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Le notti dell’alchimista
Le notti dell’alchimista
Le notti dell’alchimista
E-book68 pagine58 minuti

Le notti dell’alchimista

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Info su questo ebook

Tutto ha inizio in una fresca sera d’estate di fine sedicesimo secolo. Tra i campi poco distanti dall’antica città siciliana di Leontini, l’odierna Lentini, i due giovanissimi fratelli Girolamo e Vito Chiaramonte cercano di ritrovare il loro cagnolino, scappato da casa. Giunti nei pressi di un rifugio abbandonato, ove un tempo viveva un misterioso vecchio, Girolamo si spinge all’interno richiamato proprio dai lamenti della bestiola. Qui, rinviene alcuni misteriosi e antichi incartamenti che riportano le istruzioni per la realizzazione di una portentosa quanto leggendaria medicina.
Vent’anni dopo, Girolamo si trova a Napoli ed è ormai un affermato alchimista, nonché inventore dell’Elixir Vitae, un efficacissimo medicamento.
Una brutta notte, però, le carte che aveva ritrovato anni prima e che sono alla base dei suoi studi e delle sue pozioni, gli vengono sottratte dal Munaciello, un famigerato spiritello napoletano, estremamente dispettoso e ostile verso la città di Napoli e i suoi abitanti. Nulla ha, invece, contro il famoso alchimista ed è ben disposto a restituirgliele purché egli abbandoni la città. Girolamo gliene chiede conto e lo spiritello gli spiega i motivi di tal gesto nonché di ciò che si cela dietro il suo eterno tormento.
Sulla scia delle parole del Munaciello, il siciliano ha l’occasione grazie al prezioso supporto della Bella ’Mbriana, di mettersi in discussione.
Romanzo breve d’atmosfera, piacevole e incantatore.
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2020
ISBN9788832926507
Le notti dell’alchimista

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    Le notti dell’alchimista - Raffaele Longo

    Prefazione

    Quando ognuno di noi pensa a un racconto, erroneamente (e in maniera forse troppo superficiale) pensa immediatamente alle astratte e dolci fantasticherie di cui la mente è capace, alle favole, a quel mondo che, forse anche un po’ forzatamente, siamo costretti ad abbandonare con l’età della ragione e della maturità. Occorrerebbe soltanto ricordare, almeno per un attimo, che la narrazione di una storia nasconde una ricchezza immensa che va ben al di là di quanto spesso viene immaginato.

    Narrare ha infatti una parentela strettissima con il termine latino gnarus che vuol dire essere consapevole. La narrazione (qualsiasi narrazione), addirittura, si potrebbe dire, senza aver paura di essere smentiti, è sempre un doppio racconto: essa è, al contempo, la narrazione di qualcosa (il contenuto specifico di ciò di cui si dice) e il racconto dello sforzo di chi tenta di comunicare ad altri proprio quel contenuto specifico. Ma perché? Per non rimanere ignari e inconsapevoli di un certo fatto. Allora, però, se così stanno le cose, si è già ribaltata una posizione che in partenza si credeva indiscutibile: la narrazione, ciò che ci rende edotti di alcuni fatti, – mi verrebbe anche di invertire l’ordine delle parole poiché se qualcosa è un certo fatto è anche, per necessità un fatto certo – non è legata soltanto e in maniera superficiale all’onirico e a ciò che è a-normale o sregolato, ma si trova indissolubilmente annodata proprio con quella ragione che, a primo acchito, sembrava esserle estranea. Infatti, ragionare indica il fare in parti lo scomporre in parti, azione di chi, di fronte all’ignoto, all’inesauribilità dell’immenso o dell’ineffabile, pur brancolando nel buio (o meglio: proprio perché brancola nel buio), cerca disperatamente di capire.

    Proprio per questo, come una forza pari e contraria, esigenza ugualmente ineludibile, si ripresenta l’altro senso della narrazione, quello considerato poche righe più sopra come superficiale, legato alla pura fantasia e vagheggiamento e quasi etichettato come incapace di dar risposte. Esso si ripresenta ora proprio di fronte all’ignoto e al timore della ragione di non poter far parti, o poter dar ragione. Paura, dunque, del mistero, del misterioso, del metafisico, in una sola parola: dell’inafferrabilità del senso.

    Come dunque splendidamente insegna Platone, miti, racconti e storie, seppur è impossibile considerarli al pari della verità razionalmente discussa, giova fare a se stessi di tali incantesimi [1] e crederli quasi ugualmente efficaci poiché in essi si adombra di certo una certa forma di verità. Proprio l’incapacità di cogliere l’ineffabile apre, dunque, alla necessità del racconto quale anello di congiunzione non solo tra il razionale e l’irrazionale ma anche, e più significativamente, tra razionabile e non razionabile e per questo infinito.

    Il racconto di Raffaele Longo è un po’ tutto questo. È un viaggio lieve nel magico e nel favoloso, adatto anche ai ragazzi, il quale indica anche, però, come, a livello profondo, la civiltà occidentale sia eternamente debitrice nei confronti del misterico e più in generale dell’oltre che designa il confine e la natura sostanziale di ogni cosa.

    Tutto nasce dall’intreccio tra il folklore popolare e la mera fantasia, ma anche dal fatto che il protagonista Girolamo Chiaramonte è un personaggio realmente vissuto a cavallo tra il ’500 e il ’600. Ciò che affascina maggiormente è proprio questo: non appena ci affacciamo a nozioni storiche che sembrano far riemergere il senso della realtà, a esse si accostano, subito, in una strana continuità e alternanza, alcuni elementi suggestivi, immaginifici e metafisici. Il magico, appunto, ciò che è oltre le mere ragioni di causa-effetto, paradossalmente, le fonda determinando, così, una contraddizione scomoda e beffarda: ciò che è reale ha bisogno dell’irreale per esserlo.

    In egual misura, gli elementi immaginifici del racconto hanno bisogno di essere reali per avere presa sulla gente e nei secoli. Di contro, ancora, ogni atto concretamente reale, umano che traspare nella storia e nei suoi protagonisti (il rancore di un antico spirito per quanto accadutogli in vita e il suo bisogno di essere ascoltato, ad esempio) necessita del tocco magico e consacrante del metafisico per prendere forza, vita, determinando, così, conseguenze vere e reali, fino a toccare addirittura esiti morali e purificatori nel finale.

    In questo infinito gioco di magnifici legami dettato dagli opposti, l’intreccio è portato addirittura oltre dall’autore attraverso l’esercizio contenuto e sapiente della scrittura: dialoghi vivacissimi si alternano a momenti che invitano il lettore al pensiero, alla riflessione e all’introspezione. L’autore crea insomma un racconto molto interessante che ha la forza (pur senza averne la spocchiosa pretesa) delle grandi occasioni letterarie nelle quali la prima vera grande magia è quella di sentirsi un po’ letti dal libro che si sta leggendo.

    Nazareno Pastorino

    [1] Platone, Fedone, 114 d, traduzione Manara Valgimigli. Laterza, Bari, 2019.

    1

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