La corte di Heian
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Anteprima del libro
La corte di Heian - Ranieri Alessia
CAPITOLO UNO
Voglia di volare
Heian è un piccolo impero che sorge nelle gelide terre del nord, laddove l’oceano non arriva a mitigare il clima e dove le cime innevate di un vulcano attivo spezzano la terra in due parti: la zona commerciale, contenente la maggior parte della popolazione e facilmente agibile grazie ad una lunga strada che collega con le città dei mercanti di spezie, e la parte ricca
, dove le persone possono possedere cavalli senza il rischio che siano loro sottratti da predoni e povere anime affamate dedite al crimine per sopravvivere. Proprio in questa parte vi è la reggia dell’imperatore Fuji, il primo regnante del tempo di pace di Heian, un giovane uomo che pur avendo liberato il popolo dalla feroce tassazione bellica del suo predecessore ancora non ha potuto nulla per trovare metodi di realizzazione di nuove strade o maggiori risorse nella lotta al crimine. La sua reggia, bellissima e maestosa, è oggetto di molte leggende da parte del popolo che può solo vederne le imponenti mura difensive con la loro tinta giallo ocra su cui passeggiano notte e giorno varie vedette, tutte provenienti dal villaggio
, cioè la parte commerciale dell’impero. Una stretta via collega, passando attorno alle pendici del vulcano, le due parti del regno e termina direttamente all’enorme cancello rosso con due grifoni color rubino che segna l’accesso alla reggia.
I ninja del villaggio
sognano tutti di servire l’imperatore, sia per evitare un forzoso trasferimento in località loro ignote, sia per accedere infine nel tanto sognato bastione. Le ragazze di buona famiglia aspirano tutte a diventare concubine imperiali o magari spose di Fuji, il quale pur avendo preso il posto di comando dell’impero non ha ancora scelto la sua sposa e osservano con invidia la cognata e la sorella dell’imperatore, così belle, così nobili, così lontane eppur vicine a loro.
Fuji lasciò che Shuri, il capo dei ninja adibiti a guardia del corpo della famiglia imperiale, cessasse di remare. La piccola gondola su cui l’imperatore sedeva era ormai giunta nel centro esatto del laghetto del palazzo. Il suo palazzo. Il suo laghetto. La sua unica zona di serenità. Fuji aveva amato quel luogo fin da bambino, il rumore dell’acqua che sciaborda sotta la sua piccola imbarcazione, il silenzio della natura, qualche piccolo volatile che gli passa sul capo e la possibilità di distendersi, chiudere gli occhi e non pensare a nulla. A nulla.
Ken, il ninja partner di Shuri, era di guardia al piccolo molo. Tutto sotto controllo, come al solito. Fuji sorrise amaramente. Per lui non servivano tutti quei controlli, né che lui vivesse nell’ala maggiore del palazzo mentre sua sorella e suo fratello minori, la principessa imperiale Asame ed il principe ereditario Logan, dovessero vivere in zone più piccole con consorti e prole. Anzi, spesso lui non capiva neanche perché fosse dovuto divenire imperatore "…primum inter pares, primum inter iuxtis sanguinis.." così recitava la legge con cui era stato eletto, la sera del giorno in cui suo padre era morto. O meglio, era stato assassinato e fatto a pezzi, ma i ninja avevano detto che era stato tutto un incidente. E Fuji aveva imparato da tempo a non chiedere troppe spiegazioni. Eppure si chiedeva spesso cosa significasse quel "iuxtis sanguinis"… perché fin da bambino lui aveva sofferto di forti tremori, ogni tanto avvertiva dei terribili e fulminei mal di testa per poi cessare di vedere e riprendersi magari dopo un giorno, solo per sapere che era caduto in terra, il suo corpo si era dimenato come un ossesso e aveva sbavato o peggio. In quel modo una volta si era rotto la testa, un’altra una costola e ringraziava ancora il cielo che non gli fosse mai accaduto durante cerimonie ufficiali, magari con i regnanti di altri imperi o reami che lo osservassero. Sì, il suo sangue tutto era meno che giusto. E questo era sicuramente uno dei motivi per cui Fuji non voleva sposarsi o avere prole. Non poteva trasmettere quel male ad una creatura innocente. Neanche per il bene del popolo. Ci avrebbe pensato suo fratello o i generi di suo fratello, i futuri consorti delle piccole principessine Odette e Chibi. O forse, chissà, il potere sarebbe passato al figlio di Asame, il principino Sand. Insomma, di sangue imperiale ce n’era a sufficienza perché lui potesse starsene buono a non procreare.
Un uccello dalle piume colorate volò sopra la piccola imbarcazione e perse una penna verde sulla veste color oro di Fuji, che la raccolse e rise.
Il verde è sempre il vostro colore preferito, Vostra Altezza?
chiese Shuri, a cui Fuji aveva ormai accordato un buon livello di confidenza poiché sapeva che era in grado di tenere per sé tutti gli scabrosi silenzi della sua famiglia persino con sua moglie Klelia, altra ninja e guardia del corpo della famiglia di Logan.
Sì, diciamo che si intona bene a me
rispose Fuji, levandosi il copricapo rosso e rivelando lunghi capelli lisci di colore verde.
Shuri non distolse lo sguardo come facevano in molti. Quello era stato un tentativo della madre di Fuji di curare il figlio. Preoccupata che la malattia lo avrebbe effettivamente tormentato per tutta la vita, la precedente imperatrice si era messa a studiare le arti oscure e aveva creato un miscuglio di erbe, bacche, funghi velenosi, succo di meduse e veleno di serpenti con cui aveva spalmato la testa del piccolo Fuji. All’epoca il padre di Shuri lavorava a palazzo e aveva narrato che le urla del bambino si fossero udite fino al vulcano. Per rimuovere quel maledetto intruglio dovettero tagliare tutti i capelli del principe e quando questi ricrebbero erano verdi. Furono prontamente ritagliati ma ricrebbero verdi. Ad ogni taglio il risultato era lo stesso. Da allora l’imperatore non mostra in pubblico la sua chioma. Solo a palazzo si sa che è verde e lo sanno in pochi anche lì. Numerose serve ne hanno timore e con i nipoti l’imperatore preferisce evitare per non spaventarli. Tuttavia li tiene lunghi, forse come una piccola vendetta verso chi glieli tagliava sempre cortissimi.
Sai, stasera sarebbe bello bersi qualcosa insieme Shuri, potremmo invitare anche Ken
propose Fuji, passandosi la piuma sui lineamenti delicati.
Vorrei tanto, mio signore, ma temo non mi sia possibile: stasera Klelia è di turno ed io devo restare a casa con i gemelli
rispose il ninja.
Capisco
disse Fuji, anche se in realtà non era sicuro di poter farlo. Il rumore dell’acqua si fece più intenso quando Shuri ricominciò a remare, diretto verso il molo. Ken aveva dato il segnale. I trenta minuti di relax di Fuji erano passati ed era ora di tornare alla corrispondenza ed ai registri contabili.
L’imperatore si distese sul fondo della barchetta e chiuse gli occhi. L’acqua era così fragile, si sentiva forte e compatta per poi infrangersi sul lieve legno della sua gondola. E Fuji era come lei. Un uomo giovane, alto, potente ma che poteva distruggersi da un momento all’altro.
Vostra Altezza
disse Shuri e Fuji annuì. Rapido, l’imperatore si mise a sedere, raccolse i lunghi capelli in un nodo e si rimise il copricapo. Tutto era ben nascosto, adesso. La prova della sua diversità era bene occultata.
La gondola attraccò senza problemi grazie all’agilità di Shuri e alla bravura con i nodi di Ken, l’imperatore li ringraziò entrambi e con una piccola scorta chiamata con un fischio dei suoi guardiani si accinse a tornare nelle sue stanze ma nel cuore aveva tanta, tanta voglia di volare via come quell’uccello la cui penna ancora stringeva tra le dita.
CAPITOLO DUE
Un sacrificio lungo una vita
La principessa imperiale Asame era sempre stata particolare. Aveva dei bei capelli lisci e castani e dei grandi occhi azzurri ma di corpo era minuta, non molto alta eppur capace di emanare un gelo profondo al suo passaggio. Le perfette labbra rosa non si curvavano quasi mai in un sorriso e quelle rare volte che ciò avveniva la luce fredda dei suoi occhi non mutava.
La servitù temeva le sue bizze e non osava contraddirla perché lei era capace di centrare con un coltello qualsiasi bersaglio mobile in un raggio di venti metri, come fu tristemente testimoniato dal malcapitato ladro che anni prima si era introdotto nel suo guardaroba. Il poveretto aveva tentato di sottrarle delle sciarpe di seta e dei gioielli di poco conto ma lei lo aveva scoperto, aveva dapprima urlato come un’ossessa mettendolo in fuga ma poi, insoddisfatta dalla reazione a suo parere troppo lenta delle guardie imperiali, lo aveva centrato alla schiena con un coltello da frutta. Il poverino non era morto ma se l’era vista davvero brutta ed era stato imprigionato nell’ovest, le desertiche terre da cui veniva il principe consorte Ushio.
Secondo Ken, che a volte era di guardia alla principessa imperiale ed alla sua famiglia col suo partner, quella punizione in realtà era stata la salvezza per il ladro. Il principe era taciturno e placido, ma a differenza della sua sposa era anche fermo e giusto. Aveva garantito lui per un processo ed una pena equa e così fu.
Anche Shuri condivideva quell’opinione su Ushio. Quell’uomo dai lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo, gli occhi leggermente a mandorla di un nero notte e la voce profonda era una brava persona. Ma i suoi silenzi facevano venir voglia di urlare. Nei suoi occhi si leggeva tutta la sofferenza e la disillusione che provava e a volte Shuri si era ritrovato a sorvegliarlo, con la netta sensazione che, se avesse potuto, Ushio avrebbe volentieri aiutato la morte a dividerlo da Asame.
Per favore, smettila di piangere, non è successo nulla di irreparabile
disse Ushio a sua moglie che, in lacrime e col trucco sfatto, aveva rovesciato il tavolino da toeletta con tutti i cosmetici ed i profumi in uno dei soliti accessi d’ira.
Nulla? Nulla? Questo schifo di vestito lo chiami nulla?
ribatté lei, indicando i miseri resti di un abito di alta sartoria che erano da poco stati sparpagliati sulla bianca moquette del pavimento della sua stanza.
Certo, ora mi sarebbe difficile rispondere
disse lui, scuotendo il capo. Quello era stato un suo regalo. Ma non era risultato gradito. Come al solito. A volte Ushio si rimproverava per continuare ancora a sperare di rendere felice sua moglie. Non ci riusciva mai, dunque che senso aveva?
Ti avevo detto chiaramente di prendere qualcosa di rosa, di rosa, che si intona ai miei capelli, e tu che fai?
proseguì lei, torcendosi le mani.
Ushio fece le spallucce. Non sapeva davvero rispondere.
Non rispondi neanche, stupido daltonico che altro non sei! Mi hai preso un abito rosso
Asame raccolse da terra un pezzo della gonna e lo tirò in faccia al marito questo è rosso, non rosa, rosso!
.
Ushio lasciò che la stoffa gli cadesse dal viso senza muoversi. La sua sola consolazione era che suo figlio stava giocando con le cuginette e la bambinaia in giardino e almeno non stava assistendo alla sua ennesima