Orso B. L'equilibrio delle terre
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Anteprima del libro
Orso B. L'equilibrio delle terre - Gabriele Carpinteri
633/1941.
Capitolo 1
Un risveglio volto nell’avventura
Era una splendida giornata di primavera, la neve si era ormai sciolta, il verde ricopriva gran parte del suolo e gli uccellini cinguettavano sugli alberi in fiore. Il nostro protagonista, Orso Balordo, si trovava ancora nella sua tana: una grotta poco visibile dove egli passava l’inverno dormendo ore e ore.
L’odore della primavera era talmente forte che arrivò alle narici dell’orso che, nonostante la pigrizia, riuscì a svegliarsi – Buongiorno mondo! Bentornata primavera! – disse con aria assonnata e affamata. – Andrò a prendere qualche bel pesce giù al fiume. – e con estrema sonnolenza s’incamminò per quella direzione. Giunto a destinazione, bisognava trovare un modo per catturare qualche pesce senza sporcarsi le zampe o meglio ancora senza bagnarsele. L’acqua era talmente torbida da impedirgli di vedere il fondo del fiume, e pensando a ciò che avrebbe potuto aiutarlo, prese un ramo di un albero molto robusto, una liana verde abbastanza resistente e un pezzo di legno curvato a forma di amo. Legò il tutto per bene, si sedette in riva e, godendosi il sole, lanciò la sua canna con un bruco che usò come esca.
– C’è qualcosa che non va – disse tra sé e sé Balordo. – Il fatto che l’amo non affondi non lo avevo previsto. Beh una svista capita a chiunque! – Detto ciò si precipitò nella sua tana di corsa – una pietra, ho bisogno di una pietra – disse tra sé e sé, dirigendosi nella parte più buia e tetra dove non aveva mai osato inoltrarsi.
Uno strano luccichio lo incantò per un attimo ma, preso dalla fame, trovò uno strano sasso ma perfetto per il suo aggeggio e tornò alla sua impresa: legando la pietra vicino l’amo, gli avrebbe impedito di galleggiare e quindi di trovare cibo.
– Finalmente si mangia! Pancia mia fatti caverna! – disse euforico.
Pensava a quello strano scintillio che aveva visto e per un po’ questo pensiero lo tormentò. – Basta, cosa vuoi che sia, non devo pensarci – fece tra sé e sé, ma sentiva qualcosa, una specie di attrazione per quell’angolo tetro e buio della sua tana. – Magari erano dei pipistrelli – pensò infine.
Dopo aver pescato e mangiato qualche piccola trota, tornò alla tana pronto a esplorare quel che sembrava essere un mistero: quel luccichio che gli aveva trasmesso una sensazione forte. Sentiva il desiderio di andare e perlustrare quell’area a lui sconosciuta dato che rimaneva lì dentro solo per dormire d’inverno.
La grotta era buia, si riusciva a vedere poco all’interno, per questo motivo non era mai andato oltre.
Per quel poco che era visibile, si notavano parecchi pipistrelli dormire a testa in giù, nulla di pauroso e strano, era una semplice caverna dopotutto. L’aria sembrava essere più umida, un po’ pesante da respirare. La visibilità diminuì sempre di più man mano che si allontanava dall’entrata e Balordo doveva stare attento a dove metteva i piedi – Ahi! – Urlò –Dannate pietre che intralciano la strada! – e alzando lo sguardo da terra nell’oscurità, si ritrovò davanti agli occhi un enorme portone di legno grezzo ricoperto di schegge, con delle maniglie quasi del tutto arrugginite. – Chissà cosa si nasconde dietro – si chiese intimorito dall’aspetto malandato della porta ma allo stesso tempo stuzzicato e fiducioso di trovare antichi tesori. Tirò le due maniglie con delicatezza e varcò la porta.
Balordo si ritrovò in un cunicolo identico a quello percorso prima, davvero buio con leggeri raggi di luce che di tanto in tanto penetravano da qualche fessura. Vi era freddo e l’umidità era talmente alta da far arricciare il pelo al nostro eroe. Camminò per qualche minuto e raggiunse l’uscita della grotta – Che cosa strana – disse l’orso – l’aria è pesante da respirare, sembra quasi odore di pesce andato a male.
Da lontano, del fumo sembrava uscire dal camino di una casa – sembrerebbe che lì ci sia un villaggio – e l’orso prese quella direzione senza nemmeno esitare – Magari troverò dell’ottimo cibo, anche se sento puzza di bruciato.
Il sentiero per il villaggio era molto triste e pur essendo primavera, non vi erano alberi in fiore: era circondato da foglie color giallastro-arancione. Sembrava autunno, ma non lo era.
Il villaggio aveva un’aria trascurata: le case sembravano abbandonate, alcune erano senza porte e finestre, altre le avevano addirittura blindate, non si vedevano abitanti nei paraggi. Orso scorse un enorme manifesto con la scritta: Benvenuti nel villaggio di Faddin
seguito da un’altra scritta in caratteri più piccoli famoso per il museo di antichi tesori
.
– Mmm, antichi tesori eh? Perché non dare un’occhiata? – si chiese l’orso e seguì le indicazioni riportate nelle segnaletiche sparse ovunque fino a ritrovarsi davanti ad un edificio malandato pieno anch’esso di muschio e varie piante rampicanti.
Esso era stato svuotato: piedistalli distrutti, vetri rotti sparsi per il pavimento (un tempo color avorio). Sembrava fosse passato un tornado seguito da una tempesta.
Balordo non trovò nulla, tranne che una vecchia lampada malandata, abbandonata perché di poco valore. Una targa posta vicina al suo piedistallo diceva: La famosa lampada del genio
, Secondo la leggenda, chiunque ne entri in possesso, strofinandola vedrà apparire il Genio e potrà realizzare tre desideri
.
Orso sbuffò divertito, ma provò ad eseguire alla lettera ciò che era riportato nella targa: non accadde niente e lasciò cadere la lampada con poco interesse.
– Ehi tu! – Una voce che sembrava non provenire da alcuna direzione tuonò – Sì, proprio tu che inutilmente mi stai cercando! Lo so, non sei in grado di vedermi, ma prima che tu possa farlo e subire allora la mia ira, rimetti subito a posto la lampada e sparisci!
– Scusa, non era mia intenzione disturbarti, chiunque tu sia – rispose Balordo impaurito.
– Sei una delle guardie della regina Mordella?
– Chi? Credo che tu mi stia scambiando per qualcun altro.
– Sicuro di non prendermi per i fondelli? Attento o non sarà facile liberarti dai miei sortilegi.
– Coraggio, esci fuori, sono solo un povero orso che si ritrova per sbaglio in questo strano mondo e con tutta onestà, credo che tornerò a casa!
Tutto tacque. L’orso stava andando verso l’uscita quando un essere color bluastro chiuse la porta come per magia, barricandolo dentro.
– Ti chiedo di accettare le mie scuse. Io sono il Genio di quella lampada e credevo fossi una guardia della regina.
– C-come? U-un genio? – rispose il nostro protagonista con un’espressione sbalordita.
– Sì esatto, ma non farti illusioni poiché sono ormai molto vecchio e non ho più le forze per realizzare i desideri dei miei padroni.
– Perdona la domanda, ma cos’è accaduto in questo villaggio? Dubito che sia sempre stato così.
– Infatti, mio caro amico. Questa è la regione di Gantum, un tempo governata dal Re Iuda e adesso dalla figlia Mordella. Inizialmente tutto andava bene, ma la Regina ha sempre mostrato segni di squilibrio e i risultati sono questi: tasse, tasse e ancora tasse, chi non può pagare finisce con la testa mozzata. Hanno chiesto molto a me, mi hanno prosciugato le forze e sono obbligato a trattare chiunque venga, nello stesso modo in cui ho trattato te. In particolar modo, gli scagnozzi di Mordella sono interessati alla lampada per suo ordine.
– È terribile… – rispose Balordo.
– Ti chiedo di portarmi con te, non voglio rimanere. Ho sempre esaudito desideri ma nessuno mi ha mai chiesto quale fosse il mio.
– E quale sarebbe il tuo più grande desiderio? – Chiese Orso incuriosito e dispiaciuto.
– Tornare a vivere nella vecchia Gantum, ma non è un desiderio che può competere con la mia magia. Potrei essere d’aiuto, ma non basta.
– Non so proprio come aiutarti, sono solo un orso. Posso solo portarti con me se prometti di non darmi fastidio, tra l’altro.
Il genio accettò in silenzio e per non farsi vedere in giro, tornò nella lampada così da far passare Orso inosservato.
Usciti dal vecchio edificio ed imboccata la via del ritorno, Balordo assistette ad una scena poco gradevole:
– Coraggio! Tira fuori tutti i soldi che hai o la tua testa rotolerà per terra in men che non si dica, è un ordine! – Gridò una creatura coperta da un’armatura e un mantello che impediva di svelare le sue sembianze poco simili a quelle di un umano.
– Non ho niente! Avete già preso tutto ieri e avete catturato pure mio fratello perché i soldi non bastavano! – Rispose un ragazzino minuto, scarnato, vestito di vecchi stracci. – Sono povero non vedete? Che cosa volete da me? Andate via, lasciatemi in pace!
– Allora tu verrai con me, la tua testa farà compagnia a quella di tuo fratello. – Rispose lo sconosciuto.
Assistendo alla scena, Orso rimase stupito e corse a trarre in salvo il piccolo, lanciando un ruggito e colpendo il cattivo con la sua zampa robusta. L’elmo della creatura volò e giunta a terra Orso notò che al suo interno vi era un teschio: quella guardia era uno scheletro.
– Chi o cosa era quello? – Domandò sbuffando Balordo.
– Uno degli scagnozzi della regina, non sei del luogo vero? – Chiese il bambino.
– No e credo che andrò via subito, ho sentito e visto troppo per i miei gusti! Come ti chiami ragazzino?
– Io mi chiamo Andy signore, Andy il Bianco perché mio padre faceva il panettiere ed io ero sempre coperto di farina quando lo aiutavo.
– Non ti ho chiesto la storia della tua vita, Andy.
– Mi scusi. – Rispose intimorito il ragazzino.
– Beh, è stato un piacere Andy, adesso ti saluto e mi raccomando: stai attento! – Disse Orso voltandosi in direzione della grotta che lo avrebbe portato a casa, ma mentre s’incamminava, Il Bianco lo afferrò dicendo di voler andare con lui – ti prego sono solo, non ho nessuno e son anche in pericolo. Solo tu puoi proteggermi.
– Siete già in due! Ehi tu geniaccio dei miei stivali, esci fuori e fa’ qualcosa! – Disse tirando fuori la lampada – Coraggio vieni qua.
Il vecchio Genio, alla vista del bambino, cambiò espressione: pensava a qualcosa, questo era certo.
– Dai orsetto cosa vuoi che ti faccia un bambino! Passa una mano, cioè una zampa sul petto. Non vorrai lasciarlo qui da solo con le guardie di Mordella in giro, vero? – E senza ribattere Orso accettò, ma ad una condizione: – voi verrete con me ma non torneremo a casa mia. Andremo da questa Regina Mordella a fare due chiacchiere, così, risolto il problema, voi potrete tornare alla vostra vecchia vita ed io nella mia tana, nel mio mondo tranquillo e libero da esseri strambi. Se non avete il coraggio di affrontare questo viaggetto con me, potrete sempre rimanere qui. Io non voglio nessuno nel mio mondo!
Andy e il Genio si guardarono negli occhi e si voltarono dopo qualche istante verso Balordo – Accettiamo!
– Bisogna cercare un posticino dove passare la notte e domani mattina potremo partire – disse Orso lievemente frustrato.
C’è una locanda gestita da due signore molto gentili, è a pochi passi da qui, arriveremo prima che faccia buio – fece cenno Andy sorridendo, ma Orso ribadì – e come pensi di pagare? Potranno essere gentili, ma non accoglieranno tre perfetti sconosciuti gratuitamente.
– Tranquilli, lasciate fare a me. Ricordate? Sono un genio
!
Così i tre si diressero nella locanda sperando che Genio fosse sicuro di quello che avrebbe fatto.
La locanda si trovava vicino al bosco Luppis, un’area piuttosto pericolosa abitata da creature terribili: era difficile per gli stranieri riuscire a sopravvivere una volta avventurati lì dentro. L’insegna non era molto visibile, forse non era intenzione dei proprietari quella di farsi notare, infatti, l’aspetto esteriore sembrava al quanto inquietante con quegli alberi che davano l’impressione di inghiottire la locanda all’interno del bosco.
Genio bussò alla porta. – C’è nessuno? – chiese. Si udirono dei passi e la porta si aprì lentamente.
Una dama dalle sembianze simili a quelle di un gatto si presentò davanti alla porta. – Genio! Oh mio Dio! è passato così tanto tempo. Cosa ti porta qui? – Domandò la dama.
– Ci serve un posto dove passare la notte e non ho più i poteri di una volta per poter far apparire una locanda e nemmeno una piccola tenda da campeggio. – Rispose il Genio cupo.
– Non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per noi. Prego accomodatevi, tu e i tuoi amici siete sempre i benvenuti qui – disse la dama facendo entrare con estrema gentilezza il suo vecchio amico e i due sconosciuti.
– Io sono Stella la padrona di questa locanda, mia figlia Tea vi mostrerà le vostre camere. Spero siano di vostro gradimento – Così dicendo la dama suonò un campanello col quale chiamò la figlia.
La locanda all’interno era molto accogliente: erano presenti delle comode poltrone, un grande tappeto al centro, un camino acceso che dava quel tocco di giusta accoglienza, una grande libreria colma di libri per intrattenere gli ospiti e un pianoforte per chi volesse suonare qualcosa di carino e rilassante (era vietato fare baldoria).
Tea arrivò immediatamente e come ordinatole da sua madre condusse gli ospiti nelle loro camere in modo che si sistemassero prima di scendere per la cena.
Era già buio pesto fuori quando si sedettero tutti attorno al tavolo ovale nella piccola sala da pranzo dove Stella iniziò a servire la cena da lei preparata. Il piccolo Andy non badava alle conversazioni noiose che accompagnavano i pasti, ma fece attenzione allo sguardo di Tea che ricadeva costantemente su Orso, uno sguardo molto dolce ma che lasciava trasparire ben poco. Pensò – Secondo me è matta (era troppo piccolo per capire cosa volesse dire avere una cotta
).
Prima di andare a letto, le dame fecero accomodare gli ospiti davanti al camino, ringraziando ancora una volta il Genio: se non fosse stato per lui, la locanda sarebbe ancora un mucchio di cenere dopo l’incendio appiccato dalle guardie, per non aver pagato pienamente le tasse dovute alla regina.
– Non sento parlar d’altro che di questa regina da quando son arrivato in queste terre – Disse Balordo infastidito, poi continuò – Potreste spiegarmi meglio questa storia? Ho promesso al Genio di aiutarlo ma non vorrei aver fatto una promessa impossibile da mantenere.
– Beh – Esclamò Stella, – Ci son diverse storie su ciò, ma sono scettica al riguardo, la regina è solo impazzita. Avete sentito parlare della maledizione degli Dei?
– Maledizione degli Dei? – Ripeté il Genio, – Mai sentita, non saranno mica le solite storielle che si raccontano in giro?
– Non la chiamerei solita storiella. – Sbuffò la dama – Come ho già detto prima, sono abbastanza scettica, ma in questa, vedo un pizzico di verità. Come ben saprai, la regina Mordella, un tempo era buona fin quando improvvisamente qualcosa l’ha cambiata, rendendola avara e cattiva.
– Sì, questo lo sapevo già – disse il Genio seccato.
– Fammi continuare – rispose Stella alzandosi dalla poltrona e dirigendosi verso la finestra – Questo cambiamento è dovuto a qualcosa e secondo me c’è lo zampino degli Dei. Avete notato il tempo? Le stagioni sembrano essere mutate, dovremmo essere in piena primavera, avere gli alberi in fiore e le giornate dovrebbero essere lunghe...
– Sembra autunno – confermò Orso.
– Esatto – e rivolgendosi ai loro ospiti con tono disperato la dama disse – Questa è opera degli Dei, la cattiveria della regina non può cambiare l’equilibrio della terra. Chi voglio prendere in giro, non sono scettica, ho cercato di nascondere inutilmente le mie paure. Vi prego aiutateci.
– L’obiettivo del nostro cammino è proprio questo e domattina partiremo all’alba. – Dopo una pausa di riflessione il Genio pose fine alla conversazione aggiungendo – Andiamo tutti a letto, coraggio!
Andy non partecipò per niente alla conversazione svoltasi durante la serata, ma non per questo non mostrò interesse, anzi prestò molta attenzione alla storia sulla maledizione degli Dei e ne fu particolarmente colpito.