Piccoli Sogni
Di Marco Perino
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Piccoli Sogni - Marco Perino
Sogni
Prima Parte
Se riesci a riempire ogni inesorabile minuto
Dando valore a ognuno dei sessanta secondi
Tua è la Terra e tutto ciò che contiene
Rudyard Kipling
Il sogno, la poesia, l’ottimismo
Aiutano la realtà
Più di ogni altro mezzo a disposizione
Sant’Agostino
- Fotografia I -
Era una tiepida serata d’inizio estate, avevo finito da poco di tirare calci al pallone contro il muro in cortile. Il cortile era il mio parco giochi: ghiaia da striare con le ruote della bici da cross, vulcani da creare in cumuli di sabbia dimenticati da muratori, e gli immancabili mattoni a segnare limiti nel muro, l’immaginaria porta dove fare gol.
Non avevo ancora conosciuto amici da invitare a giocare con me, quelli sarebbero arrivati verso la fine delle elementari, quindi il muro era il mio unico compagno; non che con lui non litigassi, mi arrabbiavo quando la palla non mi tornava indietro perfettamente, figuriamoci quando me la fermava.
Maglietta e pantaloncini perennemente sporchi e ginocchia con croste fresche a rimpiazzare quelle vecchie di una settimana.... Qualche lucertola bloccata nei miei torrenti artificiali, quelli che uscivano dai vulcani, libellule rosse da ricercare fra migliaia di gialle: fotografia dell’infanzia, una fotografia uguale a quella di tanti bambini che hanno la fortuna di crescere in una cascina, all’aperto, senza i vincoli di spazio e di rumore imposti in un appartamento.
Mentre sto salendo le scale di casa per guardare un po' di cartoni animati, entra nel cortile una persona strana; mi parla ma non capisco cosa mi dice, continua a indicare il giardino fuori.
Chiamo i miei genitori; dopo dieci minuti, vedo mio padre che sorride e comincia a parlare in francese.... Se mio padre parla così, vuol dire che questo qui non è italiano. Mio padre è madrelingua francese, per istinto parla con quest’idioma anche se si trova davanti un inglese o un finlandese, come se con il francese potessero capirlo meglio che non con l’italiano.
Presto vedo che al francese si aggiungono dei gesti, alla fine si capiscono. Qualche istante dopo spiega a mia madre che è un tedesco, è in bici, ha chiesto se può passare la notte nel nostro prato davanti a casa.
Non ci posso credere!
Nel prato? Ma come fa a dormire nel prato?
Dopo cena chiedo se posso andare a trovare il tedesco, mi viene accordato senza esitazioni. C’era nell’aria che ci si poteva fidare di uno che viaggiava così...
Lo raggiungo davanti casa, ha montato una minuscola tenda. Davanti, appoggiata ad una pianta, c’è una bici: un modello che non ho mai visto. Mi sorride indicandomi di sedere vicino a lui, sul prato davanti alla tenda. Sta scrivendo qualcosa illuminandosi con una torcia elettrica; io sto lì in silenzio a osservarlo, affascinatissimo.
È da solo, ha questa bici enorme con queste borsone giganti, è biondissimo, è nel mio prato che scrive quando fuori si sta facendo buio .... Ed è tedesco!
Poggia la penna, tira fuori una mappa logora, mi indica un segno rosso che la attraversa da cima fino al margine alto di quella che avevo imparato essere la figura dell’Italia.... Ha attraversato tutta l’Europa dal Nord fino ad arrivare nel mio prato.
La richiude, mi sorride, mi regala la sua penna....
La sua penna tedesca....... Che meraviglioso regalo!
Stiamo in silenzio e lui guarda davanti a sè, verso le montagne.... Guarda lontano...
Quanto mi piacerebbe potergli parlare e chiedergli cosa sta guardando.
Il giorno dopo, mi svegliai presto per andare a trovarlo.... Ma non c’era più....
La striscia rossa aveva ripreso il suo cammino verso sud.....
....Da allora ho cominciato a guardare lontano!
- Capo Nord -
L’avventura!
Chi non ha mai sognato un’avventura con la A maiuscola?
Fin da bambini al mattino ci ritroviamo a scrivere i nostri compiti su diari che raffigurano Camel Trophy o Parigi Dakar. Di pomeriggio dopo i cartoni animati in qualche modo arriva Quark in una delle sue innumerevoli versioni a farci assaporare mondi antichi, scoperti passo dopo passo da comitive di esploratori. Per concludere in bellezza la sera, facendo zapping, siamo con Overland, dove persone dall’aspetto normalissimo attraversano il mondo su camion arancione.
A guardarli, potrebbero essere tranquillamente dei panettieri o meccanici di paese.
Alla fine chi di noi non ha pensato piacerebbe farlo anche a me!
.
Ogni piccolo desiderio può essere realizzato fintanto che non smettiamo di chiederci quando tocca a me?
, senza farne una malattia, senza frequentare corsi di sopravvivenza e senza togliere nulla alla quotidianità del lavoro, ai legami affettivi e al tempo libero.
La mia occasione è arrivata il primo anno con cinque settimane di vacanza da poter gestire, grazie ad un piccolo calo di ordini nella ditta in cui lavoravo.
Il tempo per me ha sempre avuto un valore ben maggiore del denaro.
Non ho nessuna compagnia fissa che lamenti la mia presenza al mare e nessuna morosa all’orizzonte, dopo l’ennesima storia finita male.
Potrei andare dappertutto; ho raggranellato un paio di mille euro che farebbero gola a qualsiasi agenzia turistica con le sue offerte:
...Messico, Tanzania, Djerba, Sharm El Sheikh...
Ma non voglio un villaggio con animatori pagati per far divertire. La loro accoglienza di pagata euforia, che ho vissuto alla reception di qualche campeggio, mi ha sempre lasciato un senso di fastidio.
Non voglio spedire nessuna cartolina da sfumature finte, scattata in mezzo a paesi dove persino i mendicanti hanno imparato l’italiano, il francese e il tedesco.
Non è la vacanza che voglio.
Forse è arrivato il mio momento.....
Quando tocca a me?
....
......Adesso!
Ci devo perlomeno provare.
Ho un lavoro a cui tornare, quindi di attraversare il mondo in canoa non se ne parla, idem mettermi alla testa di una comitiva di portatori alla ricerca di nuove civiltà estinte. Non credo che mi bastino le vacanze estive per ritrovare Atlantide e nemmeno per azzardare un casting presso l’organizzazione Overland.
Potrei fare un interRail: zaino e sacco a pelo in giro per l’Europa.
L’età per i supersconti entro i ventisei anni l’ho già passata da un pezzo, ma nessuno m'impedisce di farlo.
Non c’è anagrafe o tempo che possa ostacolare un’avventura di questo tipo.
Mi reco in un’agenzia per capire quanto mi sarebbe costato un biglietto unico che mi permettesse di attraversare l’Europa senza dover passare metà del mio viaggio in biglietterie. Per sentito dire, so che ci sono dei biglietti specifici per diverse zone del vecchio continente:
penisola Iberica, Scandinavia, Francia, Benelux e così via
Davanti a me c’è una coppia di damerini vestiti di tutto punto, con il modo di fare tipico di chi si alza al mattino con le bombole piene di arie da elargire a chi incroceranno lungo il cammino quotidiano.
Fanno un milione di domande su un semplice viaggio aereo-hotel, che chiunque sarebbe in grado di decidere e prenotare con due click e mezz’ora di internet. L’attesa e le richieste banali mi snervano abbastanza da divorare opuscoli su opuscoli e, quando arriva finalmente il mio turno, non ho voglia di fare alcuna domanda alla sfinita impiegata:
- Mi può fare un biglietto interRail per i paesi nordici? -
È venuta così, al volo. Non ho chiesto nulla sugli altri itinerari, dovevo andare a Capo Nord. Il posto più lontano dal luogo dove mi trovavo in quel momento, lontano da persone simili a quelle due che mi precedevano.
Ma da solo?
Questa è stata la domanda che tutti, ma proprio tutti, mi hanno rivolto quando ho spiegato il mio viaggio.
Voglio arrivare a Capo Nord tenendo per mano solo zaino e sacco a pelo.
Come se la preoccupazione maggiore fosse la solitudine, il non aver nessuno con cui parlare, nessuno che mi difenda dai pericoli che ci sono là fuori, fuori da cornici conosciute.
Compro un bello zaino da trentacinque litri, di quelli superalti e larghi che si vedono in tele sulle spalle abbronzate degli esploratori.
Quando inizio a riempirlo con tutta la roba che mi sono stirato capisco che, nonostante si mostri maestoso, con tutte le sue tasche e cerniere, al suo interno non ci stanno che una coppia di jeans extra, pantaloncini, costume e qualche maglietta. Poco altro.
Non sarà sicuramente un viaggio incentrato sulla moda.
I preparativi durano più o meno cinque giorni, cinque giorni dove la perplessità di familiari e amici si fa sempre più viva. Ma da solo?
Si, da solo! Ho voglia di conoscere tanta gente quindi viaggio da solo.
Per esperienza, quando si viaggia in due o tre, ci si rinchiude nel proprio bozzolo e si è meno aperti all’esterno. Si è portati a parlare in italiano o in codice, per non farsi capire dagli stranieri che ci stanno intorno…
Invece da soli si è in qualche modo costretti ad interagire, a parlare inglese o a gesti tutto il tempo. Le antenne sono completamente rivolte verso l’interazione, verso la socializzazione.
Chiamo un amico e gli chiedo un passaggio fino alla stazione.
Il mio piano di viaggio è molto chiaro, definito nei minimi dettagli. Andare a Nord, punto!
Mi ci avvicinerò cambiando un treno dietro l’altro.
Biella, Novara, Milano, fin qui tutto noto e conosciuto, poi, da lì sceglierò il primo treno che partirà, col naso in su.
Bellissimo essere in una delle più grandi stazioni italiane senza dover rincorrere il tempo, e guardare un tabellone sorseggiando una Coca-Cola.
Potevo scegliere qualsiasi treno e destinazione, l’importante era che fosse sempre più a nord rispetto a dove mi trovavo.
Ho lasciato il bancomat a casa. Ho prelevato mille euro: sarei tornato soltanto quando sarebbero finiti. Il viaggio, già pagato, mi avrebbe permesso di pensare solo al mangiare e dormire.
Il primo treno diretto a nord è stato un provinciale lentissimo che mi ha fatto passare la notte su una panchina a Chiasso.
Non c’erano altri treni fino alle cinque del mattino; sono arrivato verso le undici di sera. Una notte in una città di frontiera svizzera/italiana, come primo giorno d’avventura, non è stato il massimo della vita per il mio umore, ma da qualche parte bisognava pure partire.
Il giorno dopo passeggiavo per Basilea e quello successivo ero ad Amburgo.
In questi primissimi tratti ferroviari ho notato la caratteristica di quasi tutti gli italiani.
Hanno un marchio di fabbrica che si portano dietro dai tempi delle scuole: la scritta Invicta sugli zaini!
Sono sempre almeno a coppie, hanno gli occhiali da sole anche dentro il vagone di un treno, e sono più rumorosi degli altri.
Ahimè, scopro presto di non amare i miei connazionali all’estero e me ne tengo ben alla larga.
Poi scorgo altri tipi di zaini stipati nei portabagagli.
Ragazzi e ragazze che se la ronfano con la propria casa
, stipata a vista sopra il sedile. Per istinto, mi sistemo vicino a loro, piuttosto che vicino a pendolari o viaggiatori occasionali, in direzione di un nuovo abbraccio con parenti lontani.
Al vagone bar avvengono i primi incontri, le prime chiacchiere, le prime birre.
Arrivo a Copenaghen in compagnia di un paio di australiani, una svizzera e dei groenlandesi: sì, proprio degli eschimesi, una coppia d'insegnanti d’inglese che opera in un piccolo paese di pescatori.
La loro compagnia è così variopinta nei linguaggi e nelle esperienze, che le ore volano, fra bevute serali e colazioni frugali con brioche, caffè, panini, cetrioli, insomma tutto ciò che può dare energia per la giornata da affrontare, spesso a scapito del sapore!
Scopro di sentirmi a casa nonostante dorma su un letto a castello in una camerata con decine di sconosciuti.
Avrei potuto permettermi posti più intimi in camere singole, ma, dopo poche ore con lo zaino in spalla, già sentivo di essere perfettamente in simbiosi con gli altri viaggiatori, soprattutto quelli in solitaria. Bello dormire in mezzo a loro.
Tre giorni in Danimarca mi mettono finalmente sulla pelle il viaggio che mi ero prefissato. C’è voluto tanto per togliermi di dosso i dubbi e le paure che mi avevano cucito a casa.
Sono a pieni polmoni, ho gli occhi e le orecchie proiettati a ricevere tutte le sensazioni che possono contenere.
Ora sono lontano anni luce da tutto ciò che conosco e mi sembrano distanti anni luce tutti gli italiani accoppiati, che giocano a carte sui treni per farsi passare il tempo.
Per tutto il viaggio sarò accompagnato a qualcuno che arriva da qualche parte del mondo, fino alla successiva stazione, fino al successivo incrocio, fino al prossimo saluto.
Arrivo a Stoccolma e subito m'imbarco verso la Finlandia, la mia voglia di Capo Nord pulsa come il cuore dopo una corsa di velocità.
A Helsinki tutti gli ostelli sono occupati per una maratona internazionale. Dopo tutta la giornata, passata inutilmente a camminare in cerca di alloggio, mi rassegno alla soluzione della seconda panchina
.
I Paesi nordici, in generale, hanno nomea di posti molto sicuri quindi il parco mi sembra un ottimo hotel dove organizzare il mio zaino e sacco a pelo.
Provo a dormire ma vengo subito chiamato da un paio di ragazzi; mi invitano a seguirli, sorrisi in una mano e birra nell’altra.
Qualche minuto dopo ero in mezzo a una ventina di studenti che si passavano da bere, accolto come uno di loro. Chiacchiere sui propri stili di vita, consigli su posti da visitare, giocare a insegnare la propria lingua.
Nemmeno questa notte starò da solo e la spontaneità del viaggio mi esalta.
Uno di loro mi consiglia un traghetto per l’Estonia, che parte al mattino alle sette.
Solo un’ora di viaggio e prezzi che si riducono drasticamente del 75%.
Il giorno dopo ero a Tallinn in un centro pedonale, caratterizzato da ragazze con abiti storici e italiani con occhiali da sole che ci provavano in modo sistematico con un fare, così sfortunato e scontato, che mi facevano venire la nausea.
Tutto il centro storico è montato ad arte per i turisti, non mi fa impazzire.
La gente a gruppi con la macchina fotografica mi crea solo disagio. Questo posto non fa parte del DNA di questo viaggio. Decido di partire il giorno dopo.
In ostello mi ritrovo a lavarmi i denti a fianco di una simpatica e buffa giapponese che, mentre trascina lo spazzolino sul suo sorriso, parla di un pullman che va più a sud.
- Costa poco, sono solo sette ore, domattina siamo già in tre o quattro a prenderlo -
... Quasi quasi.....
Il giorno dopo ero a Riga con lei, degli immancabili australiani, degli inglesi, alcuni finlandesi e polacchi, un tedesco e degli americani.
Mai da solo, sempre con una nuova compagnia allargata, che si assaporava la vita.
I viaggiatori in solitaria riscoprono la curiosità e la spontaneità che avevano da bambini quando ne incontravano altri.
La differenza sta soltanto nella prima domanda che non è più - Come ti chiami? - ma - Da dove vieni, da dove arrivi? -
La domanda successiva - Dove stai andando? - spesso mi ha fatto cambiare la rotta che mi portava verso nord.
Nuove curiosità, nuovi posti da vedere, nuove persone da incontrare, nuove compagnie da voler vivere e con cui giocare