Da ribelle a eroe di guerra
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Anteprima del libro
Da ribelle a eroe di guerra - Giacomo Cortejosa Isetta
Virginia
Prefazione
Non è stato facile per me decidermi a raccontare le vicende umane e militari di Antonio Cortejosa Vallejo, mio padre.
Da piccolo mi affascinava la sua figura di marinaio, di lupo di mare, così lo immaginavo dalle conversazioni che captavo curioso ogniqualvolta ne avevo la possibilità. Da ragazzo ero convinto che il mio futuro sarebbe stato nella Marina da Guerra, seguendo le sue orme, salvo poi rendermi conto di patire il mal di mare in maniera a dir poco imbarazzante.
Come la gran parte di coloro che hanno sofferto per vicende belliche, papà era abbastanza schivo se non reticente nel raccontare episodi di vita vissuta, specie in famiglia, ma molti erano gli amici con i quali aveva condiviso le lotte per la libertà e che ne conoscevano la storia.
Da liceale e anche in seguito ero un piazzarot
di prima categoria, cioè un abituale frequentatore della, o meglio, delle piazze di Montebelluna e dei relativi bar, luoghi deputati agli incontri, alle chiacchiere, alle confidenze, allo scambio di opinioni, alle domande e alle risposte. Luoghi dove le differenze di età non contavano, era invece importante avere interessi e sentimenti comuni, un background culturale, sociale e psicologico condiviso.
Nelle piazze e nei locali di Montebelluna, dalla Taverna alla pasticceria Bernardi solo per citarne un paio, ho raccolto più testimonianze su mio padre, da chi lo aveva conosciuto e apprezzato in vita, che tra le mura domestiche. Mi è capitato spesso, parlando con qualcuno più anziano di me, che mi venisse detto ma allora tu sei il figlio di Toni Spagnol
, così era affettuosamente chiamato dai montebellunesi e non solo da loro, e venissi gratificato di una serie di notizie e aneddoti su di lui.
Ripenso alle lunghe chiacchierate con Antonio Toni
Colognese nel negozio di calzature in corso Mazzini, ai ricordi del rag. Romolo Pellizzari, mio padrino di battesimo, alla amabilità della contessa Tini Guillion Mangilli nel tratteggiarne la figura. Mi sono rimasti impressi nella mente gli appassionati e avvincenti racconti del cav. Livio Morello, comandante partigiano di mio padre e medaglia d’oro al valor militare, nelle visite a casa nostra e nelle rimpatriate tra ex combattenti, oltre alla gentilezza nel permettermi di consultare le sue carte e i suoi appunti.
Ricordo ancora adesso quelle gite a Venezia assieme a papà, da me vissute con un misto di mistero e di meraviglia, quel suo muoversi con sicurezza tra le calli, quel portone che si apriva lentamente e l’androne nel quale ci accoglieva con un sorriso un affabile signore: Pietro Ferraro. Il suo capo missione, anche lui medaglia d’oro al valor militare, con il quale aveva trascorso gli ultimi mesi di guerra fino alla liberazione di Venezia e con il quale richiamava alla memoria l’entusiasmo e le idealità di quei giorni.
Un quadro che con il tempo è venuto sempre più delineandosi e che poi si è ulteriormente arricchito quando si sono fatti più frequenti e approfonditi i contatti e la conoscenza diretta con la sua famiglia spagnola, i miei nonni, zii e cugini. Un quadro che poi ha cominciato a trovare riscontri nella prima pubblicazione di cui sono venuto in possesso e nella quale veniva citato mio padre per fatti avvenuti durante la Guerra Civile Spagnola (1936-1939).
È nata allora l’idea di approfondire il tutto e di raccoglierlo in una trattazione organica anche se l’intento era più che altro di carattere archivistico, di semplice raccolta di documenti e testimonianze. La prematura morte di papà mi ha spinto invece a raccontarne la storia, a metterne in risalto la figura perché ne rimanesse memoria.
Purtroppo gli impegni di lavoro e quelli familiari hanno messo in sordina questa intenzione per un lungo periodo, anche se nel frattempo non sono mancate le occasioni per raccogliere nuove testimonianze e documenti.
Una idea che ciclicamente si riaffacciava per essere poi di nuovo sommersa dalla quotidianità della vita e che solo il ritiro dall’attività lavorativa mi ha permesso di tornare a coltivare. Ho cominciato allora a fare ricerche più minuziose e mirate, sorprendendomi del fatto che ogni nuovo tassello che si aggiungeva al quadro rimandava a quello successivo.
Alla fine, la quantità di notizie raccolte, orali e scritte, è stata notevole, superiore alle aspettative, e ho cominciato a scrivere cercando di contemperare l’aspetto personale e familiare con la correttezza storica di quanto narrato. La vicenda umana di Antonio, infatti, non può essere compiutamente rappresentata se non inserendola nel contesto storico, economico e politico nel quale si è dipanata. Alcune volte la parte descrittiva e storiografica può sembrare prevalente su quella narrativa ma è proprio in quei precisi ambiti che sono maturate le scelte di mio padre, ne hanno condizionato le azioni, il presente e il futuro e solo comprendendo i primi si possono apprezzare appieno le seconde.
Mi auguro di aver raggiunto l’obiettivo, senza la supponenza di cercare verità assolute ma con il desiderio e la speranza di tratteggiare un ritratto il più preciso possibile dell’animo e del cuore di papà.
Lo scopo principale che mi sono proposto nello scrivere questo libro, infatti, è quello di offrire una testimonianza scritta della sua vita e di chi gli è stato accanto, a cominciare da mia madre, perché non ne vada perduto, con la scomparsa ineluttabile dei testimoni, il ricordo.
Cap. 1 – L’adolescenza (1912-1928)
È una tiepida serata del cinque gennaio del 1912 e Don Pedro Gaspar Cortejosa Bancalero, capo cannoniere dell’Armada, la Marina da Guerra Spagnola, felice e orgoglioso si presenta all’ufficiale di stato civile di San Fernando per denunciare la nascita del suo primogenito Antonio, venuto al mondo due giorni prima alle ore diciassette e trenta minuti.
Nato anch’egli a San Fernando il 29 marzo 1887, figlio di Pedro Cortejosa Callealta e di Leonor Bancalero Gutierrez, Pedro era entrato in Marina il 31 dicembre 1905 come allievo della scuola di artiglieria navale di San Fernando. Alla nascita del suo primo figlio sta prestando servizio sull’incrociatore Infanta Isabel e continuerà con altri imbarchi fino al 1917, dopodiché sarà assegnato a incarichi di terra, con prima destinazione proprio alla Scuola di Artiglieria di San Fernando.
Questo piccolo angioletto rappresenta, dopo il matrimonio con Ana Vallejo Arraez, una sfida come uomo e come padre ma anche un ulteriore passo verso una certa stabilizzazione, nonostante i continui trasferimenti cui è sottoposto un militare e per giunta marinaio. San Fernando, con la sua base della Marina, è l’approdo sicuro, la casa, la famiglia e il lavoro ma è anche una ridente località del Sud della Spagna, bagnata dall’oceano Atlantico nella baia di Cadice.
Le due città sono una di fronte all’altra, collegate da una striscia di terra e sabbia sospesa sul mare, vero cordone ombelicale che le unisce in un unico destino. Chiamata anche La Isla
, San Fernando è di antichissima origine. I primi abitanti furono i fenici, arrivati alla fine del secondo millennio avanti Cristo, seguiti poi dai cartaginesi e dai romani. In questo periodo l’intera baia godette di un grande splendore, grazie ai commerci marittimi, al quale seguì un periodo di decadenza fino alla conquista musulmana, che ridiede impulso alle attività economiche.
Solo nell’età moderna però, con la scoperta delle Americhe e in particolar modo a partire dal Diciottesimo secolo, il progresso economico e culturale raggiunse il suo apice e anche le condizioni di vita della popolazione ne trassero beneficio.
L’evento storico più importante nella storia di San Fernando è senz’altro l’eroica resistenza che, assieme a Cadice, oppose alle truppe napoleoniche che le assediavano e consentì alle due città di rimanere l’unico territorio spagnolo che Napoleone non riuscì a occupare, diventando sede delle Cortes e del governo della nazione.
La popolazione di queste terre è stata, è e sarà sempre condizionata dal mare e dalle attività che esso genera: pesca, lavorazione del tonno, coltivazione del sale, cantieristica navale e soprattutto traffico commerciale, grazie alla posizione geografica al limite di due mondi, punto di contatto tra Oriente e Occidente. Antonio è un vero figlio della Isla
e il mare avrà sempre per lui un fortissimo richiamo.
Primo di sei fratelli cresce in un ambiente severo, dove la figura del padre è appena addolcita da quella della mamma. In quel contesto storico e socioculturale la donna è infatti relegata a un ruolo marginale, come del resto indicato chiaramente nel certificato di nascita del figlio.
A quella che per noi sarebbe la voce professione è già prestampata la frase di rito "dedicadas a las ocupaciones proprias de su sexo e cioè cucinare, lavare, stirare, tenere in ordine la casa, crescere la prole… insomma, adempiere a tutte le
occupazioni proprie del sesso femminile" così come stabilite e consolidate agli inizi del Ventesimo secolo nel Sud della Spagna e non solo! Tutto il resto è proibito o quasi, sottomissione completa alle decisioni del capofamiglia pur con quelle piccole libertà e complicità che la vita in comune in ogni caso consente.
L’infanzia e l’adolescenza di Antonio trascorrono abbastanza serene, diviso tra il gioco, la scuola e il mare che rappresenta una attrattiva cui è difficile resistere. È un bel ragazzo, dai capelli neri e ondulati, dal carattere solare e dallo sguardo intenso. In spiaggia ama stare in compagnia, conoscere nuovi amici, nuotare, correre dietro a un pallone e anche pescare, contribuendo così alle necessità quotidiane della famiglia.
La Spagna intera, infatti, e in particolare Cadice e il suo circondario sono colpite da una grave crisi economica nei primi anni del Novecento.
L’economia di San Fernando poggia principalmente sull’Arsenale della Carraca e sulla presenza della Base Navale, oltre che sull’industria del sale, la pesca e la lavorazione del tonno. Ma l’industria cantieristica è in grande affanno dopo la disastrosa guerra con gli Stati Uniti del 1895-1898, che ha portato alla perdita di Cuba e di Portorico e con esse alla dissoluzione dell’antico impero coloniale spagnolo.
La caduta degli ultimi possedimenti americani ha per conseguenza anche una notevole riduzione dei traffici marittimi, la pesca è in crisi mentre il progressivo interramento delle saline ne limita molto l’attività e la capacità produttiva. Molti strati della popolazione spagnola sono in completa indigenza e soffrono la fame. I prezzi salgono senza sosta mentre il soldo giornaliero dei braccianti agricoli e il salario degli operai, che hanno già raggiunto nella penisola il numero di un milione e duecentomila unità, ristagnano.
Tra il 1900 e il 1908 il prezzo del pane è salito del 39%, quello della carne di vacca del 30% mentre quello del baccalà, elemento primario della cucina tradizionale, ha subito un balzo del 45%. Lo stesso dicasi per tutti gli altri prodotti alimentari di base: lardo, sardine, vegetali, patate, olio.
Una delle alternative alla fame è l’emigrazione e quasi un milione di spagnoli arriva in Argentina tra il 1906 e il 1915. Quelli che restano in patria sopravvivono a malapena. ¹ Fortunatamente, migliore è la situazione degli ufficiali e graduati della Base Navale che godono di notevoli facilitazioni, potendo usufruire dell’approvvigionamento calmierato di molti beni di consumo, in particolare abbigliamento e alimentari, negli spacci della Marina.
Antonio non è ancora maggiorenne e già sono nati tutti i suoi fratelli, altri due maschi e tre femmine: Pepa nel 1913, Pedro nel 1915, Ana nel 1919, Carmela nel 1923 e infine Rafael nel 1926. Fratelli ma anche compagni di avventure, quasi tutti coetanei, e sempre fortissimo sarà il legame tra di loro nonostante le vicissitudini, le difficoltà e gli obbrobri che la prima metà del Ventesimo secolo elargirà a piene mani a tutti gli abitanti dell’Europa e di gran parte del mondo intero.
Nel frattempo, con il crescere della famiglia, aumentano anche i bisogni: la scuola, i vestiti, la dispensa… e Antonio, come primogenito, si trova ben presto di fronte alla necessità di dare un aiuto in casa o per lo meno di non gravare sul bilancio familiare. La soluzione migliore è quella di seguire le orme paterne ed entrare nell’Armada. Una scelta dolorosa che lo porterà lontano dal suo mare e dalla sua terra ma che gli permetterà di continuare gli studi e di garantirsi
un lavoro sicuro… ed è così che appena sedicenne, nel pieno dell’estate del 1928, lascia la casa, la famiglia, gli amici e prende un treno con destinazione El Ferrol, importante base navale del Nord, a più di mille chilometri di distanza.
Don Pedro Gaspar Cortejosa Bancalero in divisa di gala, 29 giugno 1946.
1 Almodovar M.A., El Hambre en España, Oberon, Madrid 2003.
Cap. 2 – Ingresso in marina – Allievo radiotelegrafista (1928-1932) – Primi imbarchi (1932-1936)
È lungo il cammino per arrivare a destinazione, si deve attraversare tutta la Spagna dall’estremo Sud all’estremo Nord-ovest. Due giorni di viaggio su vagoni dotati di scomode panche in legno, nel caldo torrido dell’estate, indecisi se aprire i finestrini ed essere preda del fumo della vaporiera o tenerli chiusi e sciogliersi lentamente come neve al sole. La valigia con gli effetti personali e i viveri di conforto è sulla bagagliera e lo sguardo è fisso al paesaggio, che scorre lento davanti agli occhi, mentre i pensieri cavalcano liberi nel ricordo e nella fantasia.
Come sarà El Ferrol? La spiaggia sarà come quella di San Fernando? E la vita militare come sarà? La disciplina in casa era abbastanza rigida ma quella della Marina non dovrebbe essere da meno, anzi. E il rancio? Sicuramente non all’altezza della cucina di mamma. Tanti dubbi e un solo dilemma: Don Pedro, che non si è opposto alla scelta del figlio e anzi l’ha spronato, come ne giudicherà l’operato? Riuscirà a essere all’altezza della tradizione militare paterna?
E intanto con il paesaggio cambiano anche i compagni di viaggio, per tratti brevi o lunghi ma nessuno con una destinazione così lontana. Qualche parola, i soliti discorsi: da dove vieni, dove vai? A fare cosa? Con un po’ di stupore per quel ragazzo che così giovane sta affrontando di petto la vita.
Ormai Siviglia e il rio Guadalquivir sono lontani e, dopo la Sierra Morena, la bollente e semideserta Extremadura rende ancora più faticoso il viaggio. Le soste in stazioni polverose consentono di rinfrescarsi un poco e adempiere alle funzioni fisiologiche con un minimo di comodità e di igiene, ma tenendo sempre l’orecchio vigile al fischio che annuncia la ripartenza del treno per non correre il rischio di essere lasciato a terra. L’interminabile altopiano della Meseta con le sue splendide e antiche città, ricche di arte e di storia, alla fine declina verso le verdi pianure della Galizia, bagnata dalle acque dell’Atlantico, e la meta è finalmente raggiunta.
È il primo settembre del 1928 e Antonio entra ufficialmente nella Marina da Guerra Spagnola, destinato al Carlos V come allievo radiotelegrafista. Si tratta di un vecchio incrociatore corazzato, varato nel 1885, che sta concludendo la sua gloriosa vita di vascello da battaglia come nave scuola della Marina. Niente a che vedere con le moderne unità della flotta ma per Antonio è la prima vera nave e tutto è nuovo ed entusiasmante.
Un diverso modo di vivere e di relazionarsi, le differenti culture e tradizioni della Spagna che si confrontano e imparano a rispettarsi, la disciplina ma anche il cameratismo, nuove esperienze, nuovi amici e compagni con i quali condividere lo studio e le applicazioni pratiche ma anche discutere di calcio e di politica, un nuovo orizzonte che si apre. In più l’amore per il mare che si concretizza nella più alta delle aspirazioni: navigare, e non solo a motore, solcando il mare su navi degne di questo nome.
Ad aprile del 1929 si imbarca sul Galatea, uno splendido veliero di 74 metri costruito a Port Glasgow in Scozia, per il viaggio di praticantato al termine del quale, alla fine di luglio, ritorna sul Carlos V per continuare gli studi di specializzazione.
Il tempo scorre veloce, le amicizie si consolidano facilitate dall’essere sempre assieme, 24 ore su 24, e proprio questa frequentazione continua le renderà stabili e durature nel tempo. Le libere uscite a terra sono poi un collante speciale, la possibilità di uscire dalla routine e dalla disciplina quotidiane, i primi approcci con le ragazze della città, la complicità dei compagni nei corteggiamenti, il ribollire della giovinezza.
Tutto sommato, non è poi così male la vita militare; l’adattamento alle nuove regole è stato rapido e Antonio sta facendo quello che più gli piace, vivere sul mare e per il mare. Solo la lontananza dalla famiglia è un poco pesante ma per fortuna le poste funzionano e i contatti epistolari si mantengono costanti e frequenti.
Ad agosto del 1930, a due anni esatti dal suo arrivo a El Ferrol, sostiene con successo l’esame finale del corso per specialisti radiotelegrafisti e attende con ansia di conoscere quale sarà la sua prima destinazione. Dove lo manderanno? Molte sono le variabili: una nave, un sommergibile, una capitaneria di porto… tutto va bene purché non sia lontano dal mare. I pochi giorni di attesa sembrano interminabili ma alla fine giunge l’ordine: destinato alla stazione radiotelegrafica della Base Navale di San Fernando!
Lo stupore è pari alla gioia: si ritorna a casa! Ma è mai possibile? Proprio a me è capitata una fortuna del genere! Non ho fatto niente per meritarla, anzi no… sono stato uno dei primi del corso e questo forse qualcosa ha contato. Vengo da una famiglia di militari e magari anche questo vale qualcosa. Comunque sia, ritornerò alla mia terra, ai vecchi amici, ai luoghi che hanno segnato la mia infanzia e che mai ho scordato.
Sembra quasi una vacanza il lavoro a San Fernando anche se l’impegno è notevole visto che la pratica spesso è molto diversa dalla teoria e non sempre è facile farle andare d’accordo. Ma Antonio è a casa e tutto sembra più bello, nonostante le vicende politiche e le tensioni che scuotono la Spagna agli inizi del 1931 con l’esilio del re Alfonso XIII e la proclamazione della Seconda Repubblica, il 14 aprile dello stesso anno.
Però Madrid è lontana e la vita di Antonio non cambia, anzi migliora; è un militare di carriera a tutti gli effetti e il futuro sembra spalancarglisi davanti, anche se oscure nubi, foriere di tempesta, si affacciano ancora timide all’orizzonte. Al momento, però, il mare è calmo, la brezza leggera e il cielo azzurro, di quell’azzurro intenso che solo il Sud della Spagna riesce a regalare.
I giorni e i mesi passano tranquilli, divisi tra il lavoro, la famiglia e qualche corteggiamento più serrato del solito finché, a luglio del 1932, arriva il primo imbarco da effettivo; deve ritornare a El Ferrol e prendere servizio sull’incrociatore leggero Republica. Non è una delle navi più moderne della Flotta, anzi, si può dire che sia nata già vecchia visto che il progetto risale addirittura al 1914, ma è comunque una bella nave, ancora in grado di dire la sua in caso di conflitto armato, e Antonio è ben contento di far parte dell’equipaggio. ²
Ed ecco che si riparte, il lungo e assolato trasferimento al nord in quel treno lento e scomodo ma con uno sguardo più sereno e pensieri più rilassati. C’è sempre il distacco dalla famiglia e dagli affetti a pesare ma questa volta non ci sono l’incertezza e i dubbi su ciò che lo aspetta. Lo aspetta una nave da guerra e un ruolo ben preciso: capo radiotelegrafista.
Di guerra però al momento non si parla nonostante la neonata Repubblica sia scossa da faide e scontri tra le varie forze politiche e sociali che la sostengono e molti nemici, sia interni che esterni, tramino contro di lei. Per il Republica soltanto viaggi di routine e lunghe soste in porto con poco impegno e molto tempo libero per l’equipaggio finché, nei primi mesi del 1934, arriva il nuovo imbarco