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Nel mezzo del cammin...Dante Oltre: con saggi di Stefania Romito
Nel mezzo del cammin...Dante Oltre: con saggi di Stefania Romito
Nel mezzo del cammin...Dante Oltre: con saggi di Stefania Romito
E-book236 pagine2 ore

Nel mezzo del cammin...Dante Oltre: con saggi di Stefania Romito

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Info su questo ebook

Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all'Estero, è presidente del Centro Studi “Grisi”.
Ha pubblicato libri di poesia (tra i quali "Via Carmelitani", "Viaggioisola", “Per non amarti più", "Fuoco di lune", "Canto di Requiem"), racconti e romanzi (tra i quali vanno ricordati "L'ultima notte di un magistrato", "Paese del vento", L’ultima primavera", “E dopo vennero i sogni", "Quando fioriscono i rovi"). Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D'Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro. Numerosi sono i suoi testi sulla letteratura italiana ed europea del Novecento.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e si considera profondamente mediterraneo. Ha scritto, tra l'altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo", giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.

Stefania Romito, scrittrice, critica letteraria, blogger, ghost writer, speaker radiofonica sito personale, è nata in Svizzera da genitori italiani. Parte della sua vita la trascorre a Luino sul lago Maggiore. Dopo essersi trasferita a Milano consegue la laurea in Lettere con il massimo dei voti (110 e lode) presso l’Università degli Studi di Milano. La sua passione per la scrittura la porta, nel 2010, a pubblicare il suo primo romanzo dal titolo Attraverso gli occhi di Emma (Alcyone Editore) dove viene trattata la tematica della disabilità visiva. Alla presentazione del libro ha preso parte anche il presidente dell’Istituto dei Ciechi di Milano, Cav. Rodolfo Masto. Il romanzo sta per essere tradotto in braille dalla Biblioteca per i Ciechi di Monza “Regina Margherita” e inserito, in versione audiolibro, nel catalogo del “Libro Parlato” istituito dall’Unione Italiana Ciechi (U.I.C). Nel 2013 pubblica, sempre con Alcyone Editore, un minibook umoristico illustrato dedicato alla vita di coppia dal titolo Tu di che coppia sei? che viene recensito anche dal settimanale “GIOIA”. Le bellissime vignette sono state realizzate dalla vignettista Isabella Ferrante. Attualmente Stefania Romito (Romis) ha ultimato la prima serie del thriller a puntate Ophelia, le vite di una ghost writer (Alcyone Editore) comprensiva dei seguenti otto episodi (e-book): “Esistenza negata”, “Inconfessabili segreti”, “Laguna nera”, “Inquietanti rivelazioni”, “Perversioni d’autore”, “Fatali utopie”, “Ambiguità occulte” e “Macabre ossessioni”. Di recente ha ideato una trasmissione radiofonica letteraria (OPHELIA’S FRIENDS ON AIR) dedicata agli scrittori del gruppo Facebook “Ophelia’s friends
In ambito sociale è impegnata nella realizzazione di un progetto da lei ideato che mira a rendere disponibile nei teatri il servizio dell’audiodescrizione per i non vedenti.
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita25 set 2020
ISBN9791220200035
Nel mezzo del cammin...Dante Oltre: con saggi di Stefania Romito

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    Nel mezzo del cammin...Dante Oltre - Pierfranco Bruni

    Bruni

    UNA POETICA DELLO STILE

    Guido Guinizzelli

    Lingua e canzone

    La canzone di Guido Guinizzelli, nato a Bologna nel 1235 e scomparso a Monselice nel 1276, è uno dei punti di riferimento di una lirica che diventa canto in una visione che è onirico-amorosa e diventa il riferimento non solo per Dante Alighieri, ma per tutto il modello stilistico che da Petrarca giunge a Leopardi e dalle liriche amorose di Carducci sino a Pavese.

    Nell’intreccio post ermetico di Ungaretti, Guinizzelli ha una sua presenza, come la si avverte nella ricercatezza linguistica del Pirandello poeta che recupera il senso della parole delle origini nel suo stile. Guinizzelli è un riferimento: Al cor gentil rempaira sempre amore. È un riferimento che va oltre lo stesso Dante perché si intreccia con le Rime e con la Vita Nova e si rintraccia nella tentazione sognante di Petrarca.

    Con Petrarca si apre, chiaramente una stagione, di chiare e dolce e fresche acque, in cui l’acqua è la metafora – simbolo di una estrema purezza amorosa che in Boccaccio diventerà sensualità scavata nell’eros. Siamo al conflitto, che mai si risolverà, tra il lirismo medievale, con l’assorbimento delle culture e delle lingue arabo-mediterranee, ben riscontrate addirittura nel Novecento del Mal giocondo di Pirandello, che troveranno nel Poliziano il contatto estremo in un attraversamento melanconico che si ascolta in Guido Cavalcanti.

    Guinizzelli costituisce il nodo dal quale il verso di Dante diventa tanto gentile sino a recuperare il Guinizzelli di: Foco d’amore in gentil cor s’aprende/come vertute in petra preziosa,/che da la stella valor no i discende/anti che ’l sol la faccia gentil cosa.

    Sì, Dante si innerva in Guinizzelli! Ma c’è il foco d’amore che caratterizzerà la passione esuberante di D’Annunzio. Un D’Annunzio tutto proteso verso la gentil cosa e la luce delle stelle.

    Linguaggi che sono antropologie dell’essere. Una dinamica della parola che si fa espressione lirico-esistenziale, perché il poeta, pur non staccandosi mai dalla supremazia del cercar la parola bella, lega la leggiadria al sentimento. Lettura che adotterà Pavese per i suoi ultimi versi di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi anche se lo strumento stilistico e la visione esistenziale sono completamente diverse.

    Il Guinizzelli crea la Canzone non la poesia come tradizione vuole. La poesia nasce all’interno della Canzone considerata tale dalle letterature che hanno saputo intrecciare le culture Orientali con quelle sicule-toscane. Un linguaggio-lingua nel cor trafitto. Come in questi magistrali versi in cui Guinizzelli non li recita ma li canta: Amor per tal ragion sta ’n cor gentile/per qual lo foco in cima del doplero. E ancora: Splende ’n la ’ntelligenzia del cielo/Deo criator più che [’n] nostr’occhi ‘l sole:/ ella intende suo fattor oltra ’l cielo,/e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole.

    Ecco, dunque, gli elementi, in una cerca di profonda religiosità e ammaliante sacralità, che sono strettamente parte integrante di un canzoniere che abbandona la filosofia per farsi senso di un vocalizzo di un canto che ha la liricità degli echi e della cultura dei trovatori – viandanti. La canzone è come se fosse una preghiera e la si canta quasi in posizione orante nell’ascolto di questo ondulare: …così lo cor ch’è fatto da natura/asletto, pur, gentile,/ donna a guisa di stella lo ’nnamora.

    Un verseggiare che diventa modello condizionante per la poesia successiva, soprattutto per quella poesia che viene considerata, nelle epoche immediatamente seguenti, canzone. I Canzonieri sino a Saba cercano di strutturarsi sulla linea di una continuità di un recitativo poetico che diventa essenza della parola-linguaggio e dimensione onirica.

    Guinizzelli resta il legame al quale spesso bisogna ritornare non solo per interpretare Dante, ma anche per capire lo sviluppo delle poetiche che arrivano sino al tardo Novecento.

    Pedra Francisca de La Valle

    Lo sguardo. Gli occhi. Pedra Francisca de La Valle. Recita con lo sguardo. Con gli occhi. Un tracciato tra Dante e Raffaello. Si possono leggere i versi che hanno un marcato rimando alle Rime e soprattutto alla Vita nova.

    Poetessa con ogni probabilità nata a Siviglia nel 1555 o 1556. Non si hanno precise notizie sulla data di morte, ma i suoi versi (siamo a conoscenza soltanto di 21 poesie tradotte in italiano dallo spagnolo, tra il semi-sonetto e un verseggiare libero) portano come data ultima il 1629. Muore, dunque, a 74 anni.

    Dall’ultima sua poesia, datata 30 ottobre del 1629, si evince una scrittura molto ferma il cui contenuto ha richiami di una tragica malinconia, tanto da far supporre che Pedra Francisca de La Valle si sia tolta la vita contemplando il mare Jonio. Sullo Jonio visse i suoi ultimi anni. Ci sono elementi che rimandano ai luoghi geografici della Magna Grecia e al mare Greco. Le sue notizie, dopo numerose ricerche, sono molto scarse. Ci è pervenuta soltanto questa minima raccolta, la cui parola, comunque, poeticamente ha un senso. Ha un titolo che è ripreso da una sua poesia: A ritornar non posso.

    Il tempo, l’amore, il tentativo di interpretare il mistero sono tre aspetti che si trovano spesso nei suoi testi. Aspetti significativi che si legano ad una costante che è il mare. Pare che la poetessa abbia lasciato all’età di 15 anni Siviglia e abbia abitato, con i genitori, una piccola casa nelle campagne di Todi, in Umbria.

    Qui, profondamente legata alla santità di San Francesco d’Assisi, dedica al Santo più di una poesia. Alcuni suoi versi fanno ascoltare l’eco di Jacopone da Todi e la speranza è un battello che accompagna la poetessa sino alla fine anche se il sentimento di morte si lega fortemente a quello dell’amore.

    Dopo Todi pare che abbia visitato la Calabria e sia stata anche in Puglia, fermandosi per alcuni anni nei pressi di Metaponto. In queste terre ha consumato gli ultimi anni della sua vita.

    La dimensione dell’amore è punto centrale nella sua poesia. Da un amore in cui la sensualità è ben marcata, si passa ad un amore contemplante, in cui la preghiera ha una forza spirituale notevole.

    La spiritualità è tutto, sembra dirci Pedra Francisca. Nella spiritualità si può vivere la bellezza. Ciò che è assente, rispetto ad un inizio francescano, sono gli elementi della natura, il dialogare con la natura, il rapportarsi con le creature e il suo cantico, perché, in fondo di cantico si tratta, hanno sia una carnalità sofferta, ovvero una fisicità, sia una ricerca interiore che trova nella luce della metafisica una chiave di lettura importante.

    È una poetessa che si è formata in un clima metà rinascimentale ma è una visione di un Rinascimento che dialoga, storicamente e culturalmente, con il Barocco. Da questo punto di vista è una poetessa che sembra anticipare anche modelli che saranno foscoliani e religiosamente annuncianti quella Grazia che sarà successivamente di Manzoni.

    È naturale che conoscesse il linguaggio e la poesia di Dante Alighieri e dei poeti provenzali. D’altronde, il Rinascimento dovrà fare i conti con il tardo Medioevo per determinare un passaggio fondamentale che è quello linguistico. Pedra Francisca de La Valle è una poetessa nel mistero di una biografia e tutto ciò che si può dire, soprattutto oggi, è ricavabile dalle 21 poesie più tre versi, di cui siamo in possesso.

    Il poeta vive oltre la sua storia ed è come se non avesse bisogno di una sua storia, ovvero di una biografia. Così è. E se è così non ci resta che leggere i suoi testi e cercare, in un costante tentativo, di penetrare quelle sue parole che hanno un senso certamente, ma sono solo le sue parole che recitano la sua vita e da questa recita si ha bisogno della fantasia per percorrere un cammino dentro il suo vissuto. In fondo a ritornar non posso senza lo sguardo che vive gli occhi…

    Poesie inedite di Pedra Francisca de La Valle

    (Le poesie sono datate 1599 – 1629)

    A ritornar non posso

    Lo sguardo…

    Lo sguardo. Gli occhi.

    Non raccogliere i miei sguardi.

    Li custodisco nei miei occhi…

    Albeggiare di notte

    Di notte, nell’albeggiare delle stelle

    Mi sovviene lo sguardo tuo,

    Come arcano,

    Nel pianto delle ombre.

    Se or ti vedo,

    Maestoso come mare,

    Le onde tue

    Hanno tempeste.

    Perché giammai

    Trafiggermi dovresti?

    Se il cor mio è in te perseverante?

    Altro silenzio,

    Io cercarti nell’assenza tua

    Per amarti.

    Nella sabbia della preghiera

    Religiosa e stanca

    Nel tempo,

    Mio Francesco, Santo d’Assisi,

    A raccontarti mio destino,

    Sul colle,

    Al vento della Croce,

    Maddalena tocca,

    Con lo sguardo di Cristo, il mio sguardo.

    Ma giammai,

    Sulle mie mani,

    Nasconderò

    Rovi di sangue.

    Ho solo Grazia

    Per la cenere dei sepolcri

    Nella sabbia della preghiera.

    La solitudine mi custodisco

    Se le terre, nei mari fluttuanti,

    Hanno scavato

    Il mio pentimento

    la solitudine mi custodisco.

    Per reggere il legno

    Ho visto il vento

    Incontro pesarmi,

    Con i suoi passi.

    Ho il viaggiare negli occhi,

    Se gli occhi

    Ascolteranno.

    Tanto pare,

    Nelle acque fresche,

    il tuo volto.

    Mi obbligherò alle partenze

    Stelle sul Mare dei Greci,

    Jonio veder la mia morte,

    Come luna,

    Senza la sera.

    Mi appiglio ai fulmini

    Del vento,

    come speranza

    di speranza apparir non so.

    Se di speranza

    Io non raccoglierò il ritorno,

    Mi obbligherò alla partenza.

    Di venti il ricordo io abito

    Più non dovrò raccontar l’isola

    Dove io non sono nata.

    Ma di nascer in terra

    Di venti il ricordo io abito.

    Perché mai dovrei

    Accogliere le lune che in ciel

    Sollevan pensieri miei

    Come spade di pietra.

    Il tempo è altro

    Se a contar le ore

    Io non finirò

    Ma la mia morte ha un silenzio ancora.

    Su queste rive di acque Greche

    Mio Santo,

    A parer del mio pregare,

    consumato ho

    le membra tutte.

    Ma su queste rive,

    Di acque Greche,

    Io perduto non ho

    Il pianto mio misero.

    Di solitudini le mie notti

    Erbe al vento volteggiate,

    Come foglie

    Di autunno,

    Appassite ormai.

    Io mistero non ho,

    Ma di solitudine

    Le mie notti

    Hanno il pianto.

    Dal Greco mar

    Dal Greco mar

    A scorgere colonne

    Di profughi acerbi

    Io ho veduto.

    Come uomini

    Nel navigar

    Ho costeggiato il destino mio

    Con gli occhi dei lamenti.

    Udite il mio pianto

    Genti,

    Che udite il pianto mio,

    A raccontar il mio destino

    Non posso.

    A pregare

    Lo strazio degli inferi,

    Per morir d’amore,

    Come in esilio ho pianto.

    Ho strappato un Padre nostro

    Sulla soglia

    Il tempo non mi ha risposto,

    E perché

    Rispondermi dovrebbe?

    Io sospesa,

    come argilla senza acqua,

    a raccogliere memorie,

    ho strappato un Padre nostro.

    Tra l’Orto degli Ulivi

    A dir di pietà

    La Grazia mi sostiene,

    Ma a voler pregare Dio mio

    Io son degna?

    Misericordia io dissi,

    Al tempo che ho tra le rughe delle mani,

    Per porgerti Dio mio

    Il mio silenzio.

    A dir di pietà

    Io ritrovarmi nei luoghi della pena non posso,

    Come luna spezzata

    Tra l’Orto degli Ulivi.

    Lo spazio di una lacrima

    Per pregare

    Io ho dono nel cantico del miserere,

    Ma giammai dovrei custodire

    Lo spazio di una lacrima.

    Come stella caduta,

    Io ho riflessi ceduti

    Alle genuflessi onde

    Di acque che recidono il giorno.

    Se il silenzio è una parola sola

    Ad amore e morte

    Ho dato la vita mia.

    Sulle rive d’orizzonti

    La pietà ha i chiodi.

    Di Cristo mi raggela la misericordia.

    Io che di misericordia ho smarrito l’altare.

    Di infedeltà ho taciuto il mio correre

    Or ora che il silenzio è una parola sola.

    Se ad esilio son destinata

    Novi sogni

    In primavere di mare,

    Io leggo

    Per le distanze dei miei esili.

    Ma se ad esilio son destinata,

    Devo pur cancellare il suono del martello

    Nelle notti di veglia riconduco

    A te la mia anima.

    Nel sonno dissipato

    A morir io penso

    Nel sonno dissipato

    Dall’alba che ha le stelle, ad una ad una,

    Come pioggia sullo Jonio.

    Ogni nebbia ha il suo parziale perdono,

    Ma se di perdono ho nel buio le voci,

    Al silenzio mi inchino

    Per le solitudini che restituisco.

    A ritornar non posso

    Camminar io devo

    Per ogni dove,

    Ché stringe d’attesa

    Amor mio diletto.

    A ritornar non posso,

    E non devo,

    Ma a cercare io domando

    Se d’amor io vivo d’amor io mi muoro.

    Il volto tuo risorto

    Oh mio diletto

    Se per cortesia io parola non ti rivolgo,

    Ozio non ti domando

    Per amor che mi duole.

    Se per troppo amore

    Mi duole il petto

    La speranza mia

    È il volto tuo risorto.

    Nello splendore tuo

    Splendea di te la bellezza tua,

    Con assorto animo

    Giungesti

    Al cor mio.

    Ma di troppo mio indugio

    Io pagai le ferite,

    Pur nello splendore tuo

    Che di tenerezza ha condito.

    Io amor domandai

    Con ardore

    Io amor domandai,

    Senza intendimento alcuno

    Mio Dio ti amai.

    Per la pietà che colsi,

    Nel triste abbandono,

    Io mi fermai con la solitudine mia

    Nel distante camminar.

    Il mio pensar nella bellezza

    A te solo rivolsi il mio mar.

    Il mio pensar nella bellezza

    Colse i miei occhi

    Negli occhi tuoi di lontananze.

    Di te rimembrar io posso

    Il fuoco della vita tua

    Che di tanto lustro

    S’animò mia vita.

    D’amor io sento

    Se misera è mia vita

    A pregarti io documento.

    E se parole non ho

    Le mani mie sono a raccogliere lo sangue tuo.

    D’amor io sento

    Nel carezzare lo corpo tuo,

    Come di bianco le nuvole vaganti,

    Pietate nell’abbraccio delle isole mie,

    Io di virtù ho pazienze nell’amor tuo.

    Veronica Franco e il duellare di sguardi

    Di processi e di menzogne i processi sono infarciti? Al canto della verità le voci della libertà si fanno trasparenze velate per tutte le inquisitorie maniere di intimidazioni. Procedere con una forma inquisitoria significa, principalmente, intimidire per poi procedere oltre.

    Il caso della veneziana Veronica Franco è dentro questa visione, la quale è un canto dantesco di vita nuova tra orizzonti metaforici e superamento di stil novo. Anche lei passò per l’Inquisizione, indicata non solo come megera, ma accusata di stregoneria e di magia. Tanto che il suo amante, durante il processo, pare che abbia gridato: Se lei è una strega lo è ogni altra donna a Venezia! (dal film a lei dedicato dal titolo Padrona del suo destino del 1998, per la regia di Marshall Herskovitz, con una Veronica Franco interpretata da Catherine McCormack . Il titolo originale è Dangerous Beauty. Il film è stato tratto dal romanzo The Honest Courtesan di Margareth Rosenthal).

    Veronica Franco era nata a Venezia il 25 marzo del 1546 e qui è morta il 22 luglio 1591. Il film racconta un guerreggiare tra versi e un amoreggiare tra amori e sensualità. Una cortigiana che ha saputo fare dell’amore una verità di vita. Ha saputo creare poesia pur in un contesto molto complesso che è quello, appunto, della caccia alle streghe. La stregoneria non era intesa come un dato maligno. Entrava nelle apparenze della visione lasciva dei rapporti.

    In un suo sonetto cantò: "Così dolce e gustevole divento,/quando mi trovo con persona in letto,/da cui amata e gradita

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