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Iris la Regina
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E-book213 pagine3 ore

Iris la Regina

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Info su questo ebook

Dopo essere scampato, fortunatamente ma anche coraggiosamente, ad un altro tentativo di assassinio, Iris sembra finalmente vivere una vita tranquilla, soltanto drammatizzata dalle sue passioni, non completamente corrisposte, nei confronti di una certa biondina...

Ma due personaggi, risorti dal suo passato movimentato, lo seguono in segreto.

(I fantasmi del passato ci raggiungeranno sempre.)

Su questo sfondo, nel cuore di una persona inaspettata, nasce un duplice amore, una passione che finirà per coinvolgere anche il nostro ricciolino e che segnerà quest’ultimo per sempre.

Ma chi sono questi loschi figuri che spiano Iris?

Starà a lui di scoprire se questi siano amici o nemici, così come starà a voi di scoprirlo…
LinguaItaliano
Data di uscita5 mag 2020
ISBN9788831672153
Iris la Regina

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    Anteprima del libro

    Iris la Regina - Max Careddu

    Iris la regina - 4° episodio.

    Premessa

    In questo racconto, quando si parlerà d’Iris, si userà talvolta il genere maschile e talvolta quello femminile, secondo la situazione del momento e secondo le esigenze della sintassi.

    Scampato alla naja.

    Vanni guardava il traffico, voltando le spalle al bancone del bar.

    Si sentiva fuori fase e, come diceva la canzone che la radio trasmetteva in quel momento, si sentiva anche fuori stagione.

    Di lì a poco tempo, lui avrebbe compiuto diciotto anni; stava appena uscendo dall’adolescenza, eppure, nella sua mente era già autunno, come se la sua giovinezza fosse ormai lontana dietro di sé.

    Forse incitato dalla canzone, si voltò verso la signora bionda del bar, ma costei non lo degnò di un mezzo sorriso.

    Nonostante ciò, appollaiato sullo sgabello, troppo alto per il suo metro e cinquantacinque di statura, Vanni si stava godendo il momento, sorseggiando una porcheria americana che odorava di liquido di raffreddamento per motori.

    La cosa non sembrava disturbarlo più di tanto, date le sue doti di meccanico.

    Il ragazzo era appena uscito dalla caserma, dove si era presentato quella mattina per la visita di leva.

    In barba all’esercito, se l’era scampata dalla naja, felicitandosi di non avere ascoltato le esortazioni di sua madre, quando gli diceva: Mangia la minestra che diventi grande, oppure: Non fumare, ché poi non cresci più.

    Eppure, anche se non voleva ammetterlo, in fondo era un po’ deluso.

    Forse, il servizio militare sarebbe stato la sua ultima speranza di fare qualcosa della sua vita. 

    Tirando le somme, realizzava di non saper fare un granché, a parte scippare borsette o rubare nelle automobili qualche spicciolo e qualche oggetto da rivendere. O meglio: sapeva truccare i motori delle due ruote, ma non gli era mai venuto in mente di farne un mestiere.

    Inoltre, non gli sarebbe dispiaciuto d’imparare a combattere per fini esclusivamente personali; in quel modo, forse, avrebbe anche sviluppato una dote che gli aveva sempre fatto difetto: il coraggio.

    Ne aveva abbastanza per compiere i suoi misfatti, ma forse quella era più sfrontatezza, incoscienza e gusto per qualche istante di adrenalina.

    No, quello non si poteva davvero chiamare coraggio: infatti, compiuti i suoi atti illeciti, la prima regola era sempre stata quella della fuga vigliacca.

    Gli tornò in mente la drammatica notte del 1° di novembre di alcuni anni addietro, di cui aveva conservato qualche immagine e, soprattutto, due suoni impressi nella sua memoria: un botto e uno schiocco, poi la scena del suo amico e capobranco Mauro, steso a terra, con un dardo conficcato nella gola.*

    (* Vedere Le notti d’Iris, primo episodio dell’opus.)

    Poi ancóra: qualche immagine fugace della corsa fuori dal cimitero, il fanale del ciclomotore che illuminava tetramente i tornanti, in quella folle discesa verso il villaggio…

    Insieme a quelle immagini rimaneva una sensazione sgradevole che non era paura, bensì vergogna per essersi comportato con opportunismo e vigliaccheria, pensando solo a fuggire e ad evitare altri guai, abbandonando al suolo l’amico ferito e quello che era stato tramortito dalla guardiana del cimitero.

    All’epoca aveva giustificato quel comportamento, considerandolo come un normale istinto di sopravvivenza, ma adesso vedeva quell’avvenimento come un atto mancato, sentiva di avere un conto in sospeso nei confronti di quella strana creatura che aveva ucciso Mauro.

    Improvvisamente, si accorse anche di provare un sentimento di vendetta, fino a quel momento quasi dimenticato, nei confronti della gurdiana del cimitero.

    Era stata quella terribile donnina corpulenta, dai capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, a menare padellate contro di lui ed il suo amico Marco, mentre stavano fuggendo.

    Soprattutto, Vanni si era sempre sentito in colpa per avere abbandonato anche l’amico Nello, che, mentre loro davano la caccia al ragazzino, era rimasto nella casa dei guardiani del cimitero, per sorvegliare proprio quella donna dalla padella facile.  Aveva saputo, più tardi, che il suo compagno era stato tramortito da lei e che poi era finito in prigione.

    Non aveva nemmeno avuto il coraggio di andare a trovarlo durante la detenzione, non sapeva nemmeno se al momento fosse uscito di prigione o se fosse ancóra in cella.

    Ad ogni modo, essendo stato ancóra minorenne fino a pochi giorni addietro, Vanni non sapeva nemmeno se l’avrebbero lasciato entrare in parlatorio.

    Dopo quella notte maledetta, non era più tornato nel bar del signor Ferdinando, il loro punto di ritrovo; si era vergognato troppo per mostrarsi di fronte all’unico camerata rimasto del gruppo: Marco, di tre anni più grande di lui e braccio destro di Mauro.

    Aveva voglia di tornare in quel cimitero e riprendere la faccenda dal punto in cui si era interrotta, forse per vendetta, forse per raddrizzare una cosa andata storta e finire un lavoro non finito, forse anche per provare infine un po’ di orgoglio.

    Non poteva negare di essere spinto anche dalla curiosità: chi diavolo era, da dove era sbucato quel mostriciattolo bianco che aveva ucciso Mauro con un dardo?

    Ma perché quell’impulso improvviso, dopo tanti anni?

    La risposta gli si accese improvvisamente nella mente: il tempo guarisce ogni ferita, ma nella brace del risentimento cova il fuoco della vendetta.

    Si, per festeggiare di essere scampato alla naja, si sarebbe offerto il regalo di andare a dare un’occhiata al cimitero, per vedere come fosse la situazione, elaborare un piano ed eventualmente agire.

    Appostamento nella foresta.

    Il ciclomotore faticava ad arrampicarsi sui tornanti della strada che conduceva al cimitero.

    Il calzolaio è sempre quello peggio calzato: lui aveva trafficato sui ciclomotori di tutto il quartiere, ma non aveva mai avuto voglia di mettersi a lavorare sul suo.

    Nel buio appena rischiarato dal povero fanale, Vanni aveva la sensazione di avere già vissuto quel momento, gli sembrava di vedere intorno a sé i fantasmi dei suoi tre compari.

    Quelle presenze gli davano più coraggio, mentre lasciava il motorino appoggiato ad un muretto in pietra e percorreva a piedi l’ultimo tornante.

    Gli era costato alquanto, di essersi alzato prestissimo e di avere percorso i chilometri che separavano il quartiere malfamato, nel capoluogo, da quel piccolo cimitero, eppure la sua curiosità lo convinse che ne sarebbe valsa la pena.

    Allorché il giorno non era ancóra sorto, alla luce di una torcia elettrica, s’inoltrò nel bosco, dirigendosi verso il cimitero. Si nascose fra i cespugli e riconobbe la facciata della casa dei guardiani, tornando penosamente con la memoria a quel 1° di novembre di anni addietro.

    Attraverso il cancello s’intravedevano i lumini che rischiaravano tetramente le tombe.

    Non sapeva quanto tempo avrebbe dovuto aspettare né che cosa precisamente stesse aspettando, poiché non aveva un piano preciso.

    Per il momento, intendeva sorvegliare e raccogliere informazioni.

    Soprattutto, voleva sapere se ci fossero dei cani a guardia del cimitero, ma, probabilmente, non doveva essere il caso, altrimenti l’avrebbero già individuato.

    A meno che non ce ne fossero nella casa dei guardiani…

    Per far passare il tempo si mise ad ascoltare un po’ di musica con gli auricolari ed accese una sigaretta, facendo attenzione a non rivelare la sua presenza,

    regolando la fiamma dell’accendino al minimo e coprendone con il berretto il bagliore.

    La notte era fresca ma si era premunito, indossando i pantaloni di una tuta da ginnastica sotto i jeans e il giubbotto imbottito di piume d’oca, rubato a…non si ricordava più a chi.

    Ciò che lui poteva temere, più del freddo, era il buio lugubre della foresta, al quale non era abituato, poiché il suo territorio di caccia si era sempre limitato alla città ed alle zone residenziali della periferia.

    Era già alla seconda sigaretta quando le luci nella casa dei guardiani si accesero. Guardò l’orologio: le lancette fluorescenti indicavano le sei e un quarto.

    Dieci minuti più tardi, vide una delle finestre aprirsi sulla facciata esterna della casa.

    Nel riquadro giallastro apparve una sagoma scura dalla folta capigliatura, probabilmente una ragazzina.

    Immediatamente si sentì a disagio: sembrava che, dalla finestra, la figura lo stesse fissando.

    Pensò che la sua fosse autosuggestione, poiché a quella distanza, ben nascosto com’era fra i cespugli, nel buio del bosco, era impossibile farsi scoprire.

    Ma Vanni aveva dimenticato di prendere in conto la direzione del vento e, malgrado tenesse il berretto davanti al lumino della sigaretta, non si accorse che il fumo andava proprio verso la casa.

    Prima di consumare la colazione, Iris, attraverso la finestra aperta, guardava la notte e le sue stelle che si accingevano a sbiadire nell’alba.

    Ma, quella mattina, c’era qualcosa d’insolito nell’aria: alle sue narici di animale selvatico, la brezza portava un odore di fumo.

    Il cielo era limpido e non si scorgeva alcunché che facesse pensare ad un fuoco di campagna o ad un incendio, inoltre Iris conosceva bene quell’odore chimico, sgradevole e pungente: era un odore di fumo di sigaretta.

    Chi poteva trovarsi vicino al cimitero, a quell’ora?

    Certamente non un visitatore, poco probabilmente un passeggiatore.

    Lì intorno c’erano solamente foreste, prati e rocce.

    - Lo senti questo odore? - disse ad Alina, che ancóra si stava stiracchiando, fra uno sbadiglio ed un altro.

    Lei si avvicinò ed annusò l’aria, poi posò il nasino appuntito sui capelli del ragazzino.

    - Certo che lo sento, è il profumo più buono del mondo... – gli mormorò all’orecchio, sfiorandogli poi il collo con le labbra morbide e carnose.

    Iris si contorse come un gattino coccolato e sorrise.

    - Ma no, lo senti questo odore di sigaretta? -

    - Sigaretta? Chi può fumare qui a quest’ora? È ancóra presto per una visita al cimitero. Anche per andare per funghi. E poi io non sento fumo. -

    - Io lo sento, c’è qualcuno qui intorno. -

    - Sarà l’odore dei lumini sulle tombe. Oggi soffia una leggera brezza da est. -

    - No. Conosco l’odore dei lumini, sa di cera. Questo è diverso: è fumo di sigaretta. Viene da quella direzione. Scommetto che è nella foresta, non molto lontano dall’entrata del parcheggio. -

    - Da che parte? -

    - A destra, dove finisce la strada, al margine del bosco. -

    Alina era tentata di tranquillizzare il fanciullo, di minimizzare le sue sensazioni, ma sapeva che Iris aveva dei sensi e degli istinti animali che gli facevano sentire e prevedere cose che lei nemmeno immaginava.

    Inoltre, avevano già ricevuto la visita indesiderata di quel Nello*, chissà che a qualcun altro non venisse in mente di ripetere quella stupidaggine?

    (* Vedere I segreti d’Iris, terzo episodio dell’opus.)

    - Adesso lo sento anch’io. Vado ad armarmi di padella. Anzi, ne prendo due. -

    - Io esco, chiuditi in casa dopo che sono uscito. -

    Alina lo guardò, angosciata:

    - No, Iris, ti hanno già ferito una volta, non voglio rivivere quell’incubo! -

    - Non preoccuparti, quella volta mi hanno colto di sorpresa, questa volta sarò avvantaggiato dalla foresta, sarò io il cacciatore. -

    Le diede un bacino sulle labbra e andò a prelevare, dall’armadio, la balestra del nonno e la sacca che conteneva i dardi.

    Intanto che c’era, indossò il suo telo mimetico, quello che da bambino aveva ricoperto di fronde di plastica, rubate alle piante finte di casa.*

    ( *Vedere Le notti d’Iris, primo episodio dell’opus.)

    Uscì dalla porta posteriore, attraversò il cimitero e si diresse verso il muro del lato ovest; si arrampicò sull’edera che ricopriva la cripta sovrastata dall’angelo in agonia, poi, sempre aggrappandosi all’edera, si calò all’esterno del muro di cinta.

    Ricoprì il viso e il dorso delle mani con della terra umida e s’inoltrò nella foresta, prendendo come riferimento la direzione dalla quale aveva sentito provenire l’odore di fumo.

    Decise di compiere un giro molto largo: avrebbe contornato la preda, prendendola poi alle spalle.

    Vanni aveva spento l’ultimo mozzicone di sigaretta, aspettando di vedere uscire gli obiettivi.

    Aveva intenzione di seguirli e studiare le loro abitudini, per stabilire un piano d’attacco.

    Se c’era una ragazzina in quella casa, probabilmente sarebbe andata a scuola.

    Lui voleva sapere chi fosse quella persona e dove andasse.

    Mentre rifletteva a tutto questo, l’immagine che aveva visto poc’anzi alla finestra si sovrappose a quella che, per più di tre anni, la sua mente aveva quasi rimosso: una creaturina, eretta su una cripta ricoperta d’edera, un fantasmino bianco con il volto spiritato, in cui due occhi neri come la morte lo fissavano, mentre la capigliatura folta e riccioluta ondeggiava al vento.

    Era quell’apparizione che aveva ucciso Mauro, lanciandogli un dardo nella gola.

    Ma, allora, quella figura che aveva appena visto alla finestra...

    In quel momento, alle sue spalle udì, pericolosamente vicino, un orrendo ululato, lugubre e rauco, come quello di un lupo affamato o ferito.

    Senza nemmeno rendersene conto, schizzò in piedi ma rimase lì, in preda all’indecisione, senza sapere dove scappare.

    Con quel buio si sarebbe sicuramente schiantato contro un albero, oppure sarebbe rimasto impigliato in qualche cespuglio.

    Peggio ancóra, rischiava di perdersi nella foresta, oppure di cadere in un crepaccio! Non poté fare altro che riaccendere la torcia e cercare di tornare sui suoi passi.

    Aveva già udito quell’ululato, la notte in cui avevano dato la caccia a quel fantasma nel cimitero, già allora ne era rimasto terrificato.

    Malgrado il panico, riuscì ad orientarsi e ritrovò il cammino.

    Per non mostrarsi agli inquilini della casetta, contornò la strada situata di fronte all’ingresso del parcheggio, passando a valle di questa, poi risalì e corse sull’asfalto, verso il muretto in pietra dove, un po’ più giù, aveva lasciato la sua cavalcatura.

    Iris rimase interdetto, per non dire stizzito.

    Vide una luce muoversi fra la vegetazione: dunque aveva avuto ragione, c’era qualcuno nella foresta.

    L’idiota gli stava rendendo le cose più facili, rivelandosi con quella torcia elettrica: a lui non restava che seguire la luce.

    Forse, però, le cose erano fin troppo facili… tutto ciò era sospetto.

    E se quella torcia elettrica fosse stata una trappola?

    E se stessero cercando di attirarlo verso la luce, per tendergli un agguato?

    Decise di tornare indietro e di lasciare perdere la faccenda.

    Vanni raccolse il ciclomotore e stava già per accendere il motore, quando un ultimo soprassalto di razionalità lo fece decidere diversamente.

    Si, lui era stato colto di sorpresa, ma, in fin dei conti, di che doveva avere paura?

    Se chi aveva ululato era la stessa creatura apparsa sul tetto della cripta, in quella notte di caccia nel cimitero, essa non poteva essere un fantasma, poiché il dardo che aveva scagliato era stato ben reale e mortale.

    Semmai, più che di un fantasma, era quella la cosa di cui avrebbe dovuto avere paura: gli tornò in mente il dardo che aveva trafitto la gola del suo amico Mauro, scoccato praticamente alla cieca, poiché il tiratore era stato abbagliato dalle torce elettriche puntate contro il suo volto.

    Quel demonietto era pericoloso, una forza della natura, che avrebbe anche potuto scagliargli un dardo a sangue freddo.

    Alla brutalità doveva reagire con l’intelligenza: aveva dovuto scappare per mettersi al sicuro dai dardi, ma sarebbe rimasto ancóra nascosto nei paraggi per continuare l’osservazione.

    Se la persona apparsa alla finestra doveva andare a scuola, avrebbe per forza dovuto passare di lì e lui l’avrebbe seguita.

    Se questa era anche la creatura che aveva ucciso Mauro, non poteva mica andare a scuola portandosi appresso la balestra!

    Già, ma una persona così stramba e selvaggia, avrebbe potuto essere ammessa in una scuola?

    Magari viveva rinchiusa nel cimitero, come una creatura anormale che non si potesse mostrare al mondo.

    Ma la cosa non importava, era salito fin lassù e tanto valeva aspettare ed osservare.

    Spingendo il veicolo a motore spento, scese fino allo spiazzo che costeggiava la strada per il cimitero, un paio di tornanti più in basso, poi nascose il motorino dietro a dei cespugli e si acquattò nel buio.

    Ripensò a quella notte drammatica, quando, tornando

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