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Giallo Natale
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E-book280 pagine4 ore

Giallo Natale

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Info su questo ebook

8 autori, 8 storie, 8 delitti

Un sereno Natale in famiglia? Rilassanti vacanze in compagnia di amici e parenti? Oppure, guidati dalla mano sicura di otto autori di casa Newton Compton, avete scelto un viaggio a tappe, che al brivido per le temperature rigide, aggiungerà quello per la suspense…
In un lussuoso hotel di Saint Moritz circondato dalla neve, un ospite insospettabile medita un’antica vendetta. Sulla riviera ligure battuta dai freddi venti invernali viene inspiegabilmente uccisa un’anziana signora che sembra nascondesse incredibili ricchezze. Il Natale che una donna aveva sognato si rivela invece un incubo che ha come protagonista il suo amante. Anche la famiglia del giovane banchiere Teo Sciandra vivrà una vigilia di Natale al cardiopalmo: cosa cela dentro di sé questo marito e padre all’apparenza integerrimo? Due coppie di turisti in vacanza in un luogo esotico, abbandonati in mare durante un’immersione, approdano su un’isola deserta abitata da pericolosi varani. Un misterioso scarabeo scatena eventi fatali. In Sardegna, poco prima di Natale, il mistero sul corpo decapitato di una giovane donna mette a dura prova la competenza del commissario Calìa. Un’improvvisa morte tra gli industriali delle lampadine a incandescenza (con un salto all’indietro che ci porta nel 1924) getta una luce inquietante sull’incontro internazionale.
Casi di cronaca realmente accaduti o pura finzione letteraria: indagini serrate, commissari o criminologi all’opera, vittime in fuga per aver salva la vita.
Otto autori di successo per un Natale a tinte gialle e nere.


Otto autori
Otto storie
Per un Natale a tinte gialle e nere

La maledizione dello scarabeo di Marcello Simoni
Varani di Massimo Lugli
Un regalo per te di Lorenza Ghinelli
Giallo fuori stagione di Davide Mosca
La pallida luce di Febo di Massimo Pietroselli
Antichristmas di Fabio Delizzos
Io ti uccido di Silvia Montemurro
La bella decapitata nel bosco di Gianmichele Lisai
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854159976
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    Anteprima del libro

    Giallo Natale - Massimo Lugli

    en

    582

    Prima edizione ebook: novembre 2013

    Antichristmas; La bella decapitata nel bosco; Varani; Io ti uccido

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214

    Un regalo per te © 2013 Lorenza Ghinelli

    Published by arrangement with Agenzia Letteraria Martin Eden

    Giallo fuori stagione © 2013 Davide Mosca

    Pubblicato in accordo con PNLA/Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency

    La pallida luce di Febo © 2013 Massimo Pietroselli

    Pubblicato in accordo con PNLA/Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency

    La maledizione dello scarabeo © 2013 Marcello Simoni

    ISBN 978-88-541-5997-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Marcello Simoni - Massimo Lugli - Lorenza Ghinelli - Davide Mosca - Massimo Pietroselli - Fabio Delizzos - Silvia Montemurro - Gianmichele Lisai

    Giallo Natale

    Otto autori. Otto storie. otto delitti.

    omino

    Newton Compton editori

    antichristmas

    di Fabio Delizzos

    Un bell’aspetto è segno della presenza di Dio. Il giovane banchiere Teo Sciandra cercava di non dimenticarlo mai, eppure la fatica si insinuava strisciante dentro di lui, come un sussurro tentatore rivolto ai suoi muscoli, mentre correva verso l’irraggiungibile manubrio del tapis roulant.

    Quella tentazione, come tutte le altre che gli si agitavano dentro, proveniva dalla sua natura maligna e lui lo sapeva. Non cessava di pregare e di espiare nel tentativo di domare il male con cui era stata impastata la sua anima, il male che lui sapeva di essere. Ma era davvero possibile soffocare il male con l’abbondanza di bene, come insegnava il fondatore dell’Opera? Sciandra aveva perso ogni speranza al riguardo. Si sentiva sopraffatto, intravedeva la fine. Ormai da qualche anno, non si allenava più per sentirsi benedetto da Dio, lo faceva solo per scaricare la rabbia e la lussuria che gli scorrevano nelle vene.

    Ruotò la manopola e rallentò per rifiatare. Anche se si sforzava di non darlo a vedere, zoppicava. La gamba destra urlava di dolore e alcune vertebre scintillavano nel buio della sua carne: colpa del cilicio troppo stretto e della tavola di legno su cui dormiva. Il nuoto sarebbe stato uno sport più adatto alle sue condizioni di salute, ma persino il medico glielo aveva sconsigliato: «Non è il caso di farsi vedere nudi nelle tue condizioni». Colpa dell’uso smodato della disciplina.

    Per cercare di soddisfare le richieste della sua colonna vertebrale aveva acquistato una villa dotata di piscina, e nella bella stagione nuotava in giardino. Ma adesso era inverno, era il ventiquattro dicembre e mancavano poche ore alla nascita di Gesù.

    Chiuse gli occhi e si fece un rapido segno della croce, poi scese dal nastro, si asciugò il sudore sul volto e sul collo con un asciugamano, e si guardò allo specchio – gli uomini che incrociarono per caso il suo sguardo riflesso, tutti rasati e ben pettinati, gli sorrisero e lui ricambiò. I suoi occhi, di un giallo intenso, incastonati in un ovale pallido e ossuto, passarono in rassegna con orgoglio il fisico di cui erano parte.

    Risalì sul tapis roulant e corse per un’altra mezz’ora, recitando a bassa voce il Padre Nostro.

    Sciandra uscì dalla palestra profumato di bagnoschiuma all’incenso. Inspirò fino a riempirsi i polmoni d’aria fredda, si passò una mano sui capelli, lisci e pettinati di lato con precisione geometrica, e s’incamminò nell’ampio parcheggio bagnato dalla pioggia, che rifletteva il magico baluginio delle luminarie natalizie. In lontananza le cornamuse suonavano Astro del ciel, e le luci, immerse in una foschia intermittente, volteggiavano sulla città come anime in festa.

    «Auguri!», gli disse un uomo distinto, che si dirigeva verso la palestra con il borsone in pugno.

    «Auguri», rispose Sciandra. Non ricordava di averlo mai visto prima. Si appuntò nella memoria: chiedere informazioni sul suo conto.

    La Maserati, grigia e lucida come l’asfalto, sembrò avere un brivido vedendolo arrivare, sibilò, lampeggiò. Il bagagliaio si aprì emettendo un soffio. Era ingombro di pacchi infiocchettati, di ogni forma e colore, di panettoni e di bottiglie di spumante. Sciandra li spostò per fare spazio alla borsa e prima di richiudere prese uno dei pacchetti più piccoli e se lo fece scivolare nella tasca del cappotto. Quando si sedette al volante lo fece poggiando piano la schiena contro il sedile di pelle. Mise in moto: un ruggito lontano. Sfiorò l’acceleratore. L’auto partì, scivolando silenziosa su uno specchio di catrame.

    La ragazza era distesa sul letto: pelle lattea e sottoveste di raso viola. Era prona, con le ginocchia piegate e i piedini chiari all’insù; li muoveva, come se stesse nuotando nell’aria, le unghie smaltate dello stesso identico colore della sottoveste. Leggeva un libro sguazzando in un coacervo di lenzuola rosse e di vestiti con ancora le etichette attaccate.

    «Buon Natale», le disse andandole incontro.

    Il viso della ragazza si accese di un’emozione simile alla felicità. Si tolse gli auricolari, li gettò sul letto ed esclamò: «Igor!».

    Quel nome era una delle due cose che sapeva di lui, quella falsa. L’altra, quella vera, era che lui pagava molto bene.

    Sciandra si tolse il cappotto e lo posò sulla poltrona. «Stai leggendo?»

    «Sì». Lei chiuse il libro e lo mise via. Era un tascabile con una copertina cupa e il titolo in rumeno: Ingeri si Demoni.

    «Oggi sei uscita per fare shopping, vedo».

    «Non avrei dovuto?»

    «Certo». Le fece vedere un pacchetto con il fiocco. «L’ho fatto anch’io».

    «È per me?»

    «Per te», le disse consegnandoglielo, senza un sorriso.

    «Sei davvero molto gentile». La ragazza scartò il pacchetto con voracità, ma la scatolina la aprì piano. «Oh, mio Dio!». Inspirò rumorosamente per comunicare tutto il suo stupore. I suoi occhi azzurri luccicarono abbagliati dal diamante. «Hai esagerato, deve valere un sacco di soldi».

    «Te lo meriti».

    «È bellissimo». La ragazza lanciò in aria il nastro dorato del pacchetto, che restò sospeso nella penombra per un attimo, come una stella cometa nel cielo notturno. «Oh, Igor, grazie», gli disse sbattendo le palpebre. Lo abbracciò. «Grazie». E cominciò a svestirlo e a baciargli ogni angolo di pelle che scopriva.

    La camera da letto era illuminata esclusivamente da candele, come lui le aveva chiesto fin dal primo incontro, e ora il dottor Teo Sciandra, nudo fra le ombre giallastre, pareva un angelo a cui avessero da poco strappato le ali; lunghe e spesse croste gli screziavano la pelle della schiena, sotto le scapole: i segni della disciplina. Il cerchio di sangue rappreso attorno alla coscia destra, invece, era dovuto agli aculei d’acciaio del cilicio. Erano i marchi dell’espiazione. Ma Corina non aveva mai fatto domande e nelle tre settimane in cui era stata al suo servizio si era sempre e solo limitata a ricambiare la sua generosità con professionale devozione. Lei sapeva come farlo, come mandarlo all’inferno facendolo sentire in paradiso. Le sue labbra, che adesso gli stavano sfiorando lascive il petto, e le sue mani diaboliche, avrebbero comportato penitenza e dolore, come sempre, perché Teo Sciandra aveva ceduto, e ubbidito alla carne.

    Il tuo direttore spirituale insegna che chi ubbidisce non può mai sbagliare.

    «Di recente ti ha avvicinato qualcuno?», le sussurrò all’orecchio.

    Lei tra un bacio e l’altro gli rispose che non faceva più la puttana, che adesso era tutta per lui e che, grazie a lui, non aveva più bisogno di guadagnare, e che forse era perfino innamorata.

    Sciandra aveva notato con quale abilità lei evitasse di toccargli la schiena e la gamba. E quella prudenza, quella sua riservatezza, unite all’amore avido per i soldi e per i regali, a suo avviso la facevano rientrare ancora a pieno titolo nel novero delle sgualdrine di professione. «Non mi interessa chi incontri fuori da qui, quando io non ci sono».

    «E allora perché me lo chiedi?»

    «Voglio sapere se qualcuno ti ha fatto domande su di me».

    Corina lasciò un bacio in sospeso e si fermò a guardarlo dritto negli occhi gialli e cristallini. «No. Perché, avrebbero dovuto?». Si spogliò restando in mutandine e reggiseno e gli si accostò facendogli sentire il calore della sua giovane pelle. «Hai qualche problema, dottore?».

    Teo Sciandra annuì: quel giorno poteva rivelarle ogni cosa. «Credo che la polizia stia indagando su di me».

    «Vuol dire che hai commesso un reato?»

    «Ne ho commessi molti».

    Lei reagì con una risatina irrispettosa. «Hai detto delle parolacce? Oppure non sei andato a messa? L’ho capito, sai, che sei uno molto religioso». E vedendo che lui era in vena di confidenze gli toccò la schiena e glielo domandò, per la prima volta: «Sei uno di quelli… come il monaco cattivo del Codice da Vinci, vero?»

    «Non proprio», rispose, ma ammise: «Sono un soprannumerario dell’Opus Dei».

    «Cazzo, mi incuriosisce un sacco quella roba», disse lei facendo ballonzolare il seno. «Ho letto delle cose su internet».

    «E ti piace?». Le disegnò il profilo di una spalla con un dito.

    «No, ma deve piacere a te. Una come me non sarebbe mai ammessa in un’organizzazione simile».

    «Hai ragione».

    «E, anche se non te l’ho mai chiesto, io me lo sono sempre domandata perché uno come te frequenti una come me».

    «Io non ti frequento. Nessuno sa di noi due. Non ci siamo mai fatti vedere fuori da qui, insieme».

    «Non è quello che intendevo».

    «Ma è quello che mi interessa».

    «Che si venga a sapere che non sei un santo?»

    «Presto tutti sapranno chi sono».

    «Davvero hai commesso dei reati e ti stanno addosso gli sbirri?», domandò giocherellando con i peli del suo petto.

    La guardò e glielo disse: «Io non sono quello che credi. Igor non è il mio nome».

    Corina arretrò di scatto, ma subito sospirò e sorrise. «Ah, mi stai prendendo in giro».

    «No, affatto».

    «E chi saresti, allora?»

    «Uno che si ostina a lottare con se stesso, e perde continuamente. Uno che si è stancato».

    «Magari hai solo bisogno di un buon strizzacervelli», disse lei, con lo stesso tono di chi dice: Magari hai bisogno di un po’ di riposo.

    «Ci sono stato, tempo fa».

    «Dici davvero?»

    «Sono stato sottoposto all’ipnosi».

    «Che storia», disse Corina.

    «Non lo avevo mai detto a nessuno».

    «Ipnosi?». Era affascinata dalla parola.

    «Sì. Volevo ricordare la mia infanzia».

    Lei fece una risatina incredula e gli si accostò camminando sulle ginocchia. «Senti, Igor», sussurrò mordicchiandogli il lobo dell’orecchio. «Non mi importa degli affari tuoi. Nessuno mi ha mai fatto domande su di te, devi stare tranquillo. Comunque, se preferisci, la prossima volta possiamo incontrarci da un’altra parte».

    «Va bene». Le mise una mano sul seno, seguì le curve del suo corpo con le labbra, affondò le mani nella sua pelle liscia, pulsante.

    Corina ricambiò con dolcezza. Poi cadde all’indietro sul materasso, agitando le braccia e le gambe in modo convulso, spinta dal peso di lui, il suo misterioso e riservato benefattore, che le cingeva il collo con entrambe le mani: aveva un’espressione di stupore gonfia di sangue sul volto. «Igor?», mormorò.

    «Sì», le disse Sciandra fra gli ansiti, «va tutto bene», e fece scivolare la propria vergogna in quella di lei, senza gioia. Le si agitò dentro con rabbia, emettendo sordi grugniti, poi iniziò ad affondarle i pollici nella carotide. «Perdonami», le disse. «Io sono…». Sentì la cartilagine rompersi sotto i polpastrelli. Ringhiò nello sforzo. «Io sono…».

    Malato, pensò Corina prima che sopraggiungesse il buio.

    Stava per morire.

    Sciandra non si fermò. La guardò: i suoi occhi strabuzzati e rigonfi gli procuravano piacere; la sua bocca, che si sforzava di trovare aria e cercava di dire qualcosa, che non avrebbe potuto parlare mai più, era polposa e attraente come non lo era mai stata; il suo ultimo respiro fu pura lussuria.

    Alla fine, Sciandra si inginocchiò e pregò. Al terzo mea culpa cominciò a piangere. Pregò a mani giunte sul corpo tiepido di Corina. Infine, lo tirò giù dal letto e lo trascinò fino in cucina. Spostò tutto il contenuto del frigorifero in un sacco nero per la spazzatura, tolse tutti i ripiani e vi mise dentro il corpo nudo della ragazza, seduto sul fondo, con le ginocchia contro il petto e le braccia cadenti lungo i fianchi.

    Si rivestì con calma, passando mentalmente in rassegna le tracce da cancellare e le cose da fare, distinguendole da quelle da non fare, quindi uscì dall’appartamento chiudendo la porta blindata a chiave. Era intestato a una società non profit di cui Teo Sciandra era presidente. Era stato acquistato insieme ad altri immobili come investimento e lui era l’unico ad avere le chiavi. Nessuno si sarebbe interessato di quell’appartamento durante le Feste.

    E neanche dopo.

    Prima di uscire dal palazzo si accertò che in strada non ci fossero occhi indiscreti. Quindi riaccese il telefono, si nascose le guance con il colletto del cappotto e si diresse con calma verso l’auto. C’era una chiamata persa di Laetitia. La richiamò. Mentre il telefono di lei squillava lontano, Sciandra si specchiò sul finestrino della Maserati e si lisciò i capelli schiacciandoli di lato.

    «Teo?»

    «Cara? Esco adesso da una riunione».

    «Com’è andata?»

    «Molto bene. Cosa stanno combinando i ragazzi?»

    «Paolo è in camera sua, sta leggendo Il signore degli anelli. Maria è in cucina, aiuta Xuan a preparare la cena. Non vedono l’ora che tu sia a casa».

    «Sono due bravi ragazzi», fu il commento di Sciandra, il solito, l’unico ammissibile per i suoi figli. Spostò la manica del cappotto insieme a quella del gessato grigio di sartoria e della camicia bianca con i gemelli, e si guardò il polso. Un Vacheron Constantin con quadrante nero, da ventinovemila euro, diceva che erano quasi le sette e mezza. «Ora mi metto in viaggio, cara». Nella sua mente scorsero i chilometri di strada che avrebbe dovuto percorrere per raggiungere la casa delle vacanze invernali, in montagna, immersa nella neve, dove da qualche giorno si era riunita la famiglia. Pensò che probabilmente si sarebbe dovuto fermare durante il tragitto per montare le catene, ma si disse che Dio, se avesse voluto, avrebbe reso sufficienti gli pneumatici invernali. «Spero di non fare tardi».

    «Che il Signore ti protegga».

    «Amen».

    La macelleria di Lorenzo era già chiusa a quell’ora, però la serranda era ancora sollevata per un quarto e la luce era accesa. Si vedeva un mocio muoversi avanti e indietro sul pavimento come un polpo morto portato a riva dalle onde.

    «Lorenzo?»

    «Sì?», risposero da dentro.

    «Sono Igor».

    La serranda si sollevò all’istante, scoprendo un uomo in camice bianco, dalla corporatura ovale e con una testa altrettanto ovale e completamente glabra.

    «Come sta signor Igor?»

    «Bene. Tu?»

    «Si tira avanti», rispose appoggiando le mani e il mento sulla punta del bastone.

    «Ho una cosa per te». Sciandra si tolse il pacchetto dalla tasca e glielo diede. Conteneva un Rolex, ma questo Lorenzo non poteva ancora saperlo.

    «Lei è davvero molto gentile, dottore», gli disse rigirandosi il pacchetto fra le mani macchiate di sangue secco. Lo guardò con gli occhi colmi di riconoscenza. «Come potrò mai ricambiare una tale generosità?».

    Quella sera Piazza Affari era chiusa e lo sarebbe stata per altri due giorni. Quindi, la radio della Confindustria non poté annunciare che era stata ancora una volta la peggiore fra le borse europee. «Segno meno… perde… in picchiata». Ogni giorno sembrava non potesse andare peggio e invece accadeva. La conduttrice del gr, però, aveva altre cattive notizie da dare.

    La cronaca. Il Cannibale torna a colpire. È ancora senza un nome la donna di cui ieri sono state trovate alcune parti del corpo in una discarica dei rifiuti organici, a Roma. Della vittima sono stati rinvenuti solo le mani, i piedi e la testa. Secondo gli investigatori, si trattava di una donna giovane. Ma ci racconta i dettagli il nostro inviato da Roma:

    «Sì, qui la città è sotto shock per il nuovo delitto del Cannibale. Purtroppo non sono state ancora rilasciate dichiarazioni ufficiali da parte degli inquirenti, dunque non posso aggiungere molto a quello che hai già detto tu, ma ci sono delle indiscrezioni e sembrerebbe trapelare un certo ottimismo: insomma, a quanto pare, l’assassino o gli assassini dovrebbero avere le ore contate. Ma veniamo ai dettagli dell’ultimo ritrovamento: parrebbe che le mani e i piedi della donna fossero ridotti in piccoli pezzi (faticosamente messi insieme dalla Scientifica) e che anche stavolta fossero bolliti. Un particolare che fino a oggi aveva fatto propendere per un tentativo da parte dell’assassino di cancellare le impronte digitali delle vittime. Ma con il rinvenimento della testa, priva della lingua e del cervello, anch’essa sottoposta a bollitura, qualcuno sta addirittura ipotizzando che queste parti del corpo siano state utilizzate dal Cannibale per la preparazione di un brodo a base di carne umana. La precisione del taglio sulle ossa lascia pensare a…».

    Spense la radio.

    Dall’elenco di mp3 scelse un coro gregoriano e fece play. Lo ascoltò cantandoci sopra a voce alta, con il solito furore mistico.

    «Christus natus est nobis, venite adoremus».

    Fermo al semaforo, continuò a cantare. Nessuno poteva vederlo oltre i vetri oscurati.

    «Venite, exultemus Domino, jubilemus Deo, salutari nostro: praeoccupemus facem ejus in confessione, et in psalmis jubilemus ei…».

    La cantò tutta, a voce alta, parola per parola, a memoria, le lacrime in procinto di affacciarsi tra le ciglia, e quando il coro cresceva, chiamando i fedeli ad adorare Cristo, una scarica elettrica gli attraversava l’anima, e i peli delle braccia si levavano come una folla in giubilo. Nella sua Maserati si sentiva come in un guscio sacro, una minuscola cattedrale di lamiera, una personale capsula di beatitudine, e provò pena per gli altri, che affollavano le vie e i negozi del centro con quello spirito irrispettosamente profano e votato al consumismo. Li guardò con commiserazione.

    Quello strano sei tu, un assassino che si frusta e dorme su una tavola di legno. E vorrei farti notare che hai il bagagliaio pieno di regali.

    Di tanto in tanto una voce si intrometteva nei suoi pensieri portando il dubbio, l’obiezione.

    Era la voce di sua madre: Satana.

    In montagna doveva aver fatto solo una spruzzata di neve nel tardo pomeriggio; la strada era sgombra, ma si era formato un infido strato di ghiaccio sull’asfalto; a tratti, nei punti più alberati, che erano stati in ombra durante il giorno, Teo Sciandra lo vedeva luccicare sotto i potenti fari della Maserati. Strinse le mani attorno al volante.

    Pregustava la cena con piacere e disgusto insieme. Di sicuro Laetitia aveva chiesto a Xuan, la loro domestica vietnamita, di preparare i tortellini in brodo di cappone, il cappone ripieno e il tiramisù ai lamponi. Lui li adorava, ma per le cene di vigilia, che si concludevano sempre prima della mezzanotte, avrebbe preferito un menu di magro.

    Il Natale non era soltanto il giorno più importante dell’anno, era l’apice della vita di un cristiano.

    Sciandra, nonostante una madre nemica della vocazione, e grazie a un padre molto devoto, era cresciuto così, e così voleva che crescessero anche i suoi figli. Prima di tutto: solo scuole gestite dall’Opera, in cui i maschi studiano con i maschi e le femmine con le femmine.

    La prima volta che lui aveva parlato a tu per tu con una persona dell’altro sesso che non fosse sua madre, aveva dodici anni. Se lo ricordava come se fosse accaduto ieri, provava ancora lo stesso disagio. Fino a quel momento le ragazze erano sempre state per lui creature pure come la Madonna, esserini profumati che sorridevano, anime beate ascese nel suo personale paradiso mentale.

    Ma la realtà è stata deludente, vero?

    Poi, crescendo, erano diventate tutte più simili a quel demonio di sua madre: delle creature diaboliche, esseri impossibili da dominare, pieni di difetti e con molte pretese. Capricci, lussuria, superficialità, venalità, ecco cos’erano le donne, nella realtà. Erano tutte come sua madre, serve del male.

    Così, all’età di sedici anni e mezzo era stato sul punto di pitare, vale a dire chiedere l’ammissione all’Opera come numerario. Il suo finto padre, che era un simpatizzante dell’Opera, anche se non ne faceva parte a causa dei ricatti della donna che aveva sposato, si era detto più che favorevole, assolutamente entusiasta.

    Ma quel diavolo di sua madre si era opposto.

    Se tu fossi stato educato come avrei voluto io, oggi non saresti il mostro che sei.

    Lei era andata via di casa qualche mese dopo, abbandonando un figlio, e lasciando un uomo che fino a quel momento non aveva cessato un istante di umiliare. Nei litigi, che lei sapeva come trasformare in sfuriate, lo chiamava bigotto, baciapile, falso, ipocrita, ignorante. Ma le piacevano i suoi soldi, atteggiarsi da regina nel mondo dell’alta finanza, quasi quanto le piaceva umiliarlo in privato, chiamandolo fanatico impotente, per poi sentirsi in diritto di trastullarsi con altri uomini.

    Per fortuna, Laetitia non era così.

    Laetitia non era niente.

    Rispose al telefono sfiorando il touch screen del cruscotto: «Cara?»

    «Qui ci sono già tutti».

    «Non dovrei

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