    La vidi sorridere forzatamente.

    L'anno prossimo potrò farlo anche io.

    Non è così facile come credi. Ci vuole coraggio e addestramento e tu sei ancora troppo piccola.

    La ragazza dagli occhi rossi di nome Neìme le fece un cenno e si allontanò per andare incontro ad un uomo grosso e piazzato. Riuscii a sentire sulla mia pelle le sue fiamme d'ira nei confronti della sorella. Il cortile si animò improvvisamente e nessuno sembrò far caso a me e al ragazzo biondo che, ancora, ci tenevamo stretti l'un l'altro. Lui, probabilmente perché le ferite non gli consentivano di muoversi ulteriormente, e io perché mi sentivo troppo fiaccato nel corpo e nell'animo per allontanarlo. L'uomo dai capelli bianchi ed un suo compare si avvicinarono. Riconobbi nel guerriero asciutto e alto quello che mi aveva rapito, o salvato da una morte tremenda nel lago, mi disse la mia mente traditrice. Entrambi i nemici ci fissarono per un lungo tempo. Poi, quello dai capelli bianchi, che doveva anche essere il capo di questa mansarda assurda di uomini in armatura e pellicce, mi afferrò e mi racchiuse in un abbraccio caloroso. Io non feci nessuna resistenza.

    Hai visto, Burvik. I nostri due figli vanno già d'accordo.

    Mi congelai.

    Capitolo 2

    Ringraziati sia il popolo che i nobili,

    contenti gli uni, contenti anche gli altri

    Marcus

    Uno dei due camini presenti nella stanza era acceso ed emanava un forte calore. Mi guardai attorno e, immediatamente, venni trascinato indietro nel tempo, ai miei primi giorni in questa landa desolata, in questa camera. La prima volta che vi misi piede, vi trovai mia madre. Ricordo ancora la sedia a dondolo e la sua bassa voce intonare la canzone della mia infanzia. I suoi capelli argentati e i suoi occhi bianchi mi avevano traumatizzato come non mai. Poco dopo, mio padre mi disse che non era più se stessa, che da quando io ero scomparso dalla sua vita, si era irrimediabilmente spenta a poco a poco; le era scomparsa la vista e la mente l'aveva abbandonata. Mi irrigidii. Non sono riuscito a conoscere nemmeno mia madre, la pagherete. Ora, in quel letto, immerso nelle coperte e nelle pellicce, vi era Cal. La sua ferita si era infettata e lui ancora non si era ripreso del tutto. Appena mi vide, i suoi lineamenti si distesero e lo stesso fecero i miei. Ancora una volta ricordai i tempi passati: la prima volta che lo avevo visto, il nostro combattimento e, soprattutto, la sensazione di benessere e pace che avevo provato quando, esausto, ero crollato praticamente tra le sue braccia. Poi ricordai anche Neìme ed il sorriso si spense velocemente sulle mie labbra. Scossi la testa e mi avvicinai al guerriero biondo.

    Messo fuori combattimento da un Dingo. Sono settimane che vado in giro senza la tua ombra, quasi mi manca.

    Volevo prenderlo in giro e rallegrargli la giornata, ma le mie parole ebbero l'effetto contrario. Callum abbassò gli occhi e chinò il capo in segno di sottomissione.

    Mi dispiace, mio re. La mia debolezza vi sta ostacolando; dovrei proteggervi, ma non sono in grado di farlo.

    Gli afferrai la testa e sbattei la sua fronte contro la mia, così come facevamo spesso da bambini, quando uno dei due veniva afferrato dal panico irrazionalmente.

    Non dire stupidaggini. Presto tornerai in forma e, non appena avremo localizzato lo sciamano, prenderemo la lancia, neutralizzeremo Athelmet e porteremo via il culo da questo posto ghiacciato una volta per tutte.

    Finalmente mi sorrise.

    Lui non ha dato fastidio, vero?.

    La sua domanda mi riportò al mio problema presente. Scossi la testa. Mi trovavo nell'ignoranza in questo preciso istante: ignoravo cosa stessero facendo mio padre ed i guerrieri del regno, ignoravo dove fossero Athelmet e quell'impiastro della cugina, magari sono morti di freddo, ma soprattutto, ignoravo dove fosse quel maledetto Mago. Poteva presentarsi al mio cospetto in un preciso momento come in un altro e io non avrei potuto fare nulla, non senza un esercito, non con Cal ancora convalescente, non con il castello così vulnerabile.

    Per ora nulla fui costretto a rivelare.

    Cal annuì.

    Probabilmente non gli interessiamo, per ora. Sarà occupato nella sua opera di annientamento, lui e i suoi maledetti super soldati di fuoco.

    Si rese immediatamente conto delle sue parole, perché vidi i suoi occhi guizzare sul mio viso in cerca di un'emozione. Io rimasi impassibile, nemmeno con lui potevo mostrarmi debole su questo fronte. Eppure, in un lampo, mi venne in mente il viso di Neìme, i suoi occhi e i suoi capelli ramati. Presto furono sostituiti da quelli di Kalat e mi si formò un groppo in gola. Lo ignorai. Cal si agitò nel letto.

    Se dovesse farsi vedere potremmo usare i fantasmi.

    Accarezzai la chiave che portavo al collo, e scossi la testa per l'ennesima volta.

    Meglio di no. Non so cosa sono o come potrebbero reagire. Preferisco che sia mio padre ad evocarli e poi non abbiamo tempo. Dove diamine si sarà nascosto quell'idiota di uno sciamano?

    Vedila così disse Cal se non riusciamo a trovarlo noi, nemmeno il ragazzino riuscirà a farlo. Se siamo fortunati verrà ammazzato dal freddo o da una delle bestie del Mago. Problema risolto.

    Risi.

    Non penso che la fortuna voglia aiutarci o che sia così audace da farlo comunque e, per quanto riguarda Thel, lo abbiamo sottovalutato più di una volta, non accadrà nuovamente. Se dovesse distruggere la lancia e chiudere il passaggio una volta per tutte rimarremo bloccati in questo inferno. Peggio ancora: se lo sciamano dovesse morire non potrebbe costruirne un'altra. Ciò significherebbe rimanere incastrati qui per sempre, non solo per dieci anni.

    Non resisteremmo altri dieci anni. Non da soli e con il Mago che incalza.

    La sua visione era accurata. Sapevo che altri dieci anni di sopravvivenza qui ci avrebbero uccisi. Dieci anni lontano da mio padre. Per gli inferi, NO! In quel preciso istante lo stomaco di Cal prese a borbottare. Il guerriero mi fissò imbarazzato. Io risi ancora. Mi alzai dal letto e mi portai sulla soglia.

    Vado a prenderti del cibo.

    Senza attendere risposta, mi incamminai per il lungo corridoio ghiacciato, con in testa le immagini della mia prima camminata in questo luogo sovrapposte a quella di adesso; solo che, questa volta, invece di imboccare la scalinata che portava in basso, presi a salire le scale dall'altro lato, ritrovandomi nei locali spaziosi della cucina. Anche qui, come in tutte le stanze del castello, il ghiaccio la faceva da padrona. Non era un problema per me. Mi sentivo al fresco e al sicuro, ma ricordo ancora come, invece, i pochi servi che io e mio padre avevamo, soffrissero tanto il freddo. Più di ogni altra cosa ricordo la paura, la paura che non lasciava mai il volto di nessuno, che fossero nobili, servi o, semplicemente, quelli del popolo. Paura che veniva mostrata anche in occasione dei pochi ricevimenti dati al castello, che io potevo osservare affascinato sul volto delle dame, strette ai loro familiari ed amici. Era il terrore rappresentato dal Mago, l'angoscia data dalla prospettiva di una seconda guerra contro l'impero di Carsey, il panico che ti afferrava la gola di fronte la possibilità di dover morire lentamente tra il ghiaccio e la miseria. Mi avvicinai al piano di lavoro, e vidi sbucare la mia vecchia cuoca dallo stanzino dove conservavamo le provviste per i tempi difficili. Era la donna che mi aveva sfamato da bambino, quella che ci aveva sgridato continuamente a causa delle nostre marachelle, mie, di Cal e di Neìme. Era invecchiata, ormai. I suoi buffi capelli corti e ricci erano diventati bianchi. Il suo peso sembrava aumentato, ma non potevo capirlo con certezza, visto lo strato di pellicce che si era messa addosso. Osservai le rughe sulle mani scheletriche intente ad impastare il pane e me ne rammaricai. Quelle mani non avevano sfamato solo me ed i miei amici, ma anche il popolo. I cittadini dell'impero erano soliti venire al castello ogni giorno, cercando qualcosa di cui sfamarsi. Mio padre non ha fatto altro che aiutarli, pensai rammaricato, ma adesso lui non è qui, non può aiutare nemmeno me. Si è portato dietro la nuova cuoca, immaginai, lasciando la vecchia Nen qui, in attesa di un futuro migliore. Sbucai nello stanzone e mi feci notare. Non appena mi vide, un largo sorriso le illuminò il volto, un circuito di rughe partì dai suoi occhi e finì per riempirle tutto il viso.

    Scommetto che avete fame disse.

    Conosco bene il vostro stomaco, ormai. Sin da bambino eravate capace di mandare giù un montone intero, se solo ve lo avessi permesso. Vostro padre venne perfino a dirmi, preoccupato, di non farvi ingozzare come un maiale, sapete? Aveva paura che avreste potuto diventare grasso e infelice. Gli risposi che non c'era pericolo. Eravate una tale peste. Sempre a correre e a mettervi nei guai, un vero principe dei ghiacci.

    Abbozzai un sorriso ripensando al passato, a quei ricordi felici, ma tristi e amari allo stesso tempo se rapportati al presente e ciò che ne è, alla fine, conseguito. Mentre infilai in bocca un tozzo di pane, Nen mi schiaffeggiò la mano bonariamente e riprese ad impastare.

    Cal ha fame, non io. Non è che avresti qualcosa di buono pronto per lui?

    La vecchia cuoca afferrò, da sotto il ripiano, un piatto ripieno di patate dolci e di carne. Meglio non chiedere a quale animale appartenga. Me lo porse con grazia.

    Ecco qui. Ho preparato il meglio per il vostro difensore, maestà.

    La ringraziai sinceramente, specie sapendo che, di questi tempi, era difficile procurarsi del cibo, soprattutto adesso che i cacciatori erano andati via dal regno assieme a mio padre. Presi il piatto al volo e feci per ritornare da Cal quando vidi un biscotto, grande, luminoso e spolverato di bianco. Fu come un'illuminazione divina. In verità non stavo certo morendo di fame, a differenza probabilmente del mio popolo, ma ricordavo spesso i lauti banchetti a Carsey. Ricordi che, adesso che mi ritrovavo qui, di nuovo, si facevano largo nella mia mente sempre più prepotentemente. Come incantato feci per afferrare quel dolce, ma la mano di Nen mi schiaffeggiò nuovamente e questa volta sentii l'insistenza nelle sue mani. La fissai, il ghiaccio che prese a muoversi lentamente nel mio sangue senza volerlo.

    Quello è per Mhesìr. Non vedevo una giovane fanciulla al castello da tanto tempo. Non vorreste negare quel biscotto a quella povera ragazza, vero? È così pallida e magra, la poveretta. Credo che il clima del nostro impero la stia lentamente uccidendo. Dovete fare assolutamente qualcosa per lei.

    Sta benissimo le risposi con una smorfia sfrontata. Molto meglio di me e te, comunque.

    Nan non mi sembrò convinta, ma poco importava. La profetessa era ancora viva solo perché io la ritenevo un'alleata utile e nient'altro. Sapeva di Kalat, lo sapeva e mi aveva tradito non dicendomi nulla, era rimasta impassibile di fronte ad una morte che potevo evitare. Avrei potuto salvarla. Non adesso, non potevo farmi sovrastare da un qualsiasi tipo di sentimento. L'unica cosa da fare, ora come ora, era quella di concentrarsi sulla lancia e sullo sciamano. Mhesìr poteva ancora essermi utile, una sua visione avrebbe potuto dirmi dove fosse quel maledetto uomo e cosa avesse intenzione di fare. Sicuramente si era nascosto non appena il gemello gli aveva restituito la lancia. Avendo fiutato il pericolo era scomparso dalla faccia dell'impero, ma la lancia gli era stata restituita dal fratello solo perché non cadesse nelle mani di Athelmet. Thel è qui. Quell'arma potrebbe lo stesso finire nelle sue mani, ma non succederà, non con me sul trono di ghiaccio. Decisi di andare a cercarla e di chiederle se le sue visioni avessero deciso di servirmi e rendersi utili, una volta per tutte. Altrimenti lei stessa non serviva. Minacciarla, però, sembrava non funzionare. Ogni volta che lo facevo, ed era capitato spesso in questi giorni, lei mi fissava con quegli occhi così intensi e mi rispondeva che non le avrei mai fatto del male. Eppure mi accorgevo che non era più così sicura come un tempo. Era venuta da me, convinta del suo potenziale e dicendomi che il suo destino era quello di servirmi, così persuasa da ciò che pensava e sentiva, tanto da andare perfino contro il suo stesso padre ed adesso ci trovavamo qui, in stallo, in un impero a pezzi e sull'orlo del collasso. La sua cameriera mi raccontava, giornalmente, le sue mosse. Non mi fidavo di lei. Non mi fidavo di nessuno. Le uniche cose interessanti che mi venivano riferite, riguardavano i suoi sogni. La cameriera la sentiva di notte urlare; le sue parole, nelle sue visioni, erano sempre le stesse: Non era questo quello che mi era stato promesso e Gli occhi...gli occhi come brace lo cattureranno. Non mi era parso interessante, nulla che potesse riguardare lo sciamano, ma forse mi sbagliavo. Avevo poco tempo, dovevo interpellarla. Scesi velocemente nell'atrio del castello. Il posto era deserto, non che ai miei tempi fosse pieno, ma vi era qualche servitore in più negli anni felici della mia crescita. Le mie orecchie colsero il rumore delle armi prima ancora di mettere piede nel cortile. Mio padre aveva lasciato i suoi uomini più giovani, quelli ancora acerbi e non ancora in grado di scendere in battaglia. Ripensai al mio di battaglione e deglutii. Come posso sconfiggere il Mago solo con questi ragazzini inesperti? Poi mi ricordai che la missione non riguardava quel mostro, ma la lancia, lo sciamano e mio fratello. Dovevo concentrarmi maggiormente su queste tre cose e mettere da parte tutto il resto. Spaziai lo sguardo in cerca di Mhesìr, ma non la vidi da nessuna parte. I giovani soldati si stavano allenando con flemma e coraggio, dopotutto. Li osservai. Molti paravano le stoccate che venivano loro inferte dai compagni con mala grazia e, a malapena, riuscivano a tenersi in piedi. Il guerriero che avevo scelto come loro comandante sbraitava ordini da vero veterano, invece. Camminava avanti e indietro, dando consigli e mostrando le posizioni più semplici di attacco e di difesa, le nozioni basilari che io avevo imparato a dieci anni. Sbuffai esasperato. Improvvisamente vidi un cavallo al galoppo dirigersi verso di noi. La sentinella sul barbacane abbassò, frettolosamente, il ponte levatoio e

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