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Disastro Eternit: Casale Monferrato: da città dell’amianto a esperienza di mobilitazione collettiva
Disastro Eternit: Casale Monferrato: da città dell’amianto a esperienza di mobilitazione collettiva
Disastro Eternit: Casale Monferrato: da città dell’amianto a esperienza di mobilitazione collettiva
E-book366 pagine4 ore

Disastro Eternit: Casale Monferrato: da città dell’amianto a esperienza di mobilitazione collettiva

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Info su questo ebook

Immaginate tanti operai che indossano una tuta blu, lungo una strada che porta alla fabbrica. Una fabbrica in cui due persone, anche se vicine, non riescono a vedersi a causa della polvere.
Immaginate giovani madri che nell’ora di pausa, con la tuta impolverata, allattano i propri figli.
Pensate ora di entrare in quella fabbrica e di leggere quotidianamente annunci mortuari di persone che non arrivano ai 50 anni: oggi Carlo, domani Giuseppe e tanti, tanti altri.
E i proprietari della fabbrica che elaborano con successo una strategia per insabbiare la nocività della polvere, che nel frattempo finisce nei cortili delle case, delle scuole e degli asili.
Qui si racconta la storia di Casale Monferrato, comune in provincia di Alessandria, divenuto un simbolo di lotta a livello mondiale. Da città dell’amianto a città che ha liberato l’Italia dall’amianto, a colpi di sit-in, proteste, denunce e petizioni.
LinguaItaliano
EditoreBlu Oberon
Data di uscita8 mar 2021
ISBN9788894825466
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    Anteprima del libro

    Disastro Eternit - Maria Francesca Di Gioia

    digioia-copertina-2018-REV-2021.jpg

    blu oberon

    Collana Tendenze. I.

    SAGGISTICA

    © 2021 Blu Oberon Srl, Milano

    ISBN 978-88-94825-46-6

    Via Stampa, 8 - Milano

    libri@bluoberon.it

    DISASTRO

    ETERNIT

    CASALE MONFERRATO: DA CITTÀ DELL’AMIANTO A ESPERIENZA DI MOBILITAZIONE COLLETTIVA

    MARIA FRANCESCA DI GIOIA

    Il reato è prescritto, il nostro dolore no.

    La delusione deve diventare la base per agire e non una resa. Ci sono tante cose da fare e da concludere. Continuiamo la nostra strada giusta contro l’amianto, a scuotere le coscienze.

    Lo dobbiamo ai nostri morti e alle nuove generazioni.

    Coordinamento Internazionale delle Associazioni dei Familiari delle Vittime

    PREMESSA

    Il termine serendipità indica, come riporta il Vocabolario Treccani, la capacità o fortuna, di fare per caso inattese e felici scoperte, specialmente in campo scientifico, mentre si sta cercando altro.

    Di amianto avevo sentito parlare casualmente in qualche trasmissione o in qualche frettoloso servizio giornalistico, ma la tempesta di informazioni alla quale siamo sottoposti, si sa, non dà il tempo di pensare. Le informazioni scorrono così velocemente che anche davanti alle grandi tragedie siamo ormai anestetizzati e rimaniamo lì, sulla superficie del problema. Ma un giorno il professor Matricardi, durante il suo corso universitario di Educazione alla sostenibilità, senza anticipare nulla a noi studenti, invita Silvana Mossano. Silvana è una giornalista de La Stampa che scrive di amianto da trent’anni, Silvana ha perso suo marito a causa dell’amianto, Silvana ci racconta la storia di Casale in un modo che solo chi ha vissuto un dramma può spiegare, così quella storia entra lì, in quella coscienza anestetizzata, qualcosa allora si muove e quella storia inizia a far parte di te. Silvana non ci parla della sua vita, ne fa un breve accenno, ci parla invece di una tragedia collettiva ma soprattutto di una lotta collettiva. Il suo dolore, contenuto, si mescola all’orgoglio di far parte di una comunità che avrebbe potuto rimanere nella disperazione e ne avrebbe avuto tutto il diritto, ma che invece si è unita, ha lottato, non si è piegata e ha puntato il dito verso chi nessuno avrebbe mai osato indicare. L’emozione è stata intensa, eravamo tutti smarriti, in silenzio, attenti. Era passato solo qualche giorno dalla sentenza della Cassazione e la prescrizione del reato era una ferita fresca, ma Silvana ha raccontato quanto accaduto con quella discrezione e contegno tipici dei casalesi, che non sminuisce i fatti accaduti, ma li amplifica dando una lezione di grande civiltà. Nell’incontro successivo a parlare di Casale, di amianto, di sofferenza, lotta, sono Assunta Prato e Katia Barberis. Assunta è nel Consiglio Comunale di Casale Monferrato, membro dell'Associazione Familiari e Vittime Amianto (AFeVA) e vedova dell’amianto.

    Katia Barberis è insegnante di Scuola Primaria e di Scuola dell'Infanzia a Casale (laureata presso l'Università di Genova con due tesi inerenti lo sviluppo di comportamenti consapevoli verso tale problema nei bambini di Casale).

    Assunta e Katia nell’affrontare il tema adottano una prospettiva più didattica e continuano, senza volerlo, a dare un’ulteriore lezione di civiltà. Spesso, nella mia carriera universitaria ho incontrato il tema della cittadinanza attiva e Casale ne è un degno esempio. Assunta ha scritto una storia a fumetti, Eternit, Dissolvenza in bianco e la fiaba di Spolverino con metodologie ben precise che mirano non solo a far conoscere il problema ai più piccoli, ma a responsabilizzarli, far loro assumere un ruolo attivo. Assunta e Katia ci parlano di una comunità in cui ognuno, dal medico, al maestro, al sindacalista, allo scrittore, al regista, al compositore, all’operaio, offre il suo contributo per cercare di superare la tragedia collettiva e personale, per ottenere giustizia, ricerca e bonifica (i tre slogan di Casale).

    La cittadinanza attiva è la capacità dei cittadini di organizzarsi in modo multiforme, di mobilitare risorse umane, tecniche e finanziarie; di agire con modalità e strategie differenziate, per tutelare diritti esercitando poteri e responsabilità volti alla cura e allo sviluppo dei beni comuni (Moro, 1998).

    Quello che Silvana, Assunta e Katia hanno voluto far emergere nelle loro testimonianze è che Casale non è la città dell’amianto, Casale è invece, una città che è andata oltre l’amianto, Casale è un esempio di cittadinanza attiva.

    Se io non avessi ascoltato le testimonianze, se non avessi sfiorato il dolore di chi questa tragedia l’ha vissuta, oggi non stenderei una tesi sull’argomento. Ecco perché ho parlato di serendipità ed ecco perché ho deciso di partire dalla trascrizione delle parole che ho ascoltato e che da allora mi accompagnano. Non nascondo che il peso della responsabilità di raccontare la storia di Casale è molto presente in me. Quando si incontra tanto dolore si teme il rischio di non rispettarlo. Per questo motivo spesso saranno presenti le parole dei protagonisti, così come loro le hanno pronunciate, come loro sentivano di pronunciarle con il dolore e la tenacia che solo loro possono conoscere.

    Quando ero piccolo, c’erano dei lavoratori che abitavano nel cortile e quando facevano i turni di notte portavano a casa i sacchi di polverino di amianto da mettere nel cortile per farci giocare meglio; io avevo 5 anni allora. Poi avevano fatto una tettoia di amianto per le biciclette perché una volta le biciclette erano sacre e dovevano essere preservate; sono passato pochi giorni fa nel cortile in cui abitavo e c’è ancora. Per noi era una cosa bella, potevamo giocare bene nel cortile. E poi mio zio mi ricordo che è morto con una bombola di ossigeno alta un metro, se l’è succhiata tutta e ed è morto. Davano la colpa alla polvere, intendendo l’asbestosi ma magari era mesotelioma. Solo che negli anni ’70 non era diagnosticato.

    (Beppe Manfredi)

    Beppe era uno dei tanti bambini innocenti che giocavano con l’amianto, era una delle tante persone che da trent’anni lottano contro l'amianto. Beppe era un uomo disponibile, con cui ti sentivi a casa, riservato, sorridente e anche lui è stato portato via dall’amianto.

    INTRODUZIONE

    L’oggetto di questo testo è il disastro ambientale Eternit a Casale Monferrato, disastro causato dall’uomo e che sull’uomo ha ripercussioni tragiche. La vicenda di Casale Monferrato non verrà studiata però unicamente sotto la lente di ingrandimento dell’uomo che distrugge la natura e dell’uomo che ne subisce le conseguenze; esiste un altro uomo, quello resiliente, che reagisce in maniera positiva agli eventi traumatici, che non soccombe, ma che direziona le sue energie verso cambiamenti risolutivi e praticabili. Il caso Eternit non verrà descritto soltanto come una tragedia ambientale, ma anche e soprattutto come un modo esemplare di reazione a un disastro di portata non ancora quantificata poiché il picco delle morti per amianto è previsto intorno al 2020. Basti pensare che ad oggi Casale Monferrato conta poco meno di tremila vittime che, come afferma Nicola Pondrano: non fanno neanche statistica. Casale Monferrato non vuole più essere la città dell’amianto, ma la città che lotta contro l’amianto e ciò verrà confermato attraverso le argomentazioni di questo lavoro e lo studio di una mobilitazione che, almeno per quanto riguarda la lotta al minerale killer, non ha eguali.

    Il problema conoscitivo in questione corrisponde a questo interrogativo: come la comunità di Casale Monferrato si è adattata e ha saputo reagire alla tragedia ambientale, umana e sociale?

    L’obiettivo della ricerca è quello di comprendere come si sia dipanata la reazione sociale casalese, se ci sono delle figure chiave, se è stata una reazione sociale efficace, se ha condotto a dei risultati e se ha influenzato in qualche modo la generazione successiva.

    La scelta dell’argomento parte da una motivazione molto semplice: il mio stupore nel constatare che non conoscevo quasi nulla di questo disastro, non mi sentivo in pericolo se passavo sotto un tetto fatto di onduline in Eternit e soprattutto non le vedevo. Solo adesso mi rendo conto di quanti manufatti di questo materiale ci circondino e di quanta inconsapevolezza ci sia sull’argomento. L’impatto emotivo è stato fondamentale nello spingermi ad approfondire la conoscenza attraverso la ricerca. Molti autori, affermano l’importanza delle emozioni nella motivazione all’apprendimento, infatti, in occasione dell’incontro con tre testimoni ho potuto ascoltare il loro vissuto e fare l’esperienza di quanto ciò possa essere vero. Ma se questi uomini e donne di Casale non avessero reagito, se non avessero portato avanti questa disperata campagna di sensibilizzazione (tra le altre cose) e se non avessi ascoltato le testimonianze delle persone coinvolte, non avrei avuto il desiderio di affrontare l’argomento, né l’ardore e la passione che mi legano a questa ricerca.

    Nel primo capitolo si ripercorrono le teorie di riferimento, la trattazione di questo argomento non può che essere interdisciplinare, con un particolare riferimento a riflessioni della bioetica ambientale, dell’ecocriticismo, della pedagogia dell’ambiente e a concetti analitici quali la partecipazione, in particolare dal basso (bottom up), l’empowerment, la cittadinanza attiva, la resilienza comunitaria. Ritengo che attraverso queste categorie si possa descrivere e inquadrare questa vicenda (senza nessuna pretesa di esaustività).

    Il secondo capitolo comprende le tre testimonianze attraverso le quali ho preso coscienza del problema, sono posizionate in questo capitolo perché le reputo un ottimo filo conduttore emotivo e di sintesi: è con le parole che riporto che queste persone hanno deciso di raccontare a chi non sapeva, a chi era ignaro.

    Il terzo capitolo descrive l’impatto dell’amianto sulla vita umana anche attraverso il numero di morti e ammalati, grazie alle statistiche aggiornate del Registro Nazionale Mesoteliomi (INPS).

    Il quarto e il quinto capitolo riguardano la storia di Casale e della sua lotta contro l’amianto.

    Il sesto capitolo descrive le scelte metodologiche e le figure chiave della vicenda che ho potuto identificare ed intervistare.

    Il settimo capitolo riguarda la costruzione di un discorso unitario tra i concetti analitici prescelti e le evidenze empiriche.

    L’ottavo capitolo contiene la parte conclusiva di questo lavoro e propone ulteriori sviluppi sull’argomento.

    Il nono capitolo contiene quattro poesie che ho scritto quando mi sono addentrata in questa storia (non ne scrivevo da 18 anni) e sono in questo testo perché quando consegnerò il mio lavoro a Casale vorrei lasciare loro anche queste parole.

    Il decimo capitolo riguarda le interviste che ho potuto fare, in più occasioni, ai soggetti chiave della Casale resiliente; sono alla fine della mia tesi solo per un mero motivo redazionale, ma ci tengo a precisare che costituiscono il vero cuore della ricerca, la parte più importante e vera, che mi ha lasciato di più a livello umano, che mi ha trasmesso e permesso di scoprire una ricchezza che porterò sempre dentro come uno dei beni più preziosi insieme alla bandiera, simbolo di questa lotta che mi è stata regalata e che per me significa davvero tanto; rappresenta tutte quelle persone che mi hanno lasciato entrare nella loro vita, nel loro dolore, nei loro ricordi e soprattutto rappresenta i loro valori, la loro ostinazione, la loro dignità e il loro grido di giustizia.

    Ringraziamenti

    Desidero innanzitutto ringraziare il Professor Giorgio Matricardi che mi ha fatto conoscere questa vicenda e che ha volutamente provocato un impatto emotivo e coniugato il mondo accademico con i problemi della vita reale. Inoltre, ringrazio di cuore il professor Claudio Torrigiani sempre disponibile a dirimere i miei dubbi e guidarmi durante la fase di ricerca empirica offrendo preziosissime indicazioni: il suo aiuto non era dovuto e per questo il suo valore è incommensurabile.

    Intendo poi ringraziare la professoressa Luisella Battaglia per le sue idee libere e giuste. Vorrei esprimere la mia sincera gratitudine alle persone di Casale, per il tempo che mi hanno dedicato ma soprattutto per gli insegnamenti di vita che mi hanno offerto attraverso la loro storia e all’associazione AFeVA diventata per me un luogo familiare. Ringrazio il mio compagno di vita Luca Dapueto che è stato messo a dura prova ed ha mostrato tanta pazienza, i miei genitori che mi hanno insegnato il valore dello studio, lo spirito di sacrificio e che mi hanno offerto anche un aiuto pratico non trascurabile. Ringrazio anche Lucia Ghilardi per l’ausilio nella fase di revisione. Desidero infine ringraziare i miei compagni Aneta Stevancevic per la sua amicizia, il supporto morale, la condivisione e Stefano Fazzari amico sincero solidale, disinteressato.

    Tutte le persone citate in questa pagina hanno svolto un ruolo fondamentale in questo lavoro, ma desidero precisare che ogni errore o imprecisione è imputabile soltanto a me.

    1. Riferimenti teorici

    1.1 Ecocriticismo e bioetica

    Serenella Iovino è una delle voci più accreditate dell’ecocritica internazionale, insegna Letterature Comparate e Etica all’Università di Torino. Le sue pubblicazioni includono i volumi: Filosofie dell’ambiente (Carocci, 2004) e con Serpil Oppermann, Material Ecocriticism (Indiana University Press, 2014).

    L’ecocritica nasce dall’unione tra ecologia e critica letteraria, ha origine negli Stati Uniti alla fine degli anni ’80, si propone di sperimentare e applicare alla critica letteraria i modelli che stanno alla base dell’ambientalismo scientifico. Di qui, la centralità di alcune categorie, quali quelle di luogo e ambiente che l’Autrice impiega con l’effetto auspicato di produrre una revisione dell’umanesimo nella direzione di un’apertura e della comprensione dell’interdipendenza tra gli esseri viventi.

    Nel testo Filosofie dell’ambiente (Iovino, 2004) sono presenti argomentazioni su una cultura dell’ambiente, attenta alle relazioni tra mondo umano e mondo naturale, motivata dalla crisi ecologica che ormai ci accompagna da decenni. Una riflessione morale su questi argomenti s’impone come una nuova frontiera della vita comune, uno stimolo a rivedere i nostri modelli e stili di vita. Ma il pensiero dell’ambiente non si muove solo sul territorio della morale e del valore. Discipline come la sociologia, le scienze cognitive, la letteratura e la critica letteraria, l’estetica e la storia delle idee contribuiscono a mettere in discussione la struttura della società e il concetto stesso di progresso, offrendo una lettura trasversale del mondo contemporaneo. Insomma il testo offre numerose aperture interdisciplinari. A queste discipline oggi si aggiunge anche la pedagogia dell’ambiente.

    L’unione tra ecologia e letteratura può apparire singolare ma non lo è, basti pensare a Nichel di Primo Levi ne Il sistema periodico, una raccolta di racconti edita nel 1975. Ognuna delle ventuno narrazioni porta il nome di un elemento della tavola periodica ed è ad esso in qualche modo collegato il sesto racconto, Nichel appunto, che descrive il primo lavoro di Primo Levi, subito dopo la laurea, nei laboratori chimici di una miniera. La miniera in questione è l’amiantifera di Balangero. Levi la descrive attraverso la metafora dell’Inferno della Divina Commedia.

    C’era amianto dappertutto, come neve cenerina: se si lasciava qualche ora un libro su di un tavolo, e poi lo si toglieva, se ne trovava un profilo in negativo.

    Silvana Mossano (2010) offre una raccolta di opere letterarie in cui viene affrontato il tema dell’amianto, sono presenti nomi come quello del già citato Primo Levi con il suo racconto Nichel e Italo Calvino per l’articolo La fabbrica nella montagna in cui annotava nel 1984:

    C’è solo il grigio polverone d’asbesto nella cava, che, dove arriva brucia foglie e polmoni (ivi, p. 158)

    Serenella Iovino ha collaborato con la dottoressa Serpil Opperman della Indian University nella stesura del libro Material Ecocriticism e tradotto in italiano il suo articolo accademico Il corpo tossico dell’altro. Contaminazione ambientale e alterità ecologiche (2015), che può offrire spunti interessanti alla riflessione in questione. Nel saggio si parla di un mondo contaminato da scorie umane e di una realtà ibrida che innesta nella natura la sporcizia della cultura che solleva la questione della nostra interferenza contaminante. L’inquinamento di aria, acque e territori dovuto alla disseminazione di sostanze nocive disperse tradisce un’ideologia laccata di orgoglio di specie (Alaimo, 2014). La studiosa riporta come nel mondo esistano una miriade di luoghi contaminati che mettono in pericolo la salute di chi, umano o non umano, vive in quegli ambienti e citando Heather Sullivan denuncia come lo sporco, il detrito, il terreno e la polvere ci circondino a tutti i livelli ricordando che, neanche noi esseri umani possiamo essere immuni da questa contaminazione ambientale. Nell’analizzare l’intreccio tra natura e cultura, questo saggio si concentra sull’alterità ecologica sotto forma di corpi tossici, intesi come luogo in cui le dinamiche sociali intersecano quelle ambientali e aggiunge che, legate a tali questioni, emergono anche forme di ingiustizia ambientale e sociale, razzismo ambientale, specismo e antropocentrismo. La studiosa riporta come l’inquinamento ambientale e i problemi sociali siano inseparabili, ad esempio, le forze ambientali e sociali che corrodono e transitano attraverso corpi vulnerabili; quando queste forze sono rappresentate dalle sostanze tossiche e chimiche create dalla scienza e della tecnologia, il corpo diviene un agente tossico affetto da malattie che perdurano nel tempo: malattie di origine ambientale. Il corpo tossico è pertanto definito da Serpil Opperman un Testo materiale in cui pratiche culturali, decisioni politiche, economiche, processi naturali, sono intrecciati con questioni di giustizia, salute ed ecologia. Vedremo come tutti questi elementi siano presenti nella vicenda di Casale Monferrato. Gli altri ecologici, i corpi martoriati dall’inquinamento, per Opperman, che cita Alaimo e Ray, sono doppiamente vittimizzati; non solo i loro corpi fisici, materiali, sostengono spesso i costi dello sfruttamento ambientale, ma essi sono percepiti come una minaccia per la purezza nazionale, razziale e corporea. Casale Monferrato non è stata spesso denominata la città dell’amianto? E questo non ha ingenerato paure di vario genere? Paura di recarsi in quel luogo, paura di assumere chi aveva già lavorato alla Eternit perché si sarebbe potuto ammalare e tanto altro ancora. Ironicamente, però, incalza la studiosa, nessun corpo umano è puramente umano.

    Nel suo libro Un’etica per il mondo vivente, Luisella Battaglia (2012, p. 119) affronta le questioni della bioetica ambientale, ricorda la grande lezione dell’ecologia: ognuno è legato a tutti gli altri e auspica:

    maggiore responsabilità nei confronti del presente e del futuro genere umano, nella prospettiva di un allargamento della sfera morale che includa la rifondazione di un codice di doveri e una riconsiderazione delle teorie della giustizia.

    Ma Battaglia affronta anche la questione su un piano giuridico affermando l’esigenza di un:

    diritto all’ambiente inteso come regolamentazione dei rapporti tra cittadini e comunque di comportamenti socialmente rilevanti, al fine di evitare che questi compromettano l’ambiente.

    L’Autrice propone nel merito delle tematiche legate all’ambiente:

    una specifica scienza giuridica […] nel rispetto di taluni principi guida […]

    e l’allargamento della tradizionale sfera dei diritti della persona al diritto all’ambiente; dall’altra parte la restrizione di alcuni diritti attraverso i quali sono stati commessi reati quali il furto e l’assassinio del territorio.

    Nel testo Bioetica senza dogmi Battaglia espone un’interessante trattazione sull’evoluzione dei diritti, suddividendoli in quattro generazioni: civili e politici, sociali, all’ambiente, infine, quelli collegati alla bioetica e alle ricadute delle tecnoscienze.

    Prima generazione: diritti civili (1789)

    Sono diritti legati a principi di libertà, fraternità, uguaglianza e i diritti di cittadino: trattano essenzialmente della libertà e della partecipazione alla vita politica. Essi sono fondamentalmente di natura civile e politica: servono a proteggere l’individuo dagli eccessi dello Stato. I diritti di prima generazione includono, tra le altre cose, la libertà di parola, il diritto a un giusto processo, la libertà di religione e i diritti di voto.

    Seconda generazione: diritti sociali (dopo la seconda guerra mondiale)

    Sono fondamentalmente di natura economica, sociale e culturale, garantiscono a membri diversi della cittadinanza condizioni e trattamenti uguali. I diritti secondari includerebbero il diritto a essere occupato, i diritti all’abitazione e alle cure sanitarie, come pure alla sicurezza sociale e alle indennità di disoccupazione. Come i diritti di prima generazione, anch’essi furono contemplati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e ulteriormente incorporati negli Articoli da 22 a 27 della Dichiarazione Universale, inoltre, nella Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.

    Terza generazione: diritto all’ambiente

    Diritti di gruppo o collettivi, diritto all’autodeterminazione, diritto allo sviluppo economico e sociale, diritto a un ambiente salubre, diritto alle risorse naturali, diritto a comunicare, diritto alla partecipazione, diritto al patrimonio culturale, diritti all’equità intergenerazionale e alla sostenibilità. Nel nostro caso ci focalizzeremo sul diritto all’ambiente, ma da cosa nasce l’esigenza di un diritto? Luisella Battaglia, durante le sue lezioni universitarie, sostiene nasca dall’esigenza di un valore minacciato, in questo caso il valore minacciato è l’ambiente, messo in pericolo dall’inquinamento che genera paura ma che a sua volta genera coscienza, di conseguenza, cambia il titolare dei diritti: non più l’uomo singolo ma l’ambiente visto come patrimonio collettivo dell’umanità intera.

    Quarta generazione: diritto a un’identità genetica non manipolata

    Diritto che nasce dalle paure ingenerate dallo sviluppo delle biotecnologie.

    Ritornando al testo Un’etica per il mondo vivente, l’Autrice propone una riflessione sul concetto di coscienza ecologica riportando la definizione di John Miur:

    prendi una cosa qualsiasi e scoprirai che è legata a tutto il resto dell’universo.

    Una lezione, quella dell’ecologia che, come afferma l’Autrice, muta il rapporto dell’uomo con l’ambiente: pone le basi per una critica all’antropocentrismo, all’ideologia del dominio sulla natura, conduce a un allargamento del discorso morale. L’allargamento della comunità morale persegue tre direzioni: nello spazio (dimensione planetaria), nel tempo (generazioni future) e oltre la specie.

    Affrontando le origini del pensiero ecologico Luisella Battaglia analizza il pensiero del geografo anarchico Reclus, la sua tesi di continuità tra la realtà naturale e quella umana, l’Autrice riporta un passo estratto dal libro La Terre in cui il geografo ricorda come l’azione dell’uomo possa contribuire tanto a degradare la natura quanto a trasfigurarla. Seppur con delle differenze non è insensato accostare il pensiero di Reclus e quello di Serpil Opperman, Alaimo, Serenella Iovino e altri. Luisella Battaglia propone lungo la sua trattazione concetti quali la morte dello spettatore di Toulmin e cioè del modello ormai entrato in crisi dell’oggettività razionale, dell’osservatore distaccato e dell’osservatore imparziale che, per lungo tempo, ha accompagnato il mondo scientifico e auspica un reinserimento dell’umanità nel mondo della natura. L’Autrice analizza anche il concetto di comunità biotica di Leopold riportando un passaggio dell’Autore:

    una cosa è giusta quando tende a perseverare l’integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica, è ingiusta quando tende altrimenti […]

    e citando un suggestivo estratto del filosofo ambientalista Holmes Rolston:

    il sistema vascolare dell’uomo include arterie, vene, fiumi, oceani e correnti atmosferiche, non è più possibile operare una distinzione netta tra il mondo e il mio corpo.

    1.2. PROCESSI DI ATTIVAZIONE BOTTOM UP, EMPOWERMENT E PARTECIPAZIONE

    1.2.1 Bottom-up

    Nei processi di tipo bottom-up è la comunità stessa, intesa come aggregato dei cittadini che la compongono, che promuove il proprio coinvolgimento, lo sviluppo di se stessa e del territorio in cui si identifica (es. NO TAV e altri movimenti di protesta dove i cittadini si sono spontaneamente attivati per salvaguardare i loro diritti e il loro territorio) (Santinello, Dallago, Vieno, 2009).

    La sociologa Rosalba Altopiedi (2011) nel suo libro Un caso di criminalità d’impresa: l’Eternit di Casale Monferrato e attraverso alcuni saggi si è occupata della vicenda della città monferrina. Nella rivista Studi sulla questione criminale è presente il suo articolo Azione collettiva e costruzione della vittimizzazione. Il caso Eternit (2013 p. 31).

    Nell’introduzione scrive:

    Un ruolo di primo piano in questa storia deve essere assegnato alla mobilitazione locale, di estensione e entità crescenti, una mobilitazione che è stata in grado di contrastare una definizione della realtà data per scontata. Un’esperienza pressoché unica nel panorama italiano (ed anche internazionale) di attivismo e resistenza […]. Da incerta istanza di pochi si è trasformata in una forte e convinta voce, segnando il passaggio da una esperienza di dolore personale a una richiesta collettiva di giustizia e verità.

    1.2.2 Partecipazione

    Per partecipazione si intende impegno e responsabilità del singolo all’interno di un progetto volto a raggiungere un obiettivo collettivamente determinato (Wandersman e Florin, 2000 cit. in Santinello, Dallago, Vieno, 2009 p.113); i soggetti prendono attivamente parte ai processi decisionali nelle istituzioni, nei programmi e negli ambienti che li riguardano (Heller, Reinharz e Wandersman, 1984 cit. in Santinello, Dallago, Vieno, 2009

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