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Apotheke e-book: Il laboratorio dei veleni
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Apotheke e-book: Il laboratorio dei veleni
E-book148 pagine1 ora

Apotheke e-book: Il laboratorio dei veleni

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Diciassette morti di cancro, i laboratori dell’Università sotto sequestro, otto imputati eccellenti accusati di disastro ambientale: a Catania, il Processo Farmacia è agli atti finali. Antonio Valenti, avvocato di parte civile per le famiglie delle vittime, definisce il caso lappuso, intrigante, riconosce nell’indagine una densità ambivalente, che coinvolge l’uomo di legge ma, al contempo, ne scandalizza clamorosamente la coscienza. Mentre il verdetto dei giudici è prossimo, Valenti gioca col tempo e si apre alla bella Sofia, attende senza condiscendenza e senza illusioni, ogni circostanza gli offre lo spunto per poter ripercorrere le fasi salienti del caso catanese svelando al lettore il suo punto di vista sul processo. Parallelamente corre la vicenda di Giulia Valisano, giovane bibliotecaria e aspirante giornalista, che per un caso fortuito legge il memoriale di Emanuele Patanè e s’appassiona così alle vicende processuali susseguitesi nella Facoltà di Farmacia: ma come raccontare i fatti celando lo sdegno? Come asciugare le parole da personalissime sentenze? Antonio e Giulia: rette parallele, endiadi letteraria nata dall’immaginazione, collidono con i nomi autentici di vittime, imputati e testimoni; rappresentano la memoria narrativa di Santi Terranova, che affida ai due personaggi gli accadimenti vissuti personalmente eppure impregnati nell’odore e nel corrosivo fluido della verità.
LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2020
ISBN9788899573294
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    Anteprima del libro

    Apotheke e-book - Santi Terranova

    Contorni

    ISBN 978-88-99573-29-4

    © 2020 Duetredue Edizioni Srl

    Lentini, Via Garibaldi 46

    www.duetredue.com

    info@duetredue.com

    Progetto grafico: Giulio Barbagallo e Gaetano Tribulato

    In copertina: Pasolini nel Decameron (1971), part.

    Santi terranova

    Apotheke

    il laboratorio dei veleni

    DuetreduE-book

    Farmacia: veleni e paure

    Introduzione al caso giudiziario

    di Guido Ruotolo

    Fumi tossici sprigionati dalle ciminiere, residui nocivi di lavorazioni dispersi in discariche abusive, acque di scarico contaminate fatte defluire in corsi d’acqua o in mare. Le strade del disastro ambientale sono infinite, soprattutto quando è l’uomo che per calcoli economici, imperizia, cinismo e interessi indicibili si ingegna nel provocare danni certe volte irreparabili per l’ambiente e per i suoi abitanti.

    In questi anni grazie a una legislazione efficace, a una sensibilità di magistratura e polizia giudiziaria si sono celebrati processi (o si stanno ancora istruendo) contro i colpevoli dei disastri ambientali, i titolari delle imprese e i dirigenti tecnici o amministrativi delle stesse.

    Processi storici come quello contro il Petrolchimico di Porto Marghera, o l’Eternit di Casale Monferrato. E quelli la cui definizione è in dirittura d’arrivo, come l’Ilva di Taranto. E poi ci sono le inchieste che sono state aperte per i disastri di Augusta, Priolo, Porto Torres.

    Ma mai era accaduto che a provocare un disastro ambientale fosse una Facoltà universitaria, che per almeno trent’anni ha inquinato il suolo e l’aria. Provocando morti e malati. Stiamo parlando del processo che si è celebrato a Catania (la cui sentenza è stata pronunciata il 17 ottobre 2014, quando il libro era già alle stampe), contro i vertici della Facoltà di Farmacia.

    Un disastro ambientale che ha ucciso giovani ricercatori. Ecco i nomi dei caduti di Catania: Emanuele Patané, Agata Annino, Lucilla Insirello, Giovanni Gennaro, Rosario Manna, Marianna Spadaro, Maria Concetta Sarvà, Benedetto Tornetta, Vincenza Pirracchio.

    Ricordateli questi nomi. Sono quelli di nove vittime innocenti. Morti ammazzati dai veleni sprigionati nei laboratori della Facoltà di Farmacia di Catania. Ma questo è un elenco incompleto perché destinato a crescere nel tempo. Intanto, ai nove nomi se ne dovrebbero aggiungere altri 27, ma ad oggi non sono documentati i possibili collegamenti tra questi decessi e gli altri nove.

    Che storia terribile. Trent’anni almeno di degrado, ignoranza, negligenza e interessi illeciti. Di questo stiamo parlando. Una storia che si consuma nel Sud che conosciamo. Chissà se sarebbe potuto accadere anche in una Facoltà universitaria del profondo Nord?

    Qui si sommano negligenza, degrado, ignoranza e, per dirla con l’avvocato di parte civile, Santi Terranova, «sottovalutazione e minimizzazione dei rischi». E oggi piangiamo nove vittime che sono molte di più, in realtà.

    Terribile la loro agonia, la morte lenta di un gruppo di giovani ricercatori della Facoltà di Farmacia di Catania. Lascia impietriti la lettura di una circolare inviata ai responsabili dei laboratori dell’allora membro della Commissione permanente per la sicurezza, il professore Giovanni Puglisi.

    Risale all’ottobre del 2000, ed è un documento acquisito al processo che si è celebrato a Catania:

    «In quest’ultimo periodo dell’anno è stata riscontrata da più persone la presenza di prodotti chimici volatili, non identificati, ad elevato potere irritante. Le concentrazioni di gas hanno raggiunto valori tali da dare manifestazioni irritanti per la pelle, e per le prime vie respiratorie. Le reazioni indesiderate a tali gas si manifestano con fenomeni di irritazione agli occhi e alla pelle, difficoltà respiratorie, stato di tossicosi, tremori e forti mal di testa».

    Sapevano tutto, i dirigenti di quel Dipartimento, i responsabili di quei laboratori. Solo otto anni dopo quella circolare la magistratura catanese ha deciso di intervenire.

    Ė vero che in molte università, da quelle del Nord a quelle del Sud, ancora resistono le baronie, i potentati familistici. O le raccomandazioni, che poi dal Garigliano in giù possono trasformarsi in pressioni più o meno criminali. Quello che è inaccettabile è che non saremmo qui a piangere i morti e a pretendere giustizia se ognuno degli imputati avesse fatto il suo dovere.

    Questa storia, che si consuma a partire dalla fine degli anni Settanta, ha avuto un suo epilogo in un’aula di Tribunale, dove si è celebrato un processo contro nove imputati eccellenti accusati di disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti.

    E dunque partiamo proprio dall’inchiesta giudiziaria. Giornali on-line di Catania. La mattina dell’8 novembre del 2008 la Procura della Repubblica sequestra l’edificio, rivelando che c’è una inchiesta in corso per disastro ambientale e gestione dei rifiuti non autorizzata.

    Leggiamo la cronaca degli eventi di quella mattina da un sito web catanese. A scriverla è Claudia Campese: «Immobile ed area limitrofa sottoposti a sequestro preventivo. Questo si legge nel cartello apposto dai Carabinieri sabato mattina alle finestre dell’edificio 2 della Cittadella. La chiusura della struttura per lavori di manutenzione era stata annunciata il giorno prima con un avviso sul sito dell’Ateneo di Catania. In tarda mattinata invece, tra giornalisti e studenti curiosi, sono stati posti i sigilli di sequestro. Poche ore dopo, l’ufficialità sui nomi delle nove persone indagate: l’ex Rettore Ferdinando Latteri (oggi deputato Mpa), l’ex direttore amministrativo dell’università Antonino Domina, il direttore del dipartimento di Scienze farmaceutiche Vittorio Franco (all’epoca dei fatti a capo della commissione permanente per la sicurezza), Lucio Mannino (dirigente dell’ufficio tecnico) e cinque componenti della commissione permanente sulla sicurezza: Marcello Bellia, Giuseppe Ronsisvalle, Francesco Paolo Bonina, Giovanni Puglisi e Fulvio La Pergola».

    Per chi conosce codici e procedure, sa bene che con l’accusa di disastro ambientale non si processano gli imputati per le morti provocate dal disastro. La Procura di Catania ha aperto un secondo fascicolo per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, dopo la denuncia del padre di una delle vittime, Lele, Emanuele Patané, morto di tumore ai polmoni. Ma sul fascicolo che ha visto indagati gli stessi imputati del processo per disastro ambientale pende una richiesta di archiviazione (il cui esito non conosciamo mentre il libro va in stampa, Nda).

    Nei laboratori del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, per dirla con un testimone, il dottor Aiello, si praticavano «usanze poco consone a quelli che sono i principi generali di salute nei luoghi di lavoro, cioé quello di sversare prodotti nei lavandini». Diciamo che per almeno trent’anni, secondo quanto è stato ricostruito nel processo, finivano nei lavandini sostanze tossiche quali il benzene, il mercurio, l’acetilbenzoato, la formaldeide.

    Il 24 maggio del 2011, tre anni dopo che la Procura di Catania aveva sequestrato il laboratorio, il professore Aiello ispeziona quei locali: «Questi lavandini erano visivamente ammalorati, corrosi, sporchissimi, neri. Se non li avessimo cambiati non avremmo potuto avere la prova che non si sversavano piú quei prodotti».

    Sospetto poco rassicurante, che potrebbe far ipotizzare che in realtà gli sversamenti ‘poco consoni’ sono continuati anche dopo l’introduzione di regole ben precise per evitare l’inquinamento.

    Ma torniamo a quello che accadde l’ 8 novembre del 2008.

    «Erano le 9 del mattino quando, mentre tutti li attendevano davanti all’ingresso principale, i carabinieri del nucleo di polizia giudiziaria sono entrati dal retro e hanno iniziato i rilevamenti. Un intervento tutt’altro che inaspettato per i docenti e gli studenti della Cittadella. Da giorni, infatti, era iniziato il trasloco di materiale e documenti utili al proseguimento della didattica in altre sedi vicine. Ma erano ancora molti i dubbi sulla motivazione».

    Furono ore movimentate, quelle. Tra gli studenti, il personale docente, e non, serpeggiava la paura. Continuiamo la cronaca di quelle ore: «Poco dopo l’ufficialità del sequestro il professore Giuseppe Ronsisvalle, preside della facoltà di Farmacia, esce visibilmente teso. Alla richiesta di una dichiarazione si limita a dire che risponderà il Rettore. E il Rettore, che in mattinata ha anche diffuso un comunicato sulla vicenda, ha detto ai microfoni della Rai: La magistratura sta cercando di aiutarci a capire se l’edificio può essere rimesso a disposizione, oppure deve essere abbattuto, oppure devono essere fatti ulteriori lavori.

    «Ma tra i ragazzi c’è grande agitazione. Oltre alla preoccupazione per il proseguimento della didattica, a decine scrivono sui forum: La cosa è gravissima, ma pensate che siamo in pericolo? Dovremmo farci un controllo, Ho paura, nessuno dei professori ci ha dato una risposta chiara. A queste domande si aggiungono poi le storie circolate negli anni. Essendo Farmacia una delle strutture poste più in basso, tutti gli scarichi passano da lì. Circa un anno e mezzo fa inaspettatamente sono affiorati in cortile dei liquami non meglio identificati. Dopo le domande di noi studenti e i prelievi, non se ne seppe più nulla, racconta uno studente che preferisce restare anonimo. E’ stato lo stesso periodo del pino gli fa eco un collega. Sì, perchè proprio lì, raccontano i ragazzi, un pino dalla robusta struttura un giorno è stato trovato morto. ‘Mummificato’».

    Stranezze a cui finora non si è data spiegazione.

    «È la Procura distrettuale di Catania a fornire maggiori particolari. L’inchiesta, che è stata coordinata dal procuratore capo D’Agata, ha preso avvio da un esposto sull’esistenza di zone contaminate. Un’indagine lunga, avviata almeno un anno fa, su fatti che vanno dal 2004 al 2007. Secondo la Procura infatti benchè i vertici dell’Università fossero stati allertati del fenomeno di potenziale inquinamento e contaminazione del sottosuolo, non sono stati attivati gli opportuni provvedimenti previsti dalla legge a garanzia della salute delle persone, ivi esposte ad esalazioni tossiche con manifestazioni di ripetuti malesseri, pure segnalati in numerosissime occasioni ai responsabili della sicurezza.

    «La Procura fa anche sapere che le indagini tecniche hanno accertato l’esistenza nel sottosuolo di pericolose sostanze inquinanti in valori superiori di decine e, in alcuni casi, centinaia di volte ai limiti fissati per i siti industriali. Sostanze con un potenziale tossico e cancerogeno che, una volta nella rete di scarico, sarebbero risalite con il conseguente pericolo di essere inalate.

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