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Forse non tutti sanno che a Padova...
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E-book318 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Curiosità, storie inedite, misteri, aneddoti storici e luoghi sconosciuti della città culla dell’umanesimo

Quanto ancora c’è da scoprire su Padova?

Shakespeare la definì la culla dell’Umanesimo, fu la città in cui Galileo diede avvio alla scienza moderna e allo storico Caffè Pedrocchi si poteva incontrare Stendhal, che pare andasse pazzo per lo zabaione. Come dimostra questa manciata di esempi, Padova è stata da sempre un centro urbano stimolante e in grado di attirare eminenti personalità del mondo delle arti. Ma quel che la rende speciale non è solo la cultura accademica: alcune sue industrie fecero scuola, come lo stabilimento della Birra Itala Pilsen, e qui fu inventato il Vov, celebre liquore all’uovo, la cui ricetta è opera del pasticcere padovano Gian Battista Pezziol. Luoghi, personalità, imprese, che questo libro vi rivelerà, guidandovi alla scoperta di una città dal grandissimo fascino. 

Forse non tutti sanno che a Padova... 

…Esiste un’app per scoprire Shakespeare
…nacque la commedia dell’arte
…nacquero Beppe Colombo e la missione su Mercurio
…si praticava magia nera, fra le cave e le ex chiese
…si preparano in carcere i dolci più amati dai papi
…l’orto botanico universitario va in trasferta nel Bronx
Silvia Gorgi
padovana DOC, giornalista, scrive di cinema, arte e nuove tendenze per le pagine di cultura e spettacolo dei quotidiani del gruppo editoriale L’Espresso. Alcuni suoi servizi di viaggio sono stati pubblicati da «Elle Italia» e «il Venerdì di Repubblica». Laureata in Scienze Politiche, dopo una specializzazione in Giornalismo all’università di Padova, è diventata responsabile di uffici stampa per associazioni, registi, attori, produzioni cinematografiche. Speaker radiofonica, ha ideato Nordest Boulevard, dapprima programma radio, oggi sito d’informazione. Ha curato mostre di artisti in Veneto e a Berlino. Dal 2010 vive fra Padova e Berlino.
LinguaItaliano
Data di uscita2 nov 2016
ISBN9788854198630
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    Anteprima del libro

    Forse non tutti sanno che a Padova... - Silvia Gorgi

    Introduzione

    Padova, centro del pensiero

    Padova divenne nel xv secolo quello che Parigi era stata nel xiii e Oxford e Parigi insieme nel xiv: il centro nel quale le idee provenienti da tutta Europa venivano riunite in un corpo di conoscenze organizzato e completo.

    John Herman Randall, Columbia University, 1961

    Già prima del secolo d’oro, Padova si distinse per il suo particolare approccio alla letteratura, elaborazione di un nuovo modello culturale, detto Umanesimo tout court . Questa tendenza ebbe un’illustre conferma, ben tre secoli dopo, quando Shakespeare stesso la definì culla delle arti; la stessa città in cui Galileo diede avvio alla Scienza Moderna. Geograficamente quasi equidistante dalle altre importanti città del Veneto, Padova si caratterizza proprio in relazione alla sua posizione: centro fisico e metaforico. Storicamente, grazie in buona misura a un’università che esiste fin dal 1222, è sempre stata in grado di attirare forti personalità delle Arti e della Scienza: intellettuali, studiosi, condottieri che hanno, nel corso del tempo, alimentato il pensiero creativo, fatto nascere movimenti d’opinione, influenzato azioni.

    Un centro urbano di confronto, discussione, a volte, anche di divisione e forse, proprio per questo, il Caffè che più la rappresenta, il Pedrocchi, è senza porte, perché aprirsi, e non chiudersi alle idee, è atteggiamento di cui sembra si sia tenuto conto perfino nelle architetture. Un confronto che poteva nascere dietro l’angolo, all’università, nei teatri, nelle piazze, nei mercati, nei caffè, nelle birrerie che animavano la vita cittadina. E se oggi, rispetto al passato, potrebbe apparire, a una prima occhiata, un po’ assonnata, distratta, confusa, basta fermarsi un attimo per scoprire che nuova linfa, lungo le vie, sotto i portici, fra gli alberi secolari, scorre già, e nuovi segreti, curiosità, aneddoti si rivelano nei racconti della gente, nella memoria personale e collettiva, quando ci si ritrova di fronte a scoperte di giovani scienziati, o quando si leggono scritti di artisti che hanno tratto, dalla patavinità, ispirazione.

    Luoghi, personalità, imprese, arti, corporazioni, primati hanno contribuito a dare a Padova un ruolo; in primis il suo santo, Antonio, frate viandante che curava i poveri, e la cui cattedrale attira migliaia di pellegrini ogni anno. La recente architettura, fatta di ponti illuminati per rendere più fluido il traffico, sorta di nuove porte della città, simbolo dell’andare e venire, dimostra ancora una volta che il legame con l’esterno, che si alimenta grazie ai flussi di persone, grazie ai ponti che si costruiscono verso gli altri, resta elemento fondante per crescere e migliorare, e per far tornare Padova quel che da sempre è stata: centro del pensiero.

    1

    …PADOVA FU LA CULLA DELL’UMANESIMO NEL SECOLO D’ORO

    Con quale testo inizia la storia della letteratura nazionale? Per rispondere a questa domanda, storici ed esperti in materia hanno scelto nel corso delle epoche approcci diversi. Francesco De Sanctis, il grande intellettuale dell’Ottocento, nella sua Storia della letteratura italiana , testo su cui molti si sono formati, finisce per percorrere un viaggio cronologico, in cui gli eventi si susseguono in ordine temporale, e, in particolare, per far iniziare il processo seleziona un testo in contrasto con il passato, in grado di sancirne in qualche modo le origini. Diverso è il metodo di approccio che viene elaborato, successivamente, dalla critica, in testi come Letteratura italiana, curata da Alberto Asor Rosa, per la Biblioteca di «Repubblica-L’Espresso» (primo volume del 2007), e Atlante della letteratura italiana a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà per Einaudi, dove acquisisce maggior credibilità un’analisi in cui tener conto della geografia della letteratura italiana. Accantonando una visione teleologica di Arte e Storia, con tale approccio si vanno a considerare anche quegli eventi che solo in apparenza sembrano marginali ma che finiscono per comporre un quadro sistemico, un insieme di relazioni. Sulla base di questa nuova visione metodologica, proprio nell’ Atlante c’è una sorpresa, visto che, a dare inizio alla letteratura nazionale, non ci sono più i testi siciliani citati da De Sanctis ma si trova la cultura elaborata già nel Duecento nel comune di Padova. La città del Santo risultava essere il reale crocevia delle forme più avanzate elaborate dai letterati del tempo, il centro propulsivo più importante del panorama nazionale. Ne L’età di Padova (1222-1309) di Pedullà la linea poetica toscana del Duecento, che si componeva di nomi quali Dante Alighieri, Guido Cavalcanti, considerata il nerbo della letteratura delle origini, appare periferica nei confronti della vita letteraria italiana, che si caratterizzava per un intreccio originale linguistico-culturale in cui al latino della tradizione si univano il francese e il provenzale della nuova letteratura in volgare. Questa miscela linguistica aveva prodotto proprio nell’area veneta esempi di fondamentale interesse artistico, soluzioni della letteratura transalpina, riprese dalla poesia siciliana. Quindi, la Scuola siciliana, a differenza di quanto sostenuto da De Sanctis, finirebbe per aver trovato ispirazione in impulsi legati alla letteratura franco-veneta. Al centro di tale fermento: Padova. Perché? Per motivi geografici, essendo in posizione centrale nella Marca Trevigiana; per l’università – nonostante la sua chiusura, per un periodo, a opera di Ezzelino da Romano, poi riaperta in seguito alla caduta del tiranno; per una vita culturale attiva, in cui si svilupparono forme di aristotelismo laico grazie in primis a Pietro D’Abano. L’elemento però più importante, che la pose al centro della storia della letteratura, fu l’elaborazione di un modello culturale. Un modello, un sistema che l’autore Pedullà definisce Umanesimo tout court : «Nella Padova di fine Duecento nel giro di pochi anni si affermò un modo assolutamente inedito di guardare agli antichi e di imitare le loro opere». La novità nel modo di leggere i testi antichi si manifestò recuperandone il latino più ricco, più difficile, diverso in cui erano scritti, non quello degli scrittori contemporanei. Fu un lavoro di recupero linguistico che favorì una maggiore coscienza, che i letterati padovani possedevano quando si rapportavano a diverse lingue letterarie a partire dal franco-veneto e dalle scritture poetiche. Una coscienza dei capolavori del passato che permise agli intellettuali di capire le diversità culturali e di utilizzare tale consapevolezza nella lettura analitica del presente. Un clima umanistico che diviene ciò che più caratterizza l’Ateneo patavino e la vita culturale della città e conduce Padova dritta ai primi del Quattrocento in una brillante atmosfera, tale da considerare l’inizio dell’Umanesimo – movimento culturale volto alla riscoperta dei classici latini e greci nella loro storicità per avviare una rinascita della cultura europea – in via anticipata, già alla fine del Duecento, invece che nel magistero di Francesco Petrarca, ritenuto il suo fondatore e, non a caso, strettamente legato all’ambiente culturale padovano. Il limite del clima umanistico che si diffuse a Padova, e di una letteratura che assunse anche funzioni civili, fu rivolgersi a un’élite cittadina, a pochi, a un pubblico ristretto, mentre a Firenze si trasmise in maniera ampia, e divenne la cultura dei ceti dominanti. Certo è che nel secolo di congiunzione fra i fermenti del Duecento e la consapevolezza del Quattrocento, Padova, nel Trecento, fu attraversata dai grandi geni italiani in un periodo storico in cui la classe dirigente considerava la Cultura strategica. Giotto arriva nel 1303, a trentasei anni, chiamato da Enrico Scrovegni, per affrescargli la cappella di famiglia, dipingendo quello che Boccaccio definirà «il miglior dipinto del mondo», rompendo ogni precedente tradizione. E, dopo trent’anni, su invito di Jacopo ii della famiglia Carraresi (signoria cittadina di Padova tra il 1318 e il 1405), giunge Francesco Petrarca (nato nel 1304), quando è già celebre in tutta Europa, nel 1349, stabilendosi nella casa che gli viene assegnata in via Dietro Duomo. Su invito del figlio di Jacopo, Francesco Il Vecchio, vi fa ritorno prima nel 1361, poi nel 1368, stabilendosi nella casa e riprendendo l’opera De viris illustribus , raccolta della vita di trentasei personaggi famosi dell’antichità che dedicherà al Carrarese, e d’ispirazione per il ciclo pittorico della Sala dei Giganti. Quando la sua salute si farà precaria, lo stesso Francesco gli regalerà un terreno ad Arquà, sui Colli Euganei, dove sorge la casa ristrutturata del poeta e dove, nel paese euganeo, troverà sepoltura spegnendosi nella notte fra il 18 e il 19 luglio 1374, proprio nel giorno dei suoi settant’anni.

    2

    …ESISTE UN’APP PER SCOPRIRE SHAKESPEARE E IL SUO LEGAME MISTERIOSO CON PADOVA

    For the great desire I had to see

    fair Padua, nursery of arts, I am arrived…

    and am to Padua come, as he that leaves

    a shallow plash to plunge in the deep, and

    with satiety seeks to quench his thirst.¹

    William Shakespeare

    A quattrocento anni dalla sua scomparsa, celebrata il 23 aprile 2016, molti sono ancora i misteri che avvolgono il legame fra il drammaturgo inglese William Shakespeare e la città del Santo. A cercare di svelare e far conoscere, ripercorrendo luoghi e ambienti, lo stretto legame dell’autore con la città del Santo, il Veneto, e in generale, l’Italia, scenografie in moltissime sue opere, ci penserà un’App, un’applicazione. È stata progettata da un giovane padovano, Diego Loreggian, produttore cinematografico e art director, da anni specializzato nella postproduzione digitale in ambito cinematografico, effetti 3D, realtà aumentata, e annovera nella sua produzione dna Cultura, Edizioni Europee e Makkie. L’applicazione Shakespeare in Italy, dal design innovativo, con contenuti in multilingua, accompagna un possibile visitatore fra 268 personaggi storici, dieci città italiane, alla scoperta di luoghi in cui furono ambientate le opere di Shakespeare, raccontandone paesaggi e cultura, e unendo a questo film e opere teatrali d’ispirazione shakespeariana, itinerari con virtual tour a tutto tondo, location in realtà aumentata. Del resto i paesaggi italiani rappresentano lo sfondo di molti tra i più importanti capolavori teatrali (ben 15 su 37), realizzati a cavallo tra il xvi e il xvii secolo, del drammaturgo, dall’Otello (sullo sfondo della Venezia di fine Cinquecento) a Giulietta e Romeo (ambientata a Verona), da La bisbetica domata (ambientata a Padova) a Molto rumore per nulla con Messina. Resta comunque l’interrogativo del perché William Shakespeare ambientasse le sue opere in Italia, su cui si sono sprecate ricerche universitarie e analisi di appassionati e studiosi, e grandi interrogativi sono stati sollevati anche da parte di prestigiosi quotidiani come l’inglese «The Times»: una teoria sosterrebbe che Shakespeare fosse un profondo conoscitore del nostro Paese, in quanto italiano e non inglese. Intanto, nell’App, scaricabile su qualsiasi dispositivo, si possono scoprire mille curiosità, e si può gironzolare e osservare tutti i particolari della Padova de La bisbetica domata, composta prima del 1594. Ci si può ritrovare in piazza Capitaniato dove lo stretto legame tra Shakespeare e la città è ricordato da un’iscrizione, in italiano e in inglese, che riporta un brano molto famoso e molto citato dell’opera. Si può passare all’università di Padova e al Porto del Portello, citati dal drammaturgo sia nella Bisbetica domata che nel Mercante di Venezia. Dopo il prologo, ad esempio, la Bisbetica domata si apre su una piazza di Padova che, come piazza Capitaniato, è una vecchia piazza d’armi della grande Reggia Carrarese, sede della signoria patavina, un luogo in cui potere e arte andavano a braccetto. L’iscrizione che sancisce il legame fra il grande letterato e la bella Padova riporta alcuni brani tratti dalla scena prima del primo atto: Lucenzio, uno dei protagonisti, parla con Tranio, il suo servo, e Shakespeare tratteggia il profilo di Padova, raffigurandola come culla delle arti. Culla per evocare un tempo passato, quello in cui la città aveva rivestito un ruolo di prim’ordine, il secolo d’oro, il Trecento, quando Padova si era trasformata in Civitas picta, con i suoi grandi cicli pittorici, che ne hanno fatto la città con il maggior numero di metri lineari affrescati del mondo. Un secolo in cui Giotto realizza la cappella degli Scrovegni e dà avvio a una vera e propria rivoluzione culturale. L’artista era stato anche l’artefice, d’intesa con Pietro D’Abano – filosofo, medico e astrologo –, del grande ciclo astrologico all’interno del Palazzo della Ragione, che ospitava le Magistrature, e dove si riuniva, in epoca comunale, il Maggior Consiglio. Un ciclo perduto e di cui restano, all’interno del nuovo palinsesto pittorico, solo poche tracce. Si tratta di un periodo storico straordinario che, per Padova, continuò con Guariento e le sue magnifiche schiere angeliche nella cappella privata della famiglia Carrarese; con Giusto de’ Menabuoi e il magnifico battistero del duomo, divenuto il grande mausoleo dei Carraresi. Un omaggio, quello di Shakespeare nei confronti della città che, a partire dalla sua protagonista ne La bisbetica domata, Caterina di Padova, continuò anche nel Mercante di Venezia, con l’Ateneo patavino citato per dirimere la controversia fra Antonio e l’ebreo Shylock, e con il doge che intende avvalersi della consulenza di un «valente dottore», qual è il giurista Bellario, che insegnava all’Università di Padova. Citata anche ne La bisbetica domata, descritta come una prestigiosa sede dove si coltivano studi giuridici e filosofici, il giovane Lucenzio si era infatti trasferito da Pisa a Padova per frequentare l’università. Agli inizi del Trecento, all’Ateneo, aveva insegnato Pietro d’Abano, illustre studioso, che morì bruciato per ordine della Santa Inquisizione dopo essere stato processato tre volte per eresia. Fine che lo accomuna al filosofo Giordano Bruno, che soggiornò a Londra e fu legato da una stretta amicizia a John Florio – Giovanni Florio, umanista inglese – che molti studiosi ritengono un prezioso collaboratore di Shakespeare. Da questi piccoli indizi forse si spiega per quale ragione Shakespeare conoscesse così a fondo l’Ateneo, sorto nel 1222. La sua definizione della città culla delle arti viene altresì citata e trasposta in culla della scienza quando il celebre Orto Botanico universitario diviene, nel 1997, patrimonio dell’unesco: «L’orto botanico di Padova è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza». Sempre nella Bisbetica domata entra in scena anche il Portello: Lucenzio si lamenta con il suo domestico Tranio del fatto che l’altro servo, Biondello, non sia ancora approdato in barca a Padova, individuando un’altra caratteristica precisa di Padova dell’epoca, ossia il fatto che fosse una città d’acque. Nel Mercante di Venezia il riferimento al porto di Padova e al servizio di trasporto passeggeri, da e per la città lagunare, si fa ancora più preciso. Nella scena quarta del terzo atto, Porzia, la protagonista femminile, fornisce al suo servo Baldassarre precise indicazioni per raggiungere Padova da Belmonte, la bella villa situata sulla Riviera del Brenta: il servo deve andare all’università dove insegna il «dottor Bellario», l’insigne giurista, prendere dei documenti e poi recarsi «al traghetto, al battello pubblico» che porta a Venezia. Il porto di cui si parla non può che essere quindi quello del Portello, dove arrivavano merci e uomini da Venezia. Al Portello attraccava il famoso Burchiello, il traghetto che faceva la spola tra le due città di cui Shakespeare parla con specifica cognizione di causa.

    Nel tradurre il termine italiano che indica il traghetto, il drammaturgo conia un neologismo "tranect", termine che appare nel vocabolario italiano-inglese curato proprio da John Florio. Una coincidenza? Come la presenza, nella Biblioteca universitaria di Padova, di un rarissimo esemplare originale del First Folio del 1623, edizione curata, tra gli altri, proprio da John Florio. Si tratta della prima raccolta delle opere di Shakespeare pubblicata a Londra in formato in folio, sette anni dopo la morte del drammaturgo. La copia conservata nella Biblioteca universitaria di Padova è uno dei sei esemplari censiti in Europa continentale, esclusa quindi l’Inghilterra. Il First Folio fu stampato in circa 750 copie. Tutt’oggi se ne contano 233 esemplari. L’annuncio del suo ritrovamento, nella biblioteca padovana, fu dato per primo da un giornalista inglese, John Mackinnon Robertson, in un articolo pubblicato nel 1895. Il timbro della Biblioteca universitaria, presente sul libro, risale al periodo dell’Impero austriaco, cosa che fa presupporre che l’opera vi entrò all’incirca negli anni Quaranta dell’Ottocento. Schedata, fu collocata con la vecchia segnatura nella sn, la Sala Nuova, un ambiente all’interno della Sala dei Giganti, allora sede della Biblioteca universitaria, dove venivano riposti i libri in arrivo dai conventi chiusi. Il First Folio, quest’incredibile opera, è attualmente visionabile nella sua versione digitale, mentre resta ancora oggi sconosciuto il modo in cui il prezioso volume sia arrivato alla biblioteca patavina. Un’ipotesi, suggestiva, presuppone che fosse finito nelle mani di un conoscente di Florio o del padre o anche in un istituto visitato dai due uomini nel corso di uno dei loro viaggi nella zona padovana.

    3

    …ci fu un legame alchemico fra grappa e michele savonarola

    Diffic ile indicarne il periodo di inizio della produzione, anche se a rendere noto il distillato di vino, la Grappa, pensò un medico, Michele Savonarola, con il suo De Conficienda Aqua Vitae , che di fatto è il primo trattato sull’argomento . Nacque a Padova nel 1384 da Giovanni Savonarola, Giovanni Michele, apparteneva a una delle famiglie più ricche della città, con buona probabilità legata all’industria della lana. Si laureò in medicina nel 1413, tra i suoi insegnanti c’erano Jacopo della Torre e Galeazzo di Santa Sofia. Nel Quattrocento divenne uno dei più famosi professori di Padova dove restò fino al 1440, anno in cui fu chiamato all’ateneo ferrarese. A Ferrara insegnò fino al 1450, continuando a fare il medico alla corte degli Estensi per Niccolò d’Este, e rimase sotto la sua protezione fino al 1464, quando morì, probabilmente fra il 2 maggio e il 16 giugno. Secondo Pico della Mirandola Michele Savonarola seguì, in quanto prozio, i primi passi dell’educazione del frate domenicano Girolamo, famoso predicatore e fustigatore del mal costume, che sarà impiccato e messo al rogo in piazza della Signoria a Firenze. Umanista, scienziato, Michele fu molto prolifico, scrisse di medicina, di arte, stabilendo una serie di primati: parlò per primo della patologia del bacino stretto, e fu sempre il primo a descrivere le pratiche balneoterapiche e le acque termali d’Italia, e in particolare quelle legate alle zone del padovano. E di notevole interesse, per la storia dell’arte, è stato considerato il suo Libellus de magnificis ornamentis regiae civitatis Paduae . Anche se il punto più alto lo raggiunse con Pratica Maior ( Pratica de egritudinibus a capite usque ad pedes ) su quanto si conosceva al tempo della medicina «dalla testa ai piedi»; un trattato arricchito da osservazioni provenienti dall’esperienza pratica. Altra sua opera fondamentale sui primi studi scientifici moderni sulla pediatria e sulla puericultura fu il trattato in volgare De regimine pregnantibus et noviter natorum usque ad septennium . Le sue opere e la loro fama crebbero con l’invenzione della stampa che ne permise una vasta diffusione, tanto che le frasi latine utilizzate da Callimaco, quando si fa passare per medico nella Mandragola (1524) di Niccolò Machiavelli, derivano dal trattato Pratica Maior e dal De urinis . Fortemente legato alla tradizione intellettuale padovana, continuatore della visione tracciata dal naturalista Pietro D’Abano, distillò le acque delle Terme di Abano, trovandole sulfuree, con calce e allume. Oltre a far sapere quanta gente se ne servisse ne descrisse anche le proprietà nel De Balneis Thermis naturalibus .

    Mentre nel De Conficienda Aqua Vitae Savonarola analizzò e progettò in maniera dettagliata strumenti e metodi di distillazione, descrivendo un vero processo industriale per la distillazione, e favorendo in tal modo il commercio veneto, già fiorente, dell’acquavite, che da Venezia si dirigeva verso il resto dell’Europa e soprattutto in Olanda. Inoltre fu anche in grado di mettere a punto l’arte dell’aromatizzazione delle acquaviti con infusi e distillati di piante aromatiche da lui chiamata aqua ardens composita. Prima di lui avevano descritto la preparazione dell’acquavite e il metodo di distillazione per rendere il prodotto più ricco (attraverso i vapori alcolici per mezzo di cenere o calce viva) alcuni alchimisti arabi, come Rhases e Avicenna. Questi ultimi distillavano probabilmente anche il mercurio e forse l’alcol. La parola viene dall’arabo al-kohol e indicava la polvere nera che utilizzavano le donne come collirio e trucco. Prima di loro Abu Moussah Dschabir al-Soli, detto Geber, individuò gli apparecchi per la distillazione dei vegetali come l’acqua di rose, rimedio per parecchie malattie. Questa tradizione della scienza araba fu trasmessa alla scienza medievale europea con la Scuola Salernitana del x secolo, con la diffusione dell’alchimia nei monasteri. La parola aqua ardens, derivante dal vino, leggera a tal punto da galleggiare sull’olio di oliva, la si ritrova, ad esempio, negli scritti di Alberto Magno, a metà del Duecento, e nel codice vaticano Consilia del 1276. Ma la popolarità del distillato arrivò con Michele Savonarola. Del resto a Venezia la vendita e il commercio

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