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L'amica ritrovata
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E-book335 pagine5 ore

L'amica ritrovata

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Info su questo ebook

 Dopo un incidente ad opera di un pirata della strada, Sara inizia un intenso percorso riabilitativo, dell’anima prima e del corpo poi. Alla ricerca di se stessa e della completa guarigione fisica, trascorre lunghi mesi di degenza in una rinomata clinica della Capitale. A causa di un’incipiente crisi depressiva, la donna non ha più memoria del passato, a partire da quel terribile giorno e andando a ritroso nel tempo. L’unica cosa che sa è di essere amorevolmente assistita dal proprio consorte, Albert, uomo facoltoso quanto imprevedibile, che, con l’obiettivo di farla rientrare nel pieno possesso delle facoltà mentali, le organizza degli incontri settimanali con il suo scrittore preferito, Tom Beretta, quale terapeuta letterario. A questi viene affidato l’incarico di scrivere e leggere, in tempo reale, un nuovo romanzo, esclusivamente per la sua “paziente” speciale.
   Tom e Sara intraprenderanno quindi un cammino insieme, che li porterà alla scoperta delle proprie intime debolezze, le quali ben presto si trasformeranno in punti di forza per rinascere a nuova vita, basata solidamente sulle radici della gioventù e proiettata verso un futuro dalle mille incognite.
   Una storia di oblio, che farà riaffiorare nei protagonisti, e non solo, il ricordo di scomode verità, taciute per troppo tempo alle loro coscienze.

 
LinguaItaliano
Data di uscita18 feb 2020
ISBN9788868228903
L'amica ritrovata

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    Anteprima del libro

    L'amica ritrovata - Rocco Cosentino

    Collana

    Deluxe

    ROCCO COSENTINO

    L’amica ritrovata

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore – Cosenza – Italy

    Stampato in Italia nel mese di febbraio 2020 per conto di Pellegrini Editore

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) – 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 – Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    A Maria, Carmine, Matteo…

    Parte prima

     IL DRAMMA

    Roma, 1° luglio 2019, ore 2:00

    Di solito si dice che un abisso separi la ragione dal sentimento. A volte è vero, altre no. Tom aveva sempre creduto che molto labile fosse la linea di demarcazione tra affetto e amore. A suo dire, si trattava di due facce della stessa medaglia. Lo aveva sempre pensato, tanto da metterlo nero su bianco: proprio così, lo aveva scritto più volte a chiare lettere in tutte le sue pubblicazioni. Si trattava di romanzetti a sfondo romantico, una sorta di trasposizione su carta di tutto quello che avrebbe voluto dalla vita e che la vita gli aveva sempre negato.

    Il weekend appena trascorso era stato davvero pesante. Erano quasi le due di notte e ancora non riusciva a darsi una spiegazione per il terribile errore di valutazione commesso qualche giorno prima.

    Se ne stava sdraiato su un letto rammollito di una stanza al quinto piano di un hotel della Capitale. Le fitte lancinanti che sentiva alla schiena erano certamente dovute a una furente scazzottata, e non al materasso di quart’ordine che invano aveva tentato di farsi sostituire durante i fine settimana trascorsi in quell’albergo nell’ultimo anno. Cercò di darsi forza, appoggiando la mano destra sul comodino, giusto quel po’ che gli desse la spinta necessaria per abbandonare l’umile giaciglio e infilarsi sotto una doccia ghiacciata.

    Grande fu il suo stupore quando si accorse che la mano aveva fallito la presa, andando invece a impattare con un altrettanto gelido oggetto: il revolver che portava sempre con sé a scopo di difesa personale. Aveva preso questa abitudine da quella volta che, di ritorno dalla presentazione di un suo libro in un’elegante libreria vicina ai navigli di Milano, era stato vittima di un tentativo di rapina da parte di quattro balordi. Con la scusa di farsi offrire una sigaretta, avevano tentato di impossessarsi del contenuto della borsa a tracolla. Vano fu il tentativo di spiegare agli assalitori che il suo status di scrittore fallito non avrebbe soddisfatto le loro velleità di tornarsene a casa con un bottino di tutto rispetto. Tuttavia, quando sbatté loro in faccia l’ultima pubblicazione a mo’ di scherno, i quattro energumeni (nel senso letterale del termine, visto che sembravano infestati dal diavolo), con giusta causa, gli sputarono in faccia, non perdendo occasione di ricordargli dove avrebbe potuto infilarsi i suoi libri di merda.

    A quel punto cercò di fare mente locale e capire il motivo per cui, oltre ad avere i chiari sintomi di una sbornia (come peraltro testimoniava una bottiglia di tequila vuota, riversa sulla scrivania di fronte al letto), non avesse riposto la pistola nel borsello con tanto di sicura inserita. Per venire a capo del dilemma, iniziò a passarsela da una mano all’altra, con la speranza che quell’insolito rituale lo aiutasse a far luce sull’enigma. Fu solo quando vide tutti i proiettili sulla sudicia moquette che iniziò ad avere qualche sospetto. I suoi timori si trasformarono in certezze allorché, contandoli, si accorse che uno mancava all’appello. D’istinto guardò sotto il letto, ma ben presto le sue facoltà cognitive iniziarono ad avere la meglio sulle conseguenze dell’abuso alcolico di quella notte, inducendolo a controllare se il proiettile mancante fosse ancora inserito nel tamburo dell’arma: e questa fu la tremenda verità che gli venne sbattuta in faccia, alla stregua di un conto che la vita gli aveva presentato (in combutta con la morte), e che lui, per non si sa quale fortunata coincidenza, aveva deciso di non onorare. Fino a quel momento la roulette russa aveva rappresentato ai suoi occhi il simbolo di tutti gli azzardi ludici che inducevano l’uomo alla perdizione. Adesso un proiettile solitario, all’interno del fidato revolver, rappresentava il testimone di un assurdo gioco che aveva ingaggiato con il destino, da cui evidentemente ne era uscito vincitore. Come un fulmine a ciel sereno, gli balenò in mente la scena in cui, dopo aver premuto il grilletto mentre la canna della pistola era appoggiata alla tempia, il rumore prodotto era stato fortunatamente un semplice click piuttosto che quello tipico di una detonazione che non gli avrebbe lasciato scampo.

    Non fece in tempo a maledire la decisione presa qualche ora prima di affogare le delusioni nell’alcol, che la sua attenzione venne destata da un suono a lui non familiare. A squillare era stato il telefono fisso; cosa alquanto insolita, visto l’orario e tenuto conto che, con l’avvento dei cellulari, i telefoni degli hotel erano ormai diventati meri ricettacoli di germi.

    All’altro capo della cornetta riconobbe la voce stridula del portiere di notte, di origini indiane ma con una marcata inflessione da burino di periferia. L’interlocutore, dopo essersi scusato per l’orario, gli chiese il permesso di passargli la telefonata di un certo Albert, presentatosi quale suo amico, che avrebbe dovuto riferirgli una notizia importante.

    Ascoltare quel nome ebbe l’effetto di riportarlo alla realtà, facendogli ricordare per filo e per segno come aveva trascorso gli ultimi giorni del soggiorno romano. Il primo pensiero non poté che essere di morte. Non tanto e non solo di una esistenza che si era irrimediabilmente consumata, ma quanto di caduta nell’oblio di tutto ciò che fino a quel momento era stato per lui un’ancora di salvezza, pur nella tragicità del contesto in cui si era appalesata al suo cospetto.

    «Tom, Tom! Ascoltami, per favore…»

    «Dopo tutto quello che è successo, pensavo che l’ultima volta che ci saremmo rivisti sarebbe stata al mio funerale. Evidentemente, e per fortuna, mi sbagliavo.»

    «Tom… si è risvegliata. Capisci? Sara ha riaperto gli occhi!»

    La telefonata si interruppe bruscamente… per volere di Tom, anche perché il suo corpo, oltremodo debilitato, aveva ricevuto il colpo di grazia perdendo i sensi. Fu solo una fortunata coincidenza se, cadendo a terra, aveva sfiorato di quel tanto il comodino di marmo consentendogli di non pagare un conto ancora più salato, triste epilogo di un’avventura, iniziata oltre un anno prima, che aveva ormai preso una piega del tutto inaspettata.

    Un valente regista avrebbe immortalato quella scena da film con un primo piano del volto riverso a terra, metà a contatto con la moquette e l’altra metà con lo sguardo rivolto verso la telecamera. Con occhi aperti e respiro ansimante, quasi che, in stato di incoscienza per la notizia appena ricevuta, non si rassegnasse a perdere i contatti con una realtà che, seppur cruda e fredda come il metallo dell’arma con cui poco prima aveva attentato alla sua vita, sembrava aprirsi a scenari del tutto inaspettati… per se stesso e per Albert, l’ineffabile marito di Sara, che solo qualche giorno prima aveva tentato di mandarlo all’altro mondo. E non gli si poteva dar torto, visto che aveva sorpreso il suo ex amico, in cui aveva riposto le ultime speranze di risveglio dal coma della consorte, mentre tentava di baciarla in punto di morte.

    Torino-Roma, quattro giorni prima

    Ormai aveva preparato tutto nei minimi dettagli. Era quasi un anno che faceva quella vita e niente sarebbe potuto andare storto. Aveva verificato più volte che le prenotazioni dei Frecciarossa Torino-Roma A/R fossero state fatte agli orari previsti. Ormai non controllava più nemmeno il trolley. Gli sarebbe bastato, una volta ritornato a casa, portare gli indumenti sporchi in lavanderia, rimpiazzarli con altri puliti e il gioco era fatto. L’indispensabile per l’igiene quotidiana era sempre pronto per l’uso nell’apposita pochette; avrebbe dovuto solo accertarsi che il dentifricio e il deodorante non si fossero esauriti.

    Tom, che era stato sempre mattiniero, decise di occupare quelle poche ore che gli restavano, prima di prendere il treno per Roma delle 8:00, revisionando il dodicesimo capitolo di quella che, a tutti gli effetti, poteva essere definita la sua prima opera su commissione. Era convinto di aver dato tutto il meglio di sé e di poter continuare a farlo finché gliene fosse stata data l’occasione e finché la sua memoria non si fosse inaridita nel diuturno sforzo di riportare a galla i dettagli di un passato che mai più sarebbe ritornato. Non si trattava di inventare di sana pianta una storia di fantasia, infiocchettarla con qualche vocabolo ricercato, darle lustro con un paio di metafore originali e offrirla in pasto ai lettori. No, questa volta no! Non sarebbe più caduto nell’errore di credere di sapere cosa piacesse e cosa no al grande pubblico dei divoratori di libri. Anche perché gli era stato semplicemente richiesto, dietro adeguato compenso e previo congruo anticipo di denaro, di scrivere un romanzo e di leggerlo, di settimana in settimana, capitolo dopo capitolo, al capezzale di una donna nel fiore degli anni, che, in seguito a un incidente stradale, era sprofondata in uno stato di incoscienza vigile, così come avevano sentenziato i medici. In pratica, ripresasi dalle fratture riportate, la dolce Sara aveva dovuto intraprendere un lungo percorso riabilitativo fisico e psicologico in una lussuosa clinica privata alle porte di Roma, una maestosa struttura finanziata da un colosso dell’industria farmaceutica mondiale. Per fortuna, Albert, suo marito, pur se affermato dirigente di una compagnia assicurativa che si occupava di brokeraggio su scala mondiale, aveva ereditato l’ingente patrimonio milionario del padre, amministratore delegato per più di un decennio di quella stessa azienda che adesso forniva le migliori cure alla sua amata.

    Tom, prima che si facesse troppo tardi, si mise al portatile e aprì il file del romanzo. L’ultimo capitolo scritto era abbastanza corposo: uno dei più lunghi, avvincenti e romantici. Aveva raccontato il giorno del primo bacio tra i protagonisti della storia. Lo aveva ambientato verso la fine degli anni Ottanta, sulle spiagge calabresi della Costa Viola. I due si trovavano in vacanza in un lussuoso albergo con accesso diretto al mare, che oggi definiremmo resort ma che, all’epoca, era stato catalogato come un quattro stelle di fascia medio-alta. Una struttura turistica frequentata da quella borghesia settentrionale che aveva voglia, per un mese l’anno, di riprendere i contatti con la natura, lasciandosi alle spalle il clima grigiastro e insalubre delle ricche città industriali.

    La parte centrale di quel capitolo era stata riservata alla descrizione di una gita in barca che i due innamorati, poco più che quindicenni, avevano fatto all’insaputa delle rispettive famiglie. Fossero stati in una località turistica della riviera romagnola, qualche attempato bagnino puntiglioso avrebbe avuto da ridire sul fatto che due ragazzini si fossero presentati da lui, con una banconota da cinquantamila lire in mano, chiedendo i suoi servizi e il massimo della discrezione. I piccioncini però si trovavano in Calabria. Il gommone che avrebbe ospitato quell’innocente fuga d’amore era di proprietà dell’amico Carlo, il figlio del proprietario dell’albergo dove alloggiavano. Aveva deciso di riservare una maniacale attenzione alla descrizione di quei posti incantevoli, non per mera vanità di scrittore ma solo perché sperava che Sara, l’unica e sola persona che avrebbe ascoltato dalla sua viva voce la lettura del romanzo, potesse non solo immaginarsi le scene ma anche avere la percezione olfattiva dell’aria di spensieratezza che i due giovani respiravano, unita all’odore della salsedine, che inebriava i loro corpi mentre sfrecciavano sulle acque del Tirreno. Un viaggio romantico durante il quale si sarebbero lasciati alle spalle un mare blu, tendente al viola, con una costa frastagliata alla propria sinistra, quasi completamente inaccessibile da terra a causa di un colosso roccioso messo lì dalla natura quasi a volerla preservare dalla contaminazione dell’uomo.

    Lanciò uno sguardo all’orologio del laptop. Non aveva più tempo. Sarebbe stato meglio chiudere tutto e prendere un taxi fino alla stazione Porta Nuova; le ultime correzioni le avrebbe fatte direttamente in treno. Avrebbe stampato il testo con la stampante di un ufficio della clinica che Albert gli aveva messo a disposizione.

    E così fece. Nel giro di cinque ore, con circa venti minuti di ritardo per traffico sulla linea ferroviaria, arrivò alla stazione Termini. Come al solito c’era ad aspettarlo Albert. Tra i benefit del contratto vi era incluso anche il viaggio del giovedì in automobile dalla stazione fino alla clinica, e quello di ritorno del lunedì dall’albergo fino alla stazione.

    A parte la solita domanda di cortesia se avesse viaggiato bene, Albert non aveva mai dimostrato particolare propensione al dialogo. Quella volta però fece un’eccezione, chiedendogli qualche anticipazione su cosa avrebbe letto alla moglie. Su precisa indicazione dei medici, infatti, alle sedute della cosiddetta terapia letteraria non era ammessa la presenza di terze persone. A dire dei sanitari, solo in assenza di volti conosciuti e familiari, Sara avrebbe potuto ricreare le giuste condizioni affinché, sotto la spinta emotiva del racconto che gli veniva declamato, si riproducesse terreno fertile nella sua mente. I famosi cassetti della memoria si sarebbero così potuti riaprire definitivamente. Purtroppo però, quella singolare terapia, fino a quel momento, non aveva sortito gli effetti sperati. All’ovvio interrogativo se la colpa fosse dei medici o delle sue scarse capacità letterarie, Tom non era riuscito, o forse non aveva voluto, darsi una risposta.

    Arrivarono in clinica dopo un avventuroso slalom nel traffico cittadino. Di fronte alla porta scorrevole dell’ingresso, vennero assaliti da uno stuolo di medici. Dall’espressione dei loro volti era chiaro che ci fossero delle novità sulle condizioni di Sara. Sebbene durante i primi mesi di degenza fosse molto dimagrita, i muscoli atrofizzati e la parte destra del corpo intorpidita, la riabilitazione, molto lentamente, aveva prodotto gli effetti sperati. Odiava il suo aspetto cadaverico e spesso commentava con il marito il fatto che la brutta avventura l’aveva invecchiata di almeno quindici anni. Albert, molto sinceramente, aveva sempre continuato a ripeterle che, nonostante tutto, era sempre bellissima. C’è da dire che, se da un lato aveva recuperato una forma accettabile in tempo record, anche grazie a un programma di cure fisioterapiche che non aveva eguali in nessun’altra struttura sanitaria d’Italia e forse d’Europa, quella psicologica non aveva segnato grossi passi in avanti. Non solo: durante i mesi di degenza, oltre a non ricordare il proprio passato, riuscendo a stento a riconoscere il proprio consorte, Sara era caduta in uno stato depressivo che aveva reso ancora più ostico il lavoro di Tom. D’altronde, i medici avevano suggerito di giocare quella carta proprio perché le altre cure, tradizionali e sperimentali, a cui era stata sottoposta, erano miseramente fallite. Ufficialmente era ancora ricoverata per la cura di uno stato depressivo che necessitava di controlli continuativi da parte dei sanitari, ovviamente con il non dichiarato scopo di impedire eventuali atti autolesionistici.

    Ad accoglierli e a prendere la parola per primo fu il primario del reparto di psichiatria. In maniera molto professionale, ma non per questo senza il giusto tatto, riferì ad Albert che la moglie in mattinata aveva avuto una crisi più grave delle altre, rendendo necessario un massiccio intervento di sedazione. Alla giusta richiesta del marito di andare al dunque, il dottore spiegò che la signora era entrata in uno stato di sonno profondo di cui nemmeno loro sapevano spiegarsi la natura.

    «Mi sta dicendo che è in coma?»

    «Tecnicamente non può dirsi in coma. Stiamo monitorando la situazione e tutti i parametri vitali.»

    «Scusate se mi intrometto: è possibile che questo stato sia solo l’effetto dei sedativi?» proruppe Tom, ormai quasi uno di famiglia e quindi legittimato ad ascoltare e ad intervenire durante i bollettini medici.

    Albert fece finta di non aver sentito le parole dell’amico e si diresse subito verso la stanza di Sara, in una sorta di corsa a ostacoli tra rampe di scale, ascensori e zone ad accesso riservato. Quando finalmente la raggiunse, la vide in compagnia di un’infermiera, attaccata a un macchinario in un reticolato di tubi e tubicini. Che quello strumento emettesse una serie di suoni costanti a intervalli regolari, lo fece ben sperare. Si avvicinò alla moglie e le prese la mano. Nel frattempo l’infermiera si allontanava.

    Poco dopo arrivò anche Tom. Entrò senza chiedere il permesso. Appoggiò una mano sulla spalla di Albert e cercò di attingere a tutta la sua fantasia di scrittore per cercare di mettere, una dietro l’altra, qualche parola che formasse un pensiero di senso compiuto e che si adattasse al contesto.

    «Una volta ho letto un saggio sulla depressione alla ricerca di spunti per un mio romanzo, e ho scoperto che…»

    Albert fu molto acido con una battuta forse poco consona al momento: «Delle tue letture non so proprio che fare in questo momento!»

    Tom comprese benissimo il suo stato d’animo, fece finta di non aver capito e continuò il discorso, spiegandogli che non doveva sentirsi in colpa, visto che, a volte, tali forme depressive hanno una base genetica e pertanto sfuggono a ogni forma di controllo e prevenzione.

    «Tu sei qui per lavorare. Fai quello che devi fare e poi ne riparliamo.» Albert si allontanò per andare a chiedere altri chiarimenti al primario.

    Tom avvicinò una sedia al letto, si sedette portando la borsa di pelle sulle gambe. A quel punto si rese conto che non aveva ancora stampato l’ultimo capitolo revisionato in treno. Era sul punto di lasciare Sara per andare nella stanza a lui riservata, ma si bloccò, accorgendosi che non aveva tempo da perdere. Le condizioni sarebbero potute peggiorare da un momento all’altro, e lui teneva tanto a farle conoscere l’ultimo parto della sua fantasia. Avrebbe provveduto leggendo direttamente sul portatile. I termini del contratto con il marito erano stati chiari: lui si impegnava a scrivere un romanzo dello stesso genere dei quattro già pubblicati, la cui lunghezza sarebbe dipesa da come Sara avrebbe risposto psicologicamente. A conclusione del lavoro, suo unico obbligo sarebbe stato quello di consegnare personalmente la copia zero a Sara, a cui avrebbe riservato una dedica particolare nelle prime pagine dell’opera, rimanendo per il resto libero di sfruttarla economicamente come meglio avrebbe creduto. Tom aveva accettato senza battere ciglio, sia perché avrebbe guadagnato una somma di gran lunga superiore a tutti i diritti d’autore che aveva incassato per le precedenti pubblicazioni sia perché la storia di Sara, così come gliel’aveva raccontata Albert, era particolarmente affascinante.

    «Cara Sara, io non so se tu in questo momento puoi ascoltarmi. Poco importa, anche altre volte, quando sembravi vigile e cosciente, ho sempre avuto dubbi che tu comprendessi il senso di quello che ti stavo leggendo. Questa volta però darò il meglio di me stesso, come scrittore e come uomo, per tentare di trasmetterti il senso più profondo di questa mia ultima fatica.»

    Mentre Tom continuava il suo monologo, gli occhi gli si inumidivano sempre più. Commozione però non dovuta, o comunque non solamente dovuta, al momento critico che stava attraversando l’amica, ma al sacrificio che gli era costato ripercorrere, come in un film, la scena del bacio al mare dei due giovani protagonisti della storia. Il tema della prima infatuazione di un adolescente gli era stato sempre caro, ma questa volta si era superato in capacità e qualità descrittive delle azioni e, soprattutto, dei sentimenti dei personaggi. Alcuni freddi studiosi di medicina sostenevano che l’innamoramento fosse il frutto di uno scompenso chimico che si produce nell’uomo e nella donna in determinate circostanze. Secondo Tom, questa teoria, più che spiegare l’amore e l’innamoramento, poteva aspirare solo a descrivere gli effetti che scatenava nel corpo umano… e niente più. A suo dire, l’amor puro non poteva essere razionalmente e scientificamente spiegato, così come sarebbe stato impossibile, anche per il migliore degli scrittori, trasmettere al più attento e sensibile dei suoi lettori il più nobile dei sentimenti. A suo parere, l’amore tra due persone poteva essere inteso, nei suoi intimi risvolti, solo dai due attori della più straordinaria delle vicende umane.

    Durante la presentazione dei romanzi, per far intendere al variegato pubblico questo interessante ragionamento, faceva sempre un esempio alla portata di tutti, anche dei più giovani.

    Era la cosiddetta teoria del decoder.

    Quando una persona si innamora, il suo cervello manda un impulso al cuore, il quale codifica il segnale e lo trasmette, sotto forma di azioni e comportamenti concreti, alla persona verso cui nutre il sentimento. Il cervello del fortunato, ricevuto il segnale codificato, lo elabora, lo decodifica e lo invia a sua volta al proprio cuore. A questo punto, se i due cuori viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda, ecco che accade l’apoteosi di due persone legate insieme per l’eternità. Problemi sorgono invece nel caso in cui l’intelletto dell’amato si rifiuti di trasmettere il segnale decodificato al cuore, oppure rinunci sin dall’inizio a decodificarlo perché lo ritiene potenzialmente dannoso. Terza possibilità, la più pericolosa e nociva per la coppia, è quella per cui, a innamoramento avvenuto e corrisposto, una delle due menti decida di interrompere ogni comunicazione, scrivendo la parola fine a una storia d’amore in maniera apparentemente ingiustificata.

    Tom concludeva sempre l’esposizione della sua teoria ponendo l’attenzione sul fatto che un amore avesse sempre origine nel cuore e cessasse ogni volta per volere della ragione a discapito del sentimento.

    I due giovani innamorati si trovavano l’uno di fronte all’altra, come in estasi al cospetto di chi ha il potere di trasformare in meglio la vita. Erano in alto mare, lì dove il cielo sembra fondersi con le acque blu, lì dove Scilla e Cariddi ebbero modo di fronteggiarsi, noncuranti del fatto che la bellezza di quei posti avrebbe dovuto indurli a fermarsi e contemplarla, cessando ogni diverso proposito. Carlo, il condottiero, li aveva avvertiti che il viaggio sarebbe stato breve e allo stesso tempo foriero di nuove visioni che avrebbero cambiato il loro modo di intendere la natura. Anche il rumore del motore del gommone, che aveva fatto da calesse alla nobile passeggiata marina, sembrava scandire dolci note, sulla base di un motivetto che dava l’illusione di essere stato composto all’unisono con il battito dei cuori. Durante il tragitto, Carlo raccontò loro la storia di un distinto signore del posto, morto qualche anno prima. Un amico di tutti, un amico del mare, un amico di tutto ciò avesse a che fare con i fondali e con un mondo subacqueo che regalava quotidianamente nuove forme di bellezza. Aveva però una particolarità, conosciuta da tutti e da tutti rispettata: amava il rumore dei motori delle barche, non certo di quelle che sfrecciavano senza alcuno rispetto per niente e nessuno, ma di quelle che solcavano le acque per apprezzarne le bellezze o per trarne legittimamente fonte di sostentamento. Era in grado di riconoscere marca e modello soltanto sentendo pochi secondi quello che per lui era la colonna sonora che il dio del mare aveva scelto per quelle sacre sponde. Questa sua passione, all’apparenza, sarebbe potuta sembrare paradossale. I poco attenti avrebbero potuto scambiarla per una perversione, ma così non era. La prima cosa a cui tutti pensavano ascoltando la sua storia, era che fosse stato un marinaio, che aveva maturato questa originale propensione uditiva in quanto pane quotidiano che gli aveva dato da vivere. Invece no. Era stato un notaio, peraltro figlio di notaio. Suo nonno un magistrato, un procuratore del Re per la precisione. La sua era la più antica e nobile famiglia del circondario. Ma lui amava il mare… e il rumore delle barche. Il suo sogno nascosto, ma a tutti noto, era quello di fare il pescatore una volta in pensione. Lo raccontava a tutti coloro che si recavano da lui per rogare atti e chiedere assistenza giuridica. Mentre lo diceva, gli brillavano gli occhi, proprio come brillano a un innamorato mentre racconta agli amici più cari le fattezze fisiche e le qualità morali della propria amata. Nessuno aveva mai osato sbattergli in faccia la dura realtà di una passione apparentemente senza senso: non tanto per rispetto del suo ruolo istituzionale ma perché nessuno avrebbe potuto arrogarsi il diritto di infrangere un sogno innocente. Carlo invitò i due giovani a pensare a quella storia quando un giorno si sarebbero chiesti cosa bastasse per essere felici e per essere soddisfatti della propria vita e del proprio amore. Basta poco, molto poco: qualsiasi cosa ci faccia innamorare e ci renda felici ogni mattina al risveglio, pur se agli occhi del resto del mondo appare assurda e senza ragione. Qualsiasi cosa in cui abbandonarsi e perdersi, e che ci faccia trovare sorprendente e armonioso quello che gli altri trovano fastidioso e rumoroso... proprio come il rumore di un’imbarcazione da pesca.

    La lettura di quel poetico brano venne bruscamente interrotta dall’ingresso di Albert. Cosa alquanto insolita, in quanto era stato sempre rispettoso del momento che la moglie condivideva con il suo terapeuta. Le cose però erano cambiate. Non si aveva più a che fare con una lungodegente in fase di ripresa fisica (ma in piena crisi depressiva), si doveva fare i conti con una donna caduta in un sonno profondo, quasi una novella Biancaneve che aspettava l’arrivo del principe azzurro per svegliarsi da un lungo letargo.

    Quello che videro gli occhi del premuroso marito non fu però consono alla circostanza e al luogo. Lo scrittore, che avrebbe dovuto riportare a nuova vita la bella addormentata, si era preso una libertà che di certo avrebbe pagato molto cara. Proprio mentre stava leggendo ad alta voce i più sentiti passaggi della sua opera, con molto coraggio si era lasciato andare a un casto, ma non certo corrisposto, bacio. Ci fossero stati due ragazzini al loro posto, quel semplice gesto d’affetto non avrebbe destato scalpore, anzi avrebbe indotto negli occhi dei presenti solo commozione mista a compartecipazione affettiva. Un bacio è pur sempre un bacio, ma, a seconda delle circostanze, potrebbe trasformarsi in gesto di inaudita violenza agli occhi di chi è poco attento ai sentimenti puri e alle passioni vere.

    Albert ebbe una reazione spropositata. Non perché aveva colto in flagrante una persona di cui si fidava nell’atto di approfittare della propria moglie morente, ma perché era successo ciò che aveva temuto: il rapporto tra Tom e Sara, sebbene unilateralmente, aveva superato quel limite invalicabile, tanto forte quanto labile, tra un uomo e una donna che stanno a stretto contatto per troppo tempo.

    Si avventò su Tom, strappandolo di fatto dalle labbra di Sara. Lo scaraventò a terra e iniziò a prenderlo a calci, spinto da una rabbia cieca, dettata dalla necessità di difendere pubblicamente l’onore perduto; si sa che, in certi casi, l’uomo diventa violento per ribadire la propria supremazia nel branco.

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