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Con gli occhi dell'amore
Con gli occhi dell'amore
Con gli occhi dell'amore
E-book147 pagine2 ore

Con gli occhi dell'amore

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Info su questo ebook

Con gli occhi dell’amore è un romanzo che narra la storia di Giacomo, un ragazzo cieco, nato con la rabbia e la solitudine nel cuore, la cui vita verrà stravolta da una donna sconosciuta che si trasferirà nel suo stesso condominio.
Sentendosi per tutta la vita respinto dagli altri e da suo padre, scappato di casa quando era solo un neonato, passa la maggior parte del tempo da solo, finché un giorno la madre lo costringe a far visita alla nuova vicina, Amelia. Inizialmente lui sarà schivo con lei, ma non appena la conoscerà meglio si ricrederà.
Un incontro casuale si trasformerà in un rapporto indissolubile che porterà entrambi a conoscere meglio loro stessi e, anni dopo, alla rivelazione di un segreto che la madre di Giacomo ha cercato disperatamente di nascondere al figlio. Nel momento in cui la verità sarà svelata, il ragazzo, diventato uomo, dovrà fare i conti con il passato per affrontare nel presente la sua paura più grande: amare.
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2020
ISBN9788835807315
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    Anteprima del libro

    Con gli occhi dell'amore - Letizia Antinolfi

    Amelia

    I

    Soffocavo. L’estate era iniziata da poche settimane e già non ne potevo più. Il calore mi penetrava le ossa e non respiravo. Il sudore mi colava dalla fronte. Sentii ogni energia abbandonarmi.

    La mia unica compagnia fu l’assordante silenzio che tutte le mattine mi faceva visita come un orologio, finché qualcuno suonò alla porta. Alzarmi dalla sedia mi sembrò impossibile.

    Non avevo mai amato il mio campanello: era un’irritante nota musicale. Confuso, sapendo che non potesse essere mia madre, mi diressi verso l’ingresso. Per orientarmi, accarezzai un tavolo che si trovava a pochi metri dalla porta, mi avvicinai al pomello, lo afferrai, lo feci girare lentamente, non avendo idea di chi ci fosse dall’altra parte. Aprii la porta.

    Avvertii un forte e piacevole odore di vaniglia e zenzero. Restai immobile, inspirando a lungo, dimenticandomi addirittura di chiedere chi fosse.

    «Buongiorno! Mi chiamo Amelia e mi sono appena trasferita».

    La sua voce era calda, giovanile e dolce.

    «Ben arrivata. Io sono Giacomo», risposi nella speranza di mostrarmi cordiale.

    «Grazie!», rispose euforica. «Vi ho portato un girasole!», me lo porse e quasi persi l’equilibrio per il peso del vaso che mi ritrovai all’improvviso sulle braccia.

    «Ma che ca…», pensai.

    Sorpreso dal suo gesto, esitai a ringraziarla.

    «Ci sei solo tu in casa?», iniziò a chiedere.

    «Adesso sì, mia madre è al lavoro».

    «E tuo padre?», chiese insistendo e m’irrigidii. Mentii dicendo che era uscito.

    Amelia sospirò delusa: come se non vedesse l’ora di conoscerci e la sua cordialità m’infastidii.

    Si ricompose e aggiunse: «Spero di rivedervi presto! Abito al piano di sotto, fatemi visita quando volete».

    Feci uno sforzo per non ridere di lei. Le sorrisi senza rispondere e chiusi la porta.

    «Oh, che bel girasole! Da dove viene?», chiese subito mia madre non appena rincasò. Le raccontai della nuova vicina e della sua offerta di farle visita al più presto.

    «Che carina! Dovresti farlo Giacomo!», continuò mia madre. Sbuffai contrariato. Cercai mille scuse per rifiutare, ma non ne trovai nessuna abbastanza efficace da convincerla. Mi alzai dal divano irritato e mi chiusi in camera. Non avevo voglia di incontrare ancora quella donna: la simpatia non era una mia qualità e conoscere persone nuove non mi entusiasmava.

    La mattina seguente, indossai la prima maglietta che mi capitò tra le mani e uscii. Solo un piano mi separava da un altro incontro con quella stramba e quando mi ritrovai davanti alla sua soglia, rimasi immobile per qualche minuto prima di bussare. Battei le nocche sulla porta, sperando non ci fosse. Dopo neanche un minuto sentii il rumore della serratura e la maniglia girare. Il suo profumo mi travolse come un’onda e quando gridò il mio nome, mi perforò un timpano. Mi mise una mano dietro la schiena e mi condusse dentro. Il suo odore era ovunque. Mi chiese se volessi del tè e accettai. Si allontanò, probabilmente per andare in cucina e ne approfittai per andare in giro. Allungai un braccio verso una parete e lo feci scorrere finché non trovai una libreria. Sentii la rilegatura in pelle, dei libri, mentre gli scaffali erano caratterizzati da una scritta incisa sul profilo della mensola: sul primo in alto, spostando l’indice due tre volte, sentii la parola università; sul secondo gialli; sul terzo romanzi; sul quarto poesie.

    Sbattendoci contro, mi ritrovai davanti a una poltrona su cui poi Amelia mi fece sedere non appena ritornò. Lei appoggiò rumorosamente un vassoio sul tavolo, davanti a me, e mi mise in mano un bicchiere con del ghiaccio.

    «Sono felice che tu sia venuto», disse all’improvviso. Dal tono sembrava sincera, come se non avesse aspettato altro che questo incontro.

    «Anch’io».

    Mentii.

    «Perché ti sei trasferita qui?», iniziai a chiedere nella speranza di distrarla.

    «È una lunga storia», si limitò a rispondere. La sua esitazione m’intrigò.

    Miss Gentilezza-Cordialità aveva dei segreti? Mi chiesi lievemente compiaciuto.

    «Scusami è che faccio fatica a parlarne», aggiunse mortificata.

    «Come si vive qui?», chiese cambiando argomento.

    Esitai prima di rispondere: ogni giorno trascorso in quelle mura, era esattamente uguale al precedente. Le stesse famiglie abitavano nelle stesse case da generazioni. Era un posto così isolato da sembrare fuori dal tempo e dallo spazio, quindi non potevo dire di essere felice di viverci.

    «È una zona tranquilla! Vedrai ti troverai bene qui!», risposi ironico cercando di trattenere un sorriso.

    Nella mia mente continuavo a incolpare mia madre per quello stupido incontro: dovevo solo ringraziare per il suo regalo, un semplice «grazie» e avrei potuto andarmene via.

    «Grazie per il girasole! Mia madre l’ha apprezzato molto, credo sia il suo fiore preferito», aggiunsi accorgendomi solo in quel momento della coincidenza.

    Bene: lo avevo detto. Potevo andarmene! Pensai.

    Iniziai a sollevarmi dalla poltrona.

    «Adesso devo proprio andare, è stato un piacere!», tesi la mano in attesa di stringere la sua, ma lei si alzò dal divano e mi abbracciò. Sentivo una strana energia dal suo petto al mio. Mi ritrovai il viso immerso nella sua chioma profumata e mi accarezzò i capelli. Ero così imbarazzato che rimasi immobile, lasciando le mani lungo i fianchi, non riuscii neanche a rispondere al suo abbraccio. Per essere un cordiale saluto durò a lungo, fino a quando non mi svincolai infastidito. Senza aggiungere altro, mi diressi velocemente verso l’uscita. Mi chiusi la porta alle spalle e scappai via perplesso.

    II

    Mentre mia madre mi raccontava la sua giornata, la mia mente era altrove. Non facevo altro che pensare ad Amelia e al nostro incontro. Mi aveva turbato: ma per quale motivo? Forse perché nessuno mi aveva mai sfiorato, al di fuori di mia madre?

    «Mi ascolti?», mi chiese improvvisa per distogliermi dai miei pensieri.

    «Sì, certo! Continua», la sollecitai nella speranza di sembrare convincente.

    Era evidente che stessi mentendo. «Dai su! Dimmi che cosa succede», esclamò curiosa.

    «Niente mamma», feci un sospiro per prendere tempo, «Amelia è rimasta contenta della mia visita».

    In fondo non era una bugia.

    «Ne sono felice! Spero che tu sia stato gentile!», esclamò entusiasta.

    Mi limitai ad annuire.

    «Bene perché dovrai ritornare da lei!», appena me lo disse, dovetti appoggiarmi alla base del tavolo per non cadere.

    «Cosa? Perché?», chiesi con foga.

    «Ho cucinato i tuoi biscotti preferiti, quelli allo zenzero…».

    Zenzero, lo stesso profumo di Amelia.

    «…e vorrei che glieli portassi».

    Sbuffai. Sapendo che non avrei avuto nessuna scusa per rifiutare, strinsi i pugni sotto al tavolo per l’irritazione e le dissi di sì. Quando andai a dormire, ripensai più volte alle mani di Amelia che mi accarezzavano la testa e che mi attiravano a sé. Non ero bravo con le buone maniere, ma ero certo che un estraneo non mi avrebbe dovuto abbracciare in quel modo. Quella donna era un mistero e avevo una strana voglia di scoprire qualcosa in più su di lei.

    Ero circondato da ombre che si muovevano nell’oscurità. Non capivo dove fossi: due figure si avvicinavano a me, una mi teneva tra le braccia, come per proteggermi, l’altra mi stava davanti. Sentivo delle grida, e lo strano rumore di qualcosa che si rompeva, io cadevo per terra. La figura che mi teneva stretta scomparve, mentre l’altra si avvicinava minacciosa. Ero indifeso, vulnerabile e quando mi resi conto che non sarei riuscito scappare, mi svegliai di colpo.

    Non era la prima volta che ripercorrevo quella scena e tutte le volte mi chiedevo cosa significasse. Il sogno non andava mai avanti: si fermava sempre nel momento in cui quella strana ombra si avvicinava a me, senza che riuscissi a capirne le intenzioni.

    L’indomani mi presentai da Miss Gentilezza-Cordialità.

    Come la prima volta, m’invitò a entrare senza esitare. Doveva essere molto sola per entusiasmarsi così per la visita di un ragazzino.

    La sentii addentare un biscotto: «Che buono!», esclamò come una bambina. «Sono allo zenzero?», chiese sorpresa e io annuii. «Non credevo che…», s’interruppe, senza finire la frase.

    «Cosa?», chiesi.

    «…che fossero così buoni»,

    M’insospettii: era come se quella frase l’avesse pronunciata per nascondere qualcos’altro. Ci fu un silenzio che mi sembrò lungo un’eternità e così, imbarazzato, iniziai a tempestarla di domande. Le chiesi che lavoro facesse e rispose che aveva insegnato italiano e storia dell’arte in una scuola superiore. Mi raccontò che adorava la grammatica, l’epica e tutte le forme d’arte con cui veniva rappresentata.

    «Ma ora, sono una pensionata senza più la forza di uscire di casa», disse con un accenno di malinconia, «neanche per andare nei miei posti preferiti»,

    «E quali sarebbero?», chiesi mio malgrado incuriosito.

    «Teatro, cinema, parco, ma soprattutto musei. Da quando ho smesso di lavorare, uscire da casa è diventato ogni giorno più arduo…».

    Sapevo come ci si sentiva!

    «E allora perché ti sei trasferita?» era la seconda volta che glielo chiedevo: prima aveva dato una risposta evasiva.

    «Un giorno te la racconterò».

    Sbuffai per la frustrazione.

    «Tu non sorridi mai, vero?», chiese all’improvviso lasciandomi allibito.

    Rimasi in silenzio: cosa avrei dovuto dire? No? Sì? Anche se non era vero, optai per la seconda.

    «Sorridi!».

    «Perché? È una cosa stupida».

    «Da bambino non…», s’interruppe bruscamente come se stesse per dire una parolaccia o una frase che non dovevo sentire. «non hai mai sorriso?».

    «Senti, io sorrido quando ho voglia di farlo e non certo perché qualcuno me lo impone».

    «Scusami, pensavo che…».

    Mi alzai furioso e me ne andai.

    III

    Le due sagome nere mi circondavano. Non capivo dove fossi. Mi sentivo cadere sul pavimento e ascoltai di nuovo le terribili grida di una donna dietro di me. Continuavo a indietreggiare, mentre quell’altra sagoma oscura si avvicinava a me con passi pesanti. Intravidi un essere incappucciato che sollevò il braccio verso di me. Mi alzai di colpo e urlai.

    «Giacomo! Cos’è successo?», chiese mia madre entrando in camera mia.

    «Mam… mamma, l’incubo… il solito. Sto impazzendo?», chiesi delirante. «Ho sempre fatto strani sogni ma ultimamente, da quando…», mi zittii di colpo.

    Da quando è arrivata Amelia! Pensai ma non lo dissi.

    Quella donna mi piaceva sempre meno. Mia madre taceva. Le sue mani erano gelide.

    «Mamma!», la chiamai scuotendola, ma era come in trance.

    Si alzò dal letto e, tutto quello che riuscì a dire, fu che sarebbe tornata più tardi dal lavoro.

    Con mia grande sorpresa e, certo che me ne sarei pentito, mi ritrovai a bussare alla porta di Amelia. I sogni stavano diventando più frequenti da quando lei era arrivata nel mio condominio. Se davvero

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