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Racconto i poeti
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E-book192 pagine2 ore

Racconto i poeti

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Prévert, Neruda, Eluard, ma anche Caproni, Aleramo, Silvia Plath...sono solo alcuni dei grandi poeti raccontati da Pierfranco Bruni in un meraviglioso viaggio spirituale attraverso i mondi da loro creati.  

A cura di Stefania Romito

Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all'Estero, è presidente del Centro Studi “Grisi”.
Ha pubblicato libri di poesia (tra i quali "Via Carmelitani", "Viaggioisola", “Per non amarti più", "Fuoco di lune", "Canto di Requiem"), racconti e romanzi (tra i quali vanno ricordati "L'ultima notte di un magistrato", "Paese del vento", L’ultima primavera", “E dopo vennero i sogni", "Quando fioriscono i rovi"). Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D'Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro. Numerosi sono i suoi testi sulla letteratura italiana ed europea del Novecento.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e si considera profondamente mediterraneo. Ha scritto, tra l'altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo", giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita14 apr 2020
ISBN9788835807841
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    Racconto i poeti - Pierfranco Bruni

    Pierfranco Bruni

    Racconto i poeti

    immagine 1

    The sky is the limit

    UUID: f4b2e37a-e77f-45e0-9dba-628a3cd08d0a

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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    Indice dei contenuti

    La favola d’amore di Pablo Neruda

    Rafael Alberti

    Nella poesia di Federico Garcìa Lorca

    Paul Eluard tra gli amori di una vita

    Jacques Prévert

    Vincenzo Cardarelli e la poesia dell’anima

    I sentieri di Ezra Pound

    L’amore e la donna tragedia in Cesare Pavese

    Tagore

    Nazim Hikmet

    Amare senza mai pentirsi in Ascolta la musica dell’anima di Rumi

    Gli amori e le memorie del vento di Adonis

    Omar Khayyam

    Tango come poesia

    Tra le parole il vento di Boris Vian

    Vinícius de Moraes

    Erich Fried

    Giorgio Caproni

    Sibilla Aleramo

    Bella Achmadulina

    Le Stelle velate di Tahar Ben Jelluon

    Sylvia Plath

    Wystan Hugh Auden

    Vladimir Majakovskij

    Illuminante e maledetta poesia

    Osip Emil’evic Mandel’stam

    Jules Laforgue

    Edward Estlin Cummings

    Ghiannis Ritsos

    Andrea Zanzotto

    Lorenzo Calogero e l’immensità della sua parola

    Bianca Garufi e i fossili

    I sonetti di Raffaello

    La trincea di Raffaele Carrieri

    Berto Ricci

    Walt Whitman

    Giuseppe Ungaretti

    Un Mediterraneo vissuto

    immagine 1

    La favola d’amore di Pablo Neruda

    Ci sono alchimie d’amore e favole che si recitano nella poesia di Pablo Neruda. Ci sono tracciati di silenzio che legano cuori e anime nei ricordi che lasciano ascoltare il tempo. C’è un tempo che ricuce le ferite della storia. C’è un tempo che dilata nelle memorie sommerse la storia della quotidianità. C’è un tempo che lacera la realtà e riempie di sogni il cammino. C’è un tempo che sgretola i silenzi e la parola è soltanto il linguaggio dell’anima. La poesia è l’ansia di un’attesa che vive di segni e di attraversamenti e si nodifica dentro la nostalgia dei giorni che, anche senza raccontarli, esistono. Perché esiste la metafora. La poesia non trascrive. Decodifica. Ecco perché in molti poeti ci sono dimensioni di esistenza il cui linguaggio non sempre approda a poesia. Un linguaggio immagine che trascrive.

    A volte si sente il bisogno di raccontare trascrivendo. Un andare nel di dentro di una parola che è espressione-testimonianza. A volte la parola è un’immagine che si fortifica grazie al ricordare e questo ricordare crea paesaggi che sono i volti dell’anima. In molti poeti si decifra questa divisione. Tra il senso dell’onirico, che è stato un vissuto e che continua a essere tale proprio grazie alla sensibilità della parola-silenzio, e la realtà che viene assorbita come un codice della storia.

    Un grande poeta come Pablo Neruda (Parral, Cile, 12 luglio 1904 - Santiago, 23 settembre 1973) ha disegnato una geografia di sentimenti e di stili linguistici che sul piano critico risultano essere, in più occasioni, contrastanti. Il poeta delle canzoni d’amore (o meglio delle Venti poesie d’amore e una canzone disperata) non è lo stesso (sia sul piano semantico che su quello letterario-problematico) di quel poeta che ha scritto il Canto general de Chile.

    Quel poeta dell’amore è un discorsivo metaforizzato che definisce un sentiero dell’esistere in termini profondamente universali. C’è, in questo poeta, un tempo che lacera la realtà e i sogni sono indefinibili nostalgie lungo il tracciato di un linguaggio che penetra i sentieri dell’amore. Il racconto di un amore qui diventa la trasmissione dell’amore. Nell’altro caso, il poeta dell’impegno, subentra una funzione che non è soltanto letteraria o poetica ma si articola, pur in una diversità di sfaccettature, per modelli che sono culturali e ideologici.

    L’uomo Neruda è sempre la stessa persona ma, oltre a esserci due dimensioni di un vissuto, come si diceva, ci sono soprattutto due termini di approccio al linguaggio poetico. La diversità dove sta? Nell’affermazione di una immediatezza lirica.

    Certo, nella vita di un poeta subentrano esperienze, dolori, gioie come in tutti gli uomini comuni, ma i modelli di chiarificazione poetica sono necessari. In Neruda non tutto è poesia, pur restando un grande poeta che ha caratterizzato molta poesia anche del Novecento italiano ed europeo.

    Neruda è stato un diplomatico, un uomo pubblico. Un uomo, se si vuole, delle istituzioni. Tuttavia ciò che lo ha contraddistinto è stata la grande passione per la poesia. La sua comunicazione come fatto prioritario nasce dal sentimento poetico. Tutto nel verso. Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio/o freccia di garofani che propagano il fuoco:/t’amo come si amano certe cose oscure,/segretamente, entro l’ombra e l’anima.

    Non posso nascondere di aver amato Neruda. Di averlo letto con piacere. Di aver cesellato quei suoi versi d’amore che grondavano (e grondano) di amori straziati, di abbandoni, di ritorni, di ricordi, di malinconie. Forse è stato uno dei poeti più penetranti dell’essenza malinconica ma, parimenti, non ho amato e non amo la poesia civile, la poesia della denuncia, la poesia ideologica che pur si trova e anzi diventa centrale nella sua ricerca letteraria. Ma su questi aspetti poetici non mi riferisco e non rimando soltanto a Neruda.

    Credo nella poesia del disimpegno civile e a quella della nostalgia delle attese, del sogno, del viaggio interiore, della memoria. Il poeta che cerca di fare storia con i suoi versi non mi appartiene e, soprattutto, non mi convince dal punto di vista critico-letterario. Vado verso altre strade. Versi come questi hanno un senso che si condensa nel cerchio della metafora e nel desiderio delle nostalgie che riportano echi: Ma tu ed io, amor mio, siamo uniti,/uniti dai vestiti alle radici,/uniti d’autunno, d’acqua, di fianchi,/fino a essere solo tu, sol io uniti. Oppure: In questa storia solo io muoio/e morirò d’amore perché t’amo,/perché t’amo, amore, a ferro e fuoco. E ancora: Se a poco a poco cessi di amarmi/cesserò d’amarti poco a poco.//Se d’improvviso/mi dimentichi,/non cercarmi,/ché già ti avrò dimenticata.

    Un percorso poetico, dunque, che definisce già un’idea sicura di poe-sia e di linguaggio della metafora. Di quella metafora che viene a essere sostituita, non dall’immagine, ma dal rapporto tra il discorrere del reale e la cronaca.

    Nella metafora insiste l’immaginario che è il fantasioso della parola stessa. Nella cronaca prende il sopravvento la descrizione, ovvero il voler rappresentare sul versante letterario la realtà dal punto di vista civile e politico. Ma è il linguaggio poetico che perde di essenzialità lirica. Neruda, comunque, resta il poeta della riscoperta delle radici. Di quelle radici che sono conoscenza del proprio viaggio. In fondo Neruda ripercorre una vita che recita ricordi.

    In Confesso che ho vissuto (il suo diario-memorie): Molti dei miei ricordi sono svaniti ad evocarli, son divenuti polvere come un cristallo irrimediabilmente ferito. E poi aggiunge: La mia vita è una vita fatta di tutte le vite: le vite del poeta. Una vita fatta di memorie. Ma la vita dei poeti, giustamente, è fatta di attraversamenti, in cui i ricordi dettano il tempo che ritorna a vivere con le pieghe della nostalgia. Ecco, allora, il tempo che si allontana dalla realtà e diventa indefinibile.

    Pablo Neruda ha vissuto, indubbiamente, la vita dei poeti e nella frammentarietà del poeta (i poeti vivono di una indecifrabile frammentarietà che si stabilizza nel mosaico della loro esistenza) si sono consumati e realizzati intrecci letterari e di esistenza in una costante ricerca. C’è un verso lapidario che imprime una esistenza: Cerchiamo/le antiche ceneri del cuore bruciato. Una poesia della trasparenza. La poesia d’amore di Neruda. Una trasparenza che è fatta di onde. Un canto lieve nel vento che porta filamenti di vissuto. L’altra poesia resta nella dimensione della cultura. Ma il poeta è nel disperato canto che riporta echi di magia e sere di luna. Un sentimento che si raccoglie in un tempo indelebile.

    Rafael Alberti

    Gli orizzonti del mare e gli amori

    Se dovessi raccontare Rafael Alberti, anche sotto l’aspetto soltanto letterario, non potrei che tracciare due profili che appartengono a due stagioni della sua vita creativa e della sua attività culturale. Ma indubbiamente prevale la poesia nella quale si recita, si danza, si ritma il canto d’amore. Ed è proprio l’amore, l’amore con i suoi slanci, le sue pause, le sue sconfitte, le sue solitudini, i suoi ritorni che fa di Alberti un poeta. Un poeta la cui prima lezione la ricava da un maestro della poesia romantica, che ha fatto dell’amore il suo sogno di vita: Adolfo Augusto Bécquer.

    Successivamente arriva Garcia Lorca. Ma è Bécquer che si trova in molta poesia di Lorca. Che si ascolta tra gli echi amorosi ritmati della voce poetica di Alberti.

    L’altro Rafael Alberti è quello dell’impegno politico. È quello che ha scritto Poeta nella strada (1931 – 1936) e Capitale della gloria (1937). Ma è un Alberti al quale mancano gli slanci lirici e onirici del verso d’amore. Di quel verso che si fa racconto d’amore. Più che surrealismo, in Alberti c’è una funzione ermetica della parola. La parola come scavo e come immagine.

    Alberti resta il poeta che raccontava l’amore, disegnava in versi il mare, recitava la storia dei paesi andalusi e raccoglieva nella parola il sentimento della memoria, che aveva quasi sempre il gusto della nostalgia. Un poeta dal linguaggio ritmato sulle corde del tempo e di un dondolio del tempo che faceva sempre la vita come se fosse tutto ieri e in questo ieri, il battuto lirico era espressione, immagine, favola.

    Rafael Alberti nacque a Puerto de Santa Maria (Cadice) nel 1902 e morì nel 1999. Nel 1925 pubblica Marinaio a terra, suo primo testo. Nel 1929 Sugli angeli. Partecipa tra il 1931 al 1939 all’attività politica insieme a sua moglie Maria Teresa Leon. Dirigono una rivista di impegno politico. È a fianco dei Repubblicani. Dopo la vittoria di Franco va in esilio e ritorna in Spagna nel 1977. Nel 1948 pubblica Alla pittura. Nel 1952 Ritorni della vita lontana e, due anni dopo, Ballate e canzoni del Paranà.

    Rafael Alberti resta il poeta che intrecciava l’amore al ricordo. Nella suggestiva dimensione della parola-recita, l’amore e il tempo costituivano dei luoghi dell’essere. Luoghi che avevano un loro senso, non solo nella poesia, ma anche nella vita. La politica era un’altra cosa. Nella poesia di Rafael Alberti c’è il canto andaluso, c’è la lorchiana impressione del tempo fuggevole tra i giorni che sono già passati e la fretta di recuperarli e raccoglierli nella conchiglia per ascoltarne l’eco. Ci sono gli sguardi che corrono lungo gli orizzonti del mare e della metafora del marinaio. Ci sono le lune che spaccano il buio. C’è il vento affilato come un coltello e c’è sempre un amore dolorante o doloroso che ci passa tra le dita e sembra somigliare alla sabbia dei mari mediterranei o ai granelli di terra che scivolano tra le pieghe di un pugno.

    In Rafael Alberti c’è, senza dubbio, la lezione di Garcia Lorca. Il Lorca delle annunciate risonanze magnetiche, dei versi corti appena pronunciati, accennati e la magia dei simboli che si lasciano toccare con il silenzio degli occhi. Ma c’è, soprattutto, la lezione di Adolfo Augusto Bécquer. Una parola che sembra un solco ben inciso nel sentiero incantato della favola di un amore. L’amore è sempre nella nostalgia, nella tristezza, nella solitudine, nel dolore. Una favola che vive in un castello di ricordi. Proprio per questo la recita dell’amore di Alberti non conosce pretese culturali.

    Alberti è il poeta dell’amore raccontato. È su questo versante che dovremmo considerarlo per renderlo poeta grande nel contesto del Novecento letterario europeo. Appartiene alla famiglia poetica dei Bécquer, dei Lorca, dei Jiménez, dei Machado, degli Aleixandre. A quella famiglia che ha creduto nella poesia come forza virale dell’esistere e non come impegno sociale.

    Alberti, raccontando l’amore, ha recitato la vita sullo sfondo di una interminabile avventura che è l’esistere. Ma l’esistere è amare. Ebbene, questa poesia è poesia non solo d’amore, ma anche della nostalgia dell’amare. Una poesia, a volte, ballata, dialogata come nei versi de Il ferito: Dammi il tuo fazzoletto, sorella,/ho una brutta ferita./ - Dimmi che fazzoletto vuoi,/quello rosa o il color oliva./ - Voglio un fazzoletto ricamato,/ che abbia alle quattro punte/disegnato il tuo cuore.

    Il mare e il paese sono i due viaggi poetici che trasudano nostalgia su un tracciato in cui il sogno è la radice della vita. Una nostalgia nella quale l’inquietudine dell’uomo è presente. Quell’inquietudine che si intreccia tra il quotidiano e il sogno della poesia stessa.

    Ha scritto Oreste Macrì, attento studioso della poesia spagnola del Novecento, proprio in riferimento a ciò: In fondo alla felicità e alla grazia di Alberti è facile percepire una disperata inquietudine subliminare, incontrollata e non qualificata, che si estenua e si sbizzarrisce in un continuo tentativo di approfondimento e, insieme, di evasione….

    Evasione che significa mistero e grazia, fantasia e recupero del tempo attraverso la parola che assorbe il destino del vivere senza il dramma della perdita. Gli amori di Alberti sono amori in perdita, ma si ritrovano nella memoria del tratteggio poetico. È vero che nella sua poe-sia, come ha sottolineato Vittorio Bodini che ha tradotto in italiano anche alcune sue liriche, si avverte il recupero delle vive permanenze del passato. Queste permanenze del passato fanno della parola la protagonista che continua a vivere e a raccontare lungo le strade della vita e del tempo.

    Al contrario, il surrealismo marxista di Neruda ed Eluard - scrive Oreste Macrì - in Alberti ha una peculiare consistenza di ricambio cordiale, di innocenza originale, alle radici biografiche e terriere; da tale effusione di amore (ed esecrazione) la poesia albertiana è come un immenso retablo popolatissimo, formicolante di persone collettivi astratti categorie… . Altrimenti non

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