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Breve storia di Padova
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E-book356 pagine4 ore

Breve storia di Padova

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Info su questo ebook

Uno straordinario viaggio nel tempo alla scoperta di una città caleidoscopica

Padova è una città caleidoscopica, che nel corso dei suoi lunghi secoli di vita ha dato i natali a personaggi destinati a entrare nella Storia, come Tito Livio e sant’Antonio. E non solo: molte altre sono le personalità di spicco che hanno legato il proprio nome a questa città: Giotto, Donatello e soprattutto Galileo Galilei, che proprio qui pose le basi per la sua rivoluzione scientifica. Paola Tellaroli ci guida alla scoperta della grande storia di Padova, raccontandone la nascita e lo sviluppo e tracciando i ritratti degli uomini e delle donne che l’hanno resa famosa nel mondo. Senza dimenticare, naturalmente, tutti gli aneddoti e le curiosità che, al di là della storiografia ufficiale, rendono davvero viva una città. Una panoramica affascinante e preziosa sulla “piccola Manchester”, che chiarisce oltre ogni dubbio perché il poeta Diego Valeri l’abbia definita un «luogo del tempo».

Tra arte e scienza, tutta la lunga e rocambolesca storia di Padova

Tra gli argomenti trattati:

La leggenda di Antenore
Patavium città dominante
La leggenda di san Saniele
L’avvento della signoria
«Omo morto no fa guera»
Repressione veneziana
Rinascimento padovano
Cronaca di un’epidemia
Democrazia padovana
La città combatte per l’indipendenza
Resistenza sotto le bombe alleate
Quando su corso Stati Uniti cresceva il miglio
Piccole femministe crescono
Un’istantanea della città di oggi
Paola Tellaroli
È nata a Castel Goffredo, in provincia di Mantova, nel 1986 ma per studio, lavoro e soprattutto per irrequietezza ha cambiato spesso cielo sopra la sua testa. Biostatistica per professione, scrittrice nel tempo libero, viaggiatrice e lettrice vorace per passione, da quando è approdata a Padova non ha più smesso di chiamarla casa. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 cose da fare a Padova almeno una volta nella vita, 101 perché sulla storia di Padova che non puoi non sapere, Misteri e storie insolite di Padova e Breve storia di Padova.
LinguaItaliano
Data di uscita24 set 2021
ISBN9788822754356
Breve storia di Padova

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    Anteprima del libro

    Breve storia di Padova - Paola Tellaroli

    556

    Prima edizione ebook: ottobre 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5435-6

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    Paola Tellaroli

    Breve storia di Padova

    Uno straordinario viaggio nel tempo

    alla scoperta di una città caleidoscopica

    Newton Compton editori

    A tutte le vicissitudini,

    nascoste nelle pieghe della storia,

    che hanno fatto sì che questa meraviglia di città

    sorgesse esattamente così com’è.

    A Libero de Rienzo e a Marco Ponti,

    alla sregolatezza pura, che non ha a che fare col genio,

    alla fortuna, al vento e a tutte le persone,

    per lo più inconsapevoli, che mi hanno fatta arrivare qui.

    Indice

    Introduzione. C’era una volta un luogo nel tempo…

    fra storia e leggenda

    La leggenda di Antenore

    Padova preroman

    padova romana

    Patavium città dominante

    La più bella dell’Impero

    Orgoglio made in Padua

    padova postromana

    Le invasioni barbarich

    La nascita del Comune

    La leggenda di san Daniele

    Padovani, gran dottori

    Il tiranno Ezzelino

    Il Santo

    Padova si consolida

    Il gioiellino padovano

    Una nave rovesciata come simbolo di autenticità

    padova carrarese

    Venezia la bella e Padova sua sorella

    L’avvento della Signoria

    Breve parentesi scaligera

    Libertà condizionata

    Un assassino al potere

    La stagione d’oro carrarese

    Cultura a corte

    Febbri espansionistiche

    «Omo morto no fa guera»

    padova sotto la serenissima

    Repressione veneziana

    Assistenzialismo padovano

    La città si rifà il look

    Rinascimento padovano

    Una beata indemoniata

    Venezia guerrafondaia in ginocchio

    La Serenissima torna con un doppio blitz

    «Su su su, chi vuol la gata»

    Un epigrafista patriota

    La bella culla delle arti

    Lo spettacolo della dissezione anatomica

    Città ideale

    Due precoci femministe

    Cronaca di un’epidemia

    «Splendé chiara la luce della scienza in una piccola casa»

    Due primati per l’università

    Una parentesi buia

    Un femminicidio

    L’invenzione del fortepiano

    Riforme universitarie

    Un due di picche a Casanova

    Di quel violinista che piace tanto a Dylan Dog

    Viaggio toccata e fuga di Wolfgango de’ Serenissimi Mozartini

    Riciclo creativo di una prigione in via agli astri

    Di quando Venezia costruì un’isola in terraferm

    Il veneto leone non rugge più

    Le ultime lettere timbrate Padova

    l’epoca delle dominazioni straniere

    Democrazia padovana

    La staffetta padovana

    L’esploratore padovano

    Quei ragazzi che combinarono un ’48

    La città combatte per l’indipendenza

    Il tramonto del quartiere dei barcaioli

    padova italiana

    La città rinasce

    Un romantico scapigliato

    Un padovano direttore a San Pietroburgo

    La questione sociale

    La città ha traslocato di là dall’oceano

    Svolta a sinistra

    Un sogno sfumato

    padova entra nel novecento

    La stagione democratica

    Un ospite discreto

    Buffalo Bill in città

    La piccola Manchester

    La goliardia in città

    Miseria e nobiltà

    Una capitale al fronte

    Di progresso e di gente impreparata

    Un altro santo

    La favola di Amen

    Il ventennio

    L’università come tempio di fede civile

    Resistenza sotto le bombe alleate

    Un Giusto d’adozione padovana

    L’insurrezione

    la nuova padova

    Dopoguerra democristiano

    Quando su corso Stati Uniti cresceva il miglio

    La Senatrice

    Piccole femministe crescono

    Rivoluzione e bon ton

    Padova violent

    Il caso Magello

    La mala del Brenta

    La morte del comunista più amato

    Il tramonto scudocrociato

    la città nel terzo millennio

    Il muro di Padova

    Rigurgiti Serenessimi

    Un’istantanea della città di oggi

    Ringraziamenti

    Bibliografia

    Introduzione

    C’era una volta un luogo nel tempo…

    C’era una volta una città a cui uno studente era talmente affezionato da costruirne una copia nella sua patria. C’era un tempo un ingorgo di vie da dove un omino, ricurvo su una diavoleria home-made, rivoluzionò il mondo. Una città terragna e d’acqua al contempo, a cui due naufragi restituirono due personaggi di grandissimo spessore, un fazzoletto di terra che riuscì a risollevarsi da pesanti batoste e a splendere nel blu cobalto e nelle stelle raggianti di Giotto, dove una donna si laureò per prima al mondo nonostante non lo desiderasse e da dove un idraulico partì per scovare i segreti più reconditi d’Egitto. Tutto questo è Padova.

    Bisogna conoscerne la storia per poter capire le città, così come con le persone. E io credo profondamente che sia proprio il brulichio delle genti a fare la storia. Padova è da sempre un crocevia di vite affascinanti, una «inquieta metropoli di periferia», come la definì lo storico Angelo Ventura. Se questa non è una delle città continue degli invisibili centri urbani immaginati da Italo Calvino, ovvero una città uguale a tutte le altre, non lo è per la storia che trasuda da ogni suo centimetro quadrato. Padova è una città che, come disse uno dei suoi fan più affezionati, più che un luogo nello spazio è meglio definibile come luogo nel tempo. Ovvero una città che dentro di sé ha incastonata un’altra città, che sempre lui – Diego Valeri – descrisse bene in questo passo della sua Città materna: «Questa vecchia botte che è l’università padovana ha riempito, in sette secoli, innumerevoli altre botti, e barili, e caratelli, e damigiane di cantine nostrane e foreste. Grandi nomi di maestri, di discepoli, di discepoli divenuti maestri, attestano davanti al mondo la gloria immortale dello studio; né occorre citarli, perché tutti li hanno in mente. Ma c’è anche, ed ha grandissimo valore, la testimonianza continua e confusa degli oscuri, i quali, una generazione dietro l’altra, son venuti a Padova per addottorarsi, ci han vissuto quattro cinque sei anni, i più belli della loro vita».

    E così, pagina dopo pagina, si delineerà sotto i vostri occhi una città caleidoscopica, con le sue cicatrici e dalla storia rocambolesca, costituita – lo vedrete – da un continuo inanellarsi di episodi avvenuti o fatti accadere da persone figlie del loro tempo. Ognuna di queste costituirà un pezzo di un puzzle dalla fitta trama di linee e di colori, che saremo in grado di riconoscere veramente solo alla fine e di cui anche noi, che siamo nani sulle spalle dei giganti, facciamo parte, dato che il presente non è mai statico. E la storia della città di Padova, a sua volta, è sempre interconnessa a tutte le altre storie, come un’onda in un oceano: senza di lei il mondo come lo conosciamo oggi non sarebbe possibile.

    In questo libro cercherò di riportarvi indietro ai momenti fondamentali della sua storia, davanti ai crocevia decisivi che hanno fatto sì che questa città fosse esattamente quella che conosciamo oggi, con i palazzi e le piazze con cui la identifichiamo. Tenterò di farvi conoscere le sue statue, di dare un volto ai nomi che identificano le vie che vivete quotidianamente e un senso alle parole del dialetto a cui siamo tanto affezionati. Ma fate attenzione: non si tratta di un romanzo di finzione, bensì di vita realmente accaduta, solo non ora, ma in un passato sempre nostro, più o meno distante, poiché è risaputo che la forma delle cose si distingue meglio in lontananza.

    Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.

    italo calvino, Le città invisibili

    FRA STORIA E LEGGENDA

    Un attore interpreta Antenore. Da una stampa dei primi dell’Ottocento.

    La leggenda di Antenore

    Sfuggito agli Achei assedianti, Antenore poté penetrare

    illeso nei golfi marini degli Illiri […]

    Qui tuttavia la città di Padova pose, sede

    di Teucri; diede alla gente un nome; appese l’armi

    di Troia e ora sereno in pace inviolata riposa.

    virgilio, Eneide, I, 242-249

    Questa manciata di versi donò a Padova il sogno di un’origine nobile e antichissima, databile addirittura al 1185 a.C. per mano di Antenore. Anche Sofocle, negli Antenoridi, racconta che l’illustre veterano di guerra e saggio consigliere dei Troiani, dopo la guerra di Troia, attraversò la Tracia e l’Illiria coi figli e gli Eneti per giungere in terra padovana, dove scacciò la popolazione autoctona degli Euganei e fondò la propria città. Mentre lo storico Tito Livio, più cauto, sebbene più giovane di undici anni del già allora illustre Virgilio, nelle sue Storie lascia Antenore nel momento dello sbarco senza azzardare l’ipotesi di padrini illustri.

    Antenore in realtà nel Medioevo non aveva una reputazione invidiabile, dato che era ritenuto colpevole di aver favorito l’entrata dei Greci nella propria città, ricevendo in cambio la salvezza per sé e la sua famiglia. Ed era pettegolezzo così noto a quei tempi da indurre Dante a nominare Antenora il secondo girone dell’Inferno, collocandoci coloro che erano ritenuti traditori della patria o del partito politico, condannati a essere immersi fino al collo nel ghiaccio.

    Ma ai padovani le malelingue non sono mai piaciute e, siccome un’origine illustre avrebbe dato non poco vanto alla città e ai suoi abitanti, non appena nel 1274 furono rinvenuti due vasi pieni di monete e una cassa di piombo che ne conteneva – a mo’ di matriosca – un’altra di cipresso che proteggeva una spada e il corpo, ormai fattosi scheletro, del proprietario, questo fu subito identificato con Antenore. Non era certo un’epoca che prestava attenzione alle fonti, quella. E tanta certezza fu acclamata da un certo Lovato Lovati, un umanista con gli hobby dell’archeologia e dello studio dell’antichità classica, che risiedeva vicino alla zona del ritrovamento, ovvero in contrada San Biagio. A onor del vero, ci fu anche un’antica profezia che fomentò questo vociare: «Quando la capra parlerà e il lupo risponderà, Antenore si troverà». Siccome il capomastro che ritrovò la cassa si chiamava Capra e lupo in dialetto si dice lovaro, tanto bastò al Comune per autoproclamarsi di origini nobili con grandiosi festeggiamenti.

    Ancora oggi, a due passi dal luogo del ritrovamento, si può ammirare l’arca del mitico fondatore, dove sono incise le due quartine in latino dettate dal Lovati in persona. In realtà oggi sappiamo da analisi approfondite che quelle spoglie appartengono sì a un guerriero, ma non così antico e non di origini così nobili, probabilmente un barbaro fra i tanti. Il Lovati volle essere sepolto nella cassa a fianco, facendola decorare con un lupo in rilievo, vanto che gli costa tuttora le canzonature dei padovani, che indicano quella seconda arca come la tomba del cane di Antenore.

    Padova preromana

    Secondo le fonti storiche i primi abitanti del Veneto furono gli Euganei o Protoveneti, ai quali seguirono i Paleoveneti e quindi gli attuali Veneti. Questi ultimi, secondo studi recenti, apparterrebbero a un ceppo di popolazione indoeuropea molto affine ai Latini e probabilmente appartenente alla stessa ondata di emigrazione che portò le popolazioni latine nel Centro Italia. La radice etimologica da cui proverrebbe la parola Veneti avrebbe a che fare col verbo amare, di conseguenza i Veneti sarebbero gli amabili, in un contesto in cui le popolazioni si distinguevano fra bellicose e pacifiche.

    Già in epoca paleoveneta Padua era una vera città estesa all’interno di due grandi anse di un fiume di grande portata, l’attuale Brenta (il cui nome latino era Medoacus), che scorreva allora più a sud rispetto al suo corso attuale. L’etimologia del nome cittadino è incerta, ma la più accreditata lo farebbe derivare dall’antico nome del fiume Po, ovvero Padus, a testimonianza dello stretto rapporto tra l’insediamento e le acque fluviali. Un’altra teoria vorrebbe che il nome di Padua faccia riferimento a palude, ma insomma, sempre di acqua si parla.

    Nell’area tra il municipio e l’università sono stati rinvenuti tre capanne e i resti di un insediamento del popolo degli Euganei risalenti al 1200 a.C., mentre l’attuale zona del Portello ai tempi fu utilizzata come area cimiteriale. Questo popolo di padri fondatori gradualmente si sviluppò, tanto da sorpassare Atheste (l’attuale Este), che era stata fino a quel momento la capitale culturale, economica e politica dell’area tra i Colli Euganei e il Veronese e tra Adria e la Slovenia. Tanto che, mentre ad Atheste si ricorreva ancora al baratto o allo scambio di frammenti di bronzo per saldare i debiti, a Padua si istituì una zecca che coniava le dracme venetiche in argento.

    I Veneti avrebbero abitato stabilmente un’area approssimativamente sovrapponibile all’attuale Triveneto, anche se qualcuno sostiene che questi soggiornarono in una vastissima area compresa tra il Mare del Nord e l’Adriatico. La lingua che si usava era infatti un misto di etrusco e greco variegato con influssi nordici. I Veneti erano chiamati dagli antichi il popolo dai bei cavalli e anche Omero nell’Iliade scrive: «Venivano dalla regione dei Veneti, dove è la razza delle mule selvagge». Il ritrovamento di steli funerarie raffiguranti cavalli, spoglie di uomini e destrieri lascia intendere che per gli antichi Veneti questo era un animale da guerra, tanto fedele al suo condottiero da accompagnarlo nel suo viaggio agli inferi.

    La città divenne presto un grosso centro produttivo e commerciale, famoso per l’allevamento di cavalli e la lavorazione della lana. Ma si sa che il benessere porta con sé sguardi invidiosi. Infatti, nel 302 a.C. il principe spartano Cleonimo, il quale se la stava dando a gambe dal Salento dopo lo smacco inflittogli dai Romani, ritrovandosi in zona decise di provare a vedere se a Padova sarebbe stato più fortunato. Non appena giunse in città la notizia che i soldati spartani stavano devastando e saccheggiando la zona al margine della laguna veneta, incendiando le abitazioni e facendo razzia di uomini e di greggi, l’esercito decise di muovere contro il nemico. Questo, diviso in due schiere, si portò rapidamente dove erano ormeggiate le navi del nemico e qui sorprese i soldati, li assalì, li inseguì e ne distrusse diverse imbarcazioni. Non era periodo per Cleonimo, che fu costretto a ritirarsi precipitosamente verso il mare, con appena un quinto della sua flotta.

    PADOVA ROMANA

    Busto di Tito Livio (incisione del 1850 circa).

    Patavium città dominante

    Come l’acqua fluisce sempre verso il mare, anche la storia di Padova era destinata a scivolare sempre più verso Roma. La città era in contatto con la collega eterna già quasi dalle sue origini e, data la pressione dei Galli appollaiati sui vicini Colli Berici, a sud dell’attuale Vicenza, i patavini decisero di giocare d’anticipo e di stabilire una solida alleanza militare con i Romani, che erano nel frattempo divenuti i padroni indiscussi dell’Italia centrale e meridionale. Nel 226 a.C. Patavium si guadagna il titolo di civis praecipua, ovvero di città dominante. Dovrà pagare il tributo di questo riconoscimento dieci anni più tardi, quando dovrà mandare le sue truppe a Canne, nell’antica Apulia, dove ebbe luogo una delle principali battaglie della seconda guerra punica. Così facendo, Padova entrò a far parte degli Stati Uniti Romani, cosa di cui gioverà nel 176 a.C., quando chiese aiuto all’emergente superpotenza per superare una serie di faide interne, ottennendo così il console Marco Emilio Lepido, che rimise ordine in città.

    Questa alleanza diede slancio economico a Padova, che era già di per sé un centro florido e affermato. Questa poteva infatti contare su una radicata presenza industriale grazie, soprattutto, alla lavorazione della lana. Il poeta romano Marziale, in uno dei suoi pungenti epigrammi, definì questo tessuto così resistente che si doveva ricorrere alla sega per riuscire a tagliarlo. L’agricoltura andava alla grande non solo nel contado circostante ma anche in città, come dimostrano le case a corte. Il comparto edile era florido, grazie alla presenza di aziende produttrici di laterizi, con il relativo indotto di scalpellini, tagliapietre e muratori. Non mancavano nemmeno le imprese che costruivano laterizi o le fucine che si occupavano di temperare metalli e forgiare armi, di cui il proconsole Asinio Pollione nel 43 a.C. ordinò una considerevole fornitura per le sue legioni. Dai vicini Colli Euganei si estraeva la trachite, materiale versatile e ampiamente utilizzato per costruire ponti, pavimentare strade, confezionare steli e monumenti funerari che si esportavano anche e soprattutto via acqua. Infatti, Padova era dotata di uno scalo fluviale ben collegato ai porti lagunari, che venivano raggiunti da merci lavorate come i gausapi, ovvero panni usati per confezionare vestiti a prezzi concorrenziali. Grazie alla protezione romana, Padova poté godere di una pace che favorì la circolazione di merci anche dall’India e dalla Cina, come seta, pietre preziose, spezie e articoli di lusso. Inoltre, nel 132 a.C. sui piedi di Padova venne costruita la via Annia Popilia, che collegava Rimini ad Aquileia. La città protagonista di questo volume si ritrovò così inserita nella rete delle strade principali del tempo, divenendo lo sbocco principale della Pianura Padana sul mare.

    La più bella dell’Impero

    I sempre più frequenti rapporti con la città eterna determinarono un’ulteriore romanizzazione della città. Nell’89 a.C. una legge firmata da Pompeo Strabone volle Padova regolata dal diritto latino e quarant’anni dopo con la lex Iulia Municipalis – grazie allo schieramento dei patavini dalla parte di Cesare nel varcare il Rubicone – venne insignita della qualifica di municipium, ovvero divenne ufficialmente la capitale politica, economica e culturale del Veneto. Un gran salto di qualità che le permise di essere ascritta alla tribù Fabia, assimilata alla gens Iulia, ed ebbe la possibilità di formare un suo senatus (anticipazione dei moderni consigli comunali) di cui facevano parte cento decurioni fra i cittadini al di sopra dei venticinque anni, che venivano regolarmente retribuiti e che godevano anche di benefit, tra cui posti riservati a teatro. A rappresentanza dei lavoratori, invece, vennero organizzati i collegia, una sorta di associazione di categoria. Da una specie di censimento effettuato ai tempi di Augusto, sappiamo che in città si trovavano cinquantamila abitanti, ai quali dobbiamo aggiungere schiavi, immigrati e circa centomila abitanti dei villaggi vicini.

    Padova era una delle città più ricche dell’impero grazie, tra le altre cose, all’allevamento dei cavalli. Tutto questo fervore si nota anche nell’urbanistica, che si rifà il trucco e diventa più funzionale. Nel 40 a.C. vengono realizzati in pietra il grande ponte San Lorenzo e il ponte Altinate, entrambi sull’odierno tratto di strada che ha preso il nome di Riviera dei Ponti Romani, per l’appunto. Al posto del Salone ai tempi si trovava una zona paludosa, ma poco più in là, all’intersezione tra il cardo (attualmente da via Dante a via Barbarigo) e il decumano (da via Tadi a ponte San Lorenzo), sorgeva il foro romano e, vicine, le terme (i cui resti sono stati ritrovati nell’area che si estende tra il municipio e via San Canziano). Del foro oggi ci rimane la colonna della Madonna dei Noli, al centro dell’attuale piazza Garibaldi. Sappiamo anche che la Padova bene poteva addirittura concedersi una seconda casa sui vicini Colli Euganei: Gaio Vario Variano ne acquistò una tra Baone e Calaone con pavimenti in mosaico e pareti affrescate, il quotato imprenditore nel settore edile Gaio Critonio ne costruì una sulla strada fra Fontanafredda e Valnogaredo, mentre la famiglia di Lucio Cartorio ne aveva una nei pressi di Praglia.

    Che Padova fosse un incanto già allora ce lo conferma Strabone, autorevole storico e geografo dell’età d’oro augustea, il quale annotò come Patavium fosse la città più bella dell’Impero romano, ovviamente dopo la capitale, a pari merito con Cadice. Qui si potevano ammirare templi dedicati alle principali divinità romane; i benestanti vivevano in abitazioni realizzate in pietra e cotto, arredate con magnifici mosaici (sono esposti nei Musei Civici degli Eremitani, giudicate voi). Ma bellezza chiama altra bellezza, si sa. E così, verso la metà del i secolo d.C. venne costruita una specie di piccolo Colosseo romano, un’arena a forma ellittica dove si tenevano combattimenti tra gladiatori e grandiosi spettacoli pubblici. Nell’area di Prato della Valle, che ai tempi era chiamata Valle dei Morti in quanto designata a necropoli, fu eretto un teatro, successivamente denominato Zairo. Questo era in grado di ospitare oltre seimila spettatori, che vi accorrevano ad acclamare le rappresentazioni di commedie e tragedie.

    Orgoglio made in Padua

    Grazie a questo gemellaggio, Padova si fregiò di personaggi della levatura di Tito Livio. Quest’uomo, nato in città nel 59 a.C. da una famiglia borghese, diventò un intellettuale di primo piano sia qui che a Roma. Nonostante le maldicenze di Asinio Pollione, intellettuale dell’epoca che lo apostrofò nei salotti col termine provinciale, il suo smalto non fu intaccato. Infatti Tito Livio – stacanovista come pochi – quegli ambienti mondani li snobbava, preferendo investire il suo tempo lavorando al suo monumentale capolavoro Ab Urbe condita, costituito da centoquarantadue volumi sulla storia della capitale dalla fondazione alla morte di Druso (9 a.C.).

    Un altro personaggio leggendario di questo periodo fu Cecina Peto, senatore padovano che, entrato in contrasto con l’imperatore Claudio nel 42 d.C., si tolse la vita insieme alla moglie Arria. Questa, precedendolo, estrasse il pugnale dal petto e, porgendolo allo sposo, pronunciò due parole che passarono alla storia: «Non duole». Dopo nemmeno venticinque anni da questo fatto di cronaca nera, un altro senatore patavino mise in scena lo stesso copione: si trattava di Trasea Peto, che venne condannato a morte da Nerone. La cronaca del tempo firmata da Tacito ci racconta che il padovano, col sangue che sgorgava dalle vene appena recise, avrebbe proposto un brindisi alla libertà. Che personaggi, questi padovani!

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