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La cronista irriverente - Narrazioni dell'Amazzonia peruviana
La cronista irriverente - Narrazioni dell'Amazzonia peruviana
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E-book270 pagine3 ore

La cronista irriverente - Narrazioni dell'Amazzonia peruviana

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Info su questo ebook

Opera finalista del 2° premio letterario Genesis Publishing (con titolo provvisorio di Racconti Silvestri).

Il romanzo segue i passi di un'improbabile e divertente giornalista francese (figura paradigmatica dell'universo primomondista fatuo e arrogante) inviata nella Selva peruviana per sviluppare una serie di articoli di carattere turistico. Troverà un mondo che, lungi dall'essere il decantato paradiso terrestre, è irrimediabilmente destinato a scomparire sotto l'incalzare del colonialismo economico.

L'impatto con la scomoda realtà la orienterà a meditare su forme di vita meno consumistiche e più vicine all'uomo. Ritornerà in patria ricca di quella sua nuova consapevolezza, ma… riuscirà a salvare la fragile intelaiatura ideale appena eretta?

La dorsale narrativa dell'opera è formata da capitoli dalla scrittura volutamente simile alla comunicazione interpersonale, ai quali s'inframmezzano avvenimenti afferenti i grandi problemi del Perù amazzonico descritti ora con taglio giornalistico, ora da guida di consultazione, ora con tono di racconto realistico.

Quantunque alcuni nomi siano stati cambiati per ovvi motivi di riservatezza, molte delle situazioni descritte riproducono, romanzati, fatti realmente accaduti di persone realmente esistite.

Un libro di facile lettura ma che, come tutte le opere dell'autore, si pone al di sopra di rigide etichettature commerciali (romanzo di viaggio, d'inchiesta, biografico, introspettivo) e invita alla riflessione oltre che a una decisa presa di posizione esistenziale.
LinguaItaliano
Data di uscita29 ott 2019
ISBN9788831644327
La cronista irriverente - Narrazioni dell'Amazzonia peruviana

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    Anteprima del libro

    La cronista irriverente - Narrazioni dell'Amazzonia peruviana - Sergio Rossa

    vita.

    Il contatto

    «Pronto? Buongiorno madame, sono Lucienne Lariano, la giornalista. Credo che questa mia telefonata non la colga impreparata, n’est pas? Mi ero messa d’accordo col padre Ignacio, il suo parroco se non vado errata, per poter visitare la parte della Selva dove lei vive. In realtà, il giornale per cui scrivo è più che altro interessato alle tematiche turistiche, e del resto buona parte del mio soggiorno non ha altre finalità; sa, i nostri lettori amano leggere di terre vergini, di paesi esotici, di modi di vita differenti insomma. Vede? il mio giornale è uno dei maggiori a livello nazionale e ha un vasto bacino di utenti: è importante dar loro le informazioni che più desiderano. Non sto facendo pubblicità ah, ah, ah, non le sto rivelando il nome del quotidiano sebbene, come le dicevo, sia uno dei più letti e sia l’unico che ha un nome semplice, immediato e di un certo impiego quando si parla della nostra douce France. Sto divagando, mi scusi. Le dicevo, mi pare, di padre Ignacio che si è reso disponibile a ospitarmi in parrocchia. Pardon… non mi ero espressa in questi termini, n’est pas? Beh, non importa. Chiacchierando con lui sono venuta a conoscenza dell’attività che lei svolge, tanto che mi sono detta: perché no? potrebbe essere interessante dar a conoscere il lavoro sociale svolto da una connazionale! Eccomi qui, dunque. Sono arrivata da poco e mi trovo in parrocchia. Mi chiedevo se disponesse di qualche minuto per me. Quando le è comodo, naturalmente, quantunque sia meglio trovarci stasera o, tuttalpiù, domani verso l’ora di pranzo. Avrei già il biglietto di rientro a Lima per il primo pomeriggio di domani, savez-vous? E poi, dopodomani, di nuovo nella nostra bella Francia. Ah, lei non è francese. Canadese francofona? Allora non è connazionale! Mi pareva un accento strano il suo… Oh, mi scusi ancora, non ho capito bene di che cosa si occupa. Una famiglia, dice? Aaah, una casa-famiglia. Per altro, non me ne voglia sa? una famiglia vive in una casa ah, ah, ah. Scherzavo, l’avrà capito, no? non si molesti, per favore, era solo una battuta. Non delle migliori, devo ammetterlo. Come dice? La sua è una famiglia particolare? Non capisco. Mi vuol dire che è formata da persone che hanno, ehm, gusti sessuali deviatucci ah, ah? No? Beh, senta, penso che sia inutile parlarne per telefono, molto meglio vederci faccia a faccia. Come dice? M’inviterebbe a cena? Per me sarebbe un piacere immenso, vraiment! Mais… avrei il timore di mangiare qualcosa che poi non mi faccia bene. Non vorrei posticipare il mio rientro in Francia, mi capisce, vero? A parte il pezzo che devo consegnare sì o sì per la prossima edizione della rivista domenicale, non domani, la prossima domenica spero, desidererei non mancare al matrimonio di una mia amica di Avignon. C’è così poca gente che si sposa in chiesa oggigiorno ah, ah, ah! Pensi che il pranzo si terrà in un antico monastero trasformato in albergo-ristorante. Gli sposi, poi, si ospiteranno nella camera da letto che fu di Papa… di Papa… beh, non ricordo il nome, poco male, fa lo stesso. Ecco, sì, dopo cena andrebbe benissimo, ma preferirei non avere a che fare con questo mate. Ah, è un’infusione? Uh, che sciocca ah, ah! Ma l’acqua viene bollita? Sicura, eh! D’accordo, chiacchiereremo davanti a questo mate. A che ora, mi scusi? Sa, dove vivo si cena sempre piuttosto tardi. Alle sette e mezza? Ma è prestissimo! Non importa, non importa, me lo faccio andar bene, vorrà dire che cenerò dopo il nostro incontro. Ah sì, certo, se non le crea nessun problema, un buon bicchiere di vino per aperitivo, invece del mate, lo preferirei senz’altro. Ma che vino è? È cileno? Se è bianco va benissimo, ma che sia freddo, per favore. A più tardi, carissima.»

    L’intervista

    Start. «Ehm, prova uno, due, tre, prova, prova.» Stop. Begin.

    Start. «Ehm, prova uno, due, tre, prova, prova.» Stop. Begin.

    Start. «Bene. Uchiza uno. Ho lasciato la parrocchia e mi sto dirigendo verso la casa-famiglia molto particolare di Madame Lucienne. No, merde, sono io Lucienne. Non ho idea di come si chiami la signora, dannazione. Mi sono dimenticata di chiederlo al padre, oppure lui si è dimenticato di dirmelo, non so. È che la faccenda di obbligarmi a cenare a quest’ora di giorno, mi ha un poco inversato. Ma che sto dicendo? Inversare è una forma dialettale per rigirare, il direttore mi tirerebbe le orecchie. Insomma, padre Ignacio mi ha fatto rigirare le palle che non ho! E questa introduzione non posso farla ascoltare al direttore, chiaro? Forse è meglio cancellare e iniziare da capo.» Stop. Begin.

    Start. «Ehm, uno, due, tre, prova, prova.» Stop. Begin.

    Start. «Ehm, uno, due, tre, prova, prova.» Stop. Begin.

    Start. «Uchiza uno. Ho lasciato la parrocchia dopo aver cenato col padre Ignacio, il cui invito mi ha permesso d’assaporare l’eccellente cucina della signora Milagros che, per l’occasione, ha preparato tacacho con cecina. È un piatto tipico della Selva che mi auguro non mi resti sullo stomaco; si tratta, infatti, d’una bistecca di carne di maiale affumicata accompagnata da banane verdi maciuccatemerde! un’altra forma dialettale, mi toccherà iscrivermi di nuovo alla Sorbona. Dicevo, banane verdi schiacciate e fritte in grasso di maiale. Maiale l’ho già detto, mai ripetere. Fritte con strutto. Un bel macigno per lo stomaco, che Dio me la mandi buona. Mi sto dirigendo alla casa-famiglia della signora… ehm, canadese che sta svolgendo in questa ridente cittadina dell’Amazzonia peruviana, un lavoro sociale. È lei stessa che ci dirà di che si tratta.» Stop.

    «È permesso? Buonasera, sono Lucienne Lariano, la giornalista. Ho telefonato nel pomeriggio per poter intervistare la signora… la signora… Ma, scusi, perché mi guarda in quel modo? Intanto, lei chi è? Non capisce? E sì che parlo francese!»

    «Madrecita, madrecita, hay alguien que habla medio raro

    «Buonasera signora…»

    «Signorina, prego.»

    «Buonasera mademoiselle Lucienne. Si accomodi prego.»

    «Madame Madrecita, n’est pas

    «Ah, ah, madrecita significa piccola madre. Il mio nome è Geneviève.»

    «Oh, sì, naturalmente, che sbadata. Intanto mi scuso moltissimo per il ritardo… Non le molesta se registro tutto, n’est pasStart. «Vede, carta e penna oramai non fanno più parte del corredo del giornalista. Si usano questi aggeggi e poi si trasferisce quanto registrato nell’internal memory, anche le cassette hanno fatto il loro tempo, sa? Per farla breve, si scarica il contenuto degli aggeggi sul computer per mezzo di un software che fa il riconoscimento vocale. Una volta ottenuto un text file, si utilizza la tastiera per aggiustare i pezzi secondo le necessità d’impaginazione e l’interesse mediatico. Beh, insomma, una fa l’articolo e poi il direttore e il caporedattore apportano i tagli. Che questi siano necessari o voluti è un’altra cosa, dipende dallo spazio e dalla linea politica della proprietà. Oh, quest’ultima frase dovrò eliminarla.»

    «Non ho problemi a farmi registrare, ma si risparmi le spiegazioni, per favore, tanto non ne capirei nulla. Mi farebbe piacere, tuttavia, ottenere qualche informazione riguardo alla linea politica della proprietà per evitare di dire cose che possano non essere pubblicate. Più che altro per non esibirle del materiale di cui poi lei non potrebbe far uso.»

    «Non credo, chère madrecita, posso chiamarla così, n’est pas? è così naïf… non credo che l’intervista miri a scavare troppo nella realtà in cui opera. Diciamo che sarebbe sufficiente avere dati très generali sulla sua attività e sulle motivazioni che l’hanno portata qui abbandonando gli amici, i parenti e la nostra bella Francia. Oh, che orrore, mi scusi, non volevo dire abbandonare, meglio trascurare. No, vero? Lasciare? Fuochino. Allontanarsi? Mi sembra un verbo abbastanza neutro, non le pare? Dai, allontanarsi, aggiudicato!»

    «Canada.»

    «Come dice? Canada? Ah, sì, naturalmente. Ho detto Francia? Oh, che sbadata.»

    «Vogliamo passare nel comedor

    «È un posto brutto?»

    «No, è il posto dove si mangia.»

    «No, grazie, ho già cenato, è per questo che sono arrivata tardi. Padre Ignacio ha insistito perché provassi la cecina con il tacacho e, francamente, mi sento un po’ pesantuccia di stomaco. Se, piuttosto, fosse così cortese da servirmi il vino… magari quel cibo mi andrebbe giù meglio.»

    «Naturalmente, ma il comedor è il posto più spazioso e tranquillo della casa-famiglia. E pure noi abbiamo già cenato, non si preoccupi.»

    «Oh, mi scusi tanto, con tutti questi termini per me nuovi, la testa mi fa ciao ciao ah, ah, ah.»

    «Non se n’abbia a male se le dico che farebbe bene a prepararsi meglio prima di lanciarsi in certi progetti. Probabilmente pensava che la conoscenza dell’inglese, perché conosce l’inglese mi pare, certo, oltre al francese, ovvio, fosse sufficiente per girare il mondo. Non dico che a Lima possa trovarsi a suo agio, ma fuori delle città, in tutta l’America Latina, Brasile escluso, non si può fare a meno dello spagnolo. Si serva, prego, è un Cabernet bianco. Senz’altro c’è di meglio, ma da queste parti, facendo il dovuto confronto qualità-prezzo, è il non plus ultra

    «È il massimo! vede che qualcosa ci capisco di spagnolo? Sì, non male, anche se quando un vino è freddo perde molto del suo sapore. Senta, madrecita, quante persone abitano in questa casa-famiglia? Perché io ho visto solo un ragazzino quando sono entrata.»

    «In questo momento siamo quindici persone: io, due mamme sostitute e dodici tra bambini e adolescenti di entrambi i sessi. Ora si trovano tutti nel secondo patio a giocare o a fare le attività post cena, che comunque sono ludiche. Oggi è sabato, dunque senz’altro qualcuno sta guardando la televisione. Se vuole, possiamo passare nel cortile per vedere cosa fanno.»

    «No, non credo di avere ancora molto tempo. Sono stata invitata da tal Nacho, lo conosce? a fare il giro dei locali notturni che la cittadina offre. Sa, ai lettori interessa parecchio anche quest’aspetto, nel caso decidano di passare le vacanze in questi lontani lidi. Carino, letterario, lontani lidi. Mi ero proposta di cenare con lui, ma tuttalpiù ci faremo un bicchierino. Pensare, ora, al cibo, mi dà la nausea. Piuttosto, mi dica da dove viene, se è sposata, se ha figli… oh, mi scusi se l’interrompo, m’è saltata in mente una cosa che devo assolutamente dirle prima che me ne dimentichi. Dall’accento lei dovrebbe essere québecoise, n’est pas? Ah, certo, che sciocca, è canadese francofona, ovvio che sia del Quebec. No, ma volevo dire di Montréal, ci ho azzeccato? Del resto, io sono arlésienne, in realtà lo è mia madre, lasciamo perdere… comunque ora vivo a Lyon con un compagno guascone, è per questo che ceno tardi. Il mio direttore dice sempre che uso troppe forme dialettali, mais en fin, dico io, una mica può scegliere dove nascere!»

    «Sì, sono di Montréal, insomma lì vicino, e i miei ragazzi li sgrido in québecois, quando meritano di essere sgridati, naturalmente. Sono divorziata e ho avuto un figlio che, purtroppo, è passato a miglior vita.»

    «Oh, mi spiace, non volevo far riaffiorare ricordi tristi. Dunque qui non c’è una figura di riferimento maschile! Oh, sono stata indiscreta?»

    «No, perché? In effetti, nei primi tempi la figura di riferimento maschile, come dice lei, era padre Ignacio. Ma poi abbiamo avuto dei problemini… più che altro su come proporci ai ragazzi… e d’altronde lui è molto occupato. Da un certo tempo, invece, viene spesso a trovarci un uomo, un italiano...»

    «Un italien? Vraiment? Moi je connais très bien l’italien, mon père est italien, de Catania, in Sicilia. D’altro canto, il cognome Lariano non lascia dubbi, n’est pas

    «Non saprei dirle. Comunque questo amico in passato si era occupato di un progetto educativo sulla Sierra peruviana, a Huancayo. Poi è venuto qui in occasione di un qualche congresso, un evento ambientale credo, o magari sulla coca non ricordo bene, e da quella volta ritorna da noi abbastanza spesso, ci vediamo più o meno una volta al mese.»

    «Più, o meno?»

    «Meno, temo, ma ha presente dove si trova Huancayo? Saranno un seicento chilometri e forse più da Uchiza, e, si sarà ben resa conto, le strade qui non sono certo quelle europee. Comunque... bah, in realtà non saprei perché venga a farci visita, probabilmente gli siamo simpatici, si trova bene tra noi.»

    «Bene, madrecita, il tempo è scaduto. Qualcosa sono riuscita a sapere. Magari troverò dell’altro in internet su di voi, così potrò mettere insieme qualche paragrafo per completare l’articolo. La ringrazio tanto per la disponibilità e per il vino, anche se il maiale mi sta ancora sullo stomaco.»

    «Si faccia offrire da Nacho un anisado, vedrà che si sentirà meglio.»

    «Anisado? Benissimo, spero di ricordarmelo. Grazie mille, madrecita. Fine registrazione Uchiza uno.» Stop.

    L’invito

    «Pronto? Sono Lucienne Lariano, la giornalista. Vorrei parlare con la madrecita. Pronto? Pronto? Ma dove sono capitata? Nessuno mi capisce? Hallo? Ma funziona ’sto aggeggio? Hallo? Ah, madrecita, pensavo che mi si avesse lasciata in stand by. Non la disturbo, n’est pas? Senta, stanotte sono stata per niente bene, insomma mi ha dato la diarrea. No, non credo che sia stato il maiale, direi piuttosto gli intrugli propinatimi da Nacho. Certo, gliel’avevo detto dell’anisado, ma lui mi ha convinto a mischiarlo con la menta e non so cos’altro. Insomma, un anisado alla menta dietro l’altro e mi sono ritrovata a casa sua. Meno male che mi è venuto… Come dice? Schitòn? Ah, è italiano? Non mi risulta. Dialettale? Capisco, il suo amico… voce onomatopeica, interessante, chissà se il direttore me la passa, magari tra apici. Non gliene frega niente al direttore, dice? Temo proprio di sì, ma lo potrei far passare come un momento di vita vissuta, sovente presso i lettori questi aspetti veraci fanno la differenza. No, niente vomito, strano vero? Beh, insomma, ora sono alla posta medica con attaccata al braccio una flebo. Sa, è per via della reidratazione. Come faccio a telefonare? Mi sto muovendo con il bastone della flebo. No, è senza rotelle, è proprio un bastone di alluminio, probabilmente adattato alla bisogna, che mi tocca sostenere con una mano. Nell’altra tengo la cornetta. Il cellulare? Me l’hanno rubato a Lima. No, no, non l’ho perso, me l’hanno proprio rubato: stavo telefonando e all’improvviso mi sono ritrovata con la mano vuota. Chissà cos’avrà pensato il mio compagno, stavo giusto dicendogli… Ma perché lo dico a lei? Non credo che le importi. E perché dovrebbe? Infatti. Senta… no, purtroppo il mio rientro a Lima salta, il medico non mi vuole mollare. Come farò per l’articolo? Bella domanda. Immagino che qui non ci siano computers con il software per il riconoscimento vocale, n’est pas? Improbabile, già. Senta, padre Ignacio è in giro per le sue messe, oggi è domenica se non erro, chissà a che ora torna, e mi chiedevo se lei avesse a disposizione un laptop. Un computer portatile. Sa, m’ingegnerei a scrivere l’articolo sulla tastiera… Non è portatile? Un desktop, dunque. No, sarebbe un bel casino trasportarlo. Come dice? Ha una macchina da scrivere portatile? Impossibile, con tutte le correzioni che faccio normalmente mi ci vorrebbe una risma di carta e una settimana di tempo! Mi sa che dovrò scrivere a mano, ma la mia calligrafia è veramente obbrobriosa. Quand’ero piccina… carino vero? molto chic, insomma mi dicevano che avevo le zampe di gallina. Non credo che il direttore ne sarebbe contento. Come dice? Internet caffè? Oh, ma sì, certo. Riporto lo scritto, vabbe’ lo riscrivo, nel computer di un internet caffè e lo mando alla redazione. Naturalmente, un articolo di questo genere ha bisogno di foto. No, non è un gran problema. Cerco delle immagini su internet e invio quelle che mi sembrano più carine. Qualcuno potrebbe richiedere delle royalties, vero? E allora come si fa? Lei ha qualche foto? Ne ha molte? Potrei fare una scelta? Benissimo, allora. Senta, madrecita… ma le foto sono digitali? Sono stampate? Merde! Oh, mi scusi, ogni tanto mi scappa... Beh, non in senso letterale, mi capisce, vero? O anche… lasciamo perdere certi discorsi. E come faccio a digitalizzare le fotografie? Lei ha uno scanner? No? E come si fa, allora? Mi scusi un secondo… ah, mi dicono che qui alla posta medica c’è uno scanner. Incredibile, vero? No, incredibile che abbiano capito di cosa parlavamo! Ma funzionerà? Lo scanner, dico. Allora facciamo così, madrecita, potrebbe mandarmi le foto qui alla posta? Così avanzo con il lavoro. Benissimo, grazie. Come si chiama il ragazzino? Marcos? Ok, l’aspetto. Ah, madrecita, le molesterebbe mandarmi anche una chiavetta USB? La mia l’ho lasciata in camera in parrocchia. Non ce l’ha? E come faccio, allora? Dica. Davvero? No, mi scusi, stavo parlando con il dottore. Tutto a posto, il dottore me la presterà. Grazie. Grazie mille dottore. Pronto? Sì, madrecita, senta, io le stavo telefonando, in realtà, per tutt’altri motivi. Non so come dirlo, ma insomma… Vede? Dovuto al fatto dello schitòn, mi sono ricordata la parola, ha visto? mi devono riprogrammare il viaggio di rientro. Il direttore, ci ho parlato per telefono poco fa, chissà quanto mi faranno pagare, meglio non pensarci, insomma il direttore ha detto che non c’è fretta e che… in poche parole, penso che dovrò stare qui ancora qualche giorno. No, no, basta Nacho. Eeeeh! mi sa che salterò il matrimonio, già. Non che ci tenessi in modo particolare, del resto. Il monastero? Chiunque ci può andare, non è poi un posto così esclusivo. E poi, per dirla proprio tutta, l’ambiente è un poco kitch, ce l’ha presente Las Vegas? Neanch’io ci sono stata, ma, insomma, ne avrà ben sentito parlare. Beh, non è un’amica amica, ci conosciamo… il promesso sposo è in politica, un consigliere comunale, mi sembra. No, non di Avignon… un politicuccio, in definitiva. Credo che mi abbiano invitata perché sono giornalista, forse perché lavoro per uno dei maggiori quotidiani francesi. No, non le dico il nome, niente pubblicità, ah, ah, ah. Quando apparirà il mio articolo, lo saprà. Senta, madrecita, io le stavo telefonando, in realtà, per un’altra cosa. Gliel’avevo già detto? Non mi sembra. Ah, le ho ripetuto la medesima frase. D’altro canto, con tutte queste cose che ho in ballo, la testa mi fa ciao, ciao, ah, ah, ah. Volevo dirle, sempre che il medico mi faccia salire: potremmo rivederci per concludere l’intervista così precipitosamente troncata da Nacho ieri sera? No, beh, logico, non farà parte dell’articolo, non avrei più tempo per inserire certe cose. Naturalmente potrei farne un accenno per poi preparare un pezzo dedicato esclusivamente alla casa-famiglia. Potrebbe essere un’idea, che cosa ne pensa? Senta, madrecita, io le telefonavo anche per un’altra cosa. Sì, un’altra ulteriore. Non so se sia fattibile, ma, en tout cas, se si potesse fare prenderemmo due piccioni con una fava, come si dice ah, ah, ah. Non saprei come esprimermi, non vorrei essere fraintesa. Beh, non perdiamo tempo, buttiamolo fuori: sarebbe possibile intervistare anche il suo amico italiano? Non, c’est vrai? Lo immaginavo. Ci potremmo sentire per telefono, dice? Temo che perderemmo un sacco di tempo, io divago parecchio, se ne sarà accorta, n’est pas? chissà che spesa le verrebbe! Davvero? Lei pensa che se io gli inviassi le domande, lui mi potrebbe rispondere per e-mail? Magari con un text file aggiunto, così non faccio la fatica di scrivere? Mah,

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