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E se Zeus fosse nato a Napoli?
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E se Zeus fosse nato a Napoli?
E-book159 pagine2 ore

E se Zeus fosse nato a Napoli?

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Info su questo ebook

Gennaro Rotondo, ingegnere alla soglia dei
quaranta, decide di ritornare a casa, a Napoli.
Dopo anni trascorsi in giro per il mondo e un
soggiorno prolungato in Inghilterra, si concede una
seconda possibilità: essere felice nella città in cui è
nato. Nel suo nuovo condominio al civico 45 di Vico
Lungo Gelso, ncopp' 'e quartiere, trova una grande
famiglia allargata e nuovi rituali, come il banchetto
domenicale a casa della signora Virginia, un vero e
proprio simposio in salsa napoletana in cui il piatto
forte è la condivisione.
Ritrova i dialoghi e le passeggiate alla ricerca di una
Napoli presocratica, che vive il suo eterno presente
nei racconti dei condomini e nella memoria di
luoghi, leggende, tradizioni che affondano le radici
nella cultura e nella mitologia Greca.
Ritrova i luoghi che custodiva gelosamente nei
ricordi, quali il parco sommerso di Baia, la Farmacia
degli Incurabili, la cappella di Sansevero e li
riscopre attraverso i racconti del pittore e scultore
Peppe ‘o nano; di Salvatore ‘o filosofo, nullatenente
e nullafacente; di Geppino, estetista femminiello e
aspirante youtubber; di Toni Parascandolo, laureato
in storia dell’arte ma cantante da matrimonio
che, puntualmente, si innamora della donna
sbagliata, cioè ‘a sposa.
In questo teatro ritrovato, brulicante di voci e
personaggi, a Gennaro, la parte dell’ingegnere e
basta, sta stretta. Così, decide di ricavarsi il ruolo
del narrastorie.
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2020
ISBN9788894444322
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    Anteprima del libro

    E se Zeus fosse nato a Napoli? - Virgilio Panarese

    Virgilio Panarese

    E SE ZEUS

    FOSSE NATO A NAPOLI?

    Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi, luoghi, nomi e avvenimenti sono semplicemente frutto dell’inventiva dell’autore e sono stati utilizzati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o defunte, luoghi o fatti è assolutamente casuale. In questo romanzo, accanto a personaggi di pura fantasia, ne appaiono altri esistenti o esistiti, la loro rappresentazione durante la narrazione e le affermazioni loro attribuite sono anche in questo caso frutto dell’immaginazione e non riportano fatti reali.

    Pubblicato da

    © 2019 Virgilio Panarese per il testo

    © 2019 Read Red Road, Roma

    Prima edizione: maggio 2019

    Editing e impaginazione di Fugitive Eye e Scatterbrain Eb

    Copertina di Agostino Santacroce (Agenzia Estrogeni)

    Edizione digitale a cura di WAY TO ePUB

    Dedicato alla memoria di mio padre Carmine, dal quale ho ereditato la passione per la storia, la curiosità per i libri e la ricerca costante della manualità.

    Ars adeo latet arte sua

    Ovidio

    Vico Lungo Gelso 45

    – Ingegné, buonasera.

    – Eugé, dimmi.

    – Mi sapreste spiegare cos’è un postulato? Ci sta mio nipote che sta studiando gli assiomi non logici in matematica e dice che sono postulati. Ma mo’ vorrei capire io, ma uno che studia a fare delle cose non logiche?

    – Allora Eugé, il postulato è quella cosa che non si può dimostrare, ma che si considera sempre come vera perché necessaria per spiegare un altro fatto, che altrimenti, non avrebbe modo di esistere e tuo nipote Luigino questo fa studiando i postulati in matematica.

    – Ingené, vedete se ho capito. Mettere il tappo di sughero nel brodo di polpo è un postulato, perché mia moglie non mi ha mai saputo dimostrare il perché ma dice che senza di quello il polpo viene duro. Quindi se ho capito o’tapp’ e’sughero è un postulato, giusto, Ingegné?

    – Sì Eugé, più o meno sì. Ma mo’ la partita del Napoli la vogliamo vedere o no?

    Mi ero trasferito al civico 45 di Vico Lungo Gelso, ncopp’ ‘e quartiere, da pochi mesi, di ritorno da una migrazione lavorativa forzata: Inghilterra, Germania e Stati Uniti. Come avete potuto facilmente intuire, laurea in ingegneria, professioni varie, scapolo e di mezza età per gli Stati Uniti, giovane per il sud Italia.

    Diciamo quasi quarant’anni.

    Al secolo Gennaro Rotondo, per tutti Jerry, ribattezzato così a quindici anni dopo sette giorni a Londra per una vacanza studio.

    Il primo giorno nel nuovo condominio cancellò immediatamente la mia malsana reticenza a voler tornare a Napoli.

    Avevo da poco sistemato camicie, pantaloni e giacche, il contenuto delle prime due valige del mio quarto trasloco in tre anni, quando un suono stridulo interruppe quell’attività di casalingo. Era il mio campanello, lo capii al quarto, costante, continuato e incessante tentativo.

    Non avevo ancora familiarità con il suono logoro del mio anticipatore di ospiti.

    Aprii la porta e dinanzi mi si parò un femminiello di un metro e novanta, con un bicipite femorale di un ciclista scalatore e due labbra da fare invidia ai gommoni speedboats.

    – Buongiorno, voi dovete essere l’ingegnere Rotondo?

    – Eh direi di sì, avete bussato a casa mia.

    – Uh marò e non facite accosì o’ sprucido, tutta chesta ammuina per niente. Sono solo venuta a presentarmi per le regole di buon vicinato. Tanto piacere Geppino e voi come vi chiamate di nome? Il cognome l’abbiamo già assodato dal portiere.

    – Gennaro, molto lieto di fare la sua conoscenza, Jerry per gli amici.

    – Non c’è bisogno che ci diamo del lei, ci possiamo tranquillamente dare del voi o del tu. Comunque Gerry è proprio bello, mi piace assai, ma si scrive con la G o con la J?

    – A dire il vero non ci ho mai pensato, forse con la J, visto che tale soprannome mi è stato affibbiato da bambino per i miei trascorsi inglesi.

    – Vabbé, ho capito siete impegnato, non mi avete nemmeno invitato a entrare, che ne so io per un caffè. Per qualsiasi cosa mi potete bussare al terzo piano, interno nove. E visto che siete stato così preciso nella presentazione, mi potete chiamare semplicemente la Monnalisa.

    – Mi auguro di non dovere mai avere bisogno dei vostri servigi.

    Uè uè, ma che ve site mise ‘ncape? Non siete né il mio tipo né la tipologia di mio cliente, apparite un po’ troppo trasandato. Geppino è la meglio estetista di tutto San Ferdinando, Avvocata e Montecalvario. Secondo voi perché mi chiamano la Monnalisa?

    Perché vi faccio uscire le ciglia, le mani e i piedi che nemmeno Leonardo da Vinci nel suo giorno migliore.

    – Ha ragione sono stato un villano. Venga entri.

    – Ancora con il lei e chiamami Geppino, comunque, tranquillo, mo’ tengo da fare. Stanno già tre signore fuori la porta e poi devo registrare dei tutorials su youtube. Ci vediamo in questi giorni.

    Salutai Geppino, chiusi la porta e prima di riprendere le attività di massaia, mi fermai a pensare.

    Quanti esseri umani avevo incontrato in quei tre anni, quotidianamente, alla cassa del supermercato, nel mio condominio inglese, in quello tedesco e in quello americano, e poi, in metro, in libreria, al bar dinanzi casa e a quello dinanzi all’ufficio.

    Per educazione o forse più per abitudine ci salutavamo più o meno tutti.

    Dopo l’incontro con Geppino tutto mi sembrò più chiaro, tranne in rari casi non conoscevo il nome di nessuno di loro. Volti che facevano parte delle mie giornate a mano a mano si offuscavano nella memoria, cancellati per fare spazio ad altre inutili informazioni del quotidiano.

    Il mio primo giorno nel condominio di Vico Lungo Gelso 45 mi aveva fatto ricordare di una cosa.

    Napoli è la città della bellezza.

    Perché la bellezza è irrilevante senza condivisione.

    Perché la bellezza esiste nelle affinità.

    Perché la bellezza è trascurabile se si è da soli.

    Geppino era stato un avvertimento, tempo due ore e il mio campanello squillò nuovamente. Aprii.

    Dinanzi mi ritrovai una coppia, di età indefinita, tra i cinquanta e i settant’anni. Forbice di chi la vita l’ha vissuta o troppo bene o troppo male.

    L’uomo lo conoscevo già, era il portiere dello stabile, Eugenio, da lì a poco saremmo diventati amici. La donna, la signora Anna, moglie e capera di professione si presentò subito.

    – Buongiorno, molto lieta, lei deve essere l’ingegnere Rotondo? Mio marito mi ha tanto parlato di lei, possiamo entrare? Abbiamo portato un pensiero di benvenuto e poi vi vorrei già avvisare su cosa prestare attenzione: in questo palazzo, la gente è strana, ci piace a parlare e qui dentro, proprio nel suo appartamento pure le mura hanno le orecchie, quindi stateve accorte, dialogare in questa casa è come quel detto napoletano, zitt zitt miezz ‘o mercato.

    Saremmo diventati amici, ma non lo conoscevo ancora, avevo visto il portiere fino a quel momento non più di dieci minuti, il giorno prima, durante le fasi di trasloco.

    Memore del mio turpe comportamento nei riguardi di Geppino e considerando l’auto invito di Anna mi scansai e li feci entrare.

    – Buongiorno a entrambi, ma prego entrate, entrate pure, stavo proprio preparando il caffè. Lo prendete con me?

    – E grazie, certamente, lo prendiamo proprio volentieri. Noi abbiamo portato tre sfogliate, due frolle che ci piacciano a noi e una riccia per voi. Eugenio mi diceva di prendere tre frolle che pareva brutto, ma io poi mi sono chiesta e se all’ingegnere non ci piace frolla? Che figura facciamo, se gli piace, invece, proprio la frolla, Eugé per non fare figure di, avete capito, gli dai la tua, semplice. Ma che bella casa, Ingné, si vede proprio che avete studiato a scuola, tenete gusto, tenete tanti di quei libri, tenete gli oggetti di design, li ho visti in televisione, li conosco. E come mai vi siete traferito?

    In tutto questo suo parlare, Eugenio, non proferiva parola, muto come un pesce, era l’ombra della moglie.

    Da lì a poco avrei inteso tante cose.

    – Ho deciso di seguire il mio cuore, sono tornato a Napoli dopo anni di vagabondaggio.

    – Uh maronna mia, mi dispiace, eravate barbone?

    – No signora Anna, era per dire che ho viaggiato molto per lavoro, un po’ in giro per il mondo.

    – Per fortuna, mi ero preoccupata, comunque dovete stare sereno per qualsiasi cosa noi ci siamo, abitiamo a piano terra nella casa del portierato, dove mangiano due mangiano pure tre.

    Capii che sarebbe stato impossibile eliminare dalla testa della signora Anna la mia non condizione di clochard, oramai la visione dell’ingegnere senzatetto era cristallizzata nella sua memoria.

    – Bene, vorrei spiegarvi alcune cose, cosicché possiate sentirvi a vostro agio da subito. Come già detto a piano terra ci siamo noi e una piccola attività commerciale gestita da Aden, il nome completo non lo so dire è troppo complicato. Sono Africani, di colore non mi fate sbagliare, mio nipote Luigino mi ha già rimproverato svariate volte, perché non si dice in altro modo, è razzista e se sbaglio è per ignoranza perché io ai razzisti li schifo proprio. Vive nel retrobottega con la figlia, è bellissima, uno spettacolo della natura, Melaku, ma tutti quanti la chiamano Biancaneve. Con loro per dividere le spese dell’affitto vive pure Tonino, c’ha la pensione di invalidità, mia sorella Luisa, invece, è ragazza madre e vive con mio nipote Luigino proprio la porta di fronte alla vostra.

    A quel punto, Eugenio, in crisi sbottò.

    – Naninné e basta, andiamo, l’ingegnere è uomo istruito ed educato ma terrà pure da fare le cose sue no?

    – Ingné, chiedo scusa. Vi ho disturbato?

    Rispose la donna in un misto di imbarazzo e comprensiva non curanza.

    – No ma che dite mi ha fatto veramente piacere conoscervi.

    – Comunque Eugenio ha ragione dobbiamo tornare in portineria, altrimenti se arriva qualche pacco per il dottore del secondo piano e chi lo sente, poi vi racconto pure di lui, un’altra volta però.

    I coniugi uscirono solo dopo avermi stretto la mano e baciato urlando per le scale: chiudete pure la porta non fate troppe cerimonie. Statevi bene.

    Erano passati tre mesi da quel giorno, la partita di Champions del Napoli era finita, la squadra aveva vinto, Eugenio e io avevamo bevuto due bottiglie di Biancolella di Ischia e mangiato una frittura di calamari freschi e due chili di impepata di cozze, un finocchietto o forse più per digerire. Voci si rincorrevano nei vicoli, spari e colori animavano la città dopo una semplice

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