Mago e gli Yukant
Di Martha Faë
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Info su questo ebook
Il suo nome non è Mago, ma tutti lo chiamano così. Non è capace di volare, ma il suo sogno è sempre stato quello di librarsi al di là delle nuvole senza aeroplano. Mago ha sentito dire che certe cose sono semplicemente impossibili, ma quello che gli dice il suo cuore è molto diverso.
Lei non ha un nome ma la chiamano Yuki, come tutti i bambini e le bambine della sua isola. Mago, quel bambino così strano, le ha detto che tutto è possibile, anche se a lei il suo cuore dice qualcosa di molto diverso.
Granbecco… Insomma, Granbecco si chiama così e basta, e ha un cuore d’oro, letteralmente.
Il resto è meglio che lo scopra tu. Mago e gli Yukant è una fiaba sull’amicizia che ci insegna che è solo la paura a impedirci di essere liberi. LIBRO CONSIGLIATO PER BAMBINI E BAMBINE DAI 9 AGLI 11 ANNI. È adatto anche a bambini più piccoli, se letto con un po’ di aiuto, in quanto la storia è adatta anche a loro. C’è azione, momenti divertenti e insiste molto sul valore dell’amicizia.
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Anteprima del libro
Mago e gli Yukant - Martha Faë
Capitolo Uno
––––––––
Mago, Mago, Mago, ripeteva mentre gli scarponcini affondavano nella neve con quel rumore crepitante che gli riempiva il cuore di gioia. Mi chiamo... che importa qual è il mio nome, tutti mi chiamano Mago. Mago, ecco chi sono io. Aveva la voce roca, anche se infantile.
I suoi occhi si posarono sul prato, bianco e intatto. Il viso gelato del bambino si illuminò quando vide che sarebbe stato il primo a mettere piede sulla neve. Una cosa era certa: l’inverno era una stagione magica e non solo perché c’erano tanti giorni di vacanza, ma anche per il silenzio che si veniva a creare nel posto segreto di Mago, rendendolo ancora più speciale.
Passo dopo passo, scricchiolio dopo scricchiolio, il bambino attraversò il lenzuolo bianco in cui si era trasformato il prato. Era come una macchiolina che camminava lasciando dietro di sé una scia di puntini. Gli alberi si allungavano verso di lui, con i loro rami spogli che puntavano verso la sua testolina protetta da un cappello colorato con un grosso pompon.
Ben presto gli scarponcini sporchi di neve salirono sul vecchio tronco che era caduto sul torrente chissà quanti anni prima, e ora faceva da ponte. Mago guardò in basso: l’acqua si era ghiacciata bloccando al suo interno foglie secche e altri scarti del sottobosco che fino a una trentina d’ore prima scorrevano via in libertà. Continuò a camminare mentre con l’alito disegnava arabeschi nel vento. Si avvicinò al viso le mani guantate per scaldarsi il naso, e con gli occhi vispi e salterini si disse: solo un altro po’.
Eccolo lì finalmente, come una magia: il suo albero. Un massiccio tronco contorto che sembrava aspettarlo con i rami spalancati. Mago si arrampicò agilmente: da ogni suo movimento traspariva la familiarità che aveva con quell’albero. Una volta in cima si guardò intorno. Inspirò profondamente e lasciò che l’aria gelata gli riempisse i polmoni. Aveva nevicato per tutta la notte e la campagna sembrava appartenere a un altro mondo; un mondo disegnato in bianco e grigio.
Mago si distese sul suo ramo preferito come faceva sempre, come aveva fatto migliaia di volte. Lo strato di neve che lo copriva cedette sotto il suo peso e cadde emettendo un rumore sordo. Non si sentiva l’eco, era come trovarsi in uno spazio privato completamente diverso dal mondo normale. Sdraiato, giocò a guardare senza fretta il modo in cui le volute del suo alito si intrecciavano con le nuvole piatte e grigiastre che il vento muoveva a gran velocità. Erano molte le figure che si potevano indovinare nel cielo. Un castello, un leone, un coraggioso cavaliere con la sua spada, un razzo e poi un aereo a elica. Per Mago, il cielo era pieno di vera magia. La magia più bella, quella che può trasformare i sogni in realtà. Non importava cosa dicesse suo fratello maggiore, né quanto potessero ridere i suoi compagni di classe.
Un giorno viaggerò nel cielo. Vedrò tutto dall’alto. Volerò e sentirò il vento sulla faccia, pensò Mago mentre muoveva una mano come se fosse un uccello leggero. Aveva un buco sul dito indice del guanto attraverso il quale si vedeva la pelle arrossata dal freddo. Sarò agile e leggero come quelle nuvole e potrò...
Potrò toccarle!
Mago pronunciò queste parole a voce bassa, facendo molta attenzione perché erano parole di cristallo nelle quali c’era qualcosa di molto prezioso: i suoi sogni. Lui sapeva che tutto era possibile, nessuno avrebbe mai potuto convincerlo del contrario perché lo sentiva dentro il suo cuore.
Volerò, sì
disse in un sussurro. E troverò mondi che nessuno ha mai scoperto.
Sotto le nuvole plumbee, piuttosto lontano dall’albero, si intuiva appena il campanile della chiesa. Mago si alzò all’improvviso e allungò il collo ossuto. Che cos’era quella cosa che si muoveva sul campanile? Un’ombra dal profilo strano, troppo grande per essere un uccello. Le mani si misero a cercare in gran fretta nelle diverse tasche del giubbotto. Cicche, le chiavi di casa, una pallina di gomma, una matita. E finalmente, finalmente il binocolo! Mago aveva spesso sentito dire che non si poteva mai sapere quando si sarebbe presentata l’occasione di fare una grande scoperta, e da allora si teneva sempre pronto. Si mise il binocolo davanti agli occhi, tracciò una breve traiettoria nel cielo e trovò il cocuzzolo del campanile.
È un uccello!
esclamò.
Ma non era un uccello qualunque, almeno non era un uccello di quelli che Mago conosceva. Amava osservare la natura ed era capace di riconoscere ben trenta specie diverse di uccelli. Ma quello... quello aveva delle zampe lunghissime e un becco affilato e infinito. Lo strano animale giocherellava sul campanile, sembrava che stesse costruendo un nido. Era completamente concentrato a sistemare e risistemare del materiale che aveva sotto le zampe.
Mago non si rese conto del tempo passato ad osservare quell’animale affascinante. Gli si congelarono le dita appiccicate al cannocchiale. Il berretto gli copriva tutta la testa, a parte il bordo della frangetta spettinata che si era riempito di brina.
Mago starnutì.
Quello starnuto fu l’inizio di tutto.
Una piccola esplosione che spezzò il silenzio perfetto della landa innevata.
L’uccello alzò la testa all’improvviso e si girò in direzione di Mago, a cui saltò il cuore nel petto, perché attraverso il binocolo vide che l’uccello lo stava guardando. Si, lo guardava fisso. È impossibile! si disse spostando il binocolo da davanti agli occhi. È impossibile! O no? La voce dentro di lui gli diceva, come sempre, che tutto era possibile. Mago guardò di nuovo attraverso il binocolo ma l’uccello era sparito. Non c’era niente sul campanile, dove diavolo si era cacciato?
Mago sentì che qualcuno gli dava dei colpetti sulla spalla per attirare la sua attenzione. Gli si strinse lo stomaco, gli salì su per la gola come un palloncino per poi scendere di colpo. Chi c’era dietro di lui? Chi gli stava dando i colpetti sulla spalla?
Aveva il collo irrigidito a causa dell’insieme di freddo e paura, così fu costretto a girarsi con tutto il corpo per vedere cosa ci fosse dietro di lui. Si sentì un urlo strozzato e Mago sprofondò pesantemente nella neve. Un uccello enorme lo osservava dalla cima dell’albero, quello che pochi secondi prima era sul campanile. Aprì le ali che diventarono così grandi da coprire completamente il bambino.
Il pennuto scosse le ali un paio di volte con una delicatezza insolita. Mago girò lo sguardo verso l’enorme uccello che si era appena posato accanto a lui. Il suo becco lungo e affilato gli accarezzava il petto come un gatto che chiedeva di essere coccolato. Mago capì che voleva sapere se stesse bene.
Sì.
Gli occhi dell’uccello lo guardarono con dolcezza.
Sei dorato!
esclamò Mago e il suo interlocutore fece segno di sì con la testa. "Non avevo mai viso uccelli di questo colore. Mai nella realtà,