La promessa di Kin
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Kin, il protagonista, è il sicario del dio degli inferi Amatsu Mikaboshi. Nella vita precedente era la spada che un samurai aveva usato per un crimine atroce. Compiendo i voleri del dio, Kin tenta di redimere la sua anima. L’ultima missione prevede l’assassinio di Hana, una giovane che vive in un tempio a Tokyo. Kin arriva fin sulla soglia del santuario, ma una barriera gli impedisce di attaccare. Deciso a portare a termine il proprio compito si nasconde studiando i movimenti della sua preda. Durante questi appostamenti i due giovani finiscono per incontrarsi e infine innamorarsi. Amatsu scopre del fallimento del suo sicario e furibondo rivela la vera natura di Hana, cioè Sengen, dea dei fiori, e della grave offesa che ella gli aveva rivolto rifiutando di amarlo. Mikaboshi si dirige dalla sua amata Hana pronto per prendere finalmente la sua anima. Kin attacca l’esercito del dio. Lo scontro porta Hana e Mikaboshi faccia e faccia, lei a quel punto, vedendo il suo amato Kin ormai allo stremo delle forze, decide di lanciarsi sulla lama del dio degli inferi e suicidarsi, così da cessare la guerra e salvare il suo amato. Quando l’assemblea divina arriva al tempio per sistemare la situazione, ormai è troppo tardi. Hana è morta tra le braccia del dio che, per il dolore, giace esanime. Kin è deceduto prima del sacrificio della sua amata, per le ferite riportate. Gli dei, commossi, decidono di legare i due innamorati a degli oggetti a loro cari e di unirli per sempre.
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Anteprima del libro
La promessa di Kin - La promessa di Kin
casuale.
INTRODUZIONE
Con La promessa di Kin
, l’autrice vuole condurvi per mano nella misteriosa e affascinante cultura giapponese, mescolando con semplicità e leggerezza alcune delle leggende più famose alla storia avvincente del Sol Levante.
Il filo rosso che vi condurrà tra i templi e le strade del vecchio e nuovo Giappone, è un racconto dolce e amaro che parla di amori e passioni, di tradimenti e gelosie.
Vi immergerete nell’anima di ogni personaggio, sarete catapultati nel loro passato e vivrete con trasporto ogni avventura.
Alla fine del libro troverete un meraviglioso glossario che vi potrà avvicinare ancora di più alla cultura e alle realtà della storia di Kin e Hana.
CAPITOLO 1
Le divinità nascono dalle preghiere dei fedeli. Essi assumono sembianze umane per permettere alla popolazione di venerarli. Più fedeli si rivolgono a un Dio, più questo diventa potente.
Nel 587, il Principe Shotoku, convocò con successo il dio della guerra, Bishamon, per contrastare delle rivolte anti-buddiste. Egli combatteva i demoni e gli spiriti malvagi impugnando, nella mano destra, una lancia affilata e lunga più di tre metri. Di solito indossava un’armatura e, nonostante il suo aspetto minaccioso, era molto amato dai fedeli.
I pescatori invece, rivolgevano spesso le loro preghiere a Ebisu, protettore dei mari e della pesca. Una volta, Kazuma, un povero vecchio che cercava fortuna con la sua barca di legno per curare la salute della sua anziana moglie, venne sopraffatto da una tempesta e rischiò di perdere la vita e il carico di pesci che gli era costato molta fatica. Poco prima di annegare, rivolse le sue ultime parole a Ebisu, pregandolo di salvare non lui, bensì le sardine, per consegnarle alla sua povera famiglia. Il dio, colpito dalla generosità dell’uomo, decise di riportare a riva Kazuma e il suo pesce.
Il dio del fuoco e della saggezza era tra i più amati fra i guardiani dei cieli. Fudo proteggeva dalle calamità e dai pericoli gravi. Si narrava che una volta, una ragazza di nome O Ai San, lo pregò per cento giorni completamente nuda, sotto una gelida cascata, nella speranza che il dio misericordioso guarisse il padre cieco. Le parole della fedele furono ascoltate e, quando ritornò a casa, trovò il caro padre intento a lavorare il legno. Corse ad abbracciarlo piangendo di gioia per la bontà mostrata da Fudo.
Inari, era forse la divinità giapponese più misteriosa tra tutte. Dea del cibo con le sembianze di una volpe bianca. Poteva assumere qualsiasi forma in realtà ed era in grado di ingannare l’occhio umano. Era sia uomo che donna. Si raccontava che poteva trasformarsi persino in drago o in ragno per impartire una lezione a un infedele presuntuoso.
Tra quelli famosi c’era Amatsu Mikaboshi, dio del male, guardiano degli inferi. Invocato da individui poco raccomandabili. Egli amava giocare con le emozioni umane. Come tutte le divinità era superbo e vendicativo: la noia, la sua peggior nemica. Si divertiva a raccogliere le anime perdute: anime di persone che non avevano avuto una degna sepoltura, anime di sventurati che non avevano ricevuto preghiere. Anime affrante e piene di collera verso il genere umano o meschine e senza onore. Con loro aveva creato un temibile esercito che usava per tormentare i vivi e per soddisfare la sua sete di sangue.
Kin, il nostro protagonista, era un suo sicario. Il suo più potente generale. Lui era uno tsukumogami, spirito delle cose
. Trascorsi cento anni, qualunque oggetto che abbia subito o assistito a eventi particolari, se intatto e ben conservato, diventa infatti uno yokai. Si narra che persino una tazza da tè, utilizzata da un importante shogun durante un trattato di pace, trascorso il lungo periodo, venne trasformata diventando una servitrice del dio Bishamon.
Kin, in origine era una wakizashi, la piccola spada di un samurai, quella tenuta davanti al ventre utilizzata per suicidarsi e dalla quale un guerriero non si separava mai. Era brillante e di ottima fattura. Affilata con maestria dai più grandi artigiani dell’epoca. L’elsa resistente ma allo stesso tempo comoda da impugnare. Il colore blu utilizzato per la decorazione, fu scelto dal suo samurai in quanto simbolo di equilibrio e pace interiore. Non venne realizzato il fodero, perché nessun materiale riusciva a tollerare la lama venendo, ogni volta, lacerato.
Fu proprio Amatsu a renderlo uno spirito e a donargli un corpo. A lui doveva la sua esistenza. Nonostante gli incarichi che gli venivano affidati fossero crudeli e a dir poco infimi, Kin sapeva bene che gli esseri umani erano ben peggiori di qualche dio capriccioso. Nella sua vita ne aveva avuto testimonianza, per questo continuava a servire Amatsu Mikaboshi.
In tutti quegli anni di missioni per conto del dio, mai una volta aveva fallito. Le leggi erano chiare, una divinità non poteva commettere peccato e macchiarsi le mani di sangue. Per questo si servivano degli spiriti. A loro tutto era permesso, ovviamente dovevano agire nell’ombra per non incorrere nel giudizio dell’assemblea. Ma Kin era bravo a uccidere senza farsi scoprire. Il migliore. Di certo il suo passato come wakizashi gli rendeva il lavoro semplice, ma era il suo temperamento freddo e la sua ferrea determinazione a giocare un ruolo fondamentale.
L’aspetto era di un giovane ragazzo di vent’anni. Età nella quale era stato separato dal suo padrone terreno, il samurai. I lunghi capelli neri erano raccolti in una coda. Non era una pettinatura ordinata la sua. Ciuffi ribelli gli coprivano parte del viso, lasciando solo intravedere uno sguardo di ghiaccio. Indossava un tipico yukata del suo tempo, colore blu notte e, legata al suo obi nero, davanti al ventre spiccava una piccola lama lucente senza fodero e con un’elsa semplice ricoperta da bende azzurre.
Nessuno però aveva mai avuto il tempo per osservare bene i suoi lineamenti delicati e ammirare il suo portamento fiero ed elegante. Se avevi la sfortuna di imbatterti nel sicario di Amatsu, non ne uscivi vivo per raccontarlo.
Tra le numerose missioni per conto del dio, Kin si ritrovò a uccidere contadini, principi, shogun e sacerdoti. Una volta gli fu commissionato lo spirito di un ronin traditore, Takagi Kazuma. Egli aveva venduto il proprio padrone per denaro e aveva speso tutto il guadagno in bordelli e bevande alcoliche lasciando moglie e figli nella povertà. Kin, senza indugio, si diresse nella camera da letto dell’uomo; lo trovò rannicchiato in un angolo, come se sentisse la sua presenza, ma non lo colpì nel sonno.
Il suo onore, nonostante tutto, gli proibiva atti così meschini. Destò il malcapitato toccandogli la schiena; quando vide i suoi occhi aprirsi gli sussurrò le volontà del dio e infine lo colpì al collo, tagliando di netto la testa. A quel punto strappò l’anima dal corpo, la mise in un’ampolla che teneva sempre legata al suo obi e scomparve nel buio della notte. Kin agiva sempre durante l’ora della tigre. Non dava mai il tempo per urlare o chiedere aiuto. Veloce, distaccato, letale.
Un altro tra i numerosi incarichi fu l’assassinio di una geisha che gestiva una casa del tè a Kyoto. Kin non fece mai distinzioni di genere: un’anima era un’anima. Se Amatsu bramava qualcosa, niente poteva dissuaderlo, nessuno avrebbe mai potuto placare la sua sete di spiriti impuri.