Breve storia di Padova
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Info su questo ebook
Padova è una città caleidoscopica, che nel corso dei suoi lunghi secoli di vita ha dato i natali a personaggi destinati a entrare nella Storia, come Tito Livio e sant’Antonio. E non solo: molte altre sono le personalità di spicco che hanno legato il proprio nome a questa città: Giotto, Donatello e soprattutto Galileo Galilei, che proprio qui pose le basi per la sua rivoluzione scientifica. Paola Tellaroli ci guida alla scoperta della grande storia di Padova, raccontandone la nascita e lo sviluppo e tracciando i ritratti degli uomini e delle donne che l’hanno resa famosa nel mondo. Senza dimenticare, naturalmente, tutti gli aneddoti e le curiosità che, al di là della storiografia ufficiale, rendono davvero viva una città. Una panoramica affascinante e preziosa sulla “piccola Manchester”, che chiarisce oltre ogni dubbio perché il poeta Diego Valeri l’abbia definita un «luogo del tempo».
Tra arte e scienza, tutta la lunga e rocambolesca storia di Padova
Tra gli argomenti trattati:
La leggenda di Antenore
Patavium città dominante
La leggenda di san Saniele
L’avvento della signoria
«Omo morto no fa guera»
Repressione veneziana
Rinascimento padovano
Cronaca di un’epidemia
Democrazia padovana
La città combatte per l’indipendenza
Resistenza sotto le bombe alleate
Quando su corso Stati Uniti cresceva il miglio
Piccole femministe crescono
Un’istantanea della città di oggi
Paola Tellaroli
È nata a Castel Goffredo, in provincia di Mantova, nel 1986 ma per studio, lavoro e soprattutto per irrequietezza ha cambiato spesso cielo sopra la sua testa. Biostatistica per professione, scrittrice nel tempo libero, viaggiatrice e lettrice vorace per passione, da quando è approdata a Padova non ha più smesso di chiamarla casa. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 cose da fare a Padova almeno una volta nella vita, 101 perché sulla storia di Padova che non puoi non sapere, Misteri e storie insolite di Padova e Breve storia di Padova.
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Anteprima del libro
Breve storia di Padova - Paola Tellaroli
556
Prima edizione ebook: ottobre 2021
© 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-5435-6
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per The Bookmakers Studio editoriale, Roma
Paola Tellaroli
Breve storia di Padova
Uno straordinario viaggio nel tempo
alla scoperta di una città caleidoscopica
Newton Compton editori
A tutte le vicissitudini,
nascoste nelle pieghe della storia,
che hanno fatto sì che questa meraviglia di città
sorgesse esattamente così com’è.
A Libero de Rienzo e a Marco Ponti,
alla sregolatezza pura, che non ha a che fare col genio,
alla fortuna, al vento e a tutte le persone,
per lo più inconsapevoli, che mi hanno fatta arrivare qui.
Indice
Introduzione. C’era una volta un luogo nel tempo…
fra storia e leggenda
La leggenda di Antenore
Padova preroman
padova romana
Patavium città dominante
La più bella dell’Impero
Orgoglio made in Padua
padova postromana
Le invasioni barbarich
La nascita del Comune
La leggenda di san Daniele
Padovani, gran dottori
Il tiranno Ezzelino
Il Santo
Padova si consolida
Il gioiellino padovano
Una nave rovesciata come simbolo di autenticità
padova carrarese
Venezia la bella e Padova sua sorella
L’avvento della Signoria
Breve parentesi scaligera
Libertà condizionata
Un assassino al potere
La stagione d’oro carrarese
Cultura a corte
Febbri espansionistiche
«Omo morto no fa guera»
padova sotto la serenissima
Repressione veneziana
Assistenzialismo padovano
La città si rifà il look
Rinascimento padovano
Una beata indemoniata
Venezia guerrafondaia in ginocchio
La Serenissima torna con un doppio blitz
«Su su su, chi vuol la gata»
Un epigrafista patriota
La bella culla delle arti
Lo spettacolo della dissezione anatomica
Città ideale
Due precoci femministe
Cronaca di un’epidemia
«Splendé chiara la luce della scienza in una piccola casa»
Due primati per l’università
Una parentesi buia
Un femminicidio
L’invenzione del fortepiano
Riforme universitarie
Un due di picche a Casanova
Di quel violinista che piace tanto a Dylan Dog
Viaggio toccata e fuga di Wolfgango de’ Serenissimi Mozartini
Riciclo creativo di una prigione in via agli astri
Di quando Venezia costruì un’isola in terraferm
Il veneto leone non rugge più
Le ultime lettere timbrate Padova
l’epoca delle dominazioni straniere
Democrazia padovana
La staffetta padovana
L’esploratore padovano
Quei ragazzi che combinarono un ’48
La città combatte per l’indipendenza
Il tramonto del quartiere dei barcaioli
padova italiana
La città rinasce
Un romantico scapigliato
Un padovano direttore a San Pietroburgo
La questione sociale
La città ha traslocato di là dall’oceano
Svolta a sinistra
Un sogno sfumato
padova entra nel novecento
La stagione democratica
Un ospite discreto
Buffalo Bill in città
La piccola Manchester
La goliardia in città
Miseria e nobiltà
Una capitale al fronte
Di progresso e di gente impreparata
Un altro santo
La favola di Amen
Il ventennio
L’università come tempio di fede civile
Resistenza sotto le bombe alleate
Un Giusto d’adozione padovana
L’insurrezione
la nuova padova
Dopoguerra democristiano
Quando su corso Stati Uniti cresceva il miglio
La Senatrice
Piccole femministe crescono
Rivoluzione e bon ton
Padova violent
Il caso Magello
La mala del Brenta
La morte del comunista più amato
Il tramonto scudocrociato
la città nel terzo millennio
Il muro di Padova
Rigurgiti Serenessimi
Un’istantanea della città di oggi
Ringraziamenti
Bibliografia
Introduzione
C’era una volta un luogo nel tempo…
C’era una volta una città a cui uno studente era talmente affezionato da costruirne una copia nella sua patria. C’era un tempo un ingorgo di vie da dove un omino, ricurvo su una diavoleria home-made, rivoluzionò il mondo. Una città terragna e d’acqua al contempo, a cui due naufragi restituirono due personaggi di grandissimo spessore, un fazzoletto di terra che riuscì a risollevarsi da pesanti batoste e a splendere nel blu cobalto e nelle stelle raggianti di Giotto, dove una donna si laureò per prima al mondo nonostante non lo desiderasse e da dove un idraulico partì per scovare i segreti più reconditi d’Egitto. Tutto questo è Padova.
Bisogna conoscerne la storia per poter capire le città, così come con le persone. E io credo profondamente che sia proprio il brulichio delle genti a fare la storia. Padova è da sempre un crocevia di vite affascinanti, una «inquieta metropoli di periferia», come la definì lo storico Angelo Ventura. Se questa non è una delle città continue
degli invisibili centri urbani immaginati da Italo Calvino, ovvero una città uguale a tutte le altre, non lo è per la storia che trasuda da ogni suo centimetro quadrato. Padova è una città che, come disse uno dei suoi fan più affezionati, più che un luogo nello spazio
è meglio definibile come luogo nel tempo
. Ovvero una città che dentro di sé ha incastonata un’altra città, che sempre lui – Diego Valeri – descrisse bene in questo passo della sua Città materna: «Questa vecchia botte che è l’università padovana ha riempito, in sette secoli, innumerevoli altre botti, e barili, e caratelli, e damigiane di cantine nostrane e foreste. Grandi nomi di maestri, di discepoli, di discepoli divenuti maestri, attestano davanti al mondo la gloria immortale dello studio; né occorre citarli, perché tutti li hanno in mente. Ma c’è anche, ed ha grandissimo valore, la testimonianza continua e confusa degli oscuri, i quali, una generazione dietro l’altra, son venuti a Padova per addottorarsi, ci han vissuto quattro cinque sei anni, i più belli della loro vita».
E così, pagina dopo pagina, si delineerà sotto i vostri occhi una città caleidoscopica, con le sue cicatrici e dalla storia rocambolesca, costituita – lo vedrete – da un continuo inanellarsi di episodi avvenuti o fatti accadere da persone figlie del loro tempo. Ognuna di queste costituirà un pezzo di un puzzle dalla fitta trama di linee e di colori, che saremo in grado di riconoscere veramente solo alla fine e di cui anche noi, che siamo nani sulle spalle dei giganti
, facciamo parte, dato che il presente non è mai statico. E la storia della città di Padova, a sua volta, è sempre interconnessa a tutte le altre storie, come un’onda in un oceano: senza di lei il mondo come lo conosciamo oggi non sarebbe possibile.
In questo libro cercherò di riportarvi indietro ai momenti fondamentali della sua storia, davanti ai crocevia decisivi che hanno fatto sì che questa città fosse esattamente quella che conosciamo oggi, con i palazzi e le piazze con cui la identifichiamo. Tenterò di farvi conoscere le sue statue, di dare un volto ai nomi che identificano le vie che vivete quotidianamente e un senso alle parole del dialetto a cui siamo tanto affezionati. Ma fate attenzione: non si tratta di un romanzo di finzione, bensì di vita realmente accaduta, solo non ora, ma in un passato sempre nostro, più o meno distante, poiché è risaputo che la forma delle cose si distingue meglio in lontananza.
Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.
italo calvino, Le città invisibili
FRA STORIA E LEGGENDA
Un attore interpreta Antenore. Da una stampa dei primi dell’Ottocento.
La leggenda di Antenore
Sfuggito agli Achei assedianti, Antenore poté penetrare
illeso nei golfi marini degli Illiri […]
Qui tuttavia la città di Padova pose, sede
di Teucri; diede alla gente un nome; appese l’armi
di Troia e ora sereno in pace inviolata riposa.
virgilio, Eneide, I, 242-249
Questa manciata di versi donò a Padova il sogno di un’origine nobile e antichissima, databile addirittura al 1185 a.C. per mano di Antenore. Anche Sofocle, negli Antenoridi, racconta che l’illustre veterano di guerra e saggio consigliere dei Troiani, dopo la guerra di Troia, attraversò la Tracia e l’Illiria coi figli e gli Eneti per giungere in terra padovana, dove scacciò la popolazione autoctona degli Euganei e fondò la propria città. Mentre lo storico Tito Livio, più cauto, sebbene più giovane di undici anni del già allora illustre Virgilio, nelle sue Storie lascia Antenore nel momento dello sbarco senza azzardare l’ipotesi di padrini illustri.
Antenore in realtà nel Medioevo non aveva una reputazione invidiabile, dato che era ritenuto colpevole di aver favorito l’entrata dei Greci nella propria città, ricevendo in cambio la salvezza per sé e la sua famiglia. Ed era pettegolezzo così noto a quei tempi da indurre Dante a nominare Antenora il secondo girone dell’Inferno, collocandoci coloro che erano ritenuti traditori della patria o del partito politico, condannati a essere immersi fino al collo nel ghiaccio.
Ma ai padovani le malelingue non sono mai piaciute e, siccome un’origine illustre avrebbe dato non poco vanto alla città e ai suoi abitanti, non appena nel 1274 furono rinvenuti due vasi pieni di monete e una cassa di piombo che ne conteneva – a mo’ di matriosca – un’altra di cipresso che proteggeva una spada e il corpo, ormai fattosi scheletro, del proprietario, questo fu subito identificato con Antenore. Non era certo un’epoca che prestava attenzione alle fonti, quella. E tanta certezza fu acclamata da un certo Lovato Lovati, un umanista con gli hobby dell’archeologia e dello studio dell’antichità classica, che risiedeva vicino alla zona del ritrovamento, ovvero in contrada San Biagio. A onor del vero, ci fu anche un’antica profezia che fomentò questo vociare: «Quando la capra parlerà e il lupo risponderà, Antenore si troverà». Siccome il capomastro che ritrovò la cassa si chiamava Capra e lupo in dialetto si dice lovaro, tanto bastò al Comune per autoproclamarsi di origini nobili con grandiosi festeggiamenti.
Ancora oggi, a due passi dal luogo del ritrovamento, si può ammirare l’arca del mitico fondatore, dove sono incise le due quartine in latino dettate dal Lovati in persona. In realtà oggi sappiamo da analisi approfondite che quelle spoglie appartengono sì a un guerriero, ma non così antico e non di origini così nobili, probabilmente un barbaro fra i tanti. Il Lovati volle essere sepolto nella cassa a fianco, facendola decorare con un lupo in rilievo, vanto che gli costa tuttora le canzonature dei padovani, che indicano quella seconda arca come la tomba del cane di Antenore.
Padova preromana
Secondo le fonti storiche i primi abitanti del Veneto furono gli Euganei o Protoveneti, ai quali seguirono i Paleoveneti e quindi gli attuali Veneti. Questi ultimi, secondo studi recenti, apparterrebbero a un ceppo di popolazione indoeuropea molto affine ai Latini e probabilmente appartenente alla stessa ondata di emigrazione che portò le popolazioni latine nel Centro Italia. La radice etimologica da cui proverrebbe la parola Veneti
avrebbe a che fare col verbo amare
, di conseguenza i Veneti sarebbero gli amabili
, in un contesto in cui le popolazioni si distinguevano fra bellicose e pacifiche.
Già in epoca paleoveneta Padua era una vera città estesa all’interno di due grandi anse di un fiume di grande portata, l’attuale Brenta (il cui nome latino era Medoacus), che scorreva allora più a sud rispetto al suo corso attuale. L’etimologia del nome cittadino è incerta, ma la più accreditata lo farebbe derivare dall’antico nome del fiume Po, ovvero Padus, a testimonianza dello stretto rapporto tra l’insediamento e le acque fluviali. Un’altra teoria vorrebbe che il nome di Padua faccia riferimento a palude
, ma insomma, sempre di acqua si parla.
Nell’area tra il municipio e l’università sono stati rinvenuti tre capanne e i resti di un insediamento del popolo degli Euganei risalenti al 1200 a.C., mentre l’attuale zona del Portello ai tempi fu utilizzata come area cimiteriale. Questo popolo di padri fondatori gradualmente si sviluppò, tanto da sorpassare Atheste (l’attuale Este), che era stata fino a quel momento la capitale culturale, economica e politica dell’area tra i Colli Euganei e il Veronese e tra Adria e la Slovenia. Tanto che, mentre ad Atheste si ricorreva ancora al baratto o allo scambio di frammenti di bronzo per saldare i debiti, a Padua si istituì una zecca che coniava le dracme venetiche in argento.
I Veneti avrebbero abitato stabilmente un’area approssimativamente sovrapponibile all’attuale Triveneto, anche se qualcuno sostiene che questi soggiornarono in una vastissima area compresa tra il Mare del Nord e l’Adriatico. La lingua che si usava era infatti un misto di etrusco e greco variegato con influssi nordici. I Veneti erano chiamati dagli antichi il popolo dai bei cavalli
e anche Omero nell’Iliade scrive: «Venivano dalla regione dei Veneti, dove è la razza delle mule selvagge». Il ritrovamento di steli funerarie raffiguranti cavalli, spoglie di uomini e destrieri lascia intendere che per gli antichi Veneti questo era un animale da guerra, tanto fedele al suo condottiero da accompagnarlo nel suo viaggio agli inferi.
La città divenne presto un grosso centro produttivo e commerciale, famoso per l’allevamento di cavalli e la lavorazione della lana. Ma si sa che il benessere porta con sé sguardi invidiosi. Infatti, nel 302 a.C. il principe spartano Cleonimo, il quale se la stava dando a gambe dal Salento dopo lo smacco inflittogli dai Romani, ritrovandosi in zona decise di provare a vedere se a Padova sarebbe stato più fortunato. Non appena giunse in città la notizia che i soldati spartani stavano devastando e saccheggiando la zona al margine della laguna veneta, incendiando le abitazioni e facendo razzia di uomini e di greggi, l’esercito decise di muovere contro il nemico. Questo, diviso in due schiere, si portò rapidamente dove erano ormeggiate le navi del nemico e qui sorprese i soldati, li assalì, li inseguì e ne distrusse diverse imbarcazioni. Non era periodo per Cleonimo, che fu costretto a ritirarsi precipitosamente verso il mare, con appena un quinto della sua flotta.
PADOVA ROMANA
Busto di Tito Livio (incisione del 1850 circa).
Patavium città dominante
Come l’acqua fluisce sempre verso il mare, anche la storia di Padova era destinata a scivolare sempre più verso Roma. La città era in contatto con la collega eterna già quasi dalle sue origini e, data la pressione dei Galli appollaiati sui vicini Colli Berici, a sud dell’attuale Vicenza, i patavini decisero di giocare d’anticipo e di stabilire una solida alleanza militare con i Romani, che erano nel frattempo divenuti i padroni indiscussi dell’Italia centrale e meridionale. Nel 226 a.C. Patavium si guadagna il titolo di civis praecipua, ovvero di città dominante. Dovrà pagare il tributo di questo riconoscimento dieci anni più tardi, quando dovrà mandare le sue truppe a Canne, nell’antica Apulia, dove ebbe luogo una delle principali battaglie della seconda guerra punica. Così facendo, Padova entrò a far parte degli Stati Uniti Romani
, cosa di cui gioverà nel 176 a.C., quando chiese aiuto all’emergente superpotenza per superare una serie di faide interne, ottennendo così il console Marco Emilio Lepido, che rimise ordine in città.
Questa alleanza diede slancio economico a Padova, che era già di per sé un centro florido e affermato. Questa poteva infatti contare su una radicata presenza industriale grazie, soprattutto, alla lavorazione della lana. Il poeta romano Marziale, in uno dei suoi pungenti epigrammi, definì questo tessuto così resistente che si doveva ricorrere alla sega per riuscire a tagliarlo. L’agricoltura andava alla grande non solo nel contado circostante ma anche in città, come dimostrano le case a corte
. Il comparto edile era florido, grazie alla presenza di aziende produttrici di laterizi, con il relativo indotto di scalpellini, tagliapietre e muratori. Non mancavano nemmeno le imprese che costruivano laterizi o le fucine che si occupavano di temperare metalli e forgiare armi, di cui il proconsole Asinio Pollione nel 43 a.C. ordinò una considerevole fornitura per le sue legioni. Dai vicini Colli Euganei si estraeva la trachite, materiale versatile e ampiamente utilizzato per costruire ponti, pavimentare strade, confezionare steli e monumenti funerari che si esportavano anche e soprattutto via acqua. Infatti, Padova era dotata di uno scalo fluviale ben collegato ai porti lagunari, che venivano raggiunti da merci lavorate come i gausapi, ovvero panni usati per confezionare vestiti a prezzi concorrenziali. Grazie alla protezione romana, Padova poté godere di una pace che favorì la circolazione di merci anche dall’India e dalla Cina, come seta, pietre preziose, spezie e articoli di lusso. Inoltre, nel 132 a.C. sui piedi di Padova venne costruita la via Annia Popilia, che collegava Rimini ad Aquileia. La città protagonista di questo volume si ritrovò così inserita nella rete delle strade principali del tempo, divenendo lo sbocco principale della Pianura Padana sul mare.
La più bella dell’Impero
I sempre più frequenti rapporti con la città eterna determinarono un’ulteriore romanizzazione della città. Nell’89 a.C. una legge firmata da Pompeo Strabone volle Padova regolata dal diritto latino e quarant’anni dopo con la lex Iulia Municipalis – grazie allo schieramento dei patavini dalla parte di Cesare nel varcare il Rubicone – venne insignita della qualifica di municipium, ovvero divenne ufficialmente la capitale politica, economica e culturale del Veneto. Un gran salto di qualità che le permise di essere ascritta alla tribù Fabia, assimilata alla gens Iulia, ed ebbe la possibilità di formare un suo senatus (anticipazione dei moderni consigli comunali) di cui facevano parte cento decurioni fra i cittadini al di sopra dei venticinque anni, che venivano regolarmente retribuiti e che godevano anche di benefit, tra cui posti riservati a teatro. A rappresentanza dei lavoratori, invece, vennero organizzati i collegia, una sorta di associazione di categoria. Da una specie di censimento effettuato ai tempi di Augusto, sappiamo che in città si trovavano cinquantamila abitanti, ai quali dobbiamo aggiungere schiavi, immigrati e circa centomila abitanti dei villaggi vicini.
Padova era una delle città più ricche dell’impero grazie, tra le altre cose, all’allevamento dei cavalli. Tutto questo fervore si nota anche nell’urbanistica, che si rifà il trucco e diventa più funzionale. Nel 40 a.C. vengono realizzati in pietra il grande ponte San Lorenzo e il ponte Altinate, entrambi sull’odierno tratto di strada che ha preso il nome di Riviera dei Ponti Romani, per l’appunto. Al posto del Salone ai tempi si trovava una zona paludosa, ma poco più in là, all’intersezione tra il cardo (attualmente da via Dante a via Barbarigo) e il decumano (da via Tadi a ponte San Lorenzo), sorgeva il foro romano e, vicine, le terme (i cui resti sono stati ritrovati nell’area che si estende tra il municipio e via San Canziano). Del foro oggi ci rimane la colonna della Madonna dei Noli, al centro dell’attuale piazza Garibaldi. Sappiamo anche che la Padova bene poteva addirittura concedersi una seconda casa sui vicini Colli Euganei: Gaio Vario Variano ne acquistò una tra Baone e Calaone con pavimenti in mosaico e pareti affrescate, il quotato imprenditore nel settore edile Gaio Critonio ne costruì una sulla strada fra Fontanafredda e Valnogaredo, mentre la famiglia di Lucio Cartorio ne aveva una nei pressi di Praglia.
Che Padova fosse un incanto già allora ce lo conferma Strabone, autorevole storico e geografo dell’età d’oro augustea, il quale annotò come Patavium fosse la città più bella dell’Impero romano, ovviamente dopo la capitale, a pari merito con Cadice. Qui si potevano ammirare templi dedicati alle principali divinità romane; i benestanti vivevano in abitazioni realizzate in pietra e cotto, arredate con magnifici mosaici (sono esposti nei Musei Civici degli Eremitani, giudicate voi). Ma bellezza chiama altra bellezza, si sa. E così, verso la metà del i secolo d.C. venne costruita una specie di piccolo Colosseo romano, un’arena a forma ellittica dove si tenevano combattimenti tra gladiatori e grandiosi spettacoli pubblici. Nell’area di Prato della Valle, che ai tempi era chiamata Valle dei Morti in quanto designata a necropoli, fu eretto un teatro, successivamente denominato Zairo. Questo era in grado di ospitare oltre seimila spettatori, che vi accorrevano ad acclamare le rappresentazioni di commedie e tragedie.
Orgoglio made in Padua
Grazie a questo gemellaggio, Padova si fregiò di personaggi della levatura di Tito Livio. Quest’uomo, nato in città nel 59 a.C. da una famiglia borghese, diventò un intellettuale di primo piano sia qui che a Roma. Nonostante le maldicenze di Asinio Pollione, intellettuale dell’epoca che lo apostrofò nei salotti col termine provinciale
, il suo smalto non fu intaccato. Infatti Tito Livio – stacanovista come pochi – quegli ambienti mondani li snobbava, preferendo investire il suo tempo lavorando al suo monumentale capolavoro Ab Urbe condita, costituito da centoquarantadue volumi sulla storia della capitale dalla fondazione alla morte di Druso (9 a.C.).
Un altro personaggio leggendario di questo periodo fu Cecina Peto, senatore padovano che, entrato in contrasto con l’imperatore Claudio nel 42 d.C., si tolse la vita insieme alla moglie Arria. Questa, precedendolo, estrasse il pugnale dal petto e, porgendolo allo sposo, pronunciò due parole che passarono alla storia: «Non duole». Dopo nemmeno venticinque anni da questo fatto di cronaca nera, un altro senatore patavino mise in scena lo stesso copione: si trattava di Trasea Peto, che venne condannato a morte da Nerone. La cronaca del tempo firmata da Tacito ci racconta che il padovano, col sangue che sgorgava dalle vene appena recise, avrebbe proposto un brindisi alla libertà. Che personaggi, questi padovani!